N. 76 ORDINANZA (Atto di promovimento) 03 maggio 2023
Ordinanza del 3 maggio 2023 del Consiglio di Stato sul ricorso
proposto da Battista Luisa e altri contro il Ministero della difesa.
Impiego pubblico - Trattamento economico - Maggiorazione della
retribuzione individuale di anzianita' (RIA), prevista dall'art. 9
del d.P.R. n. 44 del 1990 di approvazione degli accordi del
comparto Ministeri - Proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina
emanata sulla base di tali accordi - Interpretazione dell'art. 7,
comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, nel senso che
la predetta proroga non modifica la data del 31 dicembre 1990, gia'
stabilita per la maturazione delle anzianita' di servizio
prescritte ai fini delle maggiorazioni della RIA, fatta salva
l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della
legge n. 388 del 2000.
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388 ("Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2001)"), art. 51, comma 3.
(GU n. 24 del 14-06-2023)
IL CONSIGLIO DI STATO
in sede giurisdizionale (Sezione seconda)
Ha pronunciato la seguente sentenza non definitiva sul ricorso
numero di registro generale 1852 del 2015, proposto dai signori Luisa
Battista, Loreto Battista, Massimo Renato Battisti, Ivano Battista,
Anna Maria Belli, Giuseppe Biancari, Arduino Benedetto Bianchi,
Enrico Bianchi, Errico Bianchi, Maurizio Bianchi, Vittorio Bianchi,
Daniela Bonanni, Giuseppe Carlo Buttarazzi, Guido Buffone, Filippa
Camerota, Fernando Carinci, Diego Cenci, Aldo Compagnone, Francesco
Ciardi, Massimo Ciccarelli, Mara Cinelli, Gianfranco Conte, Carlo
Conte, Cataldo De Lellis, Maria D'Orazio, Enrica D'Orio, Marina Di
Rienzo, Romeo Antonio Di Rienzo, Gianfranco Di Folco, Angelo Di
Palma, Claudio Di Palma, Antonio Ferazzoli, Vincenzo Ferdinandi,
Marcello Fiore, Roberto Fiore, Gerardo Fraioli, Benito Fratini,
Maurizio Gabriele, Filomena Gabriele, Mario Gabriele, eredi di
Gabriele Rosanna (Daniele Bianchi, Mario Bianchi, Sara Bianchi),
Giovanni Gabriele, Maria Luana Germani, Ettore Giannetti, Luciano
Giannetti, Daniela Giona, Marcello Giovannone, Alfredo Gravagnone,
Lino Grascia, Rita Grimaldi, Bernardo Iafrate, Pina Iafrate, Maria
Therese Iafrate, Mauro Iannucci, Carla La Pietra, Mario Magnapera,
Lucio Marchione, Loreto Mastrantoni, Franco Miacci, Massimo
Mollicone, Bruno Notargiacomo, Antonino Pasquarelli, eredi di Lucio
Patriarca (Sara Patriarca, Delia Romano), Rolando Patriarca, Giuseppe
Carlo Patrizi, Franco Pellegrini, Domenico Pernaselci, Emilio
Petitti, Maria Grazia Poce, Alessio Proia, Anna Veronica Proia,
Gianni Quadrini, Bruno Raponi, Bruno Reale, Antonio Reali, Raffaele
Ricci, Tiberio Ricozzi, Egidio Salerno, Annita Scappaticci, Maria
Rosaria Scappaticci, Rossana Sera, Bruno Simonelli, Lucia Smurro,
Marina Tatangelo, Maria Rosanna Trillo', Marisa Tuzi, eredi di Angelo
Valeriani (Pierina Chiarlitti, Veronica Valeriani, Federica
Valeriani), Emilia Luisa Vano, Benedetto Venditti, Sabatino Venditti,
Massimo Verrelli, Mario Riccardo Villani, rappresentati e difesi,
anche disgiuntamente, dagli avvocati Bruno Forte e Letizia
Ciuffarella, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Maria
Cuozzo in Roma, viale G. Mazzini n. 123;
contro Ministero della difesa, Ministero dell'economia e delle
finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma,
via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio, sezione prima bis, del 1° settembre 2014, n.
