Reg. ord. n. 45 del 2025 pubbl. su G.U. del 19/03/2025 n. 12

Ordinanza del Tribunale per i minorenni di Roma  del 18/02/2025

Tra: K.C.



Oggetto:

Processo penale – Processo minorile – Sospensione del processo e messa alla prova – Modifiche normative ad opera del decreto-legge n.123 del 2023, come convertito – Esclusione dell’applicabilità delle disposizioni del comma 1 dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, ai delitti previsti dall’art. 609-octies cod. pen. (violenza sessuale di gruppo), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen. – Contrasto con l’intero impianto normativo che regola il processo penale minorile, avente come finalità il recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale – Inosservanza degli obblighi internazionali in relazione ai principi espressi in numerosi atti internazionali in tema di giustizia minorile – Disparità di trattamento rispetto agli imputati di reati anche più gravi, in considerazione della pena edittale e del rilevante allarme sociale ovvero perché rientranti nella legislazione antimafia –  Violazione del principio di ragionevolezza.



Norme impugnate:

decreto del Presidente della Repubblica  del 22/09/1988  Num. 448  Art. 28   Co. 5 bis  aggiunto dal

decreto-legge  del 15/09/2023  Num. 123  Art.  Co. 1 lett. c-bis)  convertito con modificazioni in

legge  del 13/11/2023  Num. 159



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 31   Co.

Costituzione  Art. 117   Co.

direttiva UE  del 11/05/2016  Num. 800

Regole minime delle Nazioni unite sull'amministrazione della giustizia minorile (Regole di Pechino)  del 29/11/1985

regole ONU per la protezione dei minori privati della libertà (regole de L'Avana)  del 14/12/1990

raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle regole europee per i delinquenti minori che siano oggetto di sanzioni o di misure  del 05/11/2008

Linee guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa  del 17/11/2010



Camera di Consiglio del 22 settembre 2025 rel. PETITTI


Testo dell'ordinanza

N. 45 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 febbraio 2025

Ordinanza del 18 febbraio 2025 del Tribunale per i minorenni di  Roma
nel procedimento penale a carico di K. C. e A. U.. 
 
Processo penale - Processo minorile  -  Sospensione  del  processo  e
  messa alla prova - Modifiche normative ad opera  del  decreto-legge
  n. 123 del 2023, come convertito -  Esclusione  dell'applicabilita'
  delle disposizioni del comma 1 dell'art. 28 del d.P.R. n.  448  del
  1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova,  ai
  delitti previsti dall'art. 609-octies cod. pen., limitatamente alle
  ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988,  n.  448
  (Approvazione delle disposizioni sul processo penale  a  carico  di
  imputati minorenni), art. 28, comma 5-bis. 


(GU n. 12 del 19-03-2025)

