Reg. ord. n. 247 del 2024 pubbl. su G.U. del 22/01/2025 n. 4

Ordinanza del Tribunale di Bologna  del 26/11/2024

Tra: Da Silva Almeida Arnaldo, Almeida Caetano, Gatto Mariana Ingrid ed altri 9 C/ Ministero dell'interno



Oggetto:

Cittadinanza – Riconoscimento della cittadinanza italiana in ragione del criterio della discendenza (cosiddetto iure sanguinis) – Limiti al riconoscimento della cittadinanza per discendenza – Omessa previsione - Incidenza dei criteri di riconoscimento, perdita e di riacquisto della cittadinanza sulla nozione di popolo – Potenziale alterazione della nozione di popolo, lesione del principio dell’appartenenza della sovranità al popolo e interferenza con i processi democratici - Irragionevole asimmetria rispetto agli altri criteri di acquisto della cittadinanza, fondati sul progressivo consolidamento dei legami con il paese – Contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità – Violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento euro unitario con riguardo all’acquisizione dello status di cittadino dell’Unione.




Norme impugnate:

legge  del 05/02/1992  Num. 91  Art.  Co. 1 lett. a)



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 117   Co.

Trattato unione europea  Art.

Trattato sul funzionamento dell'Unione europea  Art. 20 



Udienza Pubblica del 24 giugno 2025 rel. NAVARRETTA


Testo dell'ordinanza

N. 247 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 2024

Ordinanza  del  26  novembre  2024  del  Tribunale  di  Bologna   nel
procedimento civile promosso da Arnaldo  Da  Silva  Almeida  e  altri
contro Ministero dell'interno. 
 
Cittadinanza - Riconoscimento della cittadinanza italiana in  ragione
  del criterio della discendenza (cosiddetto iure sanguinis) - Limiti
  al  riconoscimento  della  cittadinanza  per  discendenza -  Omessa
  previsione. 
- Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), art.
  1. 


(GU n. 4 del 22-01-2025)

 
                        TRIBUNALE ORDINARIO  
                             DI BOLOGNA 
 
 
Sezione  specializzata   in   materia di   immigrazione,   protezione
                           internazionale 
                 e libera circolazione cittadini UE 
 
    Nella causa civile iscritta al n. r.g. 3080/2024 promossa da: 
      1. Arnaldo Da Silva Almeida; 
      2. Hugo Rezende Da Silva Almeida; 
      3. Joao Victor Baptista Santos Da Silva Almeida; 
      4. Eduardo Pereira De Carvalho; 
      5. Eduardo Pereira De Carvalho Filho; 
      6. Carolina in qualita' di genitore  dei  min.  Joao  Daniel  e
Samuel; Castro De Melo Castro De Carvalho Melo; 
      7. Daniel Alves in qualita' di gen.  dei  min.  Joao  Daniel  e
Samuel Castro De Melo De Melo; 
      8. Samantha Ingrid Portella Bastos; 
      9. Mariana Ingrid Gatto; 
      10. Rayza in qualita' di genitore  del  minore  Pedro  Henrique
Almeida Caetano Caetano Araujo; 
      11. Rodrigo in qualita' di genitore del minore  Pedro  Henrique
Almeida Caetano Almeida Ferreira Dos Santos; 
      12. Leonardo Castro De Carvalho  tutti  con  l'avv.  Cannizzaro
Antonia ricorrenti 
      contro Ministero interno resistente contumace. 
    Il pubblico ministero interveniente necessario. 
    Il Giudice dott. Marco  Gattuso,  a  scioglimento  della  riserva
assunta in data 23 ottobre 2024 ha emesso la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    1. 
    Con ricorso ai sensi dell'articolo 281-undecies c.p.c. depositato
il  1° marzo  2024  i  ricorrenti  hanno  chiesto  di  «accertare   e
dichiarare che - Arnaldo da Silva Almeida,  nato  in  Brasile  il  21
luglio 1965 e residente in Alameda Maues n. 20, cap 259560-20 Rio  de
Janeiro, Hugo Rezende  da  Silva  Almeida,  nato  in  Brasile  il  13
dicembre 1985 e residente in Alameda Maues n. 20, cap  259560-20  Rio
de Janeiro, João Victor Baptista Santos da  Silva  Almeida,  nato  in
Brasile il 18 aprile 2000 e residente in Alameda  Maues  n.  20,  cap
259560-20 Rio de  Janeiro,  Eduardo  Pereira  de  Carvalho,  nato  in
Brasile il 10 luglio 1962 e residente in Quadra n.  101  bloco  E  n.
302, Brasilia cap 72.583-400, Eduardo Pereira de Carvalho Filho, nato
in Brasile il 18 marzo 1986 e residente in quadra n. 201, lote n.  8,
bloco C n. 804, Brasilia, cap 71.937-40, Leonardo Castro de Carvalho,
nato in Brasile il 15 dicembre 1988 e residente in quadra n. 05, casa
n. 10, Brasilia cap 73030-053, Carolina Castro de Carvalho Melo, nata
in Brasile il 15 dicembre 1988, Joao Daniel Castro de Melo,  nato  in
Brasile il 13 novembre 2011 e Samuel Castro de Melo, nato in  Brasile
il 14 marzo 2017 tutti residenti in QBR n. 07, bloco K n. 31,  Santos
Dumot, Santa Maria, Brasilia cap 72594-011, Samantha Ingrid  Portella
Bastos, nata in Brasile il 10 aprile 1972 residente in Estrada  Uniao
e Industria n. 789, Rio de  Janeiro  cap  25715-131,  Mariana  Ingrid
Gatto, nata in Brasile il 23 giugno 1994 residente  in  Sinika  1A/05
Tallin cap 10613, Estonia, Rayza Caetano Araujo, nata in  Brasile  il
20 febbraio 1986 , Pedro Henrique Almeida Caetano, nato in Brasile il
10.100.2008,  sono  cittadini  italiani  dalla  nascita   in   quanto
discendenti da cittadino italiano che  ha  validamente  trasmesso  la
cittadinanza italiana» e per conseguenza di  «ordinare  all'Ufficiale
di Stato Civile del Comune di Marzabotto (BO) quale Comune di nascita
dell'immigrante italiano, di  procedere  alle  dovute  annotazioni  e
trascrizioni nei registri dello Stato  Civile  della  popolazione  di
Marzabotto (BO)». 
    La causa veniva assegnata al giudice e veniva fissata udienza  al
16 ottobre 2024, tenuta in videoconferenza. 
    Il   Ministero   dell'interno   non   si   costituiva   a   mezzo
dell'Avvocatura dello Stato, ne' il Pubblico Ministero interveniva in
giudizio nonostante la regolare comunicazione al medesimo. 
    All'udienza  del  16  ottobre  2024  la  difesa  dei   ricorrenti
rappresentava «che si tratta  di  persone  discendenti  da  cittadina
italiana nata a Marzabotto nel 1874 senza alcuna  interruzione  della
linea  di  discendenza  sicche'  insiste  per  l'accoglimento   delle
domande; 
      la difesa rappresenta altresi' che non e' stata preventivamente
richiesta la cittadinanza al Consolato brasiliano in quanto si tratta
di discendenza in linea materna; 
      rileva altresi' di avere depositato il certificato negativo  di
naturalizzazione dell'ascendente; 
      su richiesta espressa del giudice, il difensore rappresenta che
tutti i ricorrenti sono stabilmente residenti in Brasile, nelle varie
circoscrizioni, fra cui San Paolo; 
      su richiesta espressa del giudice, il difensore rappresenta  di
non sapere se i medesimi abbiano mai soggiornato, neppure  per  brevi
periodi in Italia, ma gli stessi hanno  interesse  al  riconoscimento
della cittadinanza per ragioni affettive e anche  perche'  alcuni  di
loro,   ad   esempio   quelli   piu'   giovani,   sono   intenzionati
verosimilmente  a  venire  qui  per  lavorare  o  per  studiare;   in
particolare la ricorrente Mariana Ingrid  Gatto  viaggia  spesso  per
lavoro e attualmente si trova in Portogallo per ragioni lavorative; 
      su richiesta espressa del giudice, il difensore rappresenta  di
non sapere se qualcuno dei ricorrenti abbia effettiva  intenzione  di
trasferirsi in Italia, rilevando che la domanda trae  origine  da  un
diritto di sangue, la stessa viene proposta per  ragioni  soprattutto
affettive, al di la' di specifici progetti di trasferimento in Italia
che, allo stato, non risultano al difensore». 
    A scioglimento della riserva, con ordinanza in  data  18  ottobre
2024, dato atto della regolarita'  della  notifica  e  della  mancata
costituzione della resistente ne veniva dichiarata la contumacia e la
causa veniva rinviata per nuova  interlocuzione  con  la  difesa  dei
ricorrenti all'udienza del 23 ottobre 2024. 
    All'udienza del 23 ottobre 2024 il difensore ha rappresentato «di
avere contatti soprattutto con la ricorrente signora  Mariana  Ingrid
Gatto, la quale e' in grado di  rispondere  al  difensore  in  lingua
italiana e si e' fatta portavoce  degli  altri  parenti,  sicche'  il
difensore non sa riferire  se  gli  altri  conoscano  la  lingua;  su
domanda del giudice, il difensore rappresenta che la signora  non  ha
frequentato, a quanto le risulta, corsi di italiano, ma il  difensore
ha avuto scambi di  e-mail  con  la  stessa,  pur  non  avendola  mai
incontrata ne' avendo avuto scambi telefonici, e la stessa  e'  stata
in grado di mantenere tali contatti in italiano, facendosi come detto
portavoce degli altri, con cui il difensore  non  ha  avuto  rapporti
diretti». 
    Il Giudice ha  rappresentato  dunque  al  difensore  delle  parti
ricorrenti  la  propria  intenzione   di   sollevare   eccezione   di
illegittimita' costituzionale della disposizione di cui  all'art.  1,
Legge Cittadinanza per sospetta incompatibilita' con i  parametri  di
cui agli articoli 1, 3, e 117  della  Costituzione,  con  conseguente
necessita' di sospendere il giudizio in attesa della decisione  della
Corte costituzionale e il  difensore,  dato  atto,  si  riservava  di
intervenire nel giudizio avanti alla Consulta. 
    La causa veniva posta in riserva. 
    2. 
    I ricorrenti sono tutti cittadini della Repubblica  Federale  del
Brasile, ivi residenti, che hanno richiesto il  riconoscimento  della
cittadinanza italiana in ragione del criterio della discendenza,  cd.
jure sanguinis, rilevando d'essere  discendenti  diretti  di  Letizia
Moretti, cittadina italiana, nata in Marzabotto  (BO)  il  27  aprile
1874. 
    La stessa e' emigrata in Brasile ove ha vissuto  tutta  la  vita,
sino alla morte avvenuta nel 1976 all'eta' di  102  anni,  mantenendo
anche la cittadinanza italiana, non avendola mai rinunciata. 
    La stessa nel 1911  ha  sposato  il  cittadino  brasiliano  Jose'
Pereira de Carvalho Filho da cui ha avuto tre figlie: Elzira  Pereira
de Carvalho, nata il 6 giugno 1922, Maria Pereira de  Carvalho,  nata
il 5 giugno 1931 e Ernestina Pereira de Carvalho, nata il  13  agosto
1953. 
    I dodici ricorrenti, dunque, in proprio  o  quali  rappresentanti
legali dei figli minori, hanno richiesto  al  tribunale,  nella  loro
qualita' di figli o  di  nipoti  delle  tre  figlie  della  cittadina
italiana  Letizia  Moretti,  dunque  suoi  nipoti  o  pronipoti,   il
riconoscimento della  cittadinanza  italiana  per  discendenza  dalla
medesima. 
    2.1. 
    Dalla documentazione prodotta in atti deve desumersi che e' certo
che Letizia Moretti sia stata cittadina italiana e che la stessa  sia
ascendente diretta di tutti i ricorrenti. 
    In seguito ad istruttoria consistita  in  interlocuzione  con  la
difesa dei ricorrenti, deve assumersi che i dodici ricorrenti  vivano
in Brasile, che non abbiano mai soggiornato sul territorio  italiano,
ne' e' stato allegato che alcuno di loro sia  mai  venuto  in  Italia
neppure per brevi visite, ne' e' stato dedotto  che  alcuno  di  loro
conosca  la  lingua  italiana,  salvo  una  ricorrente  in  grado  di
rispondere ad alcune e-mail inviate dal difensore. 
    In buona  sostanza,  i  medesimi,  fatta  salva  la  cittadinanza
italiana di una fra i loro antenati, non presentano  alcun  ulteriore
collegamento con l'Italia. 
    Richiesti, per  il  tramite  del  difensore,  sui  loro  progetti
futuri, gli stessi non hanno evidenziato alcun progetto  concreto  in
relazione a futuri soggiorni in Italia. 
    3. 
    Sono pacifiche la competenza  territoriale  del  Tribunale  adito
(cfr. l'articolo 4, comma 5, del decreto legge 17 febbraio  2017,  n.
13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46,
come modificato dall'articolo 1 comma 36, legge delega  n.  206/2021,
per cui  «Quando  l'attore  risiede  all'estero  le  controversie  di
accertamento dello stato  di  cittadinanza  italiana  sono  assegnate
avendo riguardo al  comune  di  nascita  del  padre,  della  madre  o
dell'avo cittadini italiani»), nonche' la  natura  monocratica  della
controversia (cfr. l'articolo 3 comma 4 del decreto legge 17 febbraio
2017, n. 13 cit, secondo il quale «salvo quanto  previsto  dal  comma
4-bis, in deroga a quanto previsto dall'articolo 50-bis, primo comma,
numero 3), del codice di procedura civile, nelle controversie di  cui
al  presente  articolo   il   tribunale   giudica   in   composizione
monocratica»). 
    La procura  alle  liti  e'  regolare,  cosi'  com'e'  regolare  e
tempestiva la notifica, sicche' e'  stata  dichiarata  la  contumacia
della resistente. 
    L'azione appare legittimamente promossa  anche  con  riguardo  ai
figli minorenni pur in carenza di autorizzazione del giudice tutelare
ai sensi dell'articolo 320 c.c., atteso che l'atto compiuto in nome e
per  conto   del   figlio   deve   essere   ritenuto   di   ordinaria
amministrazione poiche' mira a conservare e/o procurare un  vantaggio
o a evitare una  perdita  al  patrimonio  del  minore  e  non  appare
suscettibile di arrecare pregiudizio o diminuzione del suo patrimonio
(cfr. Corte di cassazione Sez. 2, Sentenza  n.  743  del  19  gennaio
2012, per cui «in tema  di  rappresentanza  processuale  del  minore,
l'autorizzazione del giudice tutelare ex articolo 320  cod.  civ.  e'
necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione
straordinaria, che possono cioe' arrecare pregiudizio  o  diminuzione
del patrimonio e non anche per gli atti diretti  al  miglioramento  e
alla conservazione dei beni che fanno gia' parte del  patrimonio  del