9255, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della
difesa, del Ministero dell'economia e delle finanze e della
Presidenza del Consiglio dei ministri;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2022 il
Cons. Francesco Guarracino e udito l'avv. Bruno Forte per la parte
appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto e Diritto
1. - Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, n.r.g. 17080 del 2000, il sig. Abalsamo Antonio e altri
seicentocinquantasette dipendenti del Ministero della difesa,
assumendo che per effetto della proroga al 31 dicembre 1993
dell'efficacia degli accordi di comparto di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, disposta
dall'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384,
convertito con legge 14 novembre 1992, n 438, fosse stata prorogata
anche l'efficacia degli istituti economici disciplinati dall'art. 9,
commi 4 e 5, dello stesso decreto del Presidente della Repubblica, i
quali prevedevano una maggiorazione della retribuzione individuale di
anzianita' (R.I.A.) per coloro che avessero maturato, nell'arco della
vigenza contrattuale, cinque, dieci o venti anni di servizio, agivano
in giudizio per ottenere l'accertamento del loro diritto alle
corrispondenti maggiorazioni maturate nel corso degli anni 1991, 1992
e 1993 e la condanna dell'amministrazione intimata al pagamento delle
differenze economiche, oltre interessi e rivalutazione, dolendosi che
le stesse fossero state disconosciute, in generale, per l'arco
temporale 1991/1993 con la circolare del 30 settembre 1992, n. 103,
del Ministero del tesoro, d'intesa con la Presidenza del Consiglio
dei ministri.
2. - Con sentenza del 1° settembre 2014, n. 9255, il T.A.R. ha
respinto il ricorso dando atto della sopravvenienza, nelle more del
giudizio, della norma di interpretazione autentica, e percio' munita
di effetti retroattivi, di cui all'art. 51, comma 3, della l. 23
dicembre 2000, n. 388, da cui discende che l'ultrattivita' delle
disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 44 del
1990 non modifica la data del 31 dicembre 1990 gia' stabilita per la
maturazione dell'anzianita' di servizio prescritta ai fini della
maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita', e,
rammentato che la prospettata questione di illegittimita' della norma
per contrasto coi principi di uguaglianza, di adeguatezza e di
proporzionalita' della retribuzione (art. 3, comma 1; art. 36, comma
1; art. 38, comma 2, della Costituzione) era stata gia' dichiarata
manifestamente infondata (Corte costituzionale n. 299 del 1999 e n.
374 del 2000), ha ritenuto priva di fondamento la questione
(prospettata da alcuni ricorrenti in corso di causa) del possibile
contrasto della stessa disposizione con l'art. 1 del protocollo
addizionale (n. 1) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
(CEDU), ovvero dell'art. 8 della Convenzione medesima.
3. - Con ricorso in appello la sig.ra Battista Luisa e altri
novantuno ricorrenti hanno impugnato la sentenza di primo grado
criticandola per la pretesa natura tautologica della motivazione
sull'assenza di violazione dell'art. 1 del protocollo addizionale (n.
1) della CEDU, per l'erroneita' della conclusione relativa
all'inapplicabilita' al caso di specie della giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo e per l'omesso esame della
denunciata violazione anche dell'art. 6, par. 1, della CEDU. A
sostegno dell'accoglimento delle domande proposte in primo grado
propugnano un'interpretazione adeguatrice delle norme interne ai
principi e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo e in subordine chiedono si sollevi questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge 23
dicembre 2000, n. 388, per contrasto tanto con gli articoli 24, 101,
102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione che, ex articoli 111 e
117, comma 1, della Costituzione, con gli articoli 6, par. 1, e 8
della CEDU e l'art. 1 del protocollo addizionale (n. 1) della stessa
CEDU - in quanto la norma interferirebbe con la funzione
giurisdizionale e il diritto di agire e di difendersi in giudizio -
nonche' per contrasto con gli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione,
in quanto, ribaltando con effetti retroattivi una consolidata
interpretazione giurisprudenziale, essa colliderebbe coi principi
della necessaria ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto
di ingiustificate disparita' di trattamento, della tutela
dell'affidamento e della certezza del diritto.