 
                  TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ROMA 
 
    Il giudice dell'udienza preliminare composto da: 
        1) dott. Federico Falzone - Presidente; 
        2) dott.ssa Anna Troise - giudice on.; 
        3) dott. Luca Ansini - giudice on.; 
    riunito in Camera di consiglio all'udienza del 18  febbraio  2025
nel procedimento indicato in epigrafe a carico di C. K., nato a [...]
l'[...], difeso d'ufficio dall'avv. Marianna Mossutto, e U. A.,  nato
a [...] il [...], difeso di fiducia  dall'Avv.  Andrea  Barbesin,  ha
emesso la seguente ordinanza. 
    Il giudice per le indagini preliminari  presso  questo  T.M.  con
decreto del 28 ottobre  2024  disponeva  il  giudizio  immediato  nei
confronti di C. K. e U. A. in relazione alle seguenti imputazioni: 
        A) articoli 609-octies e 609-ter n. 2 e 5 e 61 n. 4  e  n.  5
del  codice  penale,  perche',  dopo  averlo  portato  in  un  garage
sottostante il supermercato [...], mediante  la  forza  intimidatrice
del gruppo e la minaccia consistita, da parte dell'H. S., nel  dirgli
«la devi fare sta cosa senno' passiamo alle mani»,  costringevano  P.
G., di anni sedici, a subire  atti  sessuali,  consistiti,  da  parte
dell'H. S., nel penetrarlo nell'ano con un bastone e nel costringerlo
poi a inserire in bocca la medesima estremita' del bastone  cosi'  da
simulare un rapporto orale, colpendolo al contempo con  uno  schiaffo
sulla  nuca,  mentre  tutti  lo  colpivano  con  ripetuti   sputi   e
riprendevano con i propri telefoni cellulari. 
        Con l'aggravante di aver adoperato sevizie e  crudelta',  nei
confronti di un minore  di  anni  diciotto,  mediante  l'utilizzo  di
strumenti gravemente lesivi della salute della vittima profittando di
circostanze di luogo e persona tali da ostacolare la privata difesa. 
        In localita' [...] tra il [...] e il [...] del [...]. 
        B) articoli 110 e 600-ter, comma 1, n. 1  del  codice  penale
perche',  in  concorso  tra  loro,  realizzavano  mediante  i  propri
telefoni cellulari, diffondendoli poi su gruppi WhatsApp,  video  nei
quali era ripreso P. G. nel compimento degli atti sessuali di cui  al
capo che precede. 
        In localita' [...] tra il [...] e il [...] del [...]. 
        C) articoli  110  e  612-bis,  comma  1,  del  codice  penale
perche', in concorso tra loro, con condotte reiterate, consistite nel
porre in essere la condotta di cui al capo che precede,  nonche',  in
altra  circostanza  verificatasi  in  data  [...]  nel  deriderlo   e
percuoterlo ripetutamente, nel farlo sbattere piu'  volte  contro  la
serranda della gioielleria «[...]», nel metterlo  all'interno  di  un
cassonetto dell'immondizia, nello spegnergli una sigaretta sul collo,
nel gettargli contro un liquido, verosimilmente urina, molestavano P.
G., di anni sedici, cagionandogli un perdurante e grave stato d'ansia
e di paura e ingenerando in lui un  fondato  timore  per  la  propria
incolumita'. 
        In localita' [...] tra il [...] e il [...] del [...]. 
    Veniva tempestivamente chiesto dai difensori  muniti  di  procura
speciale il giudizio abbreviato per C. K. e U.  A.,  mentre  per  gli
altri imputati il procedimento proseguiva nelle  forme  del  giudizio
immediato. 
    Veniva  fissata  l'udienza  odierna  in  cui,  ammesso  il  rito,
venivano  sentiti   gli   imputati,   che   ammettevano   il   fatto,
dichiarandosi sinceramente pentiti per quanto commesso, riferendo  di
essersi scusati con la p.o.  nei  giorni  immediatamente  successivi.
Cercavano di fornire una ricostruzione delle ragioni che  li  avevano
indotti a compiere azioni  tanto  gravi,  connesse  alla  logica  del
gruppo ed alle personali sofferenze  che  stavano  vivendo,  pur  non
volendo assolutamente minimizzare la loro responsabilita'. 
    Chiedevano la sospensione del processo con messa  alla  prova  ai
sensi dell'art. 28 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
448/1988. 
    Il personale dell'USSM presente in  udienza  insisteva  affinche'