soggetto incapace») e non potendosi  dubitare  che  la  richiesta  di
riconoscimento di una  cittadinanza  (peraltro  azione  dichiarativa)
rientri tra gli atti vantaggiosi per il minore. 
    Si deve pure  osservare  come  non  abbia  rilievo  dirimente  la
circostanza  che  nella  specie  i  ricorrenti  non   abbiano   adito
preliminarmente l'Amministrazione, presentando formale  richiesta  di
riconoscimento  della  cittadinanza  italiana  presso  il   Consolato
Generale d'Italia territorialmente competente, poiche'  indubbiamente
non vi e' alcuna pregiudiziale amministrativa vertendosi  in  materia
di accertamento  di  un  diritto  o  status  soggettivo  (sul  doppio
binario, amministrativo  e  giurisdizionale,  per  il  riconoscimento
dello stato  di  apolidia,  cfr.  S.U.  9  dicembre  2008  n.  28873,
richiamata in relazione alla cittadinanza iure sanguinis da Corte  di
cassazione Sez. U, Sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009). 
    Si potrebbe porre, invece, il tema dell'interesse ad  agire,  che
nel caso di specie e' nondimeno superato in concreto,  essendo  fatto
notorio che presso i consolati  italiani  in  Brasile,  le  liste  di
attesa per il primo esame  della  domanda  di  cittadinanza  superano
anche i 10 anni, sicche' non puo'  negarsi  l'interesse  delle  parti
ricorrenti ad agire in giudizio. 
    4. 
    Si deve osservare, ancora in  via  preliminare,  come  lo  schema
relativo all'acquisto della cittadinanza sia stato di recente esposto
in modo compiuto dalle Sezioni unite della Corte di  cassazione,  per
cui  «la  risultante  di  un  tale  schema  e'  molto  semplice.   La
cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario. Lo
status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente ed  e'
imprescrittibile. Esso e' giustiziabile in ogni tempo  in  base  alla
semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla  nascita
da cittadino italiano. Donde la prova e' nella linea di trasmissione.
Resta salva solo l'estinzione per effetto di rinuncia (v. gia'  Cass.
Sez. U n. 4466-09). Ne segue che, ove la cittadinanza sia rivendicata
da un discendente, null'altro - a legislazione invariata -  spetta  a
lui di dimostrare salvo che questo: di essere appunto discendente  di
un cittadino italiano; mentre incombe alla controparte, che ne  abbia
fatto eccezione, la prova dell'evento  interruttivo  della  linea  di
trasmissione» (Corte di cassazione Sez. U, Sentenza n. 25317  del  24
agosto 2022; v. anche 24 agosto 2022, n. 25318). 
    Come si e' detto, dall'esame dei documenti depositati in atti  si
rileva la discendenza ininterrotta  dei  ricorrenti  dalla  cittadina
italiana sopra indicata, sicche' non puo' dubitarsi  della ricorrenza
dei presupposti, «a  legislazione  invariata»,  dell'acquisizione  da
parte dei medesimi della cittadinanza iure sanguinis. 
    Dall'esame della documentazione non emerge invero che  i  diversi
ascendenti abbiano mai rinunziato alla cittadinanza italiana, ne' una
rinuncia  tacita  puo'  desumersi  per  effetto  della   cd.   grande
naturalizzazione del 1880, la quale  come  noto  prevedeva  un  onere
degli italiani dell'epoca, emigrati in  Brasile,  di  manifestare  il
proprio dissenso al decreto di naturalizzazione  onde  conservare  la
cittadinanza italiana, ne' puo' assumersi che  il  silenzio  serbato,
unitamente alla residenza o alla stabilizzazione di vita  all'estero,
potesse ricevere valore di consenso. 
    A tale riguardo le SSUU hanno rilevato di recente che «il diritto
di cittadinanza appartiene al novero dei diritti fondamentali, e  non
si  addice  ai  diritti  fondamentali  l'estensione   automatica   di
presunzioni  che,   come   quelle   dettate   da   un   comportamento
asseritamente  concludente  di  ordine  puramente  negativo,  possono
assumere - a certe condizioni di legge - normale rilievo nel distinto
settore dei diritti patrimoniali». Ne consegue che «la perdita  della
cittadinanza puo' derivare solo da un atto consapevole e  volontario,
espresso in modo lineare al  fine  di  incidere  direttamente  su  un
rapporto che, come quello sottostante, corrisponde a  un  diritto  di
primaria rilevanza costituzionale ed e'  contraddistinto  da  effetti
perduranti nel tempo» sicche' «la perdita della cittadinanza italiana
non puo' dirsi perfezionata da una qualche forma di  accettazione  di
quella  straniera,  impartita  per  provvedimento  generalizzato   di
naturalizzazione,  desunta  dal  semplice  silenzio,  in  quanto,  in
ossequio alla liberta' individuale,  la  perdita  della  cittadinanza
italiana non si puo'  verificare  se  non  per  effetto  di  un  atto
volontario ed esplicito». La Corte di cassazione ha  dunque  concluso
che  «l'istituto   della   perdita   della   cittadinanza   italiana,
disciplinato dal codice civile del 1865 e  dalla  legge  n.  555  del
1912,  ove  inteso  in   rapporto   al   fenomeno   di   cd.   grande
naturalizzazione  degli  stranieri  presenti  in  Brasile  alla  fine
dell'Ottocento, implica un'esegesi restrittiva delle norme afferenti,
nell'alveo dei sopravvenuti principi costituzionali,  essendo  quello
di cittadinanza annoverabile tra i diritti  fondamentali;  in  questa
prospettiva l'articolo 11, n. 2, cod. civ. 1865, nello stabilire  che
la cittadinanza italiana e' persa da colui  che  abbia  «ottenuto  la
cittadinanza in paese estero», sottintende,  per  gli  effetti  sulla
linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che  si  accerti
il compimento, da parte della persona all'epoca emigrata, di un  atto
spontaneo e volontario finalizzato  all'acquisto  della  cittadinanza
straniera - per esempio integrato da una domanda di iscrizione  nelle
liste elettorali secondo la legge  del  luogo  -,  senza  che  l'aver
stabilito  all'estero  la  residenza,  o  anche  l'aver  stabilizzato
all'estero  la  propria  condizione  di  vita,   possa   considerarsi
bastevole,  unitamente  alla  mancata   reazione   al   provvedimento
generalizzato  di  naturalizzazione,  a  integrare   la   fattispecie
estintiva dello status per accettazione tacita degli effetti di  quel
provvedimento» (Corte di cassazione Sez. U,  Sentenza  n.  25317  del
2022 cit.). 
    E' parimenti del tutto pacifico che il criterio della discendenza
vada applicato, ai fini della cittadinanza, anche in linea  femminile
anche per vicende che traggono  origine  ad  epoca  antecedente  alla
Carta costituzionale, come lungamente rappresentato dalla difesa  dei
ricorrenti nel ricorso e da tempo  pacificamente  riconosciuto  dalla
giurisprudenza,  sicche'  per  opportuna  concisione  della  presente
motivazione sul punto viene omessa ogni ulteriore  indicazione  (cfr.
Corte Costituzionale, sentenze 16 aprile 1975 n. 87 e 9 febbraio 1983
n. 30; Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n.  6297  del  10  luglio
1996, Sez. 1, Sentenza n.  10086  del  18   novembre  1996,  Sez.  U,
Sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009). 
    5. 
    Cio' posto, come espressamente rappresentato all'udienza  del  23
ottobre 2024, si deve tuttavia rilevare d'ufficio la  sussistenza  di
seri dubbi in ordine alla compatibilita' dell'articolo 1 della  legge
5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza)  nella  parte
in cui prevedendo che «E' cittadino per  nascita:  a)  il  figlio  di
padre o di madre cittadini» non pone alcun limite  al  riconoscimento
della cittadinanza italiana per discendenza, coi parametri desumibili
dagli articoli 1, secondo comma, 3 e 117 della Costituzione. 
    La rilevanza della questione ai fini della decisione nel presente
processo e' evidente, atteso che i 12 ricorrenti risultano  privi  di
qualsiasi legame con l'Italia, fatto salvo il legame  di  sangue  con
l'ascendente valorizzato senza limiti dal menzionato articolo 1 della
legge 5 febbraio 1992, n. 91. 
    Per tutte le ragioni illustrate in dettaglio  nei  paragrafi  che
seguono, la questione di incostituzionalita'  dell'articolo  1  della
legge 5  febbraio  1992,  n.  91  dunque  non  appare  manifestamente
infondata in  riferimento  ai  parametri  di  cui  agli  articoli  1,
secondo  comma, 3 e 117 della Costituzione, i quali, come si  vedra',
presuppongono una nozione di «cittadinanza» e una nozione di «popolo»
incompatibili con la detta disposizione ed avuto riguardo ai principi
derivati dall'ordinamento internazionale  e  dagli  articoli  9,  del
Trattato sull'Unione Europea e  20  del  Trattato  sul  Funzionamento
dell'Unione Europea. 
    6. 
    La cittadinanza e' uno status  soggettivo  che  sta  ad  indicare
l'appartenenza dei cittadini ad una comunita' statuale e comporta una
serie di diritti riconosciuti e garantiti dalla legge. 
    La Corte costituzionale l'ha qualificata quale  «stato  giuridico
costituzionalmente protetto e che importa una serie  di  diritti  nel
campo privatistico e pubblicistico e inoltre, in particolare, diritti
politici» (Corte costituzionale, sentenza 9 aprile 1975 n. 87,  §  2,
Considerato in diritto). 
    Com'e'  noto,  all'acquisto  o  riconoscimento  dello  status  di
cittadino conseguono, tradizionalmente,  diversi,  notevoli,  effetti
giuridici: il cd status activae civitatis,  con  obblighi  di  natura
politica e obblighi militari; il  dovere  di  fedelta',  mentre  allo
straniero compete  un  mero  dovere  di  obbedienza;  il  diritto  di
incolato, mentre gli stranieri,  salvo  il  necessario  rispetto  del
principio di non refoulement, possono essere espulsi; l'applicazione,
quale criterio generale seppure con deroghe,  della  legge  nazionale
nei rapporti personali; il diritto alla protezione diplomatica. 
    In disparte dall'individuazione dei singoli effetti  o  contenuti
dello status di cittadinanza, e'  indubbio  inoltre  che  l'effettiva
natura  giuridica  della  cittadinanza  vada  individuata  nella  sua
qualita'  costitutiva   dell'elemento   personale   della   comunita'
nazionale e dello Stato.  La  Corte  costituzionale  ha  rilevato  al
riguardo «l'essere il cittadino parte essenziale del popolo  o,  piu'
precisamente, il «rappresentare, con gli altri cittadini, un elemento
costitutivo  dello  Stato»  (Corte  costituzionale,  sentenza   10-24
febbraio 1994 n. 62, § 4. Considerato in diritto). 
    La cittadinanza, difatti, identifica l'elemento  costitutivo  del
popolo, cui la Carta costituzionale  riconosce,  all'articolo  1,  la
sovranita' (cfr. anche gli articoli 71, 101 e 102, terzo comma  Cost.
per cui «il popolo esercita l'iniziativa delle leggi»,  la  giustizia
«e'  amministrata  in  nome  del  popolo»  e  la  legge   regola   la
«partecipazione  diretta   del   popolo   all'amministrazione   della
giustizia»; la nozione di popolo e' inoltre richiamata indirettamente
agli articoli 11, gli «altri popoli», e 75, «referendum popolare»). A
questi si aggiungono gli articoli che riconoscono diritti o doveri ai
«cittadini» e di cui si  dira'  in  seguito  piu'  in  dettaglio.  La
cittadinanza e' il criterio che consente di distinguere  il  «popolo»
rispetto agli altri popoli e alla  popolazione  comunque  abitante  o
solo  presente  sul  territorio  nazionale.  Nel  nostro  ordinamento
costituzionale, il fondamento giuridico della cittadinanza  coincide,
dunque, con l'elemento personale dell'ordinamento e con  il  concorso
