N. 247 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 2024
Ordinanza del 26 novembre 2024 del Tribunale di Bologna nel
procedimento civile promosso da Arnaldo Da Silva Almeida e altri
contro Ministero dell'interno.
Cittadinanza - Riconoscimento della cittadinanza italiana in ragione
del criterio della discendenza (cosiddetto iure sanguinis) - Limiti
al riconoscimento della cittadinanza per discendenza - Omessa
previsione.
- Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), art.
1.
(GU n. 4 del 22-01-2025)
TRIBUNALE ORDINARIO
DI BOLOGNA
Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione
internazionale
e libera circolazione cittadini UE
Nella causa civile iscritta al n. r.g. 3080/2024 promossa da:
1. Arnaldo Da Silva Almeida;
2. Hugo Rezende Da Silva Almeida;
3. Joao Victor Baptista Santos Da Silva Almeida;
4. Eduardo Pereira De Carvalho;
5. Eduardo Pereira De Carvalho Filho;
6. Carolina in qualita' di genitore dei min. Joao Daniel e
Samuel; Castro De Melo Castro De Carvalho Melo;
7. Daniel Alves in qualita' di gen. dei min. Joao Daniel e
Samuel Castro De Melo De Melo;
8. Samantha Ingrid Portella Bastos;
9. Mariana Ingrid Gatto;
10. Rayza in qualita' di genitore del minore Pedro Henrique
Almeida Caetano Caetano Araujo;
11. Rodrigo in qualita' di genitore del minore Pedro Henrique
Almeida Caetano Almeida Ferreira Dos Santos;
12. Leonardo Castro De Carvalho tutti con l'avv. Cannizzaro
Antonia ricorrenti
contro Ministero interno resistente contumace.
Il pubblico ministero interveniente necessario.
Il Giudice dott. Marco Gattuso, a scioglimento della riserva
assunta in data 23 ottobre 2024 ha emesso la seguente
Ordinanza
1.
Con ricorso ai sensi dell'articolo 281-undecies c.p.c. depositato
il 1° marzo 2024 i ricorrenti hanno chiesto di «accertare e
dichiarare che - Arnaldo da Silva Almeida, nato in Brasile il 21
luglio 1965 e residente in Alameda Maues n. 20, cap 259560-20 Rio de
Janeiro, Hugo Rezende da Silva Almeida, nato in Brasile il 13
dicembre 1985 e residente in Alameda Maues n. 20, cap 259560-20 Rio
de Janeiro, João Victor Baptista Santos da Silva Almeida, nato in
Brasile il 18 aprile 2000 e residente in Alameda Maues n. 20, cap
259560-20 Rio de Janeiro, Eduardo Pereira de Carvalho, nato in
Brasile il 10 luglio 1962 e residente in Quadra n. 101 bloco E n.
302, Brasilia cap 72.583-400, Eduardo Pereira de Carvalho Filho, nato
in Brasile il 18 marzo 1986 e residente in quadra n. 201, lote n. 8,
bloco C n. 804, Brasilia, cap 71.937-40, Leonardo Castro de Carvalho,
nato in Brasile il 15 dicembre 1988 e residente in quadra n. 05, casa
n. 10, Brasilia cap 73030-053, Carolina Castro de Carvalho Melo, nata
in Brasile il 15 dicembre 1988, Joao Daniel Castro de Melo, nato in
Brasile il 13 novembre 2011 e Samuel Castro de Melo, nato in Brasile
il 14 marzo 2017 tutti residenti in QBR n. 07, bloco K n. 31, Santos
Dumot, Santa Maria, Brasilia cap 72594-011, Samantha Ingrid Portella
Bastos, nata in Brasile il 10 aprile 1972 residente in Estrada Uniao
e Industria n. 789, Rio de Janeiro cap 25715-131, Mariana Ingrid
Gatto, nata in Brasile il 23 giugno 1994 residente in Sinika 1A/05
Tallin cap 10613, Estonia, Rayza Caetano Araujo, nata in Brasile il
20 febbraio 1986 , Pedro Henrique Almeida Caetano, nato in Brasile il
10.100.2008, sono cittadini italiani dalla nascita in quanto
discendenti da cittadino italiano che ha validamente trasmesso la
cittadinanza italiana» e per conseguenza di «ordinare all'Ufficiale
di Stato Civile del Comune di Marzabotto (BO) quale Comune di nascita
dell'immigrante italiano, di procedere alle dovute annotazioni e
trascrizioni nei registri dello Stato Civile della popolazione di
Marzabotto (BO)».
La causa veniva assegnata al giudice e veniva fissata udienza al
16 ottobre 2024, tenuta in videoconferenza.
Il Ministero dell'interno non si costituiva a mezzo
dell'Avvocatura dello Stato, ne' il Pubblico Ministero interveniva in
giudizio nonostante la regolare comunicazione al medesimo.
All'udienza del 16 ottobre 2024 la difesa dei ricorrenti
rappresentava «che si tratta di persone discendenti da cittadina
italiana nata a Marzabotto nel 1874 senza alcuna interruzione della
linea di discendenza sicche' insiste per l'accoglimento delle
domande;
la difesa rappresenta altresi' che non e' stata preventivamente
richiesta la cittadinanza al Consolato brasiliano in quanto si tratta
di discendenza in linea materna;
rileva altresi' di avere depositato il certificato negativo di
naturalizzazione dell'ascendente;
su richiesta espressa del giudice, il difensore rappresenta che
tutti i ricorrenti sono stabilmente residenti in Brasile, nelle varie
circoscrizioni, fra cui San Paolo;
su richiesta espressa del giudice, il difensore rappresenta di
non sapere se i medesimi abbiano mai soggiornato, neppure per brevi
periodi in Italia, ma gli stessi hanno interesse al riconoscimento
della cittadinanza per ragioni affettive e anche perche' alcuni di
loro, ad esempio quelli piu' giovani, sono intenzionati
verosimilmente a venire qui per lavorare o per studiare; in
particolare la ricorrente Mariana Ingrid Gatto viaggia spesso per
lavoro e attualmente si trova in Portogallo per ragioni lavorative;
su richiesta espressa del giudice, il difensore rappresenta di
non sapere se qualcuno dei ricorrenti abbia effettiva intenzione di
trasferirsi in Italia, rilevando che la domanda trae origine da un
diritto di sangue, la stessa viene proposta per ragioni soprattutto
affettive, al di la' di specifici progetti di trasferimento in Italia
che, allo stato, non risultano al difensore».
A scioglimento della riserva, con ordinanza in data 18 ottobre
2024, dato atto della regolarita' della notifica e della mancata
costituzione della resistente ne veniva dichiarata la contumacia e la
causa veniva rinviata per nuova interlocuzione con la difesa dei
ricorrenti all'udienza del 23 ottobre 2024.
All'udienza del 23 ottobre 2024 il difensore ha rappresentato «di
avere contatti soprattutto con la ricorrente signora Mariana Ingrid
Gatto, la quale e' in grado di rispondere al difensore in lingua
italiana e si e' fatta portavoce degli altri parenti, sicche' il
difensore non sa riferire se gli altri conoscano la lingua; su
domanda del giudice, il difensore rappresenta che la signora non ha
frequentato, a quanto le risulta, corsi di italiano, ma il difensore
ha avuto scambi di e-mail con la stessa, pur non avendola mai
incontrata ne' avendo avuto scambi telefonici, e la stessa e' stata
in grado di mantenere tali contatti in italiano, facendosi come detto
portavoce degli altri, con cui il difensore non ha avuto rapporti
diretti».
Il Giudice ha rappresentato dunque al difensore delle parti
ricorrenti la propria intenzione di sollevare eccezione di
illegittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 1,
Legge Cittadinanza per sospetta incompatibilita' con i parametri di
cui agli articoli 1, 3, e 117 della Costituzione, con conseguente
necessita' di sospendere il giudizio in attesa della decisione della
Corte costituzionale e il difensore, dato atto, si riservava di
intervenire nel giudizio avanti alla Consulta.
La causa veniva posta in riserva.
2.
I ricorrenti sono tutti cittadini della Repubblica Federale del
Brasile, ivi residenti, che hanno richiesto il riconoscimento della
cittadinanza italiana in ragione del criterio della discendenza, cd.
jure sanguinis, rilevando d'essere discendenti diretti di Letizia
Moretti, cittadina italiana, nata in Marzabotto (BO) il 27 aprile
1874.
La stessa e' emigrata in Brasile ove ha vissuto tutta la vita,
sino alla morte avvenuta nel 1976 all'eta' di 102 anni, mantenendo
anche la cittadinanza italiana, non avendola mai rinunciata.
La stessa nel 1911 ha sposato il cittadino brasiliano Jose'
Pereira de Carvalho Filho da cui ha avuto tre figlie: Elzira Pereira
de Carvalho, nata il 6 giugno 1922, Maria Pereira de Carvalho, nata
il 5 giugno 1931 e Ernestina Pereira de Carvalho, nata il 13 agosto
1953.
I dodici ricorrenti, dunque, in proprio o quali rappresentanti
legali dei figli minori, hanno richiesto al tribunale, nella loro
qualita' di figli o di nipoti delle tre figlie della cittadina
italiana Letizia Moretti, dunque suoi nipoti o pronipoti, il
riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza dalla
medesima.
2.1.
Dalla documentazione prodotta in atti deve desumersi che e' certo
che Letizia Moretti sia stata cittadina italiana e che la stessa sia
ascendente diretta di tutti i ricorrenti.