venisse loro concessa questa possibilita'. 
    Il PMM dava parere favorevole. 
    Il 15 novembre 2023 e' entrata in vigore  la  legge  13  novembre
2023, n. 159, che ha convertito, con modificazioni, il  decreto-legge
15 settembre 2023, n.  123  (cd.  decreto  Caivano)  recante  «Misure
urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla poverta' educativa  e
alla  criminalita'  minorile»  che  ha  escluso  la  possibilita'  di
sospendere  il  processo  con  messa  alla  prova  in   relazione   a
determinati reati,  tra  i  quali  la  violenza  sessuale  di  gruppo
aggravata ai sensi dell'art. 609-ter, del  codice  penale.  Il  comma
5-bis dell'art.  28,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
448/1988 prevede infatti che «le disposizioni di cui al comma  1  non
si applicano ai delitti  previsti  [...]  dagli  articoli  609-bis  e
609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai
sensi dell'art. 609-ter [...]». 
    L'imputazione di cui al capo A) contestata agli imputati riguarda
i reati di cui agli articoli 609-octies e 609-ter n. 2 e 5 e 61 n.  4
e 5 del codice penale in ipotesi commessi dopo  l'entrata  in  vigore
del comma 5-bis citato (in In [...] tra il  [...],  e  il  [...]  del
[...], come emerge senza dubbio  dalle  dichiarazioni  della  persona
offesa, dalle indagini espletate e dalle stesse  dichiarazioni  degli
imputati). 
    Agli imputati e' dunque  preclusa  de  iure  la  possibilita'  di
essere ammessi alla prova ai sensi del comma 1, dell'art. 28, decreto
del Presidente della Repubblica n. 448/1988 per il  capo  A),  ed  il
Collegio non puo' prendere in considerazione le loro  richieste,  che
dovrebbero pertanto esser rigettate, senza poter entrare  nel  merito
della valutazione in ordine alla relativa  fattibilita'  della  messa
alla prova. 
    All'udienza odierna i difensori ed il PMM chiedevano al  Collegio
di sollevare questione di legittimita' costituzionale del comma 5-bis
dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. 
    Cio' premesso occorre verificare la  rilevanza  e  non  manifesta
infondatezza della questione proposta. 
    Il vaglio di rilevanza  della  questione  attiene  alla  verifica
dell'impossibilita', per il giudice  a  quo,  di  risolvere  il  caso
pratico  sottoposto  alla  sua  attenzione,  indipendentemente  dalla
risoluzione della questione stessa. 
    Sul punto della rilevanza, il  Collegio,  esaminati  gli  atti  e
sentiti gli imputati, ritiene che, in assenza della  disposizione  di
cui al comma 5-bis dell'art. 28, del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 448/1988, avrebbe potuto valutare positivamente la loro
richiesta di messa alla prova. Si  ritengono  infatti  sussistenti  i
requisiti richiesti dal costante  orientamento  giurisprudenziale  ai
fini dell'ammissione alla messa alla prova. Innanzitutto, sulla  base
degli elementi agli atti e delle dichiarazioni  rese  dagli  imputati
non puo' pervenirsi ad un proscioglimento nel  merito  degli  stessi.
Inoltre,  gli  imputati  hanno  fin  dai  giorni  seguenti  ai  fatti
esplicitato il loro pentimento chiedendo scusa  alla  persona  offesa
(cfr. sul punto le dichiarazioni rese dalla p.o. in  data  17  maggio
2024: «comunque A. U. si e' pentito, mi ha detto che ha  sbagliato  a
non difendermi ed a schierarsi con P.; dopo questa cosa A. U. e K. C.
mi hanno chiesto scusa e adesso hanno allentato i  rapporti  con  P.,
credo che loro si siano fatti trasportare»). 
    Gli imputati, fin dall'interrogatorio di garanzia del  27  agosto
2024, successivo all'ordinanza cautelare della  permanenza  in  casa,
ammettevano i fatti e si dichiaravano pentiti  (C.  K.  «la  cosa  e'
degenerata, ho chiesto scusa al ragazzo, mi  sono  reso  conto  della
gravita'; U. A. «mi sono pentito di cio' che  ho  fatto,  ho  chiesto
scusa, ho inviato un sms»). 
    Altrettanto  sincero  e  ragionato   pentimento   mostravano   in
occasione dell'esame effettuato all'udienza odierna. 