nella determinazione della volonta' dello Stato. 
    Com'e' noto, lo ius sanguinis,  o  criterio  della  filiazione  o
della discendenza, rappresenta tradizionalmente e nell'attuale quadro
normativo  il  criterio  privilegiato  per  il  riconoscimento  della
cittadinanza. Lo stesso affonda le radici nel diritto romano, e ancor
prima  nella  tradizione  greca,  ed  e'  giunto  a  noi   pressoche'
inalterato, salva l'estensione alle forme di filiazione diverse dalla
discendenza genetica e alla discendenza in linea femminile. 
    A questo riguardo e' stato osservato che «l'ordinamento giuridico
italiano mantiene per tradizione  un  approccio  conservatore,  senza
alterazioni  sostanziali   rispetto   al   prevalente   criterio   di
acquisizione della cittadinanza iure sanguinis, praticamente immutato
fin dal cod. civ. del 1865 secondo un impianto ereditato prima  dalla
l. n. 555 del 1912 e poi dalla attuale l. n. 91 del 1992»  (Corte  di
cassazione, Sentenza n. 25317 del 24/08/2022, cit.). 
    Gli altri criteri (ius soli, ius  communicatio  e  per  beneficio
della  legge)  rappresentano  nel  complesso  vicende  eccezionali  o
comunque  minoritarie  rispetto  all'impianto  tradizionale  centrato
sulla discendenza da genitore o genitrice con cittadinanza italiana. 
    Il principio di discendenza non e', tuttavia, fine a se'  stesso,
ma nell'intenzione  del  legislatore  e'  diretto  ad  assicurare  la
continuita' della comunita' nazionale, posto che, come  osservato  da
autorevole, seppur risalente, dottrina, «l'ideale a cui si ispira  il
nostro legislatore e'  che  tutti  coloro  (e  soltanto  coloro)  che
presentano i dati di lingua, di razza, di  religione,  di  sentimenti
che sono propri degli appartenenti alla Nazione italiana  abbiano  la
cittadinanza del nostro Stato». 
    7. 
    Prima  di  procedere  all'analisi  del  quadro  normativo,  anche
costituzionale, occorrono alcune premesse di fatto, posto  che  nella
materia de qua i dubbi di compatibilita' della legislazione ordinaria
con i parametri costituzionali  discendono  dalla  conoscenza,  anche
statistica, della realta' sociale su cui tale disciplina incide. 
    L'Italia e', dopo la Cina, il secondo paese al mondo  per  numero
di  emigrati.  Il  criterio  prevalente  della  discendenza,  o  iure
sanguinis, si applica nel caso italiano all'indomani di un  movimento
migratorio di eccezionali dimensioni, che in  120  anni  ha  condotto
circa 30 milioni di persone a lasciare  l'Italia  e  per  almeno  una
meta' di  queste  a  non  farvi  piu'  ritorno,  stabilendosi  dunque
definitivamente all'estero. Rivolgendosi ai parlamentari  di  origine
italiana riuniti per la prima volta a  Montecitorio  il  20  novembre
2000, l'allora presidente della Camera Luciano Violante ricordava che
«in un secolo dal 1870 al 1970, 27 milioni di italiani si sono recati
all'estero  prendendo   la   via   dell'emigrazione.   Questa   cifra
corrisponde alla totalita'  della  popolazione  italiana  del  secolo
scorso e a circa la meta' di quella  attuale.  Oggi,  60  milioni  di
persone di origine italiana vivono al di  fuori  dell'Italia,  dunque
piu' di quanti non siano gli italiani che vivono in Italia».  Secondo
l'ultima rilevazione ufficiale reperita, del Ministero Affari  Esteri
del 1994, in quell'anno  la  popolazione  all'estero  discendente  da
almeno un antenato italiano era pari a 58 milioni e mezzo,  a  fronte
di  una  popolazione  sul  territorio  nazionale  pari  a  56.778.031
(censimento  del  1991,  che  peraltro  ha  ad  oggetto  non  i  soli
cittadini, ma tutti i residenti). 
    Non sono noti i dati relativi al numero  di  domande  attualmente
pendenti presso i Consolati all'estero (il  Ministero  Affari  Esteri
riferiva nel 2007  di  circa  800.000  procedimenti  amministrativi),
oltre che presso i Comuni e presso i tribunali, pur essendo noto  che
tutti tali uffici, amministrativi e giudiziari, soffrono di un numero
spropositato di pendenze (in un recente convegno  il  Presidente  del
tribunale di Venezia ha rappresentato che nel 2024 addirittura il 73%
di tutte le cause civili iscritte in quel  tribunale  ha  ad  oggetto
l'accertamento della cittadinanza iure sanguinis). Cio' che e' certo,
e' che decine di milioni di persone  sono,  secondo  le  disposizioni
vigenti, cittadini italiani in attesa di riconoscimento. 
    Si e' detto che l'Italia e', dopo la Cina, il Paese del mondo  la
cui  popolazione  e'  piu'  emigrata  all'estero.  Se  si  confronta,
tuttavia, il numero di emigrati con il numero di abitanti, in  Italia
assai inferiore alla Cina, si rileva  come  l'Italia  rappresenti  in
verita' da questo punto di vista non solo il primo paese al mondo, ma
un caso del tutto originale e unico nel panorama globale,  posto  che
gli almeno 60 milioni di discendenti da emigrati  italiani  residenti
all'estero addirittura raggiungono e superano la  stessa  popolazione
in patria. 
    L'Italia e', per altro verso, uno dei pochi  ordinamenti  in  cui
non vi e' alcun  limite  al  riconoscimento  della  cittadinanza  per
discendenza, o iure sanguinis. 
    Nel quadro desumibile dalla regolamentazione con legge  ordinaria
non sembra emergere difatti alcun limite alla discendenza, ne' vi  e'
un  limite  temporale  per   richiedere   il   riconoscimento   della
cittadinanza. La stessa viene riconosciuta senza limite  a  tutte  le
generazioni di futuri discendenti,  senza  che  sia  richiesto  alcun
collegamento ulteriore con il paese. 
    Mentre in altri ordinamenti sono stati adottati dei meccanismi di
progressiva desuetudine, di talche' il diritto e' limitato alle prime
generazioni o e' richiesto che il richiedente abbia soggiornato negli
ultimi anni o per un certo periodo sul territorio, il criterio  della
discendenza e', in Italia, assoluto. 
    Brevemente e in via approssimativa,  a  quanto  risulta  e  salvo
approfondimento da parte  della  stessa  Corte  costituzionale,  puo'
dirsi  che  negli  ordinamenti  giuridici  dei  paesi  con   civilta'
giuridica affine alla nostra, il diritto di acquisire la cittadinanza
iure sanguinis e' solitamente ammesso solo  se  il  genitore  l'aveva
richiesta e l'aveva effettivamente ottenuta; 
    nel Regno Unito i minori possono avere diritto alla  cittadinanza
per registrazione se uno dei  genitori,  cittadino  per  discendenza,
abbia vissuto sul territorio nazionale per  un  periodo  prima  della
nascita; in  Irlanda  e  Portogallo  vige  il  limite  della  seconda
generazione; fra i paesi che  danno  prevalenza  allo  ius  soli:  in
Canada la cittadinanza per discendenza e' limitata a una  generazione
nata al di fuori del paese; negli Stati Uniti  d'America  la  Sezione
301(c)  del  Nationality  Act  del  1952  estende   la   nazionalita'
automatica alla nascita per i bambini nati all'estero da due genitori
cittadini statunitensi, a  condizione  che  uno  dei  genitori  abbia
risieduto per un certo periodo negli Stati Uniti e la Sezione  301(g)
stabilisce che per ottenere la nazionalita' automatica per un bambino
nato all'estero da un cittadino e uno straniero, e' necessaria  anche
la residenza negli Stati Uniti o nei suoi possedimenti; in Israele la
cittadinanza per discendenza e' limitata alla prima generazione  nata
all'estero, mentre coloro che  sono  nati  all'estero  nella  seconda
generazione e non sono altrimenti idonei secondo la Legge del Ritorno
possono  richiedere  un   conferimento   di   cittadinanza   soggetto
all'approvazione discrezionale del  governo.  A  quanto  risulta,  ad
eccezione di alcuni ordinamenti che l'ammettono, o l'hanno ammessa in
passato, per  situazioni  specifiche  (come  nel  caso:  della  Legge
Fondamentale tedesca che all'articolo 116, paragrafo 2 l'ammette  per
gli ex cittadini tedeschi privati della loro cittadinanza a causa  di
«motivazioni politiche, razziali o religiose»  nel  periodo  compreso
tra il 30 gennaio 1933 e l'8 maggio 1945; 
    della legge spagnola che  consente  agli  individui  che  possono
dimostrare di discendere dagli ebrei sefarditi esiliati  nel  1492  a
seguito del Decreto di Alhambra e che  possono  mostrare  un  «legame
speciale» con la Spagna di fare domanda per la  doppia  cittadinanza;
della Legge del Ritorno Ebraico che  consente  ai  discendenti  degli
ebrei  portoghesi  espulsi  durante   l'Inquisizione   di   diventare
cittadini portoghesi se «appartengono a una  comunita'  sefardita  di
origine portoghese con legami con il  Portogallo»;  della  disciplina
che prevede il diritto di ritorno per i finlandesi etnici provenienti
dall'ex Unione Sovietica),  l'Italia  parrebbe  in  effetti  uno  dei
rarissimi casi di riconoscimento del legame di  sangue  senza  limiti
generazionali (insieme,  a  quanto  e'  noto,  a  Bulgaria,  Armenia,
Croazia, Lituania...). 
    La scelta italiana di non porre alcun limite e' conseguenza di un
favor per i discendenti degli emigrati italiani, che trova le  radici
in politiche di sostegno degli italiani all'estero che hanno  animato
le forze politiche in un'epoca che  non  conosceva  la  facilita'  di
trasporti e di comunicazione anche digitale dell'era attuale. 
    Tale scelta conduce oggi a nuove prospettive, posto che la, a suo
tempo imprevedibile, facilita'  di  comunicazione  grazie  alla  rete
consente oggi a tale amplissima platea di accedere  effettivamente  a
mezzi idonei per ottenere l'accertamento dello  status,  anche  sulla
spinta delle  reiterate  e  gravissime  crisi  economiche  che  hanno
investito molti dei paesi d'origine. 
    L'inerzia e la condizione di stallo dei consolati all'estero, che
sovente non sono in grado di offrire  un'adeguata  risposta,  se  non
dando un primo appuntamento solo ad  oltre  dieci-dodici  anni  dalla
presentazione della domanda (le cronache hanno  riferito  negli  anni
scorsi di incetta e  rivendita  di  appuntamenti  da  parte  dei  cd.
coleros e di veri e propri racket  di  agenzie  di  intermediazione),
conduce ad  una  esplosione  di  ricorsi  giurisdizionali  depositati
direttamente in Italia da chi e' in grado di  affrontare  una  difesa
tecnica in un altro continente, con una evidente  discriminazione  su
base economica. 
    Non va neppure sottovalutato che il riconoscimento  senza  limiti
della  cittadinanza   iure   sanguinis   assume   oggi   un'ulteriore
connotazione  in   ragione   dell'esplosione   del   fenomeno   delle
naturalizzazioni di  cittadini  stranieri  residenti  in  Italia,  in
aumento e gia' nell'ordine di diverse centinaia  di  migliaia,  posto
che apre in  prospettiva  alla  possibilita'  di  acquisizione  della
cittadinanza per i loro  discendenti  nati  e  residenti  all'estero,
senza alcun limite e persino nell'ipotesi in cui l'ascendente sia nel
contempo ritornato nel paese di nascita. 
    Risulta da un noto studio empirico che la grande maggioranza  dei
richiedenti, che presentano fra tutti i propri  avi  anche  un  solo,
lontano, emigrato italiano, non soltanto sono privi di alcun contatto
culturale o linguistico  con  il  paese,  ma  sono  interessati  alla
cittadinanza in  prospettiva  non  di  un  piu'  saldo  contatto  con
l'Italia ma di un trasferimento in altri  paesi  dell'Unione  europea
(il 60% degli italiani residenti in Spagna e' nato in  un  continente