4. - Il Ministero della difesa, il Ministero dell'economia e
finanze e la Presidenza del Consiglio dei ministri si sono costituiti
in giudizio senza formulare difese scritte.
5. - Constatato che nel ricorso di primo grado non erano
specificate la posizione di ciascun ricorrente rispetto alla
maturazione dell'anzianita' di servizio necessaria per beneficiare
della maggiorazione della R.I.A. e le spettanze rivendicate da ognuno
e che la ricostruzione del dato non era possibile sulla base della
documentazione del fascicolo di primo grado, gia' andato smarrito,
con ordinanza collegiale del 26 aprile 2022, n. 3122, gli appellanti
sono stati onerati della produzione di specifiche e documentate
precisazioni sulle rispettive loro situazioni e pretese dando loro
avviso, anche ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., che l'eventuale
inammissibilita' del ricorso di primo grado (che potrebbe derivare
dalla mancata indicazione per ciascuno della relativa posizione di
status e delle spettanze rivendicate rispetto a tale posizione: cfr.
C.d.S., sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3625) costituisce una questione
rilevabile d'ufficio anche in appello perche' attinente a una
condizione dell'azione (C.d.S., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 421; sez.
III, 13 agosto 2018, n. 4914).
6. - Gli appellanti hanno eseguito l'incombente in data 27 giugno
2022 e alla pubblica udienza dell'8 novembre 2022 la causa e' stata
trattenuta in decisione.
7. - In via preliminare occorre prendere atto che, secondo le
stesse ipotesi di calcolo prodotte dalla parte appellante, la sig.ra
Rita Grimaldi non rivendica alcuna somma a titolo di maggiorazione
della retribuzione individuale di anzianita' (doc. 5 dep. 27 giugno
2022), con la conseguenza che, nei suoi confronti, il ricorso di
primo grado va dichiarato inammissibile per difetto di interesse.
8. - Per gli altri appellanti la produzione dei fogli
matricolari, che e' stata ammessa in relazione alle vicende del
fascicolo originale del primo grado, attesta le anzianita' di
servizio (per la sig.ra Luisa Battista, ad esempio, la data di
decorrenza economica del servizio al 29 giugno 1983 e quindi il
compimento dei dieci anni di servizio prima del 31 dicembre 1993).
9. - Nel merito, la pretesa degli appellanti di poter beneficiare
della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita'
prevista dall'art. 9, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della
Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, di approvazione degli accordi del
comparto Ministeri in virtu' della proroga al 31 dicembre 1993
dell'efficacia di questi ultimi disposta dall'art. 7, comma 1, del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni
dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, e' stata giudicata infondata
dal T.A.R. poiche', nelle more del giudizio, il legislatore era
intervenuto in materia con l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del
2000 (legge finanziaria 2001) disponendo che «L'art. 7, comma 1, del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta
nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata
sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983,
n. 93, relativi al triennio 1º gennaio 1988 - 31 dicembre 1990, non
modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la
maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle
maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'. E' fatta
salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della
presente legge».
10. - Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale della
suddetta norma, la quale, sebbene formulata in termini astratti,
appare in realta' preordinata a condizionare, con l'efficacia propria
delle disposizioni interpretative, l'esito dei giudizi ancora in
corso in quella materia.
11. - Infatti, all'epoca il dibattito giurisprudenziale
sull'estensione della proroga al 31 dicembre 1993 degli accordi del
comparto Ministeri anche agli istituti economici in questione era
stato ormai risolto in senso favorevole al personale dipendente.
12. - In particolare, fu osservato da C.d.S., sez. IV, 17 ottobre
2000, n. 5522 (ma gia', tra le altre, C.d.S., sez. IV, 13 dicembre
1999, n. 1858; Comm. Spec. Imp. 13 luglio 1998, n. 412):
«III.1. L'art. 9, comma 4, dell'accordo sindacale per il
personale del comparto Ministeri del 26 settembre 1989, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44,
prevede che "al personale che, alla data del 1° gennaio 1990, abbia
acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di
effettivo servizio, o che maturi detto quinquennio nell'arco della
vigenza contrattuale, compete dalle date suddette una maggiorazione
della retribuzione individuale di anzianita' nelle sotto indicate
misure annue lorde: prima, seconda e terza qualifica funzionale £.
