Cos'è la Corte
Come e perchè nascono le Corti costituzionali
Una istituzione giovane
La Corte costituzionale è una istituzione creata in tempi relativamente recenti. Nulla di simile vi era
nell'ordinamento italiano anteriore alla Costituzione del 1948. In altri paesi, organismi analoghi erano stati
previsti per la prima volta sulla base soprattutto delle elaborazioni teoriche di un grande giurista democratico
austriaco, Hans Kelsen in alcune Costituzioni europee degli anni Venti del secolo scorso. Dopo la seconda guerra
mondiale, una Corte (o Tribunale o Consiglio) costituzionale è stata prevista, oltre che nella Costituzione
italiana, in quella tedesco-occidentale del 1949 (la prima entrata in funzione nell'Europa postbellica, a partire
dallo stesso anno); più tardi si ritrova (in forma diversa) nella Costituzione francese del 1958, nelle Costituzioni
democratiche del Portogallo (1974) e della Spagna (1978), e nella Costituzione jugoslava (1963). Più di recente
quasi tutte le nuove Costituzioni degli Stati dell'Europa orientale e di quelli sorti dallo scioglimento dell'Unione
Sovietica hanno previsto la istituzione di organismi analoghi, e lo stesso è accaduto in altri Stati extraeuropei.
Oggi un meccanismo di controllo di costituzionalità delle leggi risulta esistente, in varie forme,
nella quasi totalità degli Stati del mondo generalmente riconosciuti.
Ma se le Corti costituzionali sono istituzioni giovani, il problema da cui esse nascono e a cui cercano di rispondere viene da lontano.
Onnipotenza del Parlamento?
Secondo la più antica tradizione costituzionale europea, formatasi soprattutto nella Gran Bretagna del
Sei-Settecento e nella Francia postrivoluzionaria, anche le istituzioni statali sono soggette al diritto, e i
giudici (le Corti, i tribunali), indipendenti dagli altri poteri, hanno il compito di risolvere le controversie,
applicando le regole di diritto e ripristinandone l'osservanza quando esse sono violate.
Ma come nascono le regole
del diritto dello Stato? Esse scaturiscono dalla tradizione che si fissa in consuetudini dichiarate e applicate dai
giudici, oppure dalle leggi emanate dagli organi investiti del "potere legislativo", cioè dai Parlamenti, eletti dai
cittadini e perciò rappresentativi della volontà popolare. I giudici non possono creare o modificare le leggi, ma le
devono applicare (essi sono «soggetti soltanto alla legge», come dice l'articolo 101 della Costituzione italiana).
Le Costituzioni riconoscono e disciplinano questa "divisione dei poteri".
Sempre secondo questa tradizione, la legge
esprime tipicamente la volontà dell'autorità dello Stato. Il Parlamento, che delibera le leggi, è libero nel
formularle, è in un certo senso "onnipotente": secondo un famoso detto riferito al Parlamento inglese, esso "può
far tutto, meno che cambiare un uomo in donna". Ma può anche cambiare liberamente la Costituzione? Su questo punto
molte Costituzioni dell'Ottocento non si esprimevano in modo esplicito; più tardi alcune regolarono invece i
particolari procedimenti con cui si poteva modificare la Costituzione. Rimaneva però il fatto che, mentre gli atti
delle autorità amministrative potevano essere soggetti al controllo di legalità da parte dei giudici, nessuno
(neanche i giudici) era invece autorizzato a controllare le leggi espressione massima della "sovranità" dello Stato
per verificare se esse fossero conformi alla Costituzione.
L'esperienza americana
Gli Stati Uniti d'America, invece, fin dall'inizio della loro storia, hanno seguito una strada diversa.
La costituzione americana stabilisce un equilibrio tra poteri della Federazione e quelli degli Stati membri e non
prevede l'"onnipotenza" del potere legislativo. Quest'ultimo, infatti, è concepito come un "delegato" dei cittadini
e, come tale, non può agire contro i diritti dei cittadini stessi, dai quali trae i propri poteri. In base a questa
dottrina costituzionale, che è scritta nel Federalist (la prima e celeberrima illustrazione della Costituzione
americana), le Corti giudiziarie si ritennero, fin dall'inizio dell'Ottocento, investite del potere di controllare
le leggi, dei singoli Stati e della Federazione, negando loro applicazione se in contrasto con quanto stabilito
dalla Costituzione federale: sia con le regole costituzionali sulla suddivisione dei poteri fra Stati e Federazione,
sia con le regole costituzionali (introdotte attraverso emendamenti nella Costituzione federale) sui diritti dei
cittadini (garanzie rispetto all'arresto arbitrario, libertà di parola, ecc.).