diverso  dall'Europa;   gli   italiani   nati   in   America   latina
rappresentano oggi il 78%  dei  cittadini  italiani  residenti  nella
circoscrizione di Barcellona) o negli Stati Uniti d'America, dove dal
1986 i cittadini italiani sono esentati  dal  visto  (la  letteratura
riferisce di controlli piu' stringenti  alla  frontiera  statunitense
per gli italiani «nati all'estero»). 
    La rappresentazione della realta' in mutamento, su cui  la  Corte
costituzionale, ove lo riterra' opportuno, potra' assumere  ulteriori
informazioni con  ben  altri  mezzi,  non  e'  in  questo  caso  mera
digressione ma, come si vedra', contribuisce  a  dare  fondamento  al
sospetto di incostituzionalita' del criterio «puro»  e  senza  limiti
della discendenza o filiazione. 
    Il doppio presupposto - estensione esorbitante della  platea  dei
soggetti  interessati   al   riconoscimento;   mancanza   di   limiti
nell'applicazione  del  criterio  della  discendenza  -,  unito  alla
facilita' di accesso, grazie a internet,  alle  informazioni  e  alle
procedure, pone oggi diversi  problemi  in  relazione  a  due  ambiti
giuridici: la compatibilita' con il  quadro  costituzionale  nel  suo
complesso, in particolare con la stessa definizione della nozione  di
«popolo», che insieme alle nozioni  di  territorio  e  di  sovranita'
concorre a comporre la stessa nozione di «Repubblica», e,  per  altro
verso, la delicata questione della compatibilita'  con  gli  obblighi
internazionali, tanto di natura piu' lata che derivati  dall'adesione
all'Unione Europea. 
    Entrano dunque in gioco questioni di compatibilita'  dell'attuale
quadro normativo derivato dall'articolo 1,  primo  comma  lettera  a)
della Legge 5 febbraio  1992,  n.  91,  per  cui  «E'  cittadino  per
nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini», con i parametri
desumibili  dal  complessivo  quadro  costituzionale   e,   piu'   in
particolare,  dagli  articoli  1,  secondo  comma,  3  e  117   della
Costituzione. 
    8. 
    E' noto l'ampio dibattito sulle  nozioni  di  cittadinanza  e  di
popolo, posto che  le  stesse  tradizionalmente  concorrono,  insieme
all'elemento territoriale  e  alla  sovranita',  alla  determinazione
della stessa nozione  di  Stato.  Per  altro  verso,  le  nozioni  di
cittadinanza e, dunque, di popolo,  a  loro  volta  sono  determinate
dallo stesso ordinamento giuridico. Sono dunque elementi  logicamente
anteriori allo Stato, sono elementi  originari  dello  Stato,  eppure
sono determinati da questo, posto che il loro contenuto deriva  dallo
stesso ordinamento giuridico e trova ivi la propria regolamentazione. 
    La dottrina piu' autorevole ascrive  senz'altro  la  cittadinanza
alla materia costituzionale. 
    Cosi'  e'  nella  tradizione  giuridica  occidentale,  sin  dalla
Costituzione francese del 1791 e in numerose costituzioni,  le  quali
contengono principi generali  in  materia,  e  cosi'  e'  nel  nostro
ordinamento costituzionale, in ragione del fatto che, per  un  verso,
la cittadinanza  svolge  un  ruolo  fondamentale  nell'organizzazione
dello Stato e che, per altro verso, numerose disposizioni della Carta
costituzionale rimandano a tale nozione. 
    La Costituzione italiana  non  contiene,  tuttavia,  disposizioni
specifiche in materia di  cittadinanza,  ne'  garantisce  un  vero  e
proprio diritto alla cittadinanza  (Corte  costituzionale,  ordinanza
20-27 aprile 1988 n. 490), preoccupandosi semplicemente di  prevedere
all'articolo 22 che «Nessuno puo' essere privato per motivi  politici
(...) della cittadinanza (...)». 
    D'altro  canto,  la  Carta  costituzionale  oltre  che  occuparsi
direttamente   della   cittadinanza   all'articolo   22,    individua
all'articolo 48 nei «cittadini», uomini e donne, di maggiore  eta'  i
titolari del diritto costituzionale alla  partecipazione  politica  e
indica in  piu'  disposizioni  la  cittadinanza  quale  requisito  di
eleggibilita' e per l'esercizio di funzioni o compiti pubblici (artt.
51, primo comma; 56, terzo comma; 58 primo comma, 59  secondo  comma,
84, primo comma; 135 ultimo comma), menzionando quindi i cittadini in
numerose   ulteriori   disposizioni    che    garantiscono    diritti
costituzionali, per alcune delle quali e' peraltro, come noto,  ormai
consolidata in via interpretativa l'estensione alla persona  umana  a
prescindere   dallo   status   di   cittadino   (ex   multis    Corte
costituzionale, sentenze n. 120 del 1962, n. 104 del 1969). Fra tutte
le   disposizioni   che   rinviano   allo   status   di    cittadino,
particolarissimo rilievo  assume,  infine,  l'articolo  54,  per  cui
«tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e
di osservarne la Costituzione e le leggi». 
    Come si desume dai lavori dell'Assemblea costituente, ragioni  di
convenienza  ed  opportunita'  hanno  sconsigliato  l'inserimento  in
Costituzione di una disciplina articolata,  complessa  ed  esposta  a
frequenti mutamenti sociali. La scelta di non  inserire  nella  Carta
costituzionale una disciplina  completa  sui  modi  di  acquisto,  di
perdita e di riacquisto della cittadinanza e'  giudicata  comunemente
opportuna, in ragione della necessaria flessibilita',  funzionale  ad
un continuo adeguamento ad una realta'  sociale  in  mutamento.  Tale
scelta  appare  vieppiu'  opportuna   alla   luce   della   repentina
trasformazione  del  nostro   Paese,   durante   la   vigenza   della
Costituzione, da uno dei paesi a piu' forte emigrazione, a  paese  di
immigrazione. La inversione della direzione dei flussi  migratori  ha
generato come noto nuovi interrogativi sulla stessa latitudine  della
nozione di cittadinanza e di popolo. 
    La scelta del legislatore costituente di non regolamentare ma  di
dare per presupposte le nozioni di cittadinanza e di  popolo  appare,
dunque, opportuna e felice. E' invece discusso in dottrina se, in una
materia cosi' fondamentale, sia effettivamente conveniente il  rinvio
operato  dal   Costituente   al   processo   legislativo   ordinario,
assumendosi da parte  di  alcuni  che  lo  stesso  non  assicurerebbe
adeguata garanzia. 
    Cio' non toglie che le nozioni di cittadinanza e di popolo  siano
presupposte dalla Costituzione, svolgano  una  funzione  fondamentale
per  la  tenuta  dell'ordinamento costituzionale  e  trovino   dunque
senz'altro nella Carta costituzionale un nucleo di  principi  cui  il
legislatore ordinario deve necessariamente adeguarsi. 
    La necessita' di adeguamento del tessuto  normativo  ai  principi
costituzionali non e' soltanto originaria,  ma  puo'  conseguire,  in
particolar modo in questa fondamentale materia, dalla  necessita'  di
adattare le norme al mutato contesto sociale. Com'e' stato osservato,
il rinvio alla  legge  ordinaria  presenta  in  effetti  un  risvolto
positivo, in quanto consente un controllo continuo sulla  rispondenza
di  tali  norme  all'evoluzione  dell'ordinamento  e  della   realta'
sociale. 
    La  flessibilita'  voluta  dal  Costituente  annuncia  dunque  un
costante adeguamento delle disposizioni della legislazione  ordinaria
al  mutare  della  realta'  del  paese  e  impone  un  controllo   di
costituzionalita' anche quando il Legislatore non sia  intervenuto  a
adeguare la legge ordinaria ai dati che emergono dall'analisi sociale
e statistica. 
    9.  
    La disposizione di cui all'articolo 1,  primo  comma  lettera  a)
della Legge 5 febbraio  1992,  n.  91,  per  cui  «E'  cittadino  per
nascita: a) il  figlio  di  padre  o  di  madre  cittadini»,  collide
innanzitutto con l'articolo 1, secondo comma della  Costituzione,  il
quale dispone che «la sovranita' appartiene al popolo». 
    Tale incipit della Carta costituzionale  annuncia,  come  in  una
sorta di preambolo, il fondamento  del  principio  di  democraticita'
della nuova Repubblica. Com'e' noto, il  carattere  originario  della
sovranita' fu evidenziato, dopo ampio dibattito in sede  costituente,
con la sottolineatura che la sovranita' non solo «emana»  o  «deriva»
dal popolo, ma le «appartiene», con cio'  evidenziandosi  la  stretta
coincidenza fra popolo e sovranita', che non viene mai trasferita  ad
altri,  ma,  seppure  esercitata  nelle  forme  e  nei  limiti  della
Costituzione, resta sempre in capo al popolo. 
    Com'e' noto, la disposizione di cui all'articolo 1 Cost. e' stata
tradizionalmente  oggetto  di  attento  esame  soprattutto  sotto  il
profilo delle condizioni, delle garanzie e dei limiti  dell'esercizio
della  sovranita'  popolare.  Tale  disposizione,  in  saldatura  con
l'articolo 48, primo comma, costituisce invero la base del  principio
democratico. 
    La presente eccezione trae motivo, invece,  dal,  meno  studiato,
tema  delle  condizioni  e   dei   limiti   per   il   riconoscimento
dell'appartenenza al «popolo», dovendosi  verificare  se,  alla  luce
delle condizioni storiche determinate  dal  piu'  rilevante  fenomeno
migratorio dalla storia recente e dal fenomeno della globalizzazione,
con il portato della facilita' dei trasporti  e  delle  comunicazioni
per mezzo della rete, il riconoscimento della cittadinanza  a  decine
di milioni di persone prive di effettivo  collegamento  con  l'Italia
possa costituire una inammissibile alterazione della  stessa  nozione
di popolo su cui si fonda l'ordinamento costituzionale. 
    La cittadinanza concreta, innanzitutto, un diritto politico e  un
diritto umano fondamentale di partecipare, sulla scorta del principio
democratico, al governo della societa' in cui si vive. I  diritti  di
partecipazione politica  vengono  generalmente  considerati  come  il
nocciolo duro della categoria della cittadinanza. 
    Come  si  e'  detto,  la  Costituzione,  pur  affermando  che  la
sovranita'  «appartiene  al  popolo»  non  fornisce  tuttavia  alcuna
definizione dello  stesso.  Tale  nozione  fondamentale  e',  dunque,
presupposta.  A  sua  volta,  e'  evidente  che  la  cittadinanza  e'
requisito fondamentale per la definizione del popolo. 
    I criteri di riconoscimento, di perdita  e  di  riacquisto  della
cittadinanza  contribuiscono  evidentemente  alla   definizione   del
popolo, posto che solo chi ha  cittadinanza  italiana  e'  parte  del
popolo. A sua volta il «popolo» e'  il  fondamento  dello  Stato.  La
sovranita', infatti, «appartiene al popolo» e la stessa  Costituzione
e' espressione di tale sovranita' originaria. Dunque,  i  criteri  di
riconoscimento    della     cittadinanza,     pur     non     essendo
costituzionalizzati,  evidentemente  per  consentire  la   menzionata
flessibilita' ed apertura al mutare delle condizioni  storiche,  sono
sicuramente essenziali dal punto di vista della Costituzione.  Questa
non  definisce  le  nozioni  di  popolo  e  di  cittadinanza,  ma  le
presuppone come nozioni fondamentali, il  che  apre  senz'altro  alla
necessita' di un controllo di costituzionalita' rispetto  alle  fonti
di rango inferiore che contribuiscono alla loro definizione. 
    In particolare, e' pacifica la  sussistenza  di  una  riserva  di
legge statale, quale si desume oltre  che  dal  complessivo  impianto
costituzionale anche dal disposto di cui  all'articolo  117,  secondo
comma lettera i) Cost. (per cui lo Stato ha legislazione esclusiva in