In seguito ad istruttoria consistita in interlocuzione con la
difesa dei ricorrenti, deve assumersi che i dodici ricorrenti vivano
in Brasile, che non abbiano mai soggiornato sul territorio italiano,
ne' e' stato allegato che alcuno di loro sia mai venuto in Italia
neppure per brevi visite, ne' e' stato dedotto che alcuno di loro
conosca la lingua italiana, salvo una ricorrente in grado di
rispondere ad alcune e-mail inviate dal difensore.
In buona sostanza, i medesimi, fatta salva la cittadinanza
italiana di una fra i loro antenati, non presentano alcun ulteriore
collegamento con l'Italia.
Richiesti, per il tramite del difensore, sui loro progetti
futuri, gli stessi non hanno evidenziato alcun progetto concreto in
relazione a futuri soggiorni in Italia.
3.
Sono pacifiche la competenza territoriale del Tribunale adito
(cfr. l'articolo 4, comma 5, del decreto legge 17 febbraio 2017, n.
13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46,
come modificato dall'articolo 1 comma 36, legge delega n. 206/2021,
per cui «Quando l'attore risiede all'estero le controversie di
accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate
avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o
dell'avo cittadini italiani»), nonche' la natura monocratica della
controversia (cfr. l'articolo 3 comma 4 del decreto legge 17 febbraio
2017, n. 13 cit, secondo il quale «salvo quanto previsto dal comma
4-bis, in deroga a quanto previsto dall'articolo 50-bis, primo comma,
numero 3), del codice di procedura civile, nelle controversie di cui
al presente articolo il tribunale giudica in composizione
monocratica»).
La procura alle liti e' regolare, cosi' com'e' regolare e
tempestiva la notifica, sicche' e' stata dichiarata la contumacia
della resistente.
L'azione appare legittimamente promossa anche con riguardo ai
figli minorenni pur in carenza di autorizzazione del giudice tutelare
ai sensi dell'articolo 320 c.c., atteso che l'atto compiuto in nome e
per conto del figlio deve essere ritenuto di ordinaria
amministrazione poiche' mira a conservare e/o procurare un vantaggio
o a evitare una perdita al patrimonio del minore e non appare
suscettibile di arrecare pregiudizio o diminuzione del suo patrimonio
(cfr. Corte di cassazione Sez. 2, Sentenza n. 743 del 19 gennaio
2012, per cui «in tema di rappresentanza processuale del minore,
l'autorizzazione del giudice tutelare ex articolo 320 cod. civ. e'
necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione
straordinaria, che possono cioe' arrecare pregiudizio o diminuzione
del patrimonio e non anche per gli atti diretti al miglioramento e
alla conservazione dei beni che fanno gia' parte del patrimonio del
soggetto incapace») e non potendosi dubitare che la richiesta di
riconoscimento di una cittadinanza (peraltro azione dichiarativa)
rientri tra gli atti vantaggiosi per il minore.
Si deve pure osservare come non abbia rilievo dirimente la
circostanza che nella specie i ricorrenti non abbiano adito
preliminarmente l'Amministrazione, presentando formale richiesta di
riconoscimento della cittadinanza italiana presso il Consolato
Generale d'Italia territorialmente competente, poiche' indubbiamente
non vi e' alcuna pregiudiziale amministrativa vertendosi in materia
di accertamento di un diritto o status soggettivo (sul doppio
binario, amministrativo e giurisdizionale, per il riconoscimento
dello stato di apolidia, cfr. S.U. 9 dicembre 2008 n. 28873,
richiamata in relazione alla cittadinanza iure sanguinis da Corte di
cassazione Sez. U, Sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009).
Si potrebbe porre, invece, il tema dell'interesse ad agire, che
nel caso di specie e' nondimeno superato in concreto, essendo fatto
notorio che presso i consolati italiani in Brasile, le liste di
attesa per il primo esame della domanda di cittadinanza superano
anche i 10 anni, sicche' non puo' negarsi l'interesse delle parti
ricorrenti ad agire in giudizio.
4.
Si deve osservare, ancora in via preliminare, come lo schema
relativo all'acquisto della cittadinanza sia stato di recente esposto
in modo compiuto dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, per
cui «la risultante di un tale schema e' molto semplice. La
cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario. Lo
status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente ed e'
imprescrittibile. Esso e' giustiziabile in ogni tempo in base alla
semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita
da cittadino italiano. Donde la prova e' nella linea di trasmissione.
Resta salva solo l'estinzione per effetto di rinuncia (v. gia' Cass.
Sez. U n. 4466-09). Ne segue che, ove la cittadinanza sia rivendicata
da un discendente, null'altro - a legislazione invariata - spetta a
lui di dimostrare salvo che questo: di essere appunto discendente di
un cittadino italiano; mentre incombe alla controparte, che ne abbia
fatto eccezione, la prova dell'evento interruttivo della linea di
trasmissione» (Corte di cassazione Sez. U, Sentenza n. 25317 del 24
agosto 2022; v. anche 24 agosto 2022, n. 25318).
Come si e' detto, dall'esame dei documenti depositati in atti si
rileva la discendenza ininterrotta dei ricorrenti dalla cittadina
italiana sopra indicata, sicche' non puo' dubitarsi della ricorrenza
dei presupposti, «a legislazione invariata», dell'acquisizione da
parte dei medesimi della cittadinanza iure sanguinis.
Dall'esame della documentazione non emerge invero che i diversi
ascendenti abbiano mai rinunziato alla cittadinanza italiana, ne' una
rinuncia tacita puo' desumersi per effetto della cd. grande
naturalizzazione del 1880, la quale come noto prevedeva un onere
degli italiani dell'epoca, emigrati in Brasile, di manifestare il
proprio dissenso al decreto di naturalizzazione onde conservare la
cittadinanza italiana, ne' puo' assumersi che il silenzio serbato,
unitamente alla residenza o alla stabilizzazione di vita all'estero,
potesse ricevere valore di consenso.
A tale riguardo le SSUU hanno rilevato di recente che «il diritto
di cittadinanza appartiene al novero dei diritti fondamentali, e non
si addice ai diritti fondamentali l'estensione automatica di
presunzioni che, come quelle dettate da un comportamento
asseritamente concludente di ordine puramente negativo, possono
assumere - a certe condizioni di legge - normale rilievo nel distinto
settore dei diritti patrimoniali». Ne consegue che «la perdita della
cittadinanza puo' derivare solo da un atto consapevole e volontario,
espresso in modo lineare al fine di incidere direttamente su un
rapporto che, come quello sottostante, corrisponde a un diritto di
primaria rilevanza costituzionale ed e' contraddistinto da effetti
perduranti nel tempo» sicche' «la perdita della cittadinanza italiana
non puo' dirsi perfezionata da una qualche forma di accettazione di
quella straniera, impartita per provvedimento generalizzato di
naturalizzazione, desunta dal semplice silenzio, in quanto, in
ossequio alla liberta' individuale, la perdita della cittadinanza
italiana non si puo' verificare se non per effetto di un atto
volontario ed esplicito». La Corte di cassazione ha dunque concluso
che «l'istituto della perdita della cittadinanza italiana,
disciplinato dal codice civile del 1865 e dalla legge n. 555 del
1912, ove inteso in rapporto al fenomeno di cd. grande
naturalizzazione degli stranieri presenti in Brasile alla fine
dell'Ottocento, implica un'esegesi restrittiva delle norme afferenti,
nell'alveo dei sopravvenuti principi costituzionali, essendo quello
di cittadinanza annoverabile tra i diritti fondamentali; in questa
prospettiva l'articolo 11, n. 2, cod. civ. 1865, nello stabilire che
la cittadinanza italiana e' persa da colui che abbia «ottenuto la
cittadinanza in paese estero», sottintende, per gli effetti sulla
linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti
il compimento, da parte della persona all'epoca emigrata, di un atto
spontaneo e volontario finalizzato all'acquisto della cittadinanza
straniera - per esempio integrato da una domanda di iscrizione nelle
liste elettorali secondo la legge del luogo -, senza che l'aver
stabilito all'estero la residenza, o anche l'aver stabilizzato
all'estero la propria condizione di vita, possa considerarsi
bastevole, unitamente alla mancata reazione al provvedimento
generalizzato di naturalizzazione, a integrare la fattispecie
estintiva dello status per accettazione tacita degli effetti di quel
provvedimento» (Corte di cassazione Sez. U, Sentenza n. 25317 del
2022 cit.).
E' parimenti del tutto pacifico che il criterio della discendenza
vada applicato, ai fini della cittadinanza, anche in linea femminile
anche per vicende che traggono origine ad epoca antecedente alla
Carta costituzionale, come lungamente rappresentato dalla difesa dei
ricorrenti nel ricorso e da tempo pacificamente riconosciuto dalla
giurisprudenza, sicche' per opportuna concisione della presente
motivazione sul punto viene omessa ogni ulteriore indicazione (cfr.
Corte Costituzionale, sentenze 16 aprile 1975 n. 87 e 9 febbraio 1983
n. 30; Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 6297 del 10 luglio
1996, Sez. 1, Sentenza n. 10086 del 18 novembre 1996, Sez. U,
Sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009).
5.