300.000"»;
quarta, quinta e sesta qualifica funzionale £. 400.000;
settima, ottava e nona qualifica funzionale £. 500.000".
Il successivo comma 5 aggiunge che «le misure delle maggiorazioni
di cui al comma 4 sono, con le stesse decorrenze stabilite nel
medesimo comma 4, raddoppiate e quadruplicate nei confronti del
personale che, nell'arco della vigenza contrattuale, abbia o maturi,
rispettivamente, dieci o venti anni di servizio, previo
riassorbimento delle precedenti maggiorazioni».
Bisogna dunque stabilire l'esatta interpretazione della
espressione «arco di vigenza contrattuale» entro cui si deve maturare
il quinquennio di effettivo servizio utile per conseguire la
maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' ed in
particolare se esso coincida con la scadenza originaria dell'accordo,
fissata dal comma 2 dell'art. 1 del predetto accordo al 31 dicembre
1990 ovvero con la data del 31 dicembre 1993, per effetto dell'art.
7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito
con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438.
III.2. Orbene il Collegio e' dell'avviso che tale norma,
disponendo per un verso che «resta ferma sino al 31 dicembre 1993 la
vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di
cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93 e successive modificazioni ed
integrazioni» e, per altro verso, che «i nuovi accordi avranno
effetto dal 1° gennaio 1994», abbia inteso effettivamente prorogare
al 31 dicembre 1993 la intera disciplina dell'accordo contrattuale
approvato col citato decreto del Presidente della Repubblica 17
gennaio 1990, n. 44 con l'intento precipuo di contenere la spesa
pubblica derivante dalle dinamiche salariali del pubblico impiego,
congelando per tre anni la disciplina contrattuale in vigore.
Evidentemente l'applicazione di quest'ultima e' stata ritenuta
dal legislatore sicuramente meno onerosa per la finanza pubblica di
quella che sarebbe derivata dall'applicazione dei nuovi accordi
contrattuali, i cui effetti sono stati rinviati al 1° gennaio 1994.
Dunque l'espressione «arco di vigenza contrattuale» cui fanno
riferimento i commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del Presidente
della Repubblica 17 gennaio 1990 n. 44 comprende il periodo tra il 1°
gennaio 1988 ed il 31 dicembre 1993.
III. 3. Per completezza sul punto deve anche aggiungersi che il
piu' volte richiamato art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre
1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre
1992, n. 438, non contiene alcun elemento testuale in virtu' del
quale possa affermarsi che il legislatore abbia inteso escludere il
beneficio di cui ai comma 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del
Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44 dalla proroga
dell'accordo, solo per esso rendendo fissa la data del 31 dicembre
1990 quale termine entro cui poteva utilmente maturarsi il
quinquennio di effettivo servizio.
Invero, poiche' la proroga in esame incide su posizione
soggettive gia' consolidate sotto il vigore della precedente
disciplina, il legislatore solo con una norma espressa avrebbe potuto
escludere l'applicazione del beneficio dalla predetta proroga.
Del resto in tale senso milita anche una interpretazione
sistematica dell'espressione «resta ferma sino al 31 dicembre 1993 la
vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto», nel
senso che non vi e' motivo per escludere dalla proroga il piu' volte
richiamato beneficio previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto
del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990 n. 44, dal momento
che la disciplina pattizia contenuta in tale regolamento rappresenta
un unicum indivisibile (che in ogni caso il legislatore ha voluto
tenere fermo proprio in funzione di contenimento della spesa
pubblica).
III.4. Cosi' risolta la prima questione, ritiene il Collegio che
occorre verificare se il beneficio in argomento subisca gli effetti
del blocco salariale introdotto da 3° comma dell'art. 7 del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni
dalla legge 14 novembre 1992, n. 438.
Esso dispone testualmente che «per l'anno 1993 non trovano
applicazione le norme che comunque comportano incrementi retributivi
in conseguenza sia di automatismi stipendiali, sia dell'attribuzione
di trattamenti economici, per progressione automatica di carriera,
corrispondenti a quelli di funzioni superiori, ove queste non siano
effettivamente esercitate».