materia di cittadinanza) e, indirettamente, anche  dall'articolo  51,
secondo comma Cost. (per cui la legge puo' parificare per determinati
fini ai cittadini «gli italiani non  appartenenti  alla  Repubblica»,
dal che si desume che a maggior ragione e' la legge a  determinare  i
criteri  discretivi  fra  loro).  Si  e'  segnalato  in  dottrina  il
collegamento fra  dovere  di  fedelta'  (articolo  54)  e  dovere  di
solidarieta' sociale (artt. 2) quale ulteriore base costituzionale di
una  vera  e  propria  riserva   rafforzata   di   legge   implicita,
evidenziando  come  la  materia  dei  modi  di  acquisto,  perdita  e
riacquisto della cittadinanza  sia  necessariamente  impostata  sulla
valutazione  di  compatibilita'/incompatibilita'  con  il  dovere  di
fedelta'  alla  Repubblica.  Per  altro  verso,  se  la  Costituzione
assicura uno specifico patrimonio  di  diritti  e  doveri  a  chi  e'
cittadino, appare manifesto il rilievo costituzionale di tale  ultima
nozione. 
    Si deve ritenere che sia ugualmente manifesta la  sussistenza  di
principi e limiti di natura costituzionale che segnano l'ambito entro
il quale deve muoversi la discrezionalita' del legislatore  ordinario
nella materia della cittadinanza e dei  suoi  riflessi  sulla  stessa
nozione di popolo. 
    L'estensione che viene data all'elemento personale incide  invero
profondamente sulla qualita' dello stesso processo  democratico,  sia
con riguardo ai processi legislativi ordinari  che  con  riguardo  ai
processi di revisione della stessa Costituzione. E'  evidente  che  i
modi di acquisto della cittadinanza possono influenzare, determinando
anche   delle   distorsioni,   il   funzionamento   dei    meccanismi
istituzionali, finendo  nel  concreto  col  compromettere  lo  stesso
diritto  dei  cittadini  di  concorrere  a  determinare  la  politica
nazionale. 
    Sarebbe,  ad  esempio,  in  tutta   evidenza   costituzionalmente
illegittima una disposizione volta ad escludere  la  cittadinanza  di
chi sia nato o viva  in  una  determinata  regione  del  paese.  Cio'
cozzerebbe, oltre che col principio  di  unicita'  e  indivisibilita'
della Repubblica (intesa non solo come territorio ma  anche  nel  suo
contenuto  personale),  anche  con  la  nozione  di  "popolo"  e   di
"cittadinanza" presupposte dalla Carta costituzionale. 
    Parimenti,   non   puo'   non   assumersi    la    illegittimita'
costituzionale di una norma che conferisca la cittadinanza italiana a
chi sia privo di collegamento col Paese, ad esempio  a  chiunque  sia
nato in  una  determinata  area  del  pianeta.  In  questo  caso  non
entrerebbe in gioco il principio di indivisibilita' della Repubblica,
ma certamente una inammissibile alterazione della nozione di "popolo"
e di "cittadinanza". L'arbitrario riconoscimento della cittadinanza a
chiunque sia nato in  una  lontana  area  del  pianeta,  diversa  dal
territorio nazionale, in tutta evidenza  comprometterebbe  seriamente
il diritto del popolo italiano di esercitare la sovranita'. 
    E', dunque, da escludere che la nozione di «popolo» e  quella  di
cittadinanza siano nella Costituzione delle  scatole  vuote  lasciate
alla piena discrezionalita' del legislatore. 
    Il controllo di costituzionalita' sulle disposizioni  in  materia
di riconoscimento e perdita della cittadinanza e', invero,  pacifico,
in quanto volto ad assicurare,  innanzitutto,  lo  stesso  fondamento
della legittimita' costituzionale e democratica, e  partecipa  di  un
elevatissimo grado di resistenza allo stesso  processo  di  revisione
costituzionale. Si e' parlato, in relazione alla disposizione di  cui
all'articolo  1,  secondo  comma,  di  una  «supernorma»  o  di   una
«rappresentazione sintetica di tutti i principi della democrazia». 
    Non pare indifferente, inoltre,  che  la  disposizione  riferisca
all'«Italia», e non allo "Stato italiano" le nozioni di popolo  e  di
sovranita', a sottolineare una funzione non meramente  istituzionale,
ma aperta alla stessa identita'  spirituale  della  nazione  ed  alla
dimensione orizzontale della comunita' nazionale. 
    E' stato osservato al riguardo il  connubio  tra  cittadinanza  e
nazionalita', sottolineando il  rilievo  anche  per  la  cittadinanza
della comunanza  di  linguaggio,  tradizioni  culturali  e  storiche,
sintetizzabili nella nozione di nazionalita'. 
    Come si e'  osservato  in  dottrina,  per  popolazione  s'intende
comunemente l'insieme di persone che risiedono in un dato momento nel
territorio dello  Stato,  o  che  sono  comunque  soggette  alla  sua
autorita', mentre, da un punto di vista metagiuridico, con la nozione
di «popolo» si fa invece riferimento ad un  insieme  di  persone  che
hanno caratteristiche  comuni,  come  per  es.  la  nazionalita',  la
cultura, gli usi e  i  costumi.  Sotto  tale  profilo  il  popolo  si
identifica nel gruppo  che  condivide  legami  culturali,  sociali  e
istituzionali. 
    Entra  dunque  in   gioco   la   dimensione   orizzontale   della
cittadinanza, come partecipazione alla vita della  comunita'  e  alle
decisioni  che  riguardano  la  comunita',  che  sin  da   Aristotele
caratterizza la nozione ateniese di πολίτης.  Dalla  stessa  sembrano
essersi sviluppate tutte le teorie che, a partire  dalla  Rivoluzione
Francese, hanno inteso la categoria della cittadinanza  come  fattore
di  identificazione  ed  integrazione,  non  solo  sociale  ma  anche
politica, degli individui in una comunita'. 
    Si puo' dire, in ultima analisi, che la  cittadinanza  presuppone
una definizione di popolo. La stessa prende le mosse dalla preventiva
individuazione di  un  determinato  gruppo  sociale,  il  popolo  per
l'appunto, e, al contempo contribuisce a definirne  i  contorni  e  i
limiti. Tuttavia, le regole giuridiche che governano la  cittadinanza
non sono in grado d'essere apprezzate se  non  in  virtu'  di  regole
positive, di natura costituzionale, che  definiscono  le  nozioni  di
popolo, di comunita' nazionale e di Stato democratico. 
    Tale nozione comunitaria  conduce  inoltre  necessariamente  allo
strettissimo legame fra popolo e territorio. Com'e'  stato  osservato
da autorevole dottrina, «delle condizioni per cui  una  collettivita'
di persone  puo'  costituire  una  comunita'  statale,  una  sola  si
considera essenziale e costante,  ed  e'  che  la  collettivita'  sia
stabilmente  fissata  su  una  parte   della   superficie   terrestre
(territorio)».  La  Corte  costituzionale,  rammentando  le   diverse
posizioni sostanziali del cittadino e dello straniero in relazione al
diritto di soggiorno, ha rammentato il collegamento del cittadino col
territorio, rilevando al riguardo che «le posizioni del  cittadino  e
dello   straniero   nei   riguardi    dello    Stato    diversificano
sostanzialmente, sol che  si  consideri  che  il  cittadino  ha,  nel
territorio  dello  Stato,   un   suo   domicilio   stabile   si'   da
rappresentare, con gli altri cittadini, un elemento costitutivo dello
Stato stesso» (Corte costituzionale sentenza 10 luglio 1974 n. 244, §
2 Considerato in diritto). 
    C'e' dunque da chiedersi in che termini ed entro  che  limiti  la
legge ordinaria possa consentire il riconoscimento della cittadinanza
senza alcun, minimo, collegamento con la comunita' nazionale,  intesa
come comunanza di linguaggio, tradizioni culturali e storiche, e  con
il territorio della Repubblica. 
    Non appare al riguardo  che  il  rinvio  a  un  mero  vincolo  di
discendenza  da  un  antenato,  fra  molti,   anche   assai   remoto,
costituisca criterio sufficientemente effettivo, ne' appare tantomeno
imposto dall'articolo 29  della  Costituzione,  il  quale  come  noto
rimanda ad una nozione di famiglia come realta'  sociale  sicuramente
ancorata  a  legami  familiari  effettivi.  Il  sottile  vincolo   di
discendenza da un antenato anche remoto non configura un collegamento
ancorato a concreti legami  familiari,  ma  appare  come  connessione
meramente formale, sicche' non rientra sicuramente nella  nozione  di
famiglia  come  societa'  naturale,  la  quale   nell'interpretazione
largamente maggioritaria e fatta propria dalla  Corte  costituzionale
rinvia non ad una nozione giusnaturalistica  fondata  su  vincoli  di
sangue, ma al necessario ancoramento alla  realta'  sociale  (sicche'
deve tenere conto «dell'evoluzione della  societa'  e  dei  costumi»,
Corte costituzionale sentenza n. 138 del 2010, § 9,  Considerando  in
diritto). 
    Ne', attesa  la  gracilita'  del  legame  di  discendenza  da  un
cittadino o una cittadina italiani emigrati nel corso del 19° secolo,
puo' assumersi che il riconoscimento della cittadinanza discenda  dal
disposto di cui al terzo comma dell'articolo 35  della  Costituzione,
per cui la Repubblica riconosce la liberta' di emigrazione, salvo gli
obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e  tutela  il
lavoro italiano all'estero. La necessaria protezione  di  chi  lavora
all'estero  non  implica  in  alcun  modo  il  riconoscimento   della
cittadinanza dopo generazioni. 
    Se gli articoli 29 e 35 tutelano certamente la  filiazione  anche
nei confronti di chi emigri, e' da escludere che gli stessi impongano
il riconoscimento della cittadinanza  a  chi  presenta  soltanto  una
tenue connessione con l'ascendente emigrato. 
    Appare peraltro  manifesta  l'irragionevole  asimmetria  rispetto
agli altri criteri di acquisto della cittadinanza, i quali sono tutti
fondati sul progressivo  consolidamento  dei  legami  con  il  paese,
mentre  il  criterio  della  discendenza  tale  legame  completamente
ignora. 
    Com'e' noto, l'articolo 48 della  Costituzione,  come  modificato
con legge costituzionale 17 gennaio 2000, n. 1 (Modifica all'articolo
48 della Costituzione concernente l'istituzione della  circoscrizione
Estero per l'esercizio del diritto di  voto  dei  cittadini  italiani
residenti all'estero) ha  istituito  una  circoscrizione  Estero  per
l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi  nel  numero
stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla
legge. Gli articoli 56 e 57 della  Costituzione  come  modificati  da
Legge costituzionale 23 gennaio 2001, n. 1 (Modifiche agli art. 56  e
57 della Costituzione concernenti il numero dei deputati  e  senatori
in  rappresentanza  degli  italiani  all'estero)  attribuiscono  otto
deputati (su quattrocento) e  quattro  senatori  (su  duecento)  alla
circoscrizione Estero. Con la legge 27 dicembre 2001, n.  459  (Norme
per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani  residenti
all'estero) e' stata prevista  la  modalita'  di  partecipazione  dei
cittadini residenti all'estero  ai  processi  elettorali,  istituendo
all'articolo 6 le quattro ripartizioni territoriali (afferenti a:  a)
Europa, compresi i territori asiatici della Federazione russa e della
Turchia;  b)  America  meridionale;  c)  America   settentrionale   e
centrale; d) Africa, Asia, Oceania e Antartide) con la previsione che
in ciascuna delle ripartizioni e' eletto un deputato e  un  senatore,
mentre gli altri seggi sono distribuiti tra le stesse ripartizioni in
proporzione al numero dei cittadini italiani che vi risiedono. 
    Nonostante  la  complessiva  limitazione   della   partecipazione
all'esercizio della sovranita' popolare ad otto  deputati  e  quattro