Cio' posto, come espressamente rappresentato all'udienza del 23
ottobre 2024, si deve tuttavia rilevare d'ufficio la sussistenza di
seri dubbi in ordine alla compatibilita' dell'articolo 1 della legge
5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza) nella parte
in cui prevedendo che «E' cittadino per nascita: a) il figlio di
padre o di madre cittadini» non pone alcun limite al riconoscimento
della cittadinanza italiana per discendenza, coi parametri desumibili
dagli articoli 1, secondo comma, 3 e 117 della Costituzione.
La rilevanza della questione ai fini della decisione nel presente
processo e' evidente, atteso che i 12 ricorrenti risultano privi di
qualsiasi legame con l'Italia, fatto salvo il legame di sangue con
l'ascendente valorizzato senza limiti dal menzionato articolo 1 della
legge 5 febbraio 1992, n. 91.
Per tutte le ragioni illustrate in dettaglio nei paragrafi che
seguono, la questione di incostituzionalita' dell'articolo 1 della
legge 5 febbraio 1992, n. 91 dunque non appare manifestamente
infondata in riferimento ai parametri di cui agli articoli 1,
secondo comma, 3 e 117 della Costituzione, i quali, come si vedra',
presuppongono una nozione di «cittadinanza» e una nozione di «popolo»
incompatibili con la detta disposizione ed avuto riguardo ai principi
derivati dall'ordinamento internazionale e dagli articoli 9, del
Trattato sull'Unione Europea e 20 del Trattato sul Funzionamento
dell'Unione Europea.
6.
La cittadinanza e' uno status soggettivo che sta ad indicare
l'appartenenza dei cittadini ad una comunita' statuale e comporta una
serie di diritti riconosciuti e garantiti dalla legge.
La Corte costituzionale l'ha qualificata quale «stato giuridico
costituzionalmente protetto e che importa una serie di diritti nel
campo privatistico e pubblicistico e inoltre, in particolare, diritti
politici» (Corte costituzionale, sentenza 9 aprile 1975 n. 87, § 2,
Considerato in diritto).
Com'e' noto, all'acquisto o riconoscimento dello status di
cittadino conseguono, tradizionalmente, diversi, notevoli, effetti
giuridici: il cd status activae civitatis, con obblighi di natura
politica e obblighi militari; il dovere di fedelta', mentre allo
straniero compete un mero dovere di obbedienza; il diritto di
incolato, mentre gli stranieri, salvo il necessario rispetto del
principio di non refoulement, possono essere espulsi; l'applicazione,
quale criterio generale seppure con deroghe, della legge nazionale
nei rapporti personali; il diritto alla protezione diplomatica.
In disparte dall'individuazione dei singoli effetti o contenuti
dello status di cittadinanza, e' indubbio inoltre che l'effettiva
natura giuridica della cittadinanza vada individuata nella sua
qualita' costitutiva dell'elemento personale della comunita'
nazionale e dello Stato. La Corte costituzionale ha rilevato al
riguardo «l'essere il cittadino parte essenziale del popolo o, piu'
precisamente, il «rappresentare, con gli altri cittadini, un elemento
costitutivo dello Stato» (Corte costituzionale, sentenza 10-24
febbraio 1994 n. 62, § 4. Considerato in diritto).
La cittadinanza, difatti, identifica l'elemento costitutivo del
popolo, cui la Carta costituzionale riconosce, all'articolo 1, la
sovranita' (cfr. anche gli articoli 71, 101 e 102, terzo comma Cost.
per cui «il popolo esercita l'iniziativa delle leggi», la giustizia
«e' amministrata in nome del popolo» e la legge regola la
«partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della
giustizia»; la nozione di popolo e' inoltre richiamata indirettamente
agli articoli 11, gli «altri popoli», e 75, «referendum popolare»). A
questi si aggiungono gli articoli che riconoscono diritti o doveri ai
«cittadini» e di cui si dira' in seguito piu' in dettaglio. La
cittadinanza e' il criterio che consente di distinguere il «popolo»
rispetto agli altri popoli e alla popolazione comunque abitante o
solo presente sul territorio nazionale. Nel nostro ordinamento
costituzionale, il fondamento giuridico della cittadinanza coincide,
dunque, con l'elemento personale dell'ordinamento e con il concorso
nella determinazione della volonta' dello Stato.
Com'e' noto, lo ius sanguinis, o criterio della filiazione o
della discendenza, rappresenta tradizionalmente e nell'attuale quadro
normativo il criterio privilegiato per il riconoscimento della
cittadinanza. Lo stesso affonda le radici nel diritto romano, e ancor
prima nella tradizione greca, ed e' giunto a noi pressoche'
inalterato, salva l'estensione alle forme di filiazione diverse dalla
discendenza genetica e alla discendenza in linea femminile.
A questo riguardo e' stato osservato che «l'ordinamento giuridico
italiano mantiene per tradizione un approccio conservatore, senza
alterazioni sostanziali rispetto al prevalente criterio di
acquisizione della cittadinanza iure sanguinis, praticamente immutato
fin dal cod. civ. del 1865 secondo un impianto ereditato prima dalla
l. n. 555 del 1912 e poi dalla attuale l. n. 91 del 1992» (Corte di
cassazione, Sentenza n. 25317 del 24/08/2022, cit.).
Gli altri criteri (ius soli, ius communicatio e per beneficio
della legge) rappresentano nel complesso vicende eccezionali o
comunque minoritarie rispetto all'impianto tradizionale centrato
sulla discendenza da genitore o genitrice con cittadinanza italiana.
Il principio di discendenza non e', tuttavia, fine a se' stesso,
ma nell'intenzione del legislatore e' diretto ad assicurare la
continuita' della comunita' nazionale, posto che, come osservato da
autorevole, seppur risalente, dottrina, «l'ideale a cui si ispira il
nostro legislatore e' che tutti coloro (e soltanto coloro) che
presentano i dati di lingua, di razza, di religione, di sentimenti
che sono propri degli appartenenti alla Nazione italiana abbiano la
cittadinanza del nostro Stato».
7.
Prima di procedere all'analisi del quadro normativo, anche
costituzionale, occorrono alcune premesse di fatto, posto che nella
materia de qua i dubbi di compatibilita' della legislazione ordinaria
con i parametri costituzionali discendono dalla conoscenza, anche
statistica, della realta' sociale su cui tale disciplina incide.
L'Italia e', dopo la Cina, il secondo paese al mondo per numero
di emigrati. Il criterio prevalente della discendenza, o iure
sanguinis, si applica nel caso italiano all'indomani di un movimento
migratorio di eccezionali dimensioni, che in 120 anni ha condotto
circa 30 milioni di persone a lasciare l'Italia e per almeno una
meta' di queste a non farvi piu' ritorno, stabilendosi dunque
definitivamente all'estero. Rivolgendosi ai parlamentari di origine
italiana riuniti per la prima volta a Montecitorio il 20 novembre
2000, l'allora presidente della Camera Luciano Violante ricordava che
«in un secolo dal 1870 al 1970, 27 milioni di italiani si sono recati
all'estero prendendo la via dell'emigrazione. Questa cifra
corrisponde alla totalita' della popolazione italiana del secolo
scorso e a circa la meta' di quella attuale. Oggi, 60 milioni di
persone di origine italiana vivono al di fuori dell'Italia, dunque
piu' di quanti non siano gli italiani che vivono in Italia». Secondo
l'ultima rilevazione ufficiale reperita, del Ministero Affari Esteri
del 1994, in quell'anno la popolazione all'estero discendente da
almeno un antenato italiano era pari a 58 milioni e mezzo, a fronte
di una popolazione sul territorio nazionale pari a 56.778.031
(censimento del 1991, che peraltro ha ad oggetto non i soli
cittadini, ma tutti i residenti).
Non sono noti i dati relativi al numero di domande attualmente
pendenti presso i Consolati all'estero (il Ministero Affari Esteri
riferiva nel 2007 di circa 800.000 procedimenti amministrativi),
oltre che presso i Comuni e presso i tribunali, pur essendo noto che
tutti tali uffici, amministrativi e giudiziari, soffrono di un numero
spropositato di pendenze (in un recente convegno il Presidente del
tribunale di Venezia ha rappresentato che nel 2024 addirittura il 73%
di tutte le cause civili iscritte in quel tribunale ha ad oggetto
l'accertamento della cittadinanza iure sanguinis). Cio' che e' certo,
e' che decine di milioni di persone sono, secondo le disposizioni
vigenti, cittadini italiani in attesa di riconoscimento.
Si e' detto che l'Italia e', dopo la Cina, il Paese del mondo la
cui popolazione e' piu' emigrata all'estero. Se si confronta,
tuttavia, il numero di emigrati con il numero di abitanti, in Italia
assai inferiore alla Cina, si rileva come l'Italia rappresenti in
verita' da questo punto di vista non solo il primo paese al mondo, ma
un caso del tutto originale e unico nel panorama globale, posto che
gli almeno 60 milioni di discendenti da emigrati italiani residenti
all'estero addirittura raggiungono e superano la stessa popolazione
in patria.
L'Italia e', per altro verso, uno dei pochi ordinamenti in cui
non vi e' alcun limite al riconoscimento della cittadinanza per
discendenza, o iure sanguinis.
Nel quadro desumibile dalla regolamentazione con legge ordinaria
non sembra emergere difatti alcun limite alla discendenza, ne' vi e'
un limite temporale per richiedere il riconoscimento della
cittadinanza. La stessa viene riconosciuta senza limite a tutte le
generazioni di futuri discendenti, senza che sia richiesto alcun
collegamento ulteriore con il paese.