    Dalle relazioni dell'USSM emerge  che  C.  K.  si  e'  presentato
all'assistente sociale con un reale  desiderio  di  collaborazione  e
partecipazione agli interventi  educativi  proposti;  veniva  inoltre
rappresentata una situazione familiare molto complessa e dolorosa (la
madre e' sottoposta ad un'ordinanza cautelare che vede il marito ed i
figli  persone  offese)  ed  evidenziato  che  C.   K.   «mostra   un
atteggiamento maturo ed autenticamente sofferente per l'accaduto»; e'
stato attivato un supporto psicologico, frequenta con buon rendimento
il terzo anno  del  liceo  scientifico,  gioca  a  calcio  a  livello
agonistico;  l'USSM  concludeva  definendo  C.  K.  come  un  giovane
sensibile e pieno di risorse, che ha vissuto una sofferenza familiare
eccessiva per la sua eta',  disponibile  a  trattare  l'accaduto  con
modalita' responsabile ed autenticamente dispiaciuta. 
    Anche la relazione dell'USSM elaborata per U. A.  ha  evidenziato
la corretta collaborazione  sia  dell'imputato  che  della  famiglia,
disponibili a trattare l'accaduto con modalita' costruttiva.  U.  A.,
negli spazi di riflessione con l'assistente sociale, ha compiuto  «un
importante lavoro di riflessione,  non  solo  rispetto  al  reato  in
contestazione, ma anche rispetto ad alcuni elementi  personali  della
propria storia». Sono stati evidenziati precedenti episodi in cui  U.
e' stato vittima di aggressione con ricovero in ospedale, circostanza
che lo aveva indotto ad abbandonare  la  scuola.  Durante  la  misura
cautelare,  ha  accolto  le  indicazioni  educative   dell'assistente
sociale, si e' nuovamente iscritto a scuola e frequenta un  corso  di
nuoto per ottenere il brevetto di salvataggio.  L'assistente  sociale
concludeva   affermando   che   U.   appare   realmente   dispiaciuto
dell'accaduto ed aveva, fin dai giorni immediatamente  successivi  al
fatto, chiesto scusa alla p.o. 
    Ritiene in definitiva il Collegio  sussistere,  in  entrambi  gli
imputati, una rimeditazione  critica  rispetto  ai  reati  contestati
autentica e non strumentale. E' stata infatti esternata  direttamente
alla p.o. molto tempo prima dell'emissione della misura  cautelare  e
della conoscenza della  pendenza  di  indagini  nei  loro  confronti,
ribadita, con ammissione sostanziale dei fatti, in tutte le occasioni
processuali e nei rapporti con l'USSM. 
    Tale valutazione ha determinato  anche  la  revoca  della  misura
cautelare (sempre rispettata) essendo stata ritenuta l'assenza,  allo
stato, del pericolo di  reiterazione  di  fatti  analoghi  (anche  in
considerazione dell'incensuratezza), con parere favorevole  del  PMM.
Si evidenzia che i reati, sebbene  di  sicura  gravita',  sono  stati
compiuti quando U. A. aveva quindici anni e C.  K.  ne  aveva  appena
compiuto sedici. 
    Il Collegio ritiene dunque la sussistenza di tutti i requisiti di
merito in astratto necessari per  l'ammissione  degli  imputati  alla
messa alla prova prevista dall'art. 28, del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 448/1988. 
    L'unico ostacolo e' costituito dalla previsione di cui  al  comma
5-bis introdotto dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, che  impedisce
la sospensione del processo con messa alla prova per il capo A). 
    A cio' si aggiunga che l'entita' della pena in astratto  prevista
dal legislatore per i reati in contestazione e  considerato  il  caso
concreto (che esclude la possibilita' di qualificazione ai sensi  del
terzo comma dell'art. 609-bis del  codice  penale)  non  consente  di
prendere in considerazione gli istituti  previsti  dall'art.  30  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 o 169 del  codice
penale. 
    E' in ogni caso da  sottolineare  la  diversita'  degli  istituti
citati e la  peculiarita'  della  messa  alla  prova,  atteso  quanto
statuito dalla stessa Corte costituzionale,  secondo  cui  «la  messa
alla prova del minore e' prevista per tutti i reati anche  quelli  di