senatori  prescinda,   dunque,   dal   criterio   della   proporzione
all'effettiva popolazione residente  nella  circoscrizione,  sancito,
invece, dagli stessi articoli 56, terzo comma e 57, terzo  comma  per
la popolazione residente in Italia, non puo' dubitarsi  dell'evidente
interferenza della smisurata dilatazione del numero di cittadini  con
l'esercizio della sovranita' popolare, sia  per  la  possibilita'  di
iscrizione comunque presso  le  liste  elettorali  interne,  sia  per
l'incidenza  sul  quorum  previsto   per   il   referendum   popolare
dall'articolo 75, quarto comma  della  Costituzione,  per  cui  hanno
diritto di voto tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera (per
cui non puo' non osservarsi  come  la  scarsissima  partecipazione  a
tutti  i  referendum  degli  elettori  della  circoscrizione  Estero,
effetto  di  poco  interesse  per  le  vicende  italiane,  gia'  oggi
riverbera senza dubbio sull'esercizio della  sovranita'  popolare  in
questo  ambito),  sia  per  l'interferenza  con  l'operativita'   del
referendum costituzionale di cui all'articolo 138 della Costituzione. 
    In buona sostanza, e' qui  in  questione  la  compatibilita'  con
l'articolo 1 della Costituzione di una disciplina sulla  cittadinanza
che conduce ad una  profonda  alterazione  della  nozione  di  popolo
consentendo il riconoscimento dello status a  decine  di  milioni  di
persone prive di collegamento effettivo con la  comunita'  nazionale,
una popolazione maggiore dello stesso numero di  cittadini  residenti
sul territorio nazionale, con evidenti ricadute non solo sui  profili
culturali del popolo, ma  sullo  stesso  esercizio  della  sovranita'
popolare e, in ultima analisi, sul funzionamento della democrazia. 
    Se  l'applicazione  di  un  criterio  «puro»  della   discendenza
concernesse un numero  contenuto  di  persone,  potrebbe  assumersene
verosimilmente la compatibilita' con la forma repubblicana, ma la sua
concreta applicazione a decine di milioni di  persone,  cittadini  di
altri paesi e privi di collegamento  con  l'Italia,  fatto  salvo  un
remoto antenato, provoca in tutta evidenza una interferenza tale  con
i processi democratici da configurare  una  vera  e  propria  rottura
dello stesso quadro costituzionale. 
    Con un evidente ribaltamento del principio  no  taxation  without
representation, l'esito del processo di riconoscimento di  decine  di
milioni  di  persone  prive  di  un  effettivo  collegamento  con  il
territorio   nazionale   conduce   a   consegnare    estesi    poteri
rappresentativi e politici  ad  una  popolazione  priva  di  obblighi
fiscali nei confronti della Repubblica e che di  fatto  non  concorre
alle spese pubbliche in Italia ai sensi  dell'art.  53,  primo  comma
della Costituzione. 
    Ancora una volta, va evidenziato come non  rilevino  le  lentezze
burocratiche (risulta che molti Consolati italiani all'estero fissino
l'appuntamento per presentare la domanda a  circa  10-12  anni  dalla
richiesta), posto che la valutazione giuridica deve  procedere  dalla
constatazione che queste diverse decine di milioni di  persone  sono,
secondo la disciplina vigente, cittadini della Repubblica, seppure in
attesa di accertamento dello status. 
    Sotto tutti tali profili, la disposizione di cui all'articolo  1,
primo comma lettera a) della Legge 5 febbraio 1992, n.  91,  per  cui
«E' cittadino  per  nascita:  a)  il  figlio  di  padre  o  di  madre
cittadini», collide, allora, non soltanto con l'articolo  1,  secondo
comma della  Costituzione,  per  cui  «la  sovranita'  appartiene  al
popolo», ma anche  con  l'articolo  3  della  Costituzione  sotto  il
profilo della ragionevolezza e della proporzionalita'. 
    10.  
    Muovendo  dagli  articoli  1  e   3   della   Costituzione   alla
compatibilita'  della   disposizione   con   l'articolo   117   della
Costituzione, per cui «la potesta' legislativa  e'  esercitata  dallo
Stato (...) nel rispetto  della  Costituzione,  nonche'  dei  vincoli
derivanti   dall'ordinamento    comunitario    e    dagli    obblighi
internazionali» e partendo  innanzitutto  dall'esame  degli  obblighi
derivanti dall'ordinamento internazionale, si deve  osservare  quanto
segue. 
    La regolamentazione della  cittadinanza  e'  materia  di  stretta
competenza degli Stati sovrani. 
    E'  nondimeno  pacifico  che  le  legislazioni  nazionali   siano
ancorate dall'ordinamento internazionale ad  un  principio  generale:
quello di effettivita'. Soprattutto nel secondo dopoguerra, dunque in
coincidenza con  la  vigenza  della  Carta  costituzionale,  la  tesi
iniziale  di  inesistenza  di  limiti  e'   stata   oggetto   di   un
ripensamento, soprattutto in ragione di alcune note  decisioni  della
Corte internazionale di giustizia. 
    L'ordinamento internazionale rimanda alle valutazioni  giuridiche
degli ordinamenti interni, ma solo in quanto siano espressione di  un
dato della realta', non prendendo in considerazione  valutazioni  del
diritto interno che non  si  appoggiano  su  una  reale  appartenenza
dell'individuo al gruppo sociale. 
    Si e' rilevato al riguardo  come  ogni  pretesa  dello  Stato  di
considerare proprio cittadino chi  in  realta'  non  abbia  con  esso
rapporti  sociali  effettivi  sia  internazionalmente  destituita  di
fondamento sicche', conseguentemente, gli altri Stati non sono tenuti
a rispettarla. 
    Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno  rammentato  che
«indiscusso nel diritto internazionale, il principio di  effettivita'
si sostanzia in una constatazione dalle implicazioni specifiche: vale
a dire che spetta a ciascuno Stato determinare le condizioni che  una
persona deve soddisfare per essere considerata  investita  della  sua
cittadinanza (v. Cass. Sez. 1 n. 9377-11 citata  dalla  stessa  corte
territoriale, ma v. pure, in ambito unionale, C.  giust.  19-10-2004,
Zhu, causa C-200/02, C. giust. 1111-1999,  Mesbah,  causa  C-179/98).
Cio' col limite, puramente negativo, rappresentato dall'esistenza  di
un collegamento effettivo tra quello Stato e la  persona  di  cui  si
tratta. Spetta alla legislazione nazionale stabilire quale sia questo
collegamento.  Sicche'  l'effettivita'  designa  il   confine   della
liberta' degli Stati di accordare l'acquisto della cittadinanza a chi
non presenti alcun  vero  punto  di  collegamento  con  l'insieme  di
rapporti  nei  quali  si  esprime  la   cittadinanza   effettiva   (o
sostanziale). La ragione e' che il nesso di cittadinanza non puo' mai
esser fondato su una fictio. Il principio  implica,  in  conclusione,
che esista un vincolo reale tra lo Stato e l'individuo sulla base  di
indici idonei a far risaltare la cittadinanza  al  di  la'  del  dato
formale.» (Corte di cassazione Sez. U -  ,  Sentenza  n.  25317/2022,
cit.). 
    Si puo' osservare come tradizionalmente il  legame  si  consideri
«effettivo» quando la persona discende  da  coloro  che  appartengono
allo Stato (ius sanguinis) o e' nata sul territorio dello Stato  (ius
soli) o in determinate condizioni abbia manifestato  la  volonta'  di
entrare a far parte della societa' statuale. 
    Nell'ambito di tali criteri gli Stati godrebbero dunque, in linea
generale, di un'ampia liberta', nel senso che ad essi e'  rimesso  di
stabilire quali sono i dati da prendere in considerazione al fine  di
attribuire la propria cittadinanza. 
    Nella sentenza citata, le Sezioni Unite rilevano che  «certamente
non e' una fictio il vincolo di sangue». Tuttavia,  si  pone  qui  la
questione se gli obblighi internazionali non comportino limiti  anche
nello stesso ambito del criterio di  discendenza,  tenuto  conto  dei
dati di realta' sopra richiamati, per cui la disciplina  qui  oggetto
di dubbio di  incostituzionalita'  conduce  al  riconoscimento  della
cittadinanza italiana per una popolazione in larghissima misura priva
di qualsiasi legame concreto e attuale con  il  paese,  residente  in
altri Stati sovrani, in larga misura priva  di  effettiva  conoscenza
della stessa lingua italiana, che non concorre alla spesa pubblica  e
addirittura pari, se  non  superiore,  alla  stessa  popolazione  con
cittadinanza italiana residente in Italia. 
    La nozione di cittadinanza sembra essere stata rivista  in  forza
della  celebre  definizione  datane  dalla  Corte  internazionale  di
Giustizia, nel caso Nottebohm del 1955. In tale decisione, invero, la
Corte ha chiaramente statuito come la cittadinanza abbia  «its  basis
[on] a social facto of attachment, a genuine connection of existence,
interests and sentiments, together with the existence  of  reciprocal
rights and duties» (Corte  Internazionale  di  Giustizia,  Nottebohm,
sentenza del 6 aprile 1955:  riguardante  il  caso  di  un  cittadino
tedesco stabilitosi in Guatemala sin dal 1905, il quale dopo l'inizio
della Seconda Guerra Mondiale aveva ottenuto, durante una  visita  in
Europa,  la  cittadinanza  del  Liechtenstein,  tornando  quindi   in
Guatemala per riprendere le precedenti  attivita'  commerciali,  fino
alla sua rimozione a seguito di misure di guerra nel 1943;  la  Corte
ha stabilito  che  sul  piano  internazionale  la  concessione  della
cittadinanza deve essere  riconosciuta  dagli  altri  Stati  solo  se
rappresenta una connessione genuina tra l'individuo e lo Stato che la
concede, mentre in questo caso la persona non presentava alcun legame
genuino  con  il  Liechtenstein).  Per  la  Corte,  la  cittadinanza,
conseguentemente, costituisce «the juridical expression of  the  fact
that the individual upon whom it is conferred, either directly by the
law or as a result of an act of the  authorities,  is  in  fact  more
closely connected with the population of the State, than with that of
any other State». 
    La Corte ha fornito dunque una rilettura della massima di diritto
internazionale, affermando che la  cittadinanza  deve  connotare  non
soltanto un legame legale tra un individuo ed un dato ordinamento, ma
anche un connubio genuino ed effettivo tra i due. 
    Il limite individuato dal diritto internazionale coincide con  il
dato di base per cui la cittadinanza  deve  individuare  un  rapporto
effettivo tra la persona e la societa' statuale. Si parla in dottrina
di una cittadinanza «effettiva o reale» per cui l'appartenenza di una
persona  ad  uno  Stato  non  puo'  dipendere  esclusivamente   dalle
valutazioni di quest'ultimo, dovendosi  appoggiare  su  una  reale  e
genuina appartenenza dell'individuo al gruppo sociale. 
    Esorbita allora da tali limiti di  ragionevolezza  la  disciplina
italiana che prevede il riconoscimento  della  cittadinanza  italiana
per decine di milioni di cittadini di  altri  paesi,  ivi  residenti,
sulla base della circostanza che uno,  fra  i  tanti,  loro  avi  era
italiano. 
    11.  
    Venendo quindi al necessario rispetto dei vincoli derivanti dagli
obblighi euro unitari, imposto dall'articolo 117, primo  comma  della
Costituzione, pur essendo  legittimo  che  il  legislatore  nazionale
preveda meccanismi autonomi per il riconoscimento della cittadinanza,
puo'  dubitarsi  che   l'estensione   con   legge   nazionale   della
cittadinanza  a  decine  di  milioni  di  persone  prive   di   alcun
