N. 45 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 febbraio 2025
Ordinanza del 18 febbraio 2025 del Tribunale per i minorenni di Roma
nel procedimento penale a carico di K. C. e A. U..
Processo penale - Processo minorile - Sospensione del processo e
messa alla prova - Modifiche normative ad opera del decreto-legge
n. 123 del 2023, come convertito - Esclusione dell'applicabilita'
delle disposizioni del comma 1 dell'art. 28 del d.P.R. n. 448 del
1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, ai
delitti previsti dall'art. 609-octies cod. pen., limitatamente alle
ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen.
- Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448
(Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati minorenni), art. 28, comma 5-bis.
(GU n. 12 del 19-03-2025)
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ROMA
Il giudice dell'udienza preliminare composto da:
1) dott. Federico Falzone - Presidente;
2) dott.ssa Anna Troise - giudice on.;
3) dott. Luca Ansini - giudice on.;
riunito in Camera di consiglio all'udienza del 18 febbraio 2025
nel procedimento indicato in epigrafe a carico di C. K., nato a [...]
l'[...], difeso d'ufficio dall'avv. Marianna Mossutto, e U. A., nato
a [...] il [...], difeso di fiducia dall'Avv. Andrea Barbesin, ha
emesso la seguente ordinanza.
Il giudice per le indagini preliminari presso questo T.M. con
decreto del 28 ottobre 2024 disponeva il giudizio immediato nei
confronti di C. K. e U. A. in relazione alle seguenti imputazioni:
A) articoli 609-octies e 609-ter n. 2 e 5 e 61 n. 4 e n. 5
del codice penale, perche', dopo averlo portato in un garage
sottostante il supermercato [...], mediante la forza intimidatrice
del gruppo e la minaccia consistita, da parte dell'H. S., nel dirgli
«la devi fare sta cosa senno' passiamo alle mani», costringevano P.
G., di anni sedici, a subire atti sessuali, consistiti, da parte
dell'H. S., nel penetrarlo nell'ano con un bastone e nel costringerlo
poi a inserire in bocca la medesima estremita' del bastone cosi' da
simulare un rapporto orale, colpendolo al contempo con uno schiaffo
sulla nuca, mentre tutti lo colpivano con ripetuti sputi e
riprendevano con i propri telefoni cellulari.
Con l'aggravante di aver adoperato sevizie e crudelta', nei
confronti di un minore di anni diciotto, mediante l'utilizzo di
strumenti gravemente lesivi della salute della vittima profittando di
circostanze di luogo e persona tali da ostacolare la privata difesa.
In localita' [...] tra il [...] e il [...] del [...].
B) articoli 110 e 600-ter, comma 1, n. 1 del codice penale
perche', in concorso tra loro, realizzavano mediante i propri
telefoni cellulari, diffondendoli poi su gruppi WhatsApp, video nei
quali era ripreso P. G. nel compimento degli atti sessuali di cui al
capo che precede.
In localita' [...] tra il [...] e il [...] del [...].
C) articoli 110 e 612-bis, comma 1, del codice penale
perche', in concorso tra loro, con condotte reiterate, consistite nel
porre in essere la condotta di cui al capo che precede, nonche', in
altra circostanza verificatasi in data [...] nel deriderlo e
percuoterlo ripetutamente, nel farlo sbattere piu' volte contro la
serranda della gioielleria «[...]», nel metterlo all'interno di un
cassonetto dell'immondizia, nello spegnergli una sigaretta sul collo,
nel gettargli contro un liquido, verosimilmente urina, molestavano P.
G., di anni sedici, cagionandogli un perdurante e grave stato d'ansia
e di paura e ingenerando in lui un fondato timore per la propria
incolumita'.
In localita' [...] tra il [...] e il [...] del [...].
Veniva tempestivamente chiesto dai difensori muniti di procura
speciale il giudizio abbreviato per C. K. e U. A., mentre per gli
altri imputati il procedimento proseguiva nelle forme del giudizio
immediato.
Veniva fissata l'udienza odierna in cui, ammesso il rito,
venivano sentiti gli imputati, che ammettevano il fatto,
dichiarandosi sinceramente pentiti per quanto commesso, riferendo di
essersi scusati con la p.o. nei giorni immediatamente successivi.
Cercavano di fornire una ricostruzione delle ragioni che li avevano
indotti a compiere azioni tanto gravi, connesse alla logica del
gruppo ed alle personali sofferenze che stavano vivendo, pur non
volendo assolutamente minimizzare la loro responsabilita'.