gravita'  massima,  rispetto  ai  quali  l'ordinamento  sospende   il
processo in vista dell'eventuale estinzione del reato  per  finalita'
puramente rieducative, quindi non perche' l'imputato lo richieda e il
pubblico ministero vi consenta, ma solo perche',  ed  in  quanto,  lo
ritenga opportuno un giudice strutturalmente  idoneo  a  valutare  la
personalita' del minore» (sentenza n. 139 del 6 luglio 2020). 
    Per quanto attiene al profilo della non  manifesta  infondatezza,
il giudice a quo non e' chiamato a pronunciarsi  sulla  fondatezza  o
meno, esame che e' appunto rimesso alla sola Corte costituzionale, ma
deve  semplicemente  respingere  la  questione  quando  si   presenti
palesemente  priva   di   ogni   fondamento   giuridico.   La   Corte
costituzionale ha poi  aggiunto  che  il  giudice  a  quo,  prima  di
rimettere    la    questione,    deve     preliminarmente     tentare
l'interpretazione conforme a Costituzione, che tuttavia nel  caso  in
esame non appare possibile, in  quanto  tale  operazione  ermeneutica
comporterebbe  l'applicazione  di  un   istituto   in   presenza   di
imputazioni espressamente escluse dal comma 5-bis  dell'art.  28  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. 
    Il Collegio ritiene la non manifesta infondatezza della questione
innanzitutto  in  relazione  alla  violazione  dell'art.  31,   comma
secondo, della Costituzione. La preclusione introdotta dalla norma in
esame contrasta con tutto l'impianto normativo che regola il processo
penale minorile e che  trova  il  proprio  fondamento  costituzionale
nell'art. 31,  comma  secondo,  della  Costituzione  che  recita  «La
Repubblica  protegge  la  maternita',  l'infanzia  e  la   gioventu',
favorendo gli istituti necessari a tale scopo».  Il  processo  penale
minorile e' di  conseguenza  volto  principalmente  al  recupero  del
minore deviante, mediante la sua rieducazione e il suo  reinserimento
sociale,  anche  attraverso  l'attenuazione   dell'offensivita'   del
processo e la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale,  come  piu'
volte la Corte costituzionale ha affermato (cfr. sentenze n. 125  del
1992, n. 206 del 1987 e n. 222 del 1983). 
    Al fine del perseguimento di tali finalita' e dell'individuazione
della migliore risposta del sistema alla  commissione  del  reato  da
parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale e'
il soggetto di minore eta', il  giudice  e'  chiamato,  di  volta  in
volta, ad esaminare la sua personalita'. Non e' un caso che, in  ogni
stato e grado del procedimento minorile, come  statuito  dall'art.  9
del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988,  l'autorita'
giudiziaria debba  acquisire  «elementi  circa  le  condizioni  e  le
risorse personali, familiari, sociali e ambientali del  minorenne  al
fine di accertarne l'imputabilita' e  il  grado  di  responsabilita',
valutare la rilevanza sociale del fatto nonche' disporre le  adeguate
misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili». 
    La messa alla prova e' uno dei principali strumenti che  consente
al giudice di valutare  compiutamente  la  personalita'  del  minore,
sotto  l'aspetto  psichico,  sociale  e  ambientale,  anche  ai  fini
dell'apprezzamento  dei  risultati  degli  interventi   di   sostegno
disposti. Se, infatti, la personalita' del  minorenne  e'  avviata  a
possibile cambiamento (come emerge dalle relazioni dell'USSM  redatte
nei confronti degli imputati)  e,  all'esito  dello  svolgimento  del
programma trattamentale di messa alla prova, il minorenne abbia  dato
prova  del  superamento  delle  situazioni  che  hanno  portato  alla
commissione del reato, l'ordinamento prevede  che  il  giudice  possa
dichiarare estinto il reato per esito positivo della  disposta  prova
ai sensi dell'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
448/1988, essendo venuto meno l'interesse alla pretesa  punitiva  per
il raggiungimento delle finalita' di recupero del minore  e  del  suo
reinserimento sociale. 
    I tempi di durata previsti per la messa alla prova  (sino  a  tre
anni per i delitti piu' gravi), la possibilita'  che  la  stessa  sia
svolta per tutta la durata all'interno di comunita' di tipo educativo
o  terapeutico  (per  la  cura  delle  dipendenze  o   dei   disturbi
psichiatrici), la possibilita' di verifiche intermedie dell'andamento
del  percorso,  cosi'  come  la  revocabilita'   della   sospensione,
rappresentano elementi idonei a verificare, nel  tempo,  la  serieta'
dell'impegno    dell'imputato,    scongiurando    strumentalizzazioni
dell'istituto. Inoltre, la possibilita' di inserire, nel progetto  di
messa alla prova, importanti  momenti  di  confronto  con  i  servizi
specialistici  (Consultorio  familiare,  neuropsichiatria  infantile,
serd) e di supporto psicologico, utili nei delitti caratterizzati  da
dinamiche affettive disfunzionali (come nei casi di violenza sessuale
e nei delitti di pedopornografia) riduce il rischio  di  recidiva,  a
beneficio della generalita' dei consociati. 
    Come ampiamente argomentato  dalla  Corte  costituzionale,  nella
sentenza n. 125 del  1995  «la  messa  alla  prova,  in  conclusione,
costituisce, nell'ambito degli istituti di favore tipici del processo
penale  a  carico  dei  minorenni,  uno   strumento   particolarmente
qualificante, rispondendo, forse piu' di ogni  altro,  alle  indicate
finalita' della giustizia minorile». 
    Prevedere un catalogo di reati  (tra  cui  la  violenza  sessuale
aggravata in esame) in relazione ai quali  privare  l'imputato  della
possibilita' di accesso a questo importante istituto  di  recupero  e
reinserimento sociale, senza possibilita' da  parte  del  giudice  di
valutare nel merito la richiesta, costituisce un vulnus non  solo  di
tutela e protezione del minore autore del reato ma anche  dell'intera
collettivita' contro i rischi di una possibile recidiva. 
    E' stata la stessa Corte costituzionale, sia pure  nella  diversa
materia  della   esecuzione   della   pena   detentiva,   dichiarando
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),
del codice di procedura penale, per violazione dell'art. 31,  secondo
comma, della Costituzione, nella  parte  in  cui  non  consentiva  la
sospensione della esecuzione della pena detentiva nei  confronti  dei
minorenni condannati per i delitti ivi elencati (ossia quelli di  cui
all'art. 4-bis della legge n. 354/1975), ad escludere la possibilita'
di prevedere nei confronti dei minori «un rigido automatismo, fondato
su una presunzione  di  pericolosita'  legata  al  titolo  del  reato
commesso, che esclude  la  valutazione  del  caso  concreto  e  delle
specifiche esigenze del minore» (sentenza n. 90 del 28 aprile 2017). 
    La Corte costituzionale ha sempre ribadito  che  il  cuore  della
giustizia  minorile  consiste  in  valutazioni  fondate  su  prognosi
individualizzate, in grado di assolvere al compito del  recupero  del
minore  deviante.  E',   infatti,   costante   nella   giurisprudenza
costituzionale  l'affermazione  della  esigenza  che  il  sistema  di
giustizia minorile sia caratterizzato fra l'altro  dalla  «necessita'
di valutazioni, da parte dello stesso giudice,  fondate  su  prognosi
individualizzate  in  funzione  del  recupero  del  minore  deviante»
(sentenze n. 143 del 1966, n. 182 del 1991, n. 128 del 1987,  n.  222
del 1983 e n. 46 del 1978), esattamente su «prognosi  particolarmente
individualizzate» (sentenza n. 78 del 1989), questo essendo «l'ambito
di quella protezione della gioventu' che trova fondamento nell'ultimo
comma 31 della Costituzione» (sentenze n. 128 del 1987 e n.  222  del
1983): vale a dire della «esigenza di specifica individualizzazione e
flessibilita' del trattamento che l'evolutivita'  della  personalita'
del minore e la preminenza  della  funzione  rieducativa  richiedono»
(sentenza n. 125 del 1992). 
    In questa cornice si colloca  la  citata  pronuncia  della  Corte
costituzionale n. 139 del 6 luglio 2020 che, mettendo in relazione la
messa alla prova dell'adulto con la messa alla prova  del  minorenne,
ha statuito: «la messa alla prova del minore e' prevista per tutti  i
reati  anche  quelli  di  gravita'   massima,   rispetto   ai   quali
l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione
del reato per finalita' puramente  rieducative,  quindi  non  perche'
l'imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta,  ma  solo
perche',  ed   in   quanto,   lo   ritenga   opportuno   un   giudice
strutturalmente idoneo a valutare la personalita' del minore». 
    La previsione ex lege del divieto assoluto di accesso alla  messa
alla prova, nei casi di violenza sessuale aggravata,  appare  inoltre
contrastare  con  l'art.  31,  comma  secondo,  della   Costituzione,
sottraendo al vaglio di un giudice specializzato e  interdisciplinare
la possibilita' di valutare, caso per caso, la particolare condizione
del minore imputato, per rendere  la  risposta  del  processo  penale
minorile aderente alla sua personalita'  e  maggiormente  rispondente
alla finalita' rieducative, di recupero e  di  reinserimento  sociale
del minore autore di reato. 
    Si rappresenta, infine,  che  i  progetti  di  messa  alla  prova
tengono in considerazione anche le  persone  offese,  soprattutto  se
minorenni e vittime di particolari  reati,  quali  quelli  in  esame,
prevedendo specifiche prescrizioni dirette a riparare le  conseguenze
del reato e a promuovere la conciliazione, nonche' la  partecipazione
a  un  programma  di  giustizia  riparativa,  ove  ne  ricorrano   le
condizioni. 
    Gli  insegnamenti  della  Consulta  si  conformano  altresi',  ai
principi  espressi  in  numerosi  atti  internazionali.  Sul   punto,
infatti, si sono espresse le Nazioni Unite, il Consiglio  d'Europa  e
le istituzioni europee. In merito,  vale  la  pena  di  ricordare  le
regole minime per l'amministrazione della  giustizia  minorile,  c.d.
regole di Pechino (approvate dall'Assemblea  generale  delle  Nazioni
Unite in data 29 novembre 1985), le regole ONU per la protezione  dei
minori privati  della  liberta'  (approvate  dall'Assemblea  generale
delle  Nazioni  Unite  in  data  14  dicembre  1990),   c.d.   regole
dell'Havana,  la  raccomandazione  del  Comitato  dei  ministri   del
Consiglio  d'Europa  in  data  5  novembre  2008  sulle  regole   del
trattamento per i condannati minorenni  sottoposti  a  sanzioni  o  a
misure restrittive della liberta' personale, le linee  guida  su  una
giustizia a misura di minore  adottate  dal  Consiglio  d'Europa  nel
2010, nonche',  da  ultimo,  la  direttiva  2016/800  del  Parlamento
europeo  e  del  Consiglio  dell'11  maggio   2016   sulle   garanzie
procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali. 
    Le  indicazioni  che  accomunano  tutti  gli  atti  citati   sono
essenzialmente riconducibili all'esigenza che le autorita'  nazionali
ricorrano alla privazione della  liberta'  personale  del  condannato
minorenne quale misura di ultima istanza. Si richiede,  inoltre,  che
venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative, che  il
minore detenuto sia collocato in istituti separati rispetto a  quelli
degli adulti e che gli venga garantito un  trattamento  penitenziario
specificamente disegnato sulle sue peculiari necessita'. 
    Si rilevano, pertanto, ragioni di contrasto con l'art. 117, primo
comma,   della   Costituzione   considerati   i   vincoli   derivanti
dall'ordinamento  comunitario  sopra  specificato  e  dagli  obblighi
internazionali che ne conseguono. 
    Inoltre, si rilevano profili di irragionevolezza del criterio  di
esclusione dei reati resi «ostativi» alla messa alla prova,  che  non
sono necessariamente i piu' gravi.  Solo  a  titolo  esemplificativo,
resta attuale la possibilita' di  valutare  l'istituto  giuridico  in
esame per i reati di cui agli articoli  416-bis,  aggravati  ex  art.
416-bis.1, 422, 629 comma secondo, 630 del codice penale. 