Non puo' dubitarsi al riguardo che il beneficio della
maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' comporta
effettivamente una maggiorazione della retribuzione collegata al mero
compimento di un certo tempo e cioe' di un quinquennio di effettivo
servizio: esso integra, pertanto, gli estremi dell'automatismo
stipendiale, i cui effetti sono stati espressamente bloccati per
l'anno 1993.
Al riguardo occorre precisare che la Corte costituzionale, con la
sentenza n. 245 del 18 luglio 1997, ha ritenuto costituzionalmente
legittimo tale blocco, trattandosi di una misura eccezionale,
giustificata dalle superiori esigenze di equilibrio del bilancio
statale, e temporanea, esaurendo i propri effetti nell'anno 1993.
IV. Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che il
quinquennio di effettivo servizio utile per conseguire il beneficio
della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita',
previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del Presidente della
Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, possa essere utilmente maturato
oltre il 31 dicembre 1990 (per effetto della proroga sancita dal
comma 1 dell'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384,
convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438),
ma entro il 31 dicembre 1992 (per effetto del blocco degli
automatismi stipendiali stabilito dal successivo comma 3 dello stesso
art. 7)».
13. - Ancora qualche anno dopo, in C.d.S., sez. VI, 23 novembre
2004, n. 7672, fu dato atto che «[s]econdo la consolidata
giurisprudenza di questo Consiglio, il quinquennio utile per
conseguire il beneficio della maggiorazione della retribuzione
individuale di anzianita', previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9,
decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44,
poteva essere utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990, per
effetto della proroga sancita dal comma 1, del precitato art. 7,
decreto-legge n. 384 del 1992, ma entro il 31 dicembre 1992, per
effetto del blocco degli automatismi stipendiali stabilito dal
successivo comma 3 del piu' volte menzionato art. 7 (cfr., fra le
tante, C. Stato, sez. VI, 26.7.2001, n. 4120; sez. IV, 27 novembre
2000, n. 6310; sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1858)».
14. - La norma contenuta nell'art. 51, comma 3, della legge n.
388 del 2000 e' intervenuta a superare il diritto vivente per negare
il beneficio a coloro che avessero maturato le anzianita' necessarie
per il computo delle maggiorazioni successivamente alla data del 31
dicembre 1990 anche per chi avesse gia' un giudizio in corso, facendo
salva solo l'esecuzione dei giudicati gia' formatisi alla data della
sua entrata in vigore.
15. - Nella sentenza n. 12 del 2018 la Corte costituzionale ha
ribadito che "non puo' essere consentito di «risolvere, con la forma
della legge, specifiche controversie [...], violando i principi
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale
e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi»
(sentenza n. 94 del 2009, punto 7.6 del Considerato in diritto; in
senso conforme, sentenze n. 85 del 2013 e n. 374 del 2000)" e che "il
principio costituzionale della parita' delle parti e' violato «quando
il legislatore statale immette nell'ordinamento una fattispecie di
ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in
gioco» (sentenza n. 191 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto;
in senso conforme, sentenza n. 186 del 2013)".
Ivi ha poi ricordato che "[c] on riguardo al sindacato sulle
leggi retroattive, questa Corte ha ripetutamente affermato la
corrispondenza tra principi costituzionali interni e principi
contenuti nella CEDU (ex plurimis, sentenza n. 191 del 2014). La
Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), chiamata a decidere
se, attraverso leggi retroattive, lo Stato avesse violato il diritto
dei ricorrenti a un processo equo, ha costantemente ritenuto che, in
linea di principio, non e' precluso al potere legislativo
regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata
retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore. Essa ha precisato
che «il principio della preminenza del diritto e il concetto di
processo equo sanciti dall'art. 6 ostano, salvo che per imperative
ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo
nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito
giudiziario di una controversia» e ha aggiunto che «l'esigenza della
parita' fra le parti implica l'obbligo di offrire a ciascuna parte
una ragionevole possibilita' di presentare la propria causa senza
trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla
controparte» (ex plurimis, sentenze 25 marzo 2014, Biasucci e altri
contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro
Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia,
paragrafo 58)".
Ha inoltre rammentato che «la Corte EDU ha escluso che una misura
di carattere finanziario possa integrare un motivo imperativo di
interesse generale quando il suo impatto sia di scarsa entita'
(sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia, paragrafi 37 e
38)».