Chiedevano la sospensione del processo con messa alla prova ai
sensi dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n.
448/1988.
Il personale dell'USSM presente in udienza insisteva affinche'
venisse loro concessa questa possibilita'.
Il PMM dava parere favorevole.
Il 15 novembre 2023 e' entrata in vigore la legge 13 novembre
2023, n. 159, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge
15 settembre 2023, n. 123 (cd. decreto Caivano) recante «Misure
urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla poverta' educativa e
alla criminalita' minorile» che ha escluso la possibilita' di
sospendere il processo con messa alla prova in relazione a
determinati reati, tra i quali la violenza sessuale di gruppo
aggravata ai sensi dell'art. 609-ter, del codice penale. Il comma
5-bis dell'art. 28, decreto del Presidente della Repubblica n.
448/1988 prevede infatti che «le disposizioni di cui al comma 1 non
si applicano ai delitti previsti [...] dagli articoli 609-bis e
609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai
sensi dell'art. 609-ter [...]».
L'imputazione di cui al capo A) contestata agli imputati riguarda
i reati di cui agli articoli 609-octies e 609-ter n. 2 e 5 e 61 n. 4
e 5 del codice penale in ipotesi commessi dopo l'entrata in vigore
del comma 5-bis citato (in In [...] tra il [...], e il [...] del
[...], come emerge senza dubbio dalle dichiarazioni della persona
offesa, dalle indagini espletate e dalle stesse dichiarazioni degli
imputati).
Agli imputati e' dunque preclusa de iure la possibilita' di
essere ammessi alla prova ai sensi del comma 1, dell'art. 28, decreto
del Presidente della Repubblica n. 448/1988 per il capo A), ed il
Collegio non puo' prendere in considerazione le loro richieste, che
dovrebbero pertanto esser rigettate, senza poter entrare nel merito
della valutazione in ordine alla relativa fattibilita' della messa
alla prova.
All'udienza odierna i difensori ed il PMM chiedevano al Collegio
di sollevare questione di legittimita' costituzionale del comma 5-bis
dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988.
Cio' premesso occorre verificare la rilevanza e non manifesta
infondatezza della questione proposta.
Il vaglio di rilevanza della questione attiene alla verifica
dell'impossibilita', per il giudice a quo, di risolvere il caso
pratico sottoposto alla sua attenzione, indipendentemente dalla
risoluzione della questione stessa.
Sul punto della rilevanza, il Collegio, esaminati gli atti e
sentiti gli imputati, ritiene che, in assenza della disposizione di
cui al comma 5-bis dell'art. 28, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 448/1988, avrebbe potuto valutare positivamente la loro
richiesta di messa alla prova. Si ritengono infatti sussistenti i
requisiti richiesti dal costante orientamento giurisprudenziale ai
fini dell'ammissione alla messa alla prova. Innanzitutto, sulla base
degli elementi agli atti e delle dichiarazioni rese dagli imputati
non puo' pervenirsi ad un proscioglimento nel merito degli stessi.
Inoltre, gli imputati hanno fin dai giorni seguenti ai fatti
esplicitato il loro pentimento chiedendo scusa alla persona offesa
(cfr. sul punto le dichiarazioni rese dalla p.o. in data 17 maggio
2024: «comunque A. U. si e' pentito, mi ha detto che ha sbagliato a
non difendermi ed a schierarsi con P.; dopo questa cosa A. U. e K. C.
mi hanno chiesto scusa e adesso hanno allentato i rapporti con P.,
credo che loro si siano fatti trasportare»).
Gli imputati, fin dall'interrogatorio di garanzia del 27 agosto
2024, successivo all'ordinanza cautelare della permanenza in casa,
ammettevano i fatti e si dichiaravano pentiti (C. K. «la cosa e'
degenerata, ho chiesto scusa al ragazzo, mi sono reso conto della
gravita'; U. A. «mi sono pentito di cio' che ho fatto, ho chiesto
scusa, ho inviato un sms»).
Altrettanto sincero e ragionato pentimento mostravano in
occasione dell'esame effettuato all'udienza odierna.