Mentre in altri ordinamenti sono stati adottati dei meccanismi di
progressiva desuetudine, di talche' il diritto e' limitato alle prime
generazioni o e' richiesto che il richiedente abbia soggiornato negli
ultimi anni o per un certo periodo sul territorio, il criterio della
discendenza e', in Italia, assoluto.
Brevemente e in via approssimativa, a quanto risulta e salvo
approfondimento da parte della stessa Corte costituzionale, puo'
dirsi che negli ordinamenti giuridici dei paesi con civilta'
giuridica affine alla nostra, il diritto di acquisire la cittadinanza
iure sanguinis e' solitamente ammesso solo se il genitore l'aveva
richiesta e l'aveva effettivamente ottenuta;
nel Regno Unito i minori possono avere diritto alla cittadinanza
per registrazione se uno dei genitori, cittadino per discendenza,
abbia vissuto sul territorio nazionale per un periodo prima della
nascita; in Irlanda e Portogallo vige il limite della seconda
generazione; fra i paesi che danno prevalenza allo ius soli: in
Canada la cittadinanza per discendenza e' limitata a una generazione
nata al di fuori del paese; negli Stati Uniti d'America la Sezione
301(c) del Nationality Act del 1952 estende la nazionalita'
automatica alla nascita per i bambini nati all'estero da due genitori
cittadini statunitensi, a condizione che uno dei genitori abbia
risieduto per un certo periodo negli Stati Uniti e la Sezione 301(g)
stabilisce che per ottenere la nazionalita' automatica per un bambino
nato all'estero da un cittadino e uno straniero, e' necessaria anche
la residenza negli Stati Uniti o nei suoi possedimenti; in Israele la
cittadinanza per discendenza e' limitata alla prima generazione nata
all'estero, mentre coloro che sono nati all'estero nella seconda
generazione e non sono altrimenti idonei secondo la Legge del Ritorno
possono richiedere un conferimento di cittadinanza soggetto
all'approvazione discrezionale del governo. A quanto risulta, ad
eccezione di alcuni ordinamenti che l'ammettono, o l'hanno ammessa in
passato, per situazioni specifiche (come nel caso: della Legge
Fondamentale tedesca che all'articolo 116, paragrafo 2 l'ammette per
gli ex cittadini tedeschi privati della loro cittadinanza a causa di
«motivazioni politiche, razziali o religiose» nel periodo compreso
tra il 30 gennaio 1933 e l'8 maggio 1945;
della legge spagnola che consente agli individui che possono
dimostrare di discendere dagli ebrei sefarditi esiliati nel 1492 a
seguito del Decreto di Alhambra e che possono mostrare un «legame
speciale» con la Spagna di fare domanda per la doppia cittadinanza;
della Legge del Ritorno Ebraico che consente ai discendenti degli
ebrei portoghesi espulsi durante l'Inquisizione di diventare
cittadini portoghesi se «appartengono a una comunita' sefardita di
origine portoghese con legami con il Portogallo»; della disciplina
che prevede il diritto di ritorno per i finlandesi etnici provenienti
dall'ex Unione Sovietica), l'Italia parrebbe in effetti uno dei
rarissimi casi di riconoscimento del legame di sangue senza limiti
generazionali (insieme, a quanto e' noto, a Bulgaria, Armenia,
Croazia, Lituania...).
La scelta italiana di non porre alcun limite e' conseguenza di un
favor per i discendenti degli emigrati italiani, che trova le radici
in politiche di sostegno degli italiani all'estero che hanno animato
le forze politiche in un'epoca che non conosceva la facilita' di
trasporti e di comunicazione anche digitale dell'era attuale.
Tale scelta conduce oggi a nuove prospettive, posto che la, a suo
tempo imprevedibile, facilita' di comunicazione grazie alla rete
consente oggi a tale amplissima platea di accedere effettivamente a
mezzi idonei per ottenere l'accertamento dello status, anche sulla
spinta delle reiterate e gravissime crisi economiche che hanno
investito molti dei paesi d'origine.
L'inerzia e la condizione di stallo dei consolati all'estero, che
sovente non sono in grado di offrire un'adeguata risposta, se non
dando un primo appuntamento solo ad oltre dieci-dodici anni dalla
presentazione della domanda (le cronache hanno riferito negli anni
scorsi di incetta e rivendita di appuntamenti da parte dei cd.
coleros e di veri e propri racket di agenzie di intermediazione),
conduce ad una esplosione di ricorsi giurisdizionali depositati
direttamente in Italia da chi e' in grado di affrontare una difesa
tecnica in un altro continente, con una evidente discriminazione su
base economica.
Non va neppure sottovalutato che il riconoscimento senza limiti
della cittadinanza iure sanguinis assume oggi un'ulteriore
connotazione in ragione dell'esplosione del fenomeno delle
naturalizzazioni di cittadini stranieri residenti in Italia, in
aumento e gia' nell'ordine di diverse centinaia di migliaia, posto
che apre in prospettiva alla possibilita' di acquisizione della
cittadinanza per i loro discendenti nati e residenti all'estero,
senza alcun limite e persino nell'ipotesi in cui l'ascendente sia nel
contempo ritornato nel paese di nascita.
Risulta da un noto studio empirico che la grande maggioranza dei
richiedenti, che presentano fra tutti i propri avi anche un solo,
lontano, emigrato italiano, non soltanto sono privi di alcun contatto
culturale o linguistico con il paese, ma sono interessati alla
cittadinanza in prospettiva non di un piu' saldo contatto con
l'Italia ma di un trasferimento in altri paesi dell'Unione europea
(il 60% degli italiani residenti in Spagna e' nato in un continente
diverso dall'Europa; gli italiani nati in America latina
rappresentano oggi il 78% dei cittadini italiani residenti nella
circoscrizione di Barcellona) o negli Stati Uniti d'America, dove dal
1986 i cittadini italiani sono esentati dal visto (la letteratura
riferisce di controlli piu' stringenti alla frontiera statunitense
per gli italiani «nati all'estero»).
La rappresentazione della realta' in mutamento, su cui la Corte
costituzionale, ove lo riterra' opportuno, potra' assumere ulteriori
informazioni con ben altri mezzi, non e' in questo caso mera
digressione ma, come si vedra', contribuisce a dare fondamento al
sospetto di incostituzionalita' del criterio «puro» e senza limiti
della discendenza o filiazione.
Il doppio presupposto - estensione esorbitante della platea dei
soggetti interessati al riconoscimento; mancanza di limiti
nell'applicazione del criterio della discendenza -, unito alla
facilita' di accesso, grazie a internet, alle informazioni e alle
procedure, pone oggi diversi problemi in relazione a due ambiti
giuridici: la compatibilita' con il quadro costituzionale nel suo
complesso, in particolare con la stessa definizione della nozione di
«popolo», che insieme alle nozioni di territorio e di sovranita'
concorre a comporre la stessa nozione di «Repubblica», e, per altro
verso, la delicata questione della compatibilita' con gli obblighi
internazionali, tanto di natura piu' lata che derivati dall'adesione
all'Unione Europea.
Entrano dunque in gioco questioni di compatibilita' dell'attuale
quadro normativo derivato dall'articolo 1, primo comma lettera a)
della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, per cui «E' cittadino per
nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini», con i parametri
desumibili dal complessivo quadro costituzionale e, piu' in
particolare, dagli articoli 1, secondo comma, 3 e 117 della
Costituzione.
8.
E' noto l'ampio dibattito sulle nozioni di cittadinanza e di
popolo, posto che le stesse tradizionalmente concorrono, insieme
all'elemento territoriale e alla sovranita', alla determinazione
della stessa nozione di Stato. Per altro verso, le nozioni di
cittadinanza e, dunque, di popolo, a loro volta sono determinate
dallo stesso ordinamento giuridico. Sono dunque elementi logicamente
anteriori allo Stato, sono elementi originari dello Stato, eppure
sono determinati da questo, posto che il loro contenuto deriva dallo
stesso ordinamento giuridico e trova ivi la propria regolamentazione.
La dottrina piu' autorevole ascrive senz'altro la cittadinanza
alla materia costituzionale.
Cosi' e' nella tradizione giuridica occidentale, sin dalla
Costituzione francese del 1791 e in numerose costituzioni, le quali
contengono principi generali in materia, e cosi' e' nel nostro
ordinamento costituzionale, in ragione del fatto che, per un verso,
la cittadinanza svolge un ruolo fondamentale nell'organizzazione
dello Stato e che, per altro verso, numerose disposizioni della Carta
costituzionale rimandano a tale nozione.
La Costituzione italiana non contiene, tuttavia, disposizioni
specifiche in materia di cittadinanza, ne' garantisce un vero e
proprio diritto alla cittadinanza (Corte costituzionale, ordinanza
20-27 aprile 1988 n. 490), preoccupandosi semplicemente di prevedere
all'articolo 22 che «Nessuno puo' essere privato per motivi politici
(...) della cittadinanza (...)».
D'altro canto, la Carta costituzionale oltre che occuparsi
direttamente della cittadinanza all'articolo 22, individua
all'articolo 48 nei «cittadini», uomini e donne, di maggiore eta' i
titolari del diritto costituzionale alla partecipazione politica e
indica in piu' disposizioni la cittadinanza quale requisito di
eleggibilita' e per l'esercizio di funzioni o compiti pubblici (artt.