16. - Nella sentenza n. 174 del 2019, che si pone in linea di
continuita' con la sentenza n. 12 del 2018 citata, la Corte ha
soggiunto che "la retroattivita' deve trovare «adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale
bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i
valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi
dall'efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza n. 73 del
2017, punto 4.3.1. del Considerato in diritto)" e che "[i] limiti
posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla
salvaguardia dei principi costituzionali dell'eguaglianza e della
ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza
e alla certezza dell'ordinamento giuridico, al rispetto delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza
n. 170 del 2013, punto 4.3. del Considerato in diritto)".
17. - Nei ricordati precedenti la Corte costituzionale ha
conferito rilievo, tra gli elementi sintomatici di un uso distorto
della funzione legislativa, al metodo e alla tempistica
dell'intervento legislativo, che vede lo Stato o l'amministrazione
pubblica parti di un processo gia' radicato e si colloca a notevole
distanza dall'entrata in vigore delle disposizioni oggetto di
interpretazione autentica.
18. - Nel caso di cui ci si occupa, l'art. 51, comma 3, della
legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) e' stato adottato otto
anni dopo la norma da interpretare, contenuta nell'art. 7, comma 1,
del decreto-legge n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 438 del 1992.
A quella data, tuttavia, come si e' in precedenza
dettagliatamente esposto, il dibattito giurisprudenziale
sull'estensione della proroga era stato ormai gia' risolto in senso
favorevole al personale dipendente con piu' pronunce di questo
Consiglio rese nel biennio 1999-2000, tutte anteriori alla legge n.
388 del 2000.
A quella data, inoltre, pendeva ancora un certo numero di ricorsi
collettivi (come quello che ha originato la presente causa) di
pubblici dipendenti che rivendicavano il beneficio, destinati
presumibilmente a essere definiti applicando gli stessi principi di
diritto indicati da quella giurisprudenza.
La norma di interpretazione autentica si rivolge, percio', a una
platea circoscritta di destinatari e, non emergendo altri motivi per
la sua adozione che ragioni finanziarie di contenimento della spesa
pubblica, appare preordinata a definire l'esito di specifici giudizi
ancora in corso.
Come nei citati precedenti della Corte costituzionale, puo'
prospettarsi allora anche nel caso in esame una lesione dei principi
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale,
nonche' delle disposizioni che assicurano a tutti l'effettiva tutela
giurisdizionale dei propri diritti.
19. - Per tali motivi non appare manifestamente infondato il
dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della
legge n. 388 del 2000 in relazione agli articoli 3, 24, comma 1, 102,
111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione al parametro interposto di cui all'art. 6 della CEDU.
20. - La rilevanza della questione discende dal fatto che in base
all'orientamento gia' espresso da questo Consiglio nei suddetti
precedenti, dal quale non vi sarebbero altre ragioni per discostarsi,
il ricorso di primo grado sarebbe almeno in parte da ritenersi
fondato.
21. - In definitiva, per le esposte ragioni, in parziale riforma
della sentenza appellata, il ricorso di primo grado va dichiarato
inammissibile quanto alla domanda proposta dalla sig.ra Rita
Grimaldi.
Per il resto il giudizio va sospeso e va rimessa alla Corte
costituzionale, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per contrasto con gli articoli
3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, 117, comma 1, della
Costituzione, quest'ultimo in relazione al parametro interposto di
cui all'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),
non definitivamente decidendo sull'appello in epigrafe, dichiara
inammissibile il ricorso di primo grado relativamente alla domanda
proposta dalla sig.ra Rita Grimaldi, compensando, nei suoi confronti,
le spese del doppio grado del giudizio.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione
agli articoli 3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge 23
dicembre 2000, n. 388.
Sospende il giudizio in corso e ordina l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia
notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera
dei Deputati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorita'
amministrativa.
Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8
novembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente;
Francesco Frigida, consigliere;
Carla Ciuffetti, consigliere;
Francesco Guarracino, consigliere, estensore;
Maria Stella Boscarino, consigliere.
Il Presidente: Forlenza
L'estensore: Guarracino