Reg. ord. n. 65 del 2023 pubbl. su G.U. del 17/05/2023 n. 20

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte  del 14/02/2023

Tra: S. B.S. C/ Ministero dell' Interno



Oggetto:

Straniero - Ordine pubblico e sicurezza - Emersione di rapporti di lavoro - Previsione che fa derivare automaticamente il rigetto dell'istanza di regolarizzazione del lavoratore straniero dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per il reato previsto dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo lavoratore rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato - Denunciata estensione dell'automatismo legislativo alla fattispecie di particolare tenuità non conforme al canone intrinseco di necessarietà in cui si struttura il principio di proporzionalità - Disposizione che non rispetta il canone convenzionale di misura necessaria in una società democratica, non essendo rispondente a un bisogno sociale imperioso - Disciplina che non permette il bilanciamento tra la condotta penalmente rilevante e quelle circostanze che attengono alla vita privata secondo la nozione elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU - Lesione del principio di proporzionalità e ragionevolezza - Violazione degli obblighi internazionali.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 19/05/2020  Num. 34  Art. 103   Co. 10 lett. c)  convertito con modificazioni in

legge  del 17/07/2020  Num. 77



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.



Camera di Consiglio del 7 febbraio 2024 rel. NAVARRETTA


Testo dell'ordinanza

N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 febbraio 2023

Ordinanza del 14 febbraio 2023 del Tribunale amministrativo regionale
per il Piemonte sul ricorso proposto da S. B.S. contro  il  Ministero
dell'interno. 
 
Straniero - Ordine pubblico e sicurezza - Emersione  di  rapporti  di
  lavoro - Previsione che  fa  derivare  automaticamente  il  rigetto
  dell'istanza di regolarizzazione  del  lavoratore  straniero  dalla
  pronuncia nei suoi confronti di una sentenza  di  condanna  per  il
  reato previsto dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309  del  1990,
  senza  prevedere  che  la  pubblica  amministrazione  provveda   ad
  accertare che il medesimo lavoratore rappresenti una  minaccia  per
  l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. 
- Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in  materia  di
  salute, sostegno al lavoro e  all'economia,  nonche'  di  politiche
  sociali  connesse  all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
  convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020,  n.  77,
  art. 103, comma 10, lettera c). 


(GU n. 20 del 17-05-2023)

 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL PIEMONTE 
                           (Sezione prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1056 del 2022, proposto da B. S. S.,  rappresentato
e difeso dall'avv. Valentina Verdini, con domicilio digitale come  da
PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo  studio
in Milano, via Gioia n. 41/A; 
    contro  Ministero  dell'Interno,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  Distrettuale  dello
Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via dell'Arsenale n. 21; 
 
                         per l'annullamento 
 
    del provvedimento adottato in data... dalla Prefettura di  Novara
(...), notificato in data..., con cui veniva decretato l'annullamento
del contratto di soggiorno di cui in  premessa  e  il  rigetto  della
relativa istanza di emersione; 
    Visto il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'Interno; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  25  gennaio  2023  il
dott. Angelo Roberto Cenoni  e  viste  le  istanze  di  passaggio  in
decisione senza discussione. 
 