Dalle relazioni dell'USSM emerge che C. K. si e' presentato
all'assistente sociale con un reale desiderio di collaborazione e
partecipazione agli interventi educativi proposti; veniva inoltre
rappresentata una situazione familiare molto complessa e dolorosa (la
madre e' sottoposta ad un'ordinanza cautelare che vede il marito ed i
figli persone offese) ed evidenziato che C. K. «mostra un
atteggiamento maturo ed autenticamente sofferente per l'accaduto»; e'
stato attivato un supporto psicologico, frequenta con buon rendimento
il terzo anno del liceo scientifico, gioca a calcio a livello
agonistico; l'USSM concludeva definendo C. K. come un giovane
sensibile e pieno di risorse, che ha vissuto una sofferenza familiare
eccessiva per la sua eta', disponibile a trattare l'accaduto con
modalita' responsabile ed autenticamente dispiaciuta.
Anche la relazione dell'USSM elaborata per U. A. ha evidenziato
la corretta collaborazione sia dell'imputato che della famiglia,
disponibili a trattare l'accaduto con modalita' costruttiva. U. A.,
negli spazi di riflessione con l'assistente sociale, ha compiuto «un
importante lavoro di riflessione, non solo rispetto al reato in
contestazione, ma anche rispetto ad alcuni elementi personali della
propria storia». Sono stati evidenziati precedenti episodi in cui U.
e' stato vittima di aggressione con ricovero in ospedale, circostanza
che lo aveva indotto ad abbandonare la scuola. Durante la misura
cautelare, ha accolto le indicazioni educative dell'assistente
sociale, si e' nuovamente iscritto a scuola e frequenta un corso di
nuoto per ottenere il brevetto di salvataggio. L'assistente sociale
concludeva affermando che U. appare realmente dispiaciuto
dell'accaduto ed aveva, fin dai giorni immediatamente successivi al
fatto, chiesto scusa alla p.o.
Ritiene in definitiva il Collegio sussistere, in entrambi gli
imputati, una rimeditazione critica rispetto ai reati contestati
autentica e non strumentale. E' stata infatti esternata direttamente
alla p.o. molto tempo prima dell'emissione della misura cautelare e
della conoscenza della pendenza di indagini nei loro confronti,
ribadita, con ammissione sostanziale dei fatti, in tutte le occasioni
processuali e nei rapporti con l'USSM.
Tale valutazione ha determinato anche la revoca della misura
cautelare (sempre rispettata) essendo stata ritenuta l'assenza, allo
stato, del pericolo di reiterazione di fatti analoghi (anche in
considerazione dell'incensuratezza), con parere favorevole del PMM.
Si evidenzia che i reati, sebbene di sicura gravita', sono stati
compiuti quando U. A. aveva quindici anni e C. K. ne aveva appena
compiuto sedici.
Il Collegio ritiene dunque la sussistenza di tutti i requisiti di
merito in astratto necessari per l'ammissione degli imputati alla
messa alla prova prevista dall'art. 28, del decreto del Presidente
della Repubblica n. 448/1988.
L'unico ostacolo e' costituito dalla previsione di cui al comma
5-bis introdotto dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, che impedisce
la sospensione del processo con messa alla prova per il capo A).
A cio' si aggiunga che l'entita' della pena in astratto prevista
dal legislatore per i reati in contestazione e considerato il caso
concreto (che esclude la possibilita' di qualificazione ai sensi del
terzo comma dell'art. 609-bis del codice penale) non consente di
prendere in considerazione gli istituti previsti dall'art. 30 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 o 169 del codice
penale.
E' in ogni caso da sottolineare la diversita' degli istituti
citati e la peculiarita' della messa alla prova, atteso quanto
statuito dalla stessa Corte costituzionale, secondo cui «la messa
alla prova del minore e' prevista per tutti i reati anche quelli di
gravita' massima, rispetto ai quali l'ordinamento sospende il
processo in vista dell'eventuale estinzione del reato per finalita'
puramente rieducative, quindi non perche' l'imputato lo richieda e il
pubblico ministero vi consenta, ma solo perche', ed in quanto, lo
ritenga opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la
personalita' del minore» (sentenza n. 139 del 6 luglio 2020).
Per quanto attiene al profilo della non manifesta infondatezza,
il giudice a quo non e' chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza o
meno, esame che e' appunto rimesso alla sola Corte costituzionale, ma
deve semplicemente respingere la questione quando si presenti
palesemente priva di ogni fondamento giuridico. La Corte
costituzionale ha poi aggiunto che il giudice a quo, prima di
rimettere la questione, deve preliminarmente tentare
l'interpretazione conforme a Costituzione, che tuttavia nel caso in
esame non appare possibile, in quanto tale operazione ermeneutica
comporterebbe l'applicazione di un istituto in presenza di
imputazioni espressamente escluse dal comma 5-bis dell'art. 28 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988.