51, primo comma; 56, terzo comma; 58 primo comma, 59 secondo comma,
84, primo comma; 135 ultimo comma), menzionando quindi i cittadini in
numerose ulteriori disposizioni che garantiscono diritti
costituzionali, per alcune delle quali e' peraltro, come noto, ormai
consolidata in via interpretativa l'estensione alla persona umana a
prescindere dallo status di cittadino (ex multis Corte
costituzionale, sentenze n. 120 del 1962, n. 104 del 1969). Fra tutte
le disposizioni che rinviano allo status di cittadino,
particolarissimo rilievo assume, infine, l'articolo 54, per cui
«tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e
di osservarne la Costituzione e le leggi».
Come si desume dai lavori dell'Assemblea costituente, ragioni di
convenienza ed opportunita' hanno sconsigliato l'inserimento in
Costituzione di una disciplina articolata, complessa ed esposta a
frequenti mutamenti sociali. La scelta di non inserire nella Carta
costituzionale una disciplina completa sui modi di acquisto, di
perdita e di riacquisto della cittadinanza e' giudicata comunemente
opportuna, in ragione della necessaria flessibilita', funzionale ad
un continuo adeguamento ad una realta' sociale in mutamento. Tale
scelta appare vieppiu' opportuna alla luce della repentina
trasformazione del nostro Paese, durante la vigenza della
Costituzione, da uno dei paesi a piu' forte emigrazione, a paese di
immigrazione. La inversione della direzione dei flussi migratori ha
generato come noto nuovi interrogativi sulla stessa latitudine della
nozione di cittadinanza e di popolo.
La scelta del legislatore costituente di non regolamentare ma di
dare per presupposte le nozioni di cittadinanza e di popolo appare,
dunque, opportuna e felice. E' invece discusso in dottrina se, in una
materia cosi' fondamentale, sia effettivamente conveniente il rinvio
operato dal Costituente al processo legislativo ordinario,
assumendosi da parte di alcuni che lo stesso non assicurerebbe
adeguata garanzia.
Cio' non toglie che le nozioni di cittadinanza e di popolo siano
presupposte dalla Costituzione, svolgano una funzione fondamentale
per la tenuta dell'ordinamento costituzionale e trovino dunque
senz'altro nella Carta costituzionale un nucleo di principi cui il
legislatore ordinario deve necessariamente adeguarsi.
La necessita' di adeguamento del tessuto normativo ai principi
costituzionali non e' soltanto originaria, ma puo' conseguire, in
particolar modo in questa fondamentale materia, dalla necessita' di
adattare le norme al mutato contesto sociale. Com'e' stato osservato,
il rinvio alla legge ordinaria presenta in effetti un risvolto
positivo, in quanto consente un controllo continuo sulla rispondenza
di tali norme all'evoluzione dell'ordinamento e della realta'
sociale.
La flessibilita' voluta dal Costituente annuncia dunque un
costante adeguamento delle disposizioni della legislazione ordinaria
al mutare della realta' del paese e impone un controllo di
costituzionalita' anche quando il Legislatore non sia intervenuto a
adeguare la legge ordinaria ai dati che emergono dall'analisi sociale
e statistica.
9.
La disposizione di cui all'articolo 1, primo comma lettera a)
della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, per cui «E' cittadino per
nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini», collide
innanzitutto con l'articolo 1, secondo comma della Costituzione, il
quale dispone che «la sovranita' appartiene al popolo».
Tale incipit della Carta costituzionale annuncia, come in una
sorta di preambolo, il fondamento del principio di democraticita'
della nuova Repubblica. Com'e' noto, il carattere originario della
sovranita' fu evidenziato, dopo ampio dibattito in sede costituente,
con la sottolineatura che la sovranita' non solo «emana» o «deriva»
dal popolo, ma le «appartiene», con cio' evidenziandosi la stretta
coincidenza fra popolo e sovranita', che non viene mai trasferita ad
altri, ma, seppure esercitata nelle forme e nei limiti della
Costituzione, resta sempre in capo al popolo.
Com'e' noto, la disposizione di cui all'articolo 1 Cost. e' stata
tradizionalmente oggetto di attento esame soprattutto sotto il
profilo delle condizioni, delle garanzie e dei limiti dell'esercizio
della sovranita' popolare. Tale disposizione, in saldatura con
l'articolo 48, primo comma, costituisce invero la base del principio
democratico.
La presente eccezione trae motivo, invece, dal, meno studiato,
tema delle condizioni e dei limiti per il riconoscimento
dell'appartenenza al «popolo», dovendosi verificare se, alla luce
delle condizioni storiche determinate dal piu' rilevante fenomeno
migratorio dalla storia recente e dal fenomeno della globalizzazione,
con il portato della facilita' dei trasporti e delle comunicazioni
per mezzo della rete, il riconoscimento della cittadinanza a decine
di milioni di persone prive di effettivo collegamento con l'Italia
possa costituire una inammissibile alterazione della stessa nozione
di popolo su cui si fonda l'ordinamento costituzionale.
La cittadinanza concreta, innanzitutto, un diritto politico e un
diritto umano fondamentale di partecipare, sulla scorta del principio
democratico, al governo della societa' in cui si vive. I diritti di
partecipazione politica vengono generalmente considerati come il
nocciolo duro della categoria della cittadinanza.
Come si e' detto, la Costituzione, pur affermando che la
sovranita' «appartiene al popolo» non fornisce tuttavia alcuna
definizione dello stesso. Tale nozione fondamentale e', dunque,
presupposta. A sua volta, e' evidente che la cittadinanza e'
requisito fondamentale per la definizione del popolo.
I criteri di riconoscimento, di perdita e di riacquisto della
cittadinanza contribuiscono evidentemente alla definizione del
popolo, posto che solo chi ha cittadinanza italiana e' parte del
popolo. A sua volta il «popolo» e' il fondamento dello Stato. La
sovranita', infatti, «appartiene al popolo» e la stessa Costituzione
e' espressione di tale sovranita' originaria. Dunque, i criteri di
riconoscimento della cittadinanza, pur non essendo
costituzionalizzati, evidentemente per consentire la menzionata
flessibilita' ed apertura al mutare delle condizioni storiche, sono
sicuramente essenziali dal punto di vista della Costituzione. Questa
non definisce le nozioni di popolo e di cittadinanza, ma le
presuppone come nozioni fondamentali, il che apre senz'altro alla
necessita' di un controllo di costituzionalita' rispetto alle fonti
di rango inferiore che contribuiscono alla loro definizione.
In particolare, e' pacifica la sussistenza di una riserva di
legge statale, quale si desume oltre che dal complessivo impianto
costituzionale anche dal disposto di cui all'articolo 117, secondo
comma lettera i) Cost. (per cui lo Stato ha legislazione esclusiva in
materia di cittadinanza) e, indirettamente, anche dall'articolo 51,
secondo comma Cost. (per cui la legge puo' parificare per determinati
fini ai cittadini «gli italiani non appartenenti alla Repubblica»,
dal che si desume che a maggior ragione e' la legge a determinare i
criteri discretivi fra loro). Si e' segnalato in dottrina il
collegamento fra dovere di fedelta' (articolo 54) e dovere di
solidarieta' sociale (artt. 2) quale ulteriore base costituzionale di
una vera e propria riserva rafforzata di legge implicita,
evidenziando come la materia dei modi di acquisto, perdita e
riacquisto della cittadinanza sia necessariamente impostata sulla
valutazione di compatibilita'/incompatibilita' con il dovere di
fedelta' alla Repubblica. Per altro verso, se la Costituzione
assicura uno specifico patrimonio di diritti e doveri a chi e'
cittadino, appare manifesto il rilievo costituzionale di tale ultima
nozione.
Si deve ritenere che sia ugualmente manifesta la sussistenza di
principi e limiti di natura costituzionale che segnano l'ambito entro
il quale deve muoversi la discrezionalita' del legislatore ordinario
nella materia della cittadinanza e dei suoi riflessi sulla stessa
nozione di popolo.
L'estensione che viene data all'elemento personale incide invero
profondamente sulla qualita' dello stesso processo democratico, sia
con riguardo ai processi legislativi ordinari che con riguardo ai
processi di revisione della stessa Costituzione. E' evidente che i
modi di acquisto della cittadinanza possono influenzare, determinando
anche delle distorsioni, il funzionamento dei meccanismi
istituzionali, finendo nel concreto col compromettere lo stesso
diritto dei cittadini di concorrere a determinare la politica
nazionale.
Sarebbe, ad esempio, in tutta evidenza costituzionalmente
illegittima una disposizione volta ad escludere la cittadinanza di
chi sia nato o viva in una determinata regione del paese. Cio'
cozzerebbe, oltre che col principio di unicita' e indivisibilita'
della Repubblica (intesa non solo come territorio ma anche nel suo
contenuto personale), anche con la nozione di "popolo" e di
"cittadinanza" presupposte dalla Carta costituzionale.
Parimenti, non puo' non assumersi la illegittimita'
costituzionale di una norma che conferisca la cittadinanza italiana a
chi sia privo di collegamento col Paese, ad esempio a chiunque sia
nato in una determinata area del pianeta. In questo caso non
entrerebbe in gioco il principio di indivisibilita' della Repubblica,
ma certamente una inammissibile alterazione della nozione di "popolo"
e di "cittadinanza". L'arbitrario riconoscimento della cittadinanza a
chiunque sia nato in una lontana area del pianeta, diversa dal
territorio nazionale, in tutta evidenza comprometterebbe seriamente
il diritto del popolo italiano di esercitare la sovranita'.
E', dunque, da escludere che la nozione di «popolo» e quella di
cittadinanza siano nella Costituzione delle scatole vuote lasciate
alla piena discrezionalita' del legislatore.
Il controllo di costituzionalita' sulle disposizioni in materia
di riconoscimento e perdita della cittadinanza e', invero, pacifico,
in quanto volto ad assicurare, innanzitutto, lo stesso fondamento
della legittimita' costituzionale e democratica, e partecipa di un
elevatissimo grado di resistenza allo stesso processo di revisione
costituzionale. Si e' parlato, in relazione alla disposizione di cui
all'articolo 1, secondo comma, di una «supernorma» o di una
«rappresentazione sintetica di tutti i principi della democrazia».
Non pare indifferente, inoltre, che la disposizione riferisca
all'«Italia», e non allo "Stato italiano" le nozioni di popolo e di
sovranita', a sottolineare una funzione non meramente istituzionale,
ma aperta alla stessa identita' spirituale della nazione ed alla
dimensione orizzontale della comunita' nazionale.
E' stato osservato al riguardo il connubio tra cittadinanza e
nazionalita', sottolineando il rilievo anche per la cittadinanza
della comunanza di linguaggio, tradizioni culturali e storiche,
sintetizzabili nella nozione di nazionalita'.
Come si e' osservato in dottrina, per popolazione s'intende
comunemente l'insieme di persone che risiedono in un dato momento nel
territorio dello Stato, o che sono comunque soggette alla sua
autorita', mentre, da un punto di vista metagiuridico, con la nozione
di «popolo» si fa invece riferimento ad un insieme di persone che
hanno caratteristiche comuni, come per es. la nazionalita', la
cultura, gli usi e i costumi. Sotto tale profilo il popolo si
identifica nel gruppo che condivide legami culturali, sociali e
istituzionali.
Entra dunque in gioco la dimensione orizzontale della
cittadinanza, come partecipazione alla vita della comunita' e alle
decisioni che riguardano la comunita', che sin da Aristotele
caratterizza la nozione ateniese di πολίτης. Dalla stessa sembrano
essersi sviluppate tutte le teorie che, a partire dalla Rivoluzione
Francese, hanno inteso la categoria della cittadinanza come fattore
di identificazione ed integrazione, non solo sociale ma anche
politica, degli individui in una comunita'.
Si puo' dire, in ultima analisi, che la cittadinanza presuppone
una definizione di popolo. La stessa prende le mosse dalla preventiva
individuazione di un determinato gruppo sociale, il popolo per
l'appunto, e, al contempo contribuisce a definirne i contorni e i
limiti. Tuttavia, le regole giuridiche che governano la cittadinanza
non sono in grado d'essere apprezzate se non in virtu' di regole
positive, di natura costituzionale, che definiscono le nozioni di
popolo, di comunita' nazionale e di Stato democratico.
Tale nozione comunitaria conduce inoltre necessariamente allo
strettissimo legame fra popolo e territorio. Com'e' stato osservato
da autorevole dottrina, «delle condizioni per cui una collettivita'
di persone puo' costituire una comunita' statale, una sola si
considera essenziale e costante, ed e' che la collettivita' sia
stabilmente fissata su una parte della superficie terrestre
(territorio)». La Corte costituzionale, rammentando le diverse
posizioni sostanziali del cittadino e dello straniero in relazione al
diritto di soggiorno, ha rammentato il collegamento del cittadino col
territorio, rilevando al riguardo che «le posizioni del cittadino e
dello straniero nei riguardi dello Stato diversificano
sostanzialmente, sol che si consideri che il cittadino ha, nel
territorio dello Stato, un suo domicilio stabile si' da
rappresentare, con gli altri cittadini, un elemento costitutivo dello
Stato stesso» (Corte costituzionale sentenza 10 luglio 1974 n. 244, §
2 Considerato in diritto).
C'e' dunque da chiedersi in che termini ed entro che limiti la
legge ordinaria possa consentire il riconoscimento della cittadinanza
senza alcun, minimo, collegamento con la comunita' nazionale, intesa
come comunanza di linguaggio, tradizioni culturali e storiche, e con
il territorio della Repubblica.
Non appare al riguardo che il rinvio a un mero vincolo di
discendenza da un antenato, fra molti, anche assai remoto,
costituisca criterio sufficientemente effettivo, ne' appare tantomeno
imposto dall'articolo 29 della Costituzione, il quale come noto
rimanda ad una nozione di famiglia come realta' sociale sicuramente
ancorata a legami familiari effettivi. Il sottile vincolo di
discendenza da un antenato anche remoto non configura un collegamento
ancorato a concreti legami familiari, ma appare come connessione
meramente formale, sicche' non rientra sicuramente nella nozione di
famiglia come societa' naturale, la quale nell'interpretazione
largamente maggioritaria e fatta propria dalla Corte costituzionale
rinvia non ad una nozione giusnaturalistica fondata su vincoli di
sangue, ma al necessario ancoramento alla realta' sociale (sicche'
deve tenere conto «dell'evoluzione della societa' e dei costumi»,
Corte costituzionale sentenza n. 138 del 2010, § 9, Considerando in
diritto).
Ne', attesa la gracilita' del legame di discendenza da un
cittadino o una cittadina italiani emigrati nel corso del 19° secolo,
puo' assumersi che il riconoscimento della cittadinanza discenda dal
disposto di cui al terzo comma dell'articolo 35 della Costituzione,
per cui la Repubblica riconosce la liberta' di emigrazione, salvo gli
obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il
lavoro italiano all'estero. La necessaria protezione di chi lavora
all'estero non implica in alcun modo il riconoscimento della
cittadinanza dopo generazioni.
Se gli articoli 29 e 35 tutelano certamente la filiazione anche
nei confronti di chi emigri, e' da escludere che gli stessi impongano
il riconoscimento della cittadinanza a chi presenta soltanto una
tenue connessione con l'ascendente emigrato.
Appare peraltro manifesta l'irragionevole asimmetria rispetto
agli altri criteri di acquisto della cittadinanza, i quali sono tutti
fondati sul progressivo consolidamento dei legami con il paese,
mentre il criterio della discendenza tale legame completamente
ignora.
Com'e' noto, l'articolo 48 della Costituzione, come modificato
con legge costituzionale 17 gennaio 2000, n. 1 (Modifica all'articolo
48 della Costituzione concernente l'istituzione della circoscrizione
Estero per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani
residenti all'estero) ha istituito una circoscrizione Estero per
l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero
stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla
legge. Gli articoli 56 e 57 della Costituzione come modificati da
Legge costituzionale 23 gennaio 2001, n. 1 (Modifiche agli art. 56 e
57 della Costituzione concernenti il numero dei deputati e senatori
in rappresentanza degli italiani all'estero) attribuiscono otto
deputati (su quattrocento) e quattro senatori (su duecento) alla
circoscrizione Estero. Con la legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme
per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti
all'estero) e' stata prevista la modalita' di partecipazione dei
cittadini residenti all'estero ai processi elettorali, istituendo
all'articolo 6 le quattro ripartizioni territoriali (afferenti a: a)
Europa, compresi i territori asiatici della Federazione russa e della
Turchia; b) America meridionale; c) America settentrionale e
centrale; d) Africa, Asia, Oceania e Antartide) con la previsione che
in ciascuna delle ripartizioni e' eletto un deputato e un senatore,
mentre gli altri seggi sono distribuiti tra le stesse ripartizioni in
proporzione al numero dei cittadini italiani che vi risiedono.
Nonostante la complessiva limitazione della partecipazione
all'esercizio della sovranita' popolare ad otto deputati e quattro
senatori prescinda, dunque, dal criterio della proporzione
all'effettiva popolazione residente nella circoscrizione, sancito,
invece, dagli stessi articoli 56, terzo comma e 57, terzo comma per
la popolazione residente in Italia, non puo' dubitarsi dell'evidente
interferenza della smisurata dilatazione del numero di cittadini con
l'esercizio della sovranita' popolare, sia per la possibilita' di
iscrizione comunque presso le liste elettorali interne, sia per
l'incidenza sul quorum previsto per il referendum popolare
dall'articolo 75, quarto comma della Costituzione, per cui hanno
diritto di voto tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera (per
cui non puo' non osservarsi come la scarsissima partecipazione a
tutti i referendum degli elettori della circoscrizione Estero,
effetto di poco interesse per le vicende italiane, gia' oggi
riverbera senza dubbio sull'esercizio della sovranita' popolare in
questo ambito), sia per l'interferenza con l'operativita' del
referendum costituzionale di cui all'articolo 138 della Costituzione.
In buona sostanza, e' qui in questione la compatibilita' con
l'articolo 1 della Costituzione di una disciplina sulla cittadinanza
che conduce ad una profonda alterazione della nozione di popolo
consentendo il riconoscimento dello status a decine di milioni di
persone prive di collegamento effettivo con la comunita' nazionale,
una popolazione maggiore dello stesso numero di cittadini residenti
sul territorio nazionale, con evidenti ricadute non solo sui profili
culturali del popolo, ma sullo stesso esercizio della sovranita'
popolare e, in ultima analisi, sul funzionamento della democrazia.
Se l'applicazione di un criterio «puro» della discendenza
concernesse un numero contenuto di persone, potrebbe assumersene
verosimilmente la compatibilita' con la forma repubblicana, ma la sua
concreta applicazione a decine di milioni di persone, cittadini di
altri paesi e privi di collegamento con l'Italia, fatto salvo un
remoto antenato, provoca in tutta evidenza una interferenza tale con
i processi democratici da configurare una vera e propria rottura
dello stesso quadro costituzionale.
Con un evidente ribaltamento del principio no taxation without
representation, l'esito del processo di riconoscimento di decine di
milioni di persone prive di un effettivo collegamento con il
territorio nazionale conduce a consegnare estesi poteri
rappresentativi e politici ad una popolazione priva di obblighi
fiscali nei confronti della Repubblica e che di fatto non concorre
alle spese pubbliche in Italia ai sensi dell'art. 53, primo comma
della Costituzione.
Ancora una volta, va evidenziato come non rilevino le lentezze
burocratiche (risulta che molti Consolati italiani all'estero fissino
l'appuntamento per presentare la domanda a circa 10-12 anni dalla
richiesta), posto che la valutazione giuridica deve procedere dalla
constatazione che queste diverse decine di milioni di persone sono,
secondo la disciplina vigente, cittadini della Repubblica, seppure in
attesa di accertamento dello status.
Sotto tutti tali profili, la disposizione di cui all'articolo 1,
primo comma lettera a) della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, per cui
«E' cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre
cittadini», collide, allora, non soltanto con l'articolo 1, secondo
comma della Costituzione, per cui «la sovranita' appartiene al
popolo», ma anche con l'articolo 3 della Costituzione sotto il
profilo della ragionevolezza e della proporzionalita'.
10.
Muovendo dagli articoli 1 e 3 della Costituzione alla
compatibilita' della disposizione con l'articolo 117 della
Costituzione, per cui «la potesta' legislativa e' esercitata dallo
Stato (...) nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali» e partendo innanzitutto dall'esame degli obblighi
derivanti dall'ordinamento internazionale, si deve osservare quanto
segue.
La regolamentazione della cittadinanza e' materia di stretta
competenza degli Stati sovrani.
E' nondimeno pacifico che le legislazioni nazionali siano
ancorate dall'ordinamento internazionale ad un principio generale:
quello di effettivita'. Soprattutto nel secondo dopoguerra, dunque in
coincidenza con la vigenza della Carta costituzionale, la tesi
iniziale di inesistenza di limiti e' stata oggetto di un
ripensamento, soprattutto in ragione di alcune note decisioni della
Corte internazionale di giustizia.
L'ordinamento internazionale rimanda alle valutazioni giuridiche
degli ordinamenti interni, ma solo in quanto siano espressione di un
dato della realta', non prendendo in considerazione valutazioni del
diritto interno che non si appoggiano su una reale appartenenza
dell'individuo al gruppo sociale.
Si e' rilevato al riguardo come ogni pretesa dello Stato di
considerare proprio cittadino chi in realta' non abbia con esso
rapporti sociali effettivi sia internazionalmente destituita di
fondamento sicche', conseguentemente, gli altri Stati non sono tenuti
a rispettarla.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno rammentato che
«indiscusso nel diritto internazionale, il principio di effettivita'
si sostanzia in una constatazione dalle implicazioni specifiche: vale
a dire che spetta a ciascuno Stato determinare le condizioni che una
persona deve soddisfare per essere considerata investita della sua
cittadinanza (v. Cass. Sez. 1 n. 9377-11 citata dalla stessa corte
territoriale, ma v. pure, in ambito unionale, C. giust. 19-10-2004,
Zhu, causa C-200/02, C. giust. 1111-1999, Mesbah, causa C-179/98).
Cio' col limite, puramente negativo, rappresentato dall'esistenza di
un collegamento effettivo tra quello Stato e la persona di cui si
tratta. Spetta alla legislazione nazionale stabilire quale sia questo
collegamento. Sicche' l'effettivita' designa il confine della
liberta' degli Stati di accordare l'acquisto della cittadinanza a chi
non presenti alcun vero punto di collegamento con l'insieme di
rapporti nei quali si esprime la cittadinanza effettiva (o
sostanziale). La ragione e' che il nesso di cittadinanza non puo' mai
esser fondato su una fictio. Il principio implica, in conclusione,
che esista un vincolo reale tra lo Stato e l'individuo sulla base di
indici idonei a far risaltare la cittadinanza al di la' del dato
formale.» (Corte di cassazione Sez. U - , Sentenza n. 25317/2022,
cit.).
Si puo' osservare come tradizionalmente il legame si consideri
«effettivo» quando la persona discende da coloro che appartengono
allo Stato (ius sanguinis) o e' nata sul territorio dello Stato (ius
soli) o in determinate condizioni abbia manifestato la volonta' di
entrare a far parte della societa' statuale.
Nell'ambito di tali criteri gli Stati godrebbero dunque, in linea
generale, di un'ampia liberta', nel senso che ad essi e' rimesso di
stabilire quali sono i dati da prendere in considerazione al fine di
attribuire la propria cittadinanza.
Nella sentenza citata, le Sezioni Unite rilevano che «certamente
non e' una fictio il vincolo di sangue». Tuttavia, si pone qui la
questione se gli obblighi internazionali non comportino limiti anche
nello stesso ambito del criterio di discendenza, tenuto conto dei
dati di realta' sopra richiamati, per cui la disciplina qui oggetto
di dubbio di incostituzionalita' conduce al riconoscimento della
cittadinanza italiana per una popolazione in larghissima misura priva
di qualsiasi legame concreto e attuale con il paese, residente in
altri Stati sovrani, in larga misura priva di effettiva conoscenza
della stessa lingua italiana, che non concorre alla spesa pubblica e
addirittura pari, se non superiore, alla stessa popolazione con
cittadinanza italiana residente in Italia.
La nozione di cittadinanza sembra essere stata rivista in forza
della celebre definizione datane dalla Corte internazionale di
Giustizia, nel caso Nottebohm del 1955. In tale decisione, invero, la
Corte ha chiaramente statuito come la cittadinanza abbia «its basis
[on] a social facto of attachment, a genuine connection of existence,
interests and sentiments, together with the existence of reciprocal
rights and duties» (Corte Internazionale di Giustizia, Nottebohm,
sentenza del 6 aprile 1955: riguardante il caso di un cittadino
tedesco stabilitosi in Guatemala sin dal 1905, il quale dopo l'inizio
della Seconda Guerra Mondiale aveva ottenuto, durante una visita in
Europa, la cittadinanza del Liechtenstein, tornando quindi in
Guatemala per riprendere le precedenti attivita' commerciali, fino
alla sua rimozione a seguito di misure di guerra nel 1943; la Corte
ha stabilito che sul piano internazionale la concessione della
cittadinanza deve essere riconosciuta dagli altri Stati solo se
rappresenta una connessione genuina tra l'individuo e lo Stato che la
concede, mentre in questo caso la persona non presentava alcun legame
genuino con il Liechtenstein). Per la Corte, la cittadinanza,
conseguentemente, costituisce «the juridical expression of the fact
that the individual upon whom it is conferred, either directly by the
law or as a result of an act of the authorities, is in fact more
closely connected with the population of the State, than with that of
any other State».
La Corte ha fornito dunque una rilettura della massima di diritto
internazionale, affermando che la cittadinanza deve connotare non
soltanto un legame legale tra un individuo ed un dato ordinamento, ma
anche un connubio genuino ed effettivo tra i due.
Il limite individuato dal diritto internazionale coincide con il
dato di base per cui la cittadinanza deve individuare un rapporto
effettivo tra la persona e la societa' statuale. Si parla in dottrina
di una cittadinanza «effettiva o reale» per cui l'appartenenza di una
persona ad uno Stato non puo' dipendere esclusivamente dalle
valutazioni di quest'ultimo, dovendosi appoggiare su una reale e
genuina appartenenza dell'individuo al gruppo sociale.
Esorbita allora da tali limiti di ragionevolezza la disciplina
italiana che prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana
per decine di milioni di cittadini di altri paesi, ivi residenti,
sulla base della circostanza che uno, fra i tanti, loro avi era
italiano.
11.
Venendo quindi al necessario rispetto dei vincoli derivanti dagli
obblighi euro unitari, imposto dall'articolo 117, primo comma della
Costituzione, pur essendo legittimo che il legislatore nazionale
preveda meccanismi autonomi per il riconoscimento della cittadinanza,
puo' dubitarsi che l'estensione con legge nazionale della
cittadinanza a decine di milioni di persone prive di alcun
collegamento effettivo, genuino e reale con lo Stato membro sia
compatibile con l'ordinamento dell'Unione.
Il Trattato dell'Unione Europea ha istituito la cittadinanza
dell'Unione, attribuita, ai sensi dell'articolo 9, a «chiunque abbia
la cittadinanza di uno Stato membro», mentre l'articolo 20 del
Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea stabilisce (ex
articolo 17 del TCE) che «E' istituita una cittadinanza dell'Unione.
E' cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato
membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza
nazionale e non la sostituisce».
Come si desume da tali disposizioni, lo status di cittadino
dell'Unione e' il riflesso automatico dell'acquisto della
cittadinanza nazionale, sicche' lo stesso e' sostanzialmente rimesso
agli Stati aderenti, posto che la determinazione dei modi di
acquisto, di perdita e di riacquisto della cittadinanza rientra nella
competenza di ciascuno Stato membro.
Resta tuttavia da verificare se la disciplina della cui
legittimita' qui si dubita rispetti il principio di proporzionalita'
sotto il profilo del diritto dell'Unione.
Com'e' noto, grazie alla introduzione della cittadinanza europea,
tutti i cittadini degli Stati membri godono, oltre al primo livello
di diritti connessi alla propria cittadinanza nazionale, di un
secondo livello di diritti che li pone in relazione diretta con gli
organi comunitari e, per l'effetto, con le istituzioni degli altri
Stati dell'Unione.
La cittadinanza dell'Unione Europea comporta, infatti,
l'attribuzione ai cittadini di una serie di diritti e doveri ben
delineati dal Trattato agli artt. 18-22, quali la liberta' di
circolazione e di soggiorno all'interno dell'Unione (il diritto di
ciascun cittadino europeo di fare ingresso e di soggiornare nel
territorio di qualsiasi altro Paese Membro, nonche' il connesso
diritto di ivi esercitare la propria attivita' lavorativa, ferma
restando la possibilita' di chiedere il ricongiungimento dei propri
familiari di qualsiasi altra nazionalita'), i diritti di
partecipazione politica riconosciuti a tutti i cittadini dell'Unione
anche se residenti in uno Stato Membro diverso da quello di cui sono
cittadini (il diritto di voto attivo e passivo al Parlamento Europeo;
il diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni comunali
nello Stato membro di residenza), il diritto di ottenere la tutela
diplomatica da parte delle autorita' diplomatiche e consolari di
qualsiasi Stato membro nel territorio di un Paese terzo in cui il
proprio Stato di origine non e' rappresentato, il diritto di
petizione al Parlamento europeo e il diritto di ricorrere al
Mediatore Europeo.
Il diritto di cittadinanza dell'Unione si e' progressivamente
sganciato dalla liberta' di circolazione fra Stati membri, venendo
trattato come un diritto a se' stante, autonomo e complementare
rispetto alla cittadinanza nazionale.
Tale ruolo autonomo svolto dalla cittadinanza europea ha dato
l'avvio ad un approccio unitario ed indipendente della stessa Corte
di Lussemburgo, capace di influenzare le normative nazionali.
La stessa, ad esempio, ha verificato la compatibilita' unionale
di norme nazionali sulla cittadinanza dirette a preservare l'unita'
nazionale all'interno della famiglia, tenendo conto delle conseguenze
per il minore alla luce dell'articolo 24 della Carta dei diritti
fondamentali della Unione Europea, in ordine alla valutazione del suo
miglior interesse (v. CGUE 12/03/2019, Tjebbes, causa C221/17).
Per altro verso, va pure richiamato il noto caso Micheletti ove
la Corte ha sancito il principio per cui l'attribuzione ad un
individuo della cittadinanza da parte di uno Stato Membro non puo'
essere messa in discussione da un altro Stato membro che tenti di
limitare gli effetti di siffatta attribuzione pretendendo un
requisito ulteriore - quale l'effettivita' - per il riconoscimento di
tale cittadinanza al fine dell'esercizio di una liberta' fondamentale
prevista dal Trattato. Secondo i giudici di Lussemburgo, dunque, il
principio di effettivita' della nazionalita' riconosciuto dal diritto
internazionale generale non puo' costituire una deroga al dovere
assoluto ed incondizionato degli Stati Membri di riconoscimento delle
rispettive cittadinanze (Corte di giustizia dell'Unione europea,
Sentenza 7 luglio 1992, Causa C-369/90, Micheletti e a. c. Delegacion
del Gobierno en Cantabria, riguardante il caso di un dentista
argentino, riconosciuto cittadino italiano grazie all'origine
italiana dei suoi bisnonni, che, giunto in Spagna per esercitarvi la
professione, si e' visto rifiutare il permesso di residenza dalle
autorita' spagnole, che hanno ritenuto fittizia la sua cittadinanza
italiana).
Tale condivisibile conclusione, tuttavia, fondata sulla
necessita' di impedire che il campo d'applicazione ratione personae
delle norme europee vari da uno Stato membro all'altro, non esclude
affatto che la disciplina interna in materia di cittadinanza debba
essere vagliata, nel caso di specie dalla Corte costituzionale,
tenendo conto della interferenza della vistosa deroga al principio di
effettivita' e genuinita' con la stessa nozione di cittadinanza
europea.
All'opposto, proprio il riconoscimento di un limite dei poteri
sovrani degli Stati di sindacare l'esercizio della legislazione sulla
cittadinanza degli altri Stati membri impone un'attenta valutazione
dei riflessi di un arbitrario riconoscimento della cittadinanza
europea a milioni di persone prive di legame effettivo e genuino con
alcuno Stato membro.
12.
Per tutte le ragioni illustrate in dettaglio nei paragrafi che
precedono ed anche alla luce dei dati statistici sopra riportati e
che, se ritenuto opportuno dalla Corte costituzionale, potranno
essere eventualmente ulteriormente approfonditi mediante ordinanza
istruttoria, non e' manifestamente infondata la questione di
incostituzionalita' dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n.
91 (Nuove norme sulla cittadinanza) nella parte in cui prevede che
«E' cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre
cittadini» in riferimento ai parametri di cui agli articoli 1,
secondo comma, 3 e 117 della Costituzione, avuto riguardo per
quest'ultimo ai principi derivati dall'ordinamento internazionale e
dagli articolo 9, del Trattato sull'Unione Europea e 20 del Trattato
sul Funzionamento dell'Unione Europea.
La rilevanza della questione ai fini della decisione nel presente
processo e' evidente, atteso che nella specie trattasi di dodici
ricorrenti tutti privi di qualsiasi legame di qualsiasi natura con
l'Italia, fatta salva la presenza di un'ava italiana, fra i molti
(risalendo alla loro trisnonna, i ricorrenti minorenni hanno 29
ascendenti e avi brasiliani o comunque non italiani ed una sola,
risalente, ascendente italiana), per cui la cittadinanza deve essere
riconosciuta per mero effetto di tale tenue nesso.
Come e' stato ricordato, i ricorrenti Arnaldo Da Silva Almeida,
Hugo Rezende Da Silva Almeida, Joao Victor Baptista Santos Da Silva
Almeida, Eduardo Pereira De Carvalho, Eduardo Pereira De Carvalho
Filho, Joao Daniel, Samuel Castro De Melo Castro De Carvalho Melo,
Samantha Ingrid Portella Bastos, Mariana Ingrid Gatto, Pedro Henrique
Almeida Caetano Caetano Araujo, Pedro Henrique Almeida Caetano
Almeida Ferreira Dos Santos e Leonardo Castro De Carvalho non hanno
dedotto, ne' nel ricorso ne' nel corso della trattazione, alcun
legame ulteriore con l'Italia, salvo il legame di discendenza da un
solo ascendente, assai risalente nel tempo, fra le decine di loro
ascendenti.
Come si e' detto, richiesto espressamente da parte del giudice di
esporre la sussistenza di eventuali legami, connessioni pregresse,
presenti o future con l'Italia, progetti legati al nostro Paese, il
difensore ha rappresentato in udienza che tutti i ricorrenti sono
stabilmente residenti in Brasile, di non sapere se i medesimi abbiano
mai soggiornato, neppure per brevi periodi in Italia, di non sapere
se qualcuno dei medesimi abbia una qualche conoscenza della lingua
italiana, se abbiano mai avuto alcuna relazione con la cultura del
nostro paese, di non sapere se qualcuno dei ricorrenti abbia
effettiva intenzione di trasferirsi in Italia.
In conclusione, la disposizione di cui all'articolo 1 della legge
5 febbraio 1992, n. 91 presenta ad avviso di questo giudice manifesti
profili di verosimile incompatibilita' con i parametri sopra
richiamati nella parte in cui non prevede alcun limite, potendosi
invece prevedere, ad esempio e fatta comunque salva l'ipotesi di chi
sia apolide, limiti generazionali o temporali (si e' suggerito in
dottrina di tenere conto del piu' lungo termine di oblio previsto
nell'ordinamento, pari a venti anni, come per la prescrizione per i
piu' gravi reati e per l'usucapione dei beni immobili e dei diritti
reali immobiliari) oppure che il discendente e i suoi genitori
abbiano soggiornato sul territorio nazionale. Come affermato dalle
Sezioni Unite della Corte di cassazione «casi di perdita della
cittadinanza discendenti dal venir meno di criteri di collegamento
tra la persona e lo Stato», «sono al giorno d'oggi teoricamente
ammissibili, e forse rispondenti a un significato piu' completo della
cittadinanza come tale, incentrato su una trama di rapporti concreti
tra una persona e una comunita'; e va rammentato che sono state
ritenute non incompatibili col diritto dell'Unione, purche' nel
rispetto dei limiti di proporzionalita' e purche' sia escluso il
rischio di apolidia (v. C. giust. 12-3-2019, Tjebbes, causa
C-221/17)» (Corte di cassazione Sez. U n. 25317/2022, cit.). Un
ragionevole punto di equilibrio, diretto ad assicurare l'effettivita'
del legame con l'Italia, puo' essere individuato, ad avviso di questo
giudice, nel riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis entro
il limite di due generazioni, salva la prova che uno degli ascendenti
o la persona interessata abbia vissuto in Italia per almeno due anni.
Il procedimento va sospeso.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 Legge costituzionale
1/1948 e 23 Legge n. 87 del 1953, Ritenuta la rilevanza e la non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'articolo 1 Legge 5 febbraio 1992, n. 91 in riferimento agli
articoli 1 e 117 della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli
obblighi internazionali e agli articoli 9 del Trattato sull'Unione
Europea e 20 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea,
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la
sospensione del giudizio;
Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al
Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del
Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Bologna, 26 novembre 2024
Il Giudice: Gattuso