    Anche laddove si volesse sostenere la possibilita' di operare  un
contemperamento ai principi sopra enucleati (volti alla  opportunita'
di consentire sempre valutazioni,  da  parte  del  giudice  minorile,
fondate su prognosi particolarmente individualizzate),  in  relazione
ad alcuni delitti connotati  da  particolare  violenza  alla  persona
ritenuti «ostativi» alla  messa  alla  prova  (sempre  richiamando  i
principi della Corte costituzionale che ha  espressamente  dichiarato
l'illegittimita' di tale modo di procedere, ad esempio in riferimento
ai reati «ostativi» ex art. 4-bis della legge n. 375/1975), rileva il
Collegio  che  tale  ipotetico  bilanciamento  e'  stato  del   tutto
irragionevole ed in palese contrasto, ad esempio, con la legislazione
antimafia. 
    Si evidenziano, quindi, anche profili di contrasto con  l'art.  3
della Costituzione, nella misura in cui imputati di reati anche  piu'
gravi, in considerazione della pena edittale  prevista  (ad  esempio,
422 e  630  del  codice  penale),  ovvero  perche'  rientranti  nella
legislazione  antimafia  (416-bis  del  codice  penale  o   aggravati
dall'art.   416-bis.1   del   codice   penale),   avrebbero   accesso
all'istituto della messa  alla  prova,  negato  invece  agli  odierni
imputati. 
    Tale disparita' di trattamento non sarebbe dunque  supportata  da
criteri di ragionevolezza nelle scelte legislative, sempre qualora si
ritenesse di consentirle nella  materia  in  esame  in  relazione  al
principale ed assorbente contrasto con l'art. 31,  secondo  comma,  e
117, primo comma, della Costituzione. 
    Neanche pare  ragionevole  far  riferimento  generico  a  criteri
statistici  che  evidenzierebbero  la  crescita  numerica   di   tali
imputazioni. Qualora la premessa  fosse  dimostrata  in  concreto  (a
prescindere dall'eco mediatica ricevuta), ancor di piu' richiederebbe
l'analisi approfondita ed  individualizzata  della  personalita'  del
minore imputato, per cogliere le ragioni del comportamento  deviante,
le sfumature e  l'intensita'  del  dolo,  la  presenza  di  eventuali
dinamiche di gruppo,  per  giungere,  nel  merito,  ad  ammettere  od
escludere la messa alla prova, che certamente non e' istituto  che  i
Tribunali per i minorenni concedono automaticamente. 
    In conclusione, il comma  5-bis  dell'art.  28  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  448/1988  impedisce  al  Collegio  di
valutare  la  presenza  dei  presupposti  per  la   sospensione   del
procedimento e  messa  alla  prova,  con  grave  pregiudizio  per  le
esigenze di recupero e di reinserimento sociale  degli  imputati,  in
violazione dell'art. 31, secondo comma, 117, primo comma, e  3  della
Costituzione per i profili di irragionevolezza sopra enucleati. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei   termini   dinanzi   indicati,   questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 28, comma 5-bis, del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 448/1988  per  contrasto  con  gli  articoli  31,
secondo comma, 117, primo comma, e 3 della Costituzione, nella  parte
in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano
ai  delitti  previsti  dall'art.   609-octies   del   codice   penale
limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art.  609-ter  del
codice penale; 
    Sospende il procedimento penale in corso  e  dispone  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' a C. K.,
nato a [...] l'[...] e U. A., nato a [...] il [...], ai loro genitori
e difensori e al pubblico ministero; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia  comunicata
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Segnala che, a norma dell'art.  52  del  decreto  legislativo  n.
196/2003 e successive modifiche, in caso di diffusione  del  presente
provvedimento dovranno essere omessi le generalita' e gli altri  dati
identificativi dei minorenni. 
        Roma, 18 febbraio 2025 
 
                  Il Presidente estensore: Falzone