Il Collegio ritiene la non manifesta infondatezza della questione
innanzitutto in relazione alla violazione dell'art. 31, comma
secondo, della Costituzione. La preclusione introdotta dalla norma in
esame contrasta con tutto l'impianto normativo che regola il processo
penale minorile e che trova il proprio fondamento costituzionale
nell'art. 31, comma secondo, della Costituzione che recita «La
Repubblica protegge la maternita', l'infanzia e la gioventu',
favorendo gli istituti necessari a tale scopo». Il processo penale
minorile e' di conseguenza volto principalmente al recupero del
minore deviante, mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento
sociale, anche attraverso l'attenuazione dell'offensivita' del
processo e la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale, come piu'
volte la Corte costituzionale ha affermato (cfr. sentenze n. 125 del
1992, n. 206 del 1987 e n. 222 del 1983).
Al fine del perseguimento di tali finalita' e dell'individuazione
della migliore risposta del sistema alla commissione del reato da
parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale e'
il soggetto di minore eta', il giudice e' chiamato, di volta in
volta, ad esaminare la sua personalita'. Non e' un caso che, in ogni
stato e grado del procedimento minorile, come statuito dall'art. 9
del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, l'autorita'
giudiziaria debba acquisire «elementi circa le condizioni e le
risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al
fine di accertarne l'imputabilita' e il grado di responsabilita',
valutare la rilevanza sociale del fatto nonche' disporre le adeguate
misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili».
La messa alla prova e' uno dei principali strumenti che consente
al giudice di valutare compiutamente la personalita' del minore,
sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini
dell'apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno
disposti. Se, infatti, la personalita' del minorenne e' avviata a
possibile cambiamento (come emerge dalle relazioni dell'USSM redatte
nei confronti degli imputati) e, all'esito dello svolgimento del
programma trattamentale di messa alla prova, il minorenne abbia dato
prova del superamento delle situazioni che hanno portato alla
commissione del reato, l'ordinamento prevede che il giudice possa
dichiarare estinto il reato per esito positivo della disposta prova
ai sensi dell'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica n.
448/1988, essendo venuto meno l'interesse alla pretesa punitiva per
il raggiungimento delle finalita' di recupero del minore e del suo
reinserimento sociale.
I tempi di durata previsti per la messa alla prova (sino a tre
anni per i delitti piu' gravi), la possibilita' che la stessa sia
svolta per tutta la durata all'interno di comunita' di tipo educativo
o terapeutico (per la cura delle dipendenze o dei disturbi
psichiatrici), la possibilita' di verifiche intermedie dell'andamento
del percorso, cosi' come la revocabilita' della sospensione,
rappresentano elementi idonei a verificare, nel tempo, la serieta'
dell'impegno dell'imputato, scongiurando strumentalizzazioni
dell'istituto. Inoltre, la possibilita' di inserire, nel progetto di
messa alla prova, importanti momenti di confronto con i servizi
specialistici (Consultorio familiare, neuropsichiatria infantile,
serd) e di supporto psicologico, utili nei delitti caratterizzati da
dinamiche affettive disfunzionali (come nei casi di violenza sessuale
e nei delitti di pedopornografia) riduce il rischio di recidiva, a
beneficio della generalita' dei consociati.
Come ampiamente argomentato dalla Corte costituzionale, nella
sentenza n. 125 del 1995 «la messa alla prova, in conclusione,
costituisce, nell'ambito degli istituti di favore tipici del processo
penale a carico dei minorenni, uno strumento particolarmente
qualificante, rispondendo, forse piu' di ogni altro, alle indicate
finalita' della giustizia minorile».
Prevedere un catalogo di reati (tra cui la violenza sessuale
aggravata in esame) in relazione ai quali privare l'imputato della
possibilita' di accesso a questo importante istituto di recupero e
reinserimento sociale, senza possibilita' da parte del giudice di
valutare nel merito la richiesta, costituisce un vulnus non solo di
tutela e protezione del minore autore del reato ma anche dell'intera
collettivita' contro i rischi di una possibile recidiva.
E' stata la stessa Corte costituzionale, sia pure nella diversa
materia della esecuzione della pena detentiva, dichiarando
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a),
del codice di procedura penale, per violazione dell'art. 31, secondo
comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentiva la
sospensione della esecuzione della pena detentiva nei confronti dei
minorenni condannati per i delitti ivi elencati (ossia quelli di cui
all'art. 4-bis della legge n. 354/1975), ad escludere la possibilita'
di prevedere nei confronti dei minori «un rigido automatismo, fondato
su una presunzione di pericolosita' legata al titolo del reato
commesso, che esclude la valutazione del caso concreto e delle
specifiche esigenze del minore» (sentenza n. 90 del 28 aprile 2017).
La Corte costituzionale ha sempre ribadito che il cuore della
giustizia minorile consiste in valutazioni fondate su prognosi
individualizzate, in grado di assolvere al compito del recupero del
minore deviante. E', infatti, costante nella giurisprudenza
costituzionale l'affermazione della esigenza che il sistema di
giustizia minorile sia caratterizzato fra l'altro dalla «necessita'
di valutazioni, da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi
individualizzate in funzione del recupero del minore deviante»
(sentenze n. 143 del 1966, n. 182 del 1991, n. 128 del 1987, n. 222
del 1983 e n. 46 del 1978), esattamente su «prognosi particolarmente
individualizzate» (sentenza n. 78 del 1989), questo essendo «l'ambito
di quella protezione della gioventu' che trova fondamento nell'ultimo
comma 31 della Costituzione» (sentenze n. 128 del 1987 e n. 222 del
1983): vale a dire della «esigenza di specifica individualizzazione e
flessibilita' del trattamento che l'evolutivita' della personalita'
del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono»
(sentenza n. 125 del 1992).
In questa cornice si colloca la citata pronuncia della Corte
costituzionale n. 139 del 6 luglio 2020 che, mettendo in relazione la
messa alla prova dell'adulto con la messa alla prova del minorenne,
ha statuito: «la messa alla prova del minore e' prevista per tutti i
reati anche quelli di gravita' massima, rispetto ai quali
l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione
del reato per finalita' puramente rieducative, quindi non perche'
l'imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta, ma solo
perche', ed in quanto, lo ritenga opportuno un giudice
strutturalmente idoneo a valutare la personalita' del minore».
La previsione ex lege del divieto assoluto di accesso alla messa
alla prova, nei casi di violenza sessuale aggravata, appare inoltre
contrastare con l'art. 31, comma secondo, della Costituzione,
sottraendo al vaglio di un giudice specializzato e interdisciplinare
la possibilita' di valutare, caso per caso, la particolare condizione
del minore imputato, per rendere la risposta del processo penale
minorile aderente alla sua personalita' e maggiormente rispondente
alla finalita' rieducative, di recupero e di reinserimento sociale
del minore autore di reato.
Si rappresenta, infine, che i progetti di messa alla prova
tengono in considerazione anche le persone offese, soprattutto se
minorenni e vittime di particolari reati, quali quelli in esame,
prevedendo specifiche prescrizioni dirette a riparare le conseguenze
del reato e a promuovere la conciliazione, nonche' la partecipazione
a un programma di giustizia riparativa, ove ne ricorrano le
condizioni.
Gli insegnamenti della Consulta si conformano altresi', ai
principi espressi in numerosi atti internazionali. Sul punto,
infatti, si sono espresse le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa e
le istituzioni europee. In merito, vale la pena di ricordare le
regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, c.d.
regole di Pechino (approvate dall'Assemblea generale delle Nazioni
Unite in data 29 novembre 1985), le regole ONU per la protezione dei
minori privati della liberta' (approvate dall'Assemblea generale
delle Nazioni Unite in data 14 dicembre 1990), c.d. regole
dell'Havana, la raccomandazione del Comitato dei ministri del
Consiglio d'Europa in data 5 novembre 2008 sulle regole del
trattamento per i condannati minorenni sottoposti a sanzioni o a
misure restrittive della liberta' personale, le linee guida su una
giustizia a misura di minore adottate dal Consiglio d'Europa nel
2010, nonche', da ultimo, la direttiva 2016/800 del Parlamento
europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulle garanzie
procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali.