collegamento effettivo, genuino e  reale  con  lo  Stato  membro  sia
compatibile con l'ordinamento dell'Unione. 
    Il Trattato dell'Unione  Europea  ha  istituito  la  cittadinanza
dell'Unione, attribuita, ai sensi dell'articolo 9, a «chiunque  abbia
la cittadinanza di  uno  Stato  membro»,  mentre  l'articolo  20  del
Trattato  sul  Funzionamento  dell'Unione  Europea   stabilisce   (ex
articolo 17 del TCE) che «E' istituita una cittadinanza  dell'Unione.
E' cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno  Stato
membro. La cittadinanza dell'Unione  si  aggiunge  alla  cittadinanza
nazionale e non la sostituisce». 
    Come si desume da  tali  disposizioni,  lo  status  di  cittadino
dell'Unione   e'   il   riflesso   automatico   dell'acquisto   della
cittadinanza nazionale, sicche' lo stesso e' sostanzialmente  rimesso
agli  Stati  aderenti,  posto  che  la  determinazione  dei  modi  di
acquisto, di perdita e di riacquisto della cittadinanza rientra nella
competenza di ciascuno Stato membro. 
    Resta  tuttavia  da  verificare  se  la  disciplina   della   cui
legittimita' qui si dubita rispetti il principio di  proporzionalita'
sotto il profilo del diritto dell'Unione. 
    Com'e' noto, grazie alla introduzione della cittadinanza europea,
tutti i cittadini degli Stati membri godono, oltre al  primo  livello
di diritti  connessi  alla  propria  cittadinanza  nazionale,  di  un
secondo livello di diritti che li pone in relazione diretta  con  gli
organi comunitari e, per l'effetto, con le  istituzioni  degli  altri
Stati dell'Unione. 
    La   cittadinanza   dell'Unione   Europea   comporta,    infatti,
l'attribuzione ai cittadini di una serie  di  diritti  e  doveri  ben
delineati dal  Trattato  agli  artt.  18-22,  quali  la  liberta'  di
circolazione e di soggiorno all'interno dell'Unione  (il  diritto  di
ciascun cittadino europeo di  fare  ingresso  e  di  soggiornare  nel
territorio di qualsiasi  altro  Paese  Membro,  nonche'  il  connesso
diritto di ivi esercitare  la  propria  attivita'  lavorativa,  ferma
restando la possibilita' di chiedere il ricongiungimento  dei  propri
familiari  di   qualsiasi   altra   nazionalita'),   i   diritti   di
partecipazione politica riconosciuti a tutti i cittadini  dell'Unione
anche se residenti in uno Stato Membro diverso da quello di cui  sono
cittadini (il diritto di voto attivo e passivo al Parlamento Europeo;
il diritto di elettorato attivo e passivo per  le  elezioni  comunali
nello Stato membro di residenza), il diritto di  ottenere  la  tutela
diplomatica da parte delle  autorita'  diplomatiche  e  consolari  di
qualsiasi Stato membro nel territorio di un Paese  terzo  in  cui  il
proprio  Stato  di  origine  non  e'  rappresentato,  il  diritto  di
petizione  al  Parlamento  europeo  e  il  diritto  di  ricorrere  al
Mediatore Europeo. 
    Il diritto di cittadinanza  dell'Unione  si  e'  progressivamente
sganciato dalla liberta' di circolazione fra  Stati  membri,  venendo
trattato come un diritto  a  se'  stante,  autonomo  e  complementare
rispetto alla cittadinanza nazionale. 
    Tale ruolo autonomo svolto dalla  cittadinanza  europea  ha  dato
l'avvio ad un approccio unitario ed indipendente della  stessa  Corte
di Lussemburgo, capace di influenzare le normative nazionali. 
    La stessa, ad esempio, ha verificato la  compatibilita'  unionale
di norme nazionali sulla cittadinanza dirette a  preservare  l'unita'
nazionale all'interno della famiglia, tenendo conto delle conseguenze
per il minore alla luce dell'articolo  24  della  Carta  dei  diritti
fondamentali della Unione Europea, in ordine alla valutazione del suo
miglior interesse (v. CGUE 12/03/2019, Tjebbes, causa C221/17). 
    Per altro verso, va pure richiamato il noto caso  Micheletti  ove
la Corte ha  sancito  il  principio  per  cui  l'attribuzione  ad  un
individuo della cittadinanza da parte di uno Stato  Membro  non  puo'
essere messa in discussione da un altro Stato  membro  che  tenti  di
limitare  gli  effetti  di  siffatta  attribuzione   pretendendo   un
requisito ulteriore - quale l'effettivita' - per il riconoscimento di
tale cittadinanza al fine dell'esercizio di una liberta' fondamentale
prevista dal Trattato. Secondo i giudici di Lussemburgo,  dunque,  il
principio di effettivita' della nazionalita' riconosciuto dal diritto
internazionale generale non puo'  costituire  una  deroga  al  dovere
assoluto ed incondizionato degli Stati Membri di riconoscimento delle
rispettive cittadinanze  (Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,
Sentenza 7 luglio 1992, Causa C-369/90, Micheletti e a. c. Delegacion
del Gobierno  en  Cantabria,  riguardante  il  caso  di  un  dentista
argentino,  riconosciuto  cittadino   italiano   grazie   all'origine
italiana dei suoi bisnonni, che, giunto in Spagna per esercitarvi  la
professione, si e' visto rifiutare il  permesso  di  residenza  dalle
autorita' spagnole, che hanno ritenuto fittizia la  sua  cittadinanza
italiana). 
    Tale   condivisibile   conclusione,   tuttavia,   fondata   sulla
necessita' di impedire che il campo d'applicazione  ratione  personae
delle norme europee vari da uno Stato membro all'altro,  non  esclude
affatto che la disciplina interna in materia  di  cittadinanza  debba
essere vagliata, nel  caso  di  specie  dalla  Corte  costituzionale,
tenendo conto della interferenza della vistosa deroga al principio di
effettivita' e genuinita'  con  la  stessa  nozione  di  cittadinanza
europea. 
    All'opposto, proprio il riconoscimento di un  limite  dei  poteri
sovrani degli Stati di sindacare l'esercizio della legislazione sulla
cittadinanza degli altri Stati membri impone  un'attenta  valutazione
dei riflessi  di  un  arbitrario  riconoscimento  della  cittadinanza
europea a milioni di persone prive di legame effettivo e genuino  con
alcuno Stato membro. 
    12.  
    Per tutte le ragioni illustrate in dettaglio  nei  paragrafi  che
precedono ed anche alla luce dei dati statistici  sopra  riportati  e
che, se  ritenuto  opportuno  dalla  Corte  costituzionale,  potranno
essere eventualmente ulteriormente  approfonditi  mediante  ordinanza
istruttoria,  non  e'  manifestamente  infondata  la   questione   di
incostituzionalita' dell'articolo 1 della legge 5 febbraio  1992,  n.
91 (Nuove norme sulla cittadinanza) nella parte in  cui  prevede  che
«E' cittadino  per  nascita:  a)  il  figlio  di  padre  o  di  madre
cittadini» in riferimento  ai  parametri  di  cui  agli  articoli  1,
secondo comma,  3  e  117  della  Costituzione,  avuto  riguardo  per
quest'ultimo ai principi derivati dall'ordinamento  internazionale  e
dagli articolo 9, del Trattato sull'Unione Europea e 20 del  Trattato
sul Funzionamento dell'Unione Europea. 
    La rilevanza della questione ai fini della decisione nel presente
processo e' evidente, atteso  che  nella  specie  trattasi  di dodici
ricorrenti tutti privi di qualsiasi legame di  qualsiasi  natura  con
l'Italia, fatta salva la presenza di un'ava  italiana,  fra  i  molti
(risalendo alla loro  trisnonna,  i  ricorrenti  minorenni  hanno  29
ascendenti e avi brasiliani o comunque  non  italiani  ed  una  sola,
risalente, ascendente italiana), per cui la cittadinanza deve  essere
riconosciuta per mero effetto di tale tenue nesso. 
    Come e' stato ricordato, i ricorrenti Arnaldo Da  Silva  Almeida,
Hugo Rezende Da Silva Almeida, Joao Victor Baptista Santos  Da  Silva
Almeida, Eduardo Pereira De Carvalho,  Eduardo  Pereira  De  Carvalho
Filho, Joao Daniel, Samuel Castro De Melo Castro  De  Carvalho  Melo,
Samantha Ingrid Portella Bastos, Mariana Ingrid Gatto, Pedro Henrique
Almeida  Caetano  Caetano  Araujo,  Pedro  Henrique  Almeida  Caetano
Almeida Ferreira Dos Santos e Leonardo Castro De Carvalho  non  hanno
dedotto, ne' nel ricorso  ne'  nel  corso  della  trattazione,  alcun
legame ulteriore con l'Italia, salvo il legame di discendenza  da  un
solo ascendente, assai risalente nel tempo, fra  le  decine  di  loro
ascendenti. 
    Come si e' detto, richiesto espressamente da parte del giudice di
esporre la sussistenza di eventuali  legami,  connessioni  pregresse,
presenti o future con l'Italia, progetti legati al nostro  Paese,  il
difensore ha rappresentato in udienza che  tutti  i  ricorrenti  sono
stabilmente residenti in Brasile, di non sapere se i medesimi abbiano
mai soggiornato, neppure per brevi periodi in Italia, di  non  sapere
se qualcuno dei medesimi abbia una qualche  conoscenza  della  lingua
italiana, se abbiano mai avuto alcuna relazione con  la  cultura  del
nostro  paese,  di  non  sapere  se  qualcuno  dei  ricorrenti  abbia
effettiva intenzione di trasferirsi in Italia. 
    In conclusione, la disposizione di cui all'articolo 1 della legge
5 febbraio 1992, n. 91 presenta ad avviso di questo giudice manifesti
profili  di  verosimile  incompatibilita'  con  i   parametri   sopra
richiamati nella parte in cui non  prevede  alcun  limite,  potendosi
invece prevedere, ad esempio e fatta comunque salva l'ipotesi di  chi
sia apolide, limiti generazionali o temporali  (si  e'  suggerito  in
dottrina di tenere conto del piu' lungo  termine  di  oblio  previsto
nell'ordinamento, pari a venti anni, come per la prescrizione  per  i
piu' gravi reati e per l'usucapione dei beni immobili e  dei  diritti
reali immobiliari) oppure  che  il  discendente  e  i  suoi  genitori
abbiano soggiornato sul territorio nazionale.  Come  affermato  dalle
Sezioni Unite della  Corte  di  cassazione  «casi  di  perdita  della
cittadinanza discendenti dal venir meno di  criteri  di  collegamento
tra la persona e lo  Stato»,  «sono  al  giorno  d'oggi  teoricamente
ammissibili, e forse rispondenti a un significato piu' completo della
cittadinanza come tale, incentrato su una trama di rapporti  concreti
tra una persona e una comunita';  e  va  rammentato  che  sono  state
ritenute non  incompatibili  col  diritto  dell'Unione,  purche'  nel
rispetto dei limiti di proporzionalita'  e  purche'  sia  escluso  il
rischio  di  apolidia  (v.  C.  giust.  12-3-2019,   Tjebbes,   causa
C-221/17)» (Corte di cassazione  Sez.  U  n.  25317/2022,  cit.).  Un
ragionevole punto di equilibrio, diretto ad assicurare l'effettivita'
del legame con l'Italia, puo' essere individuato, ad avviso di questo
giudice, nel riconoscimento della cittadinanza iure  sanguinis  entro
il limite di due generazioni, salva la prova che uno degli ascendenti
o la persona interessata abbia vissuto in Italia per almeno due anni. 
    Il procedimento va sospeso. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 Legge costituzionale
1/1948 e 23 Legge n. 87 del 1953, Ritenuta  la  rilevanza  e  la  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'articolo 1 Legge 5 febbraio 1992,  n.  91  in  riferimento  agli
articoli 1 e 117 della Costituzione, quest'ultimo in  relazione  agli
obblighi internazionali e agli articoli 9  del  Trattato  sull'Unione
Europea e 20 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la
sospensione del giudizio; 
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti  e  al
Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  del
Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. 
    Bologna, 26 novembre 2024 
 
                         Il Giudice: Gattuso