In una famosa sentenza (caso Marbury
contro Madison, 1803) la Corte suprema federale degli Stati Uniti affermò che la Costituzione è anch'essa una legge,
superiore alle altre leggi; che sin quando essa non venga modificata con gli appositi speciali e complessi
procedimenti, le altre leggi ("ordinarie") devono rispettare la Costituzione; e che, se non la rispettano, sono
nulle e qualunque giudice ha il potere e il dovere di non applicarle.
In Europa: un controllore per il Parlamento
In Europa l'idea della superiorità della legge, espressione della sovranità dello Stato o del popolo rappresentato
dal Parlamento (erede, in un certo senso, degli antichi sovrani "assoluti"), rese per lungo tempo difficile
accettare che qualcuno, fuori dal Parlamento, potesse controllare le leggi e negare obbedienza a una legge perché
contraria alla Costituzione.
Nel corso del Novecento un secolo sconvolto dalle guerre e segnato profondamente da
esperienze autoritarie (in Italia il fascismo) che avevano portato all'abbattimento delle tradizionali istituzioni
prese forza la consapevolezza che la salvaguardia dei diritti fondamentali proclamati dalle Costituzioni e degli
equilibri costituzionali fra i poteri esigeva la possibilità di un controllo anche sulle manifestazioni più elevate
di volontà degli organi rappresentativi, compresi i Parlamenti, e quindi sulle leggi. In generale si ritenne, però,
che ad effettuare questo controllo non fossero adatti i normali organi giudiziari. Essi sono chiamati ad applicare
le leggi piuttosto che a giudicarle, perché formati da magistrati di carriera, non rappresentativi e privi della
necessaria sensibilità politica. Controllare la costituzionalità delle leggi non è lo stesso che controllare, per
esempio, la legalità di un atto del potere esecutivo: molte norme della Costituzione sono generiche, e applicare la
Costituzione non è mai un'operazione soltanto tecnico-giuridica (neanche applicare le leggi, spesso, lo è; ma nel
caso della Costituzione questo vale in misura maggiore). D'altra parte il controllo non poteva nemmeno essere
affidato allo stesso Parlamento che deliberava le leggi: il controllato non può essere anche il controllore di se
stesso.
Di qui, la soluzione di creare un apposito Tribunale o Corte, operante come un giudice, formato da persone
tecnicamente preparate, scelte appositamente per tale funzione, per lo più elette dal Parlamento o da altre supreme
istituzioni statali, non revocabili sino alla fine del loro mandato (in genere di lunga durata o esteso fino al
raggiungimento di un limite di età), e indipendenti dai poteri propriamente politici. A questa istituzione fu
affidato il compito di controllare la costituzionalità delle leggi e di annullarle se incostituzionali. Nasce così
la "giurisdizione" costituzionale: un'attività di tipo giudiziario, per il carattere dei procedimenti utilizzati, e
non politica ma di garanzia delle norme costituzionali; un'attività, però, anche vicina e interferente con le
istituzioni politiche che esercitano il potere legislativo.
Un arbitro per i conflitti costituzionali
A questa funzione delle Corti costituzionali quali "giudici delle leggi", se ne sono aggiunte altre, tutte in genere
accomunate dallo scopo di meglio assicurare l'osservanza delle norme costituzionali: fondamentale quella di
risolvere le controversie fra lo Stato centrale e gli Stati federati o gli enti territoriali (come le Regioni)
garantendo l'equilibrio tra i poteri centrali e quelli periferici, e quella di risolvere i conflitti fra diversi
poteri dello Stato. A parte tutto ciò, alle Corti costituzionali si ricorre in vari altri casi, quando occorre un
organo imparziale per risolvere questioni che i giudici non avrebbero l'autorità sufficiente per decidere (ad es. le
controversie elettorali, i giudizi contro i ministri o il capo dello Stato, ecc.)
In sintesi: quasi in tutte le
attuali esperienze costituzionali, ormai, si riconosce la necessità di meccanismi di controllo e di arbitrato
imparziale, in nome della Costituzione, rispetto alle supreme attività e istituzioni statali. Nei paesi che hanno
seguito il modello statunitense, i relativi poteri sono riconosciuti alle ordinarie Corti supreme; nei paesi che
hanno seguito il modello europeo (e tra questi l'Italia), ad apposite Corti o Tribunali costituzionali.