Le indicazioni che accomunano tutti gli atti citati sono
essenzialmente riconducibili all'esigenza che le autorita' nazionali
ricorrano alla privazione della liberta' personale del condannato
minorenne quale misura di ultima istanza. Si richiede, inoltre, che
venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative, che il
minore detenuto sia collocato in istituti separati rispetto a quelli
degli adulti e che gli venga garantito un trattamento penitenziario
specificamente disegnato sulle sue peculiari necessita'.
Si rilevano, pertanto, ragioni di contrasto con l'art. 117, primo
comma, della Costituzione considerati i vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario sopra specificato e dagli obblighi
internazionali che ne conseguono.
Inoltre, si rilevano profili di irragionevolezza del criterio di
esclusione dei reati resi «ostativi» alla messa alla prova, che non
sono necessariamente i piu' gravi. Solo a titolo esemplificativo,
resta attuale la possibilita' di valutare l'istituto giuridico in
esame per i reati di cui agli articoli 416-bis, aggravati ex art.
416-bis.1, 422, 629 comma secondo, 630 del codice penale.
Anche laddove si volesse sostenere la possibilita' di operare un
contemperamento ai principi sopra enucleati (volti alla opportunita'
di consentire sempre valutazioni, da parte del giudice minorile,
fondate su prognosi particolarmente individualizzate), in relazione
ad alcuni delitti connotati da particolare violenza alla persona
ritenuti «ostativi» alla messa alla prova (sempre richiamando i
principi della Corte costituzionale che ha espressamente dichiarato
l'illegittimita' di tale modo di procedere, ad esempio in riferimento
ai reati «ostativi» ex art. 4-bis della legge n. 375/1975), rileva il
Collegio che tale ipotetico bilanciamento e' stato del tutto
irragionevole ed in palese contrasto, ad esempio, con la legislazione
antimafia.
Si evidenziano, quindi, anche profili di contrasto con l'art. 3
della Costituzione, nella misura in cui imputati di reati anche piu'
gravi, in considerazione della pena edittale prevista (ad esempio,
422 e 630 del codice penale), ovvero perche' rientranti nella
legislazione antimafia (416-bis del codice penale o aggravati
dall'art. 416-bis.1 del codice penale), avrebbero accesso
all'istituto della messa alla prova, negato invece agli odierni
imputati.
Tale disparita' di trattamento non sarebbe dunque supportata da
criteri di ragionevolezza nelle scelte legislative, sempre qualora si
ritenesse di consentirle nella materia in esame in relazione al
principale ed assorbente contrasto con l'art. 31, secondo comma, e
117, primo comma, della Costituzione.
Neanche pare ragionevole far riferimento generico a criteri
statistici che evidenzierebbero la crescita numerica di tali
imputazioni. Qualora la premessa fosse dimostrata in concreto (a
prescindere dall'eco mediatica ricevuta), ancor di piu' richiederebbe
l'analisi approfondita ed individualizzata della personalita' del
minore imputato, per cogliere le ragioni del comportamento deviante,
le sfumature e l'intensita' del dolo, la presenza di eventuali
dinamiche di gruppo, per giungere, nel merito, ad ammettere od
escludere la messa alla prova, che certamente non e' istituto che i
Tribunali per i minorenni concedono automaticamente.
In conclusione, il comma 5-bis dell'art. 28 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 448/1988 impedisce al Collegio di
valutare la presenza dei presupposti per la sospensione del
procedimento e messa alla prova, con grave pregiudizio per le
esigenze di recupero e di reinserimento sociale degli imputati, in
violazione dell'art. 31, secondo comma, 117, primo comma, e 3 della
Costituzione per i profili di irragionevolezza sopra enucleati.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei termini dinanzi indicati, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 28, comma 5-bis, del decreto del Presidente
della Repubblica n. 448/1988 per contrasto con gli articoli 31,
secondo comma, 117, primo comma, e 3 della Costituzione, nella parte
in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano
ai delitti previsti dall'art. 609-octies del codice penale
limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter del
codice penale;
Sospende il procedimento penale in corso e dispone l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' a C. K.,
nato a [...] l'[...] e U. A., nato a [...] il [...], ai loro genitori
e difensori e al pubblico ministero;
Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia comunicata
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
Segnala che, a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n.
196/2003 e successive modifiche, in caso di diffusione del presente
provvedimento dovranno essere omessi le generalita' e gli altri dati
identificativi dei minorenni.
Roma, 18 febbraio 2025
Il Presidente estensore: Falzone