                                Fatto 
 
    1. - Il signor S. B. S.,  cittadino  indiano,  ha  fatto  il  suo
ingresso in Italia nel 2003. 
    2. - In data..., il signor A. R. K., nella  veste  di  datore  di
lavoro, presentava telematicamente istanza di  emersione  del  lavoro
irregolare ai sensi dell'art. 103, comma 1, decreto-legge  19  maggio
2020,  n.  34,  convertito  in  legge  17   luglio   2020,   n.   77.
Successivamente, in data..., i due  stranieri,  convocati  presso  lo
Sportello  Unico  per  l'Immigrazione,  sottoscrivevano  il  relativo
contratto di soggiorno per lavoro subordinato domestico e veniva loro
rilasciato il modello 209 per presentare  richiesta  di  permesso  di
soggiorno. 
    3.  -  Senonche',  una  volta   sottoposto   a   fotosegnalamento
emergevano due risalenti condanne penali a carico del sig. S. per  il
reato di cui all'art. 73,  comma  5,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990. Pertanto, con missiva in data..., la Questura
di Novara modificava il parere favorevole precedentemente espresso in
parere negativo, ritenendo le condanne ostative  all'ammissione  alla
procedura di emersione ai sensi dell'art. 103, comma 10, lettera  c),
decreto-legge n. 34 del  2020.  Conseguentemente,  la  Prefettura  di
Novara comunicava al ricorrente e al suo datore di lavoro, ai sensi e
per gli effetti dell'art.  10-bis,  legge.  n.  241/90,  l'avvio  del
procedimento per l'annullamento del  contratto  di  soggiorno  e  del
rigetto del permesso di soggiorno.  Nonostante  la  presentazione  di
memorie  difensive  a  sostegno  della  posizione   dello   straniero
richiedente, la Questura di Novara non riteneva  le  ragioni  addotte
idonee a rimuovere il motivo impeditivo sussistente in suo sfavore. 
    4.  -  Di  conseguenza,  in  data...,  lo  Sportello  Unico   per
l'immigrazione  di  Novara  emetteva  il  provvedimento  prot.  n...,
notificato al ricorrente in data..., con cui decretava l'annullamento
del contratto di soggiorno di cui in premessa  ed  il  rigetto  della
relativa istanza  di  emersione.  Il  provvedimento  di  diniego  era
motivato  sul  presupposto  che  l'odierno   ricorrente   era   stato
condannato due volte (in data... e in data...) alla pena di mesi otto
di reclusione ed euro 2.000 di multa per il reato previsto  e  punito
dall'art. 73, comma 5, decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990. 
    5. - Avverso il predetto provvedimento e' insorto  il  sig.  S...
con ricorso depositato in data 26 ottobre 2022 e corredato da istanza
sospensiva. 
    A sostegno dell'impugnativa, il ricorrente ha articolato un unico
motivo di censura rubricato «Violazione di legge e falsa applicazione
dell'art. 103,  comma  10,  lettera  c),  decreto-legge  n.  34/2020.
Nonche' eccesso di potere per carenza di istruttoria ed insufficiente
motivazione», col quale lamenta  che  la  Prefettura  di  Novara  non
avrebbe effettuato alcuna valutazione in concreto sulla pericolosita'
sociale  del  ricorrente,  allorquando,  anche  se  con   riferimento
all'art. 1-ter, comma 13, lettera c), decreto-legge  n.  78/2009,  la
Corte Costituzionale, con sentenza n.  172  del  6  luglio  2012,  ha
ritenuto  illegittimo  far  derivare   automaticamente   il   rigetto
dell'istanza  di  regolarizzazione  del  lavoratore  extracomunitario
dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza  di  condanna  per
uno dei reati per i quali l'art. 381 del codice di  procedura  penale
permette l'arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere  che  la
Pubblica  Amministrazione  provveda  ad  accertare  che  il  medesimo
rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la  sicurezza  dello
Stato. 
    6. - Si e'  costituito  in  giudizio  il  Ministero  dell'Interno
chiedendo il rigetto dell'istanza cautelare e del ricorso  in  quanto
infondato,  poiche'  le  condanne  per  stupefacenti  riportate   dal
ricorrente sono per legge ostative all'ammissione alla  procedura  di
emersione dal lavoro irregolare anche se risalenti nel tempo ai sensi
dell'art. 103, comma 10, lettera c),  decreto-legge  n.  34/2020;  la
difesa erariale ha altresi', precisato che la  sentenza  della  Corte
costituzionale citata da parte ricorrente non e' pertinente  al  caso
di specie perche' affronta la diversa questione  dei  reati  per  cui
l'arresto in  flagranza  e'  facoltativo  (art.  381  del  codice  di
procedura penale), mentre le condanne del ricorrente riguardano reati
in materia di stupefacenti per i  quali  l'arresto  in  flagranza  e'
previsto come obbligatorio (art. 380 del codice di procedura  penale)
e  che  il  legislatore   ha   espressamente   incluso   tra   quelli
automaticamente ostativi all'emersione. 
    7. - Nella camera di consiglio del 9 novembre 2022 questo T.A.R.,
con ordinanza n. 949/2022, ha rilevato in  via  officiosa,  ai  sensi
dell'art. 73, comma 3, c.p.a., profili di non implausibile  contrasto
tra la disciplina di cui all'art. 103,  comma  10,  decreto-legge  n.
34/2020 e l'art. 3 della Costituzione nella  parte  in  cui  parifica
tutti «I reati inerenti gli stupefacenti», ivi incluso lo spaccio  di
lieve entita' ex art. 73,  comma  5,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990, precludendo all'Amministrazione  di  valutare
in concreto la pericolosita' del cittadino straniero  ai  fini  della
permanenza nello  Stato  e  dell'eventuale  rilascio  del  titolo  di
soggiorno e dell'art. 117, comma 1, della Costituzione  in  relazione
all'art. 8 CEDU nella parte in cui non consente il bilanciamento  tra
la condotta penalmente rilevante e quelle circostanze  che  attengono
alla vita privata secondo la nozione  convenzionale  elaborata  dalla
giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Il Collegio
ha,  dunque,  accolto  la  domanda  di  sospensione  cautelare  e  ha
assegnato alle parti trenta giorni, decorrenti dalla notificazione  o
comunicazione in via  amministrativa  della  suddetta  ordinanza  per
presentare memorie vertenti sulla questione indicata. 
    8. - Espletato lo scambio di memorie  difensive  sulla  questione
delineata ex officio, la causa e' venuta in  discussione  all'udienza
pubblica del 25 gennaio 2023 ed e' stata trattenuta in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. - Nell'ambito della copiosa legislazione  emergenziale  varata
sulla scia della crisi epidemiologica  da  COVID-19,  il  legislatore
dell'emergenza ha apprestato  uno  speciale  plesso  normativo  volto
all'emersione  dal  lavoro  irregolare  degli  stranieri   stabilendo
all'art. 103 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito  con
modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n.  77,  che  «al  fine  di
garantire livelli adeguati  di  tutela  della  salute  individuale  e
collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale  emergenza
sanitaria connessa alla  calamita'  derivante  dalla  diffusione  del
contagio da COVID-19 e favorire l'emersione  di  rapporti  di  lavoro
irregolari, i datori di lavoro italiani  o  cittadini  di  uno  Stato
membro dell'Unione europea, ovvero i datori di  lavoro  stranieri  in
possesso del titolo di soggiorno previsto  dall'art.  9  del  decreto
legislativo 25 luglio  1998,  n.  286,  e  successive  modificazioni,
possono presentare istanza, [...], per  concludere  un  contratto  di
lavoro subordinato con cittadini stranieri  presenti  sul  territorio
nazionale ovvero per dichiarare la  sussistenza  di  un  rapporto  di
lavoro  irregolare,  tuttora  in  corso,  con  cittadini  italiani  o
cittadini stranieri» (comma 1). 
    In  linea  con  la  ratio  emergenziale   della   sanatoria,   il
legislatore ha tracciato i limiti temporali entro cui gli interessati
potevano presentare formale istanza ai competenti Sportelli Unici per
l'immigrazione  (1°  giugno  2020  -  15  agosto  2020)  delimitando,
altresi', i settori di attivita' cui era rivolta l'emersione, tra cui
figurava il lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare  (comma
3, lettera c)), che assume  rilievo  nella  fattispecie  concreta  in
esame. 
    1.1.  -  Al  pari  di  precedenti  iniziative  di  sanatoria,  il
legislatore  emergenziale  ha  puntualmente  dettato  le   condizioni
ostative all'ammissione degli stranieri alla procedura  di  emersione
tra le quali figura, per quanto qui rileva, la circostanza  di  esser
stati «condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella
adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta  ai  sensi
dell'art. 444 del codice di  procedura  penale,  per  uno  dei  reati
previsti dall'art. 380 del codice di procedura penale o per i delitti
contro la  liberta'  personale  ovvero  per  i  reati  inerenti  agli
stupefacenti, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina  verso
l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati
o per reati diretti al reclutamento  di  persone  da  destinare  alla
prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori  da
impiegare in attivita' illecite' (comma 10, lettera c)). 
    Mette conto di rilevare  che  l'ordito  normativo  dell'emersione
emergenziale del 2020 ha registrato interventi migliorativi  rispetto
a precedenti procedure emersive,  sulla  scorta  degli  interventi  -
anche  di  segno  manipolativo  -  apportati   dalla   giurisprudenza
costituzionale: si allude  segnatamente  alla  procedura  varata  con
l'art. 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito  con
modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n.  102,  che  prevedeva  al
comma  13  l'inammissibilita'  dei  lavoratori  extracomunitari   che
risultassero «condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa
quella pronunciata anche a seguito  di  applicazione  della  pena  su
richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale,  per
uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice».
Come noto, la Corte costituzionale, con sentenza 2-6 luglio 2012,  n.
172  dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
nella parte in cui faceva derivare automaticamente il  rigetto  della
istanza di regolarizzazione  del  lavoratore  extracomunitario  dalla
pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno  dei
reati previsti dall'art. 381 del codice di  procedura  penale,  senza
prevedere che la pubblica amministrazione  provvedesse  ad  accertare
che il medesimo rappresentava una minaccia per l'ordine pubblico o la
sicurezza dello Stato. 
    1.2. - Conseguentemente, in aderenza al dictum del giudice  delle
leggi,  il  legislatore  delle  successive   stagioni   emersive   ha
riadattato le previsioni tralatizie circa le condizioni ostative alla
regolarizzazione  dello  straniero  puntualizzando  che  non  possono
essere ammessi  ipso  iure  i  lavoratori  stranieri  «che  risultino
condannati,  anche  con  sentenza  non  definitiva,  compresa  quella
pronunciata anche a seguito di applicazione della pena  su  richiesta
ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale,  per  uno  dei
reati previsti dall'art. 380 del medesimo codice» (v. art.  5,  comma
13, lettera c) decreto legislativo 16 luglio 2012,  n.  109),  o  che
«comunque siano considerati una minaccia per l'ordine pubblico  o  la
sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali  l'Italia  abbia
sottoscritta accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle persone». In siffatta ipotesi,
facendo proprio l'insegnamento della Corte, il legislatore  specifica
che «nella valutazione della pericolosita' dello straniero  si  tiene
conto anche di eventuali condanne, anche con sentenza non definitiva,
compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della  pena  su
richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale,  per
uno dei reati previsti dall'art. 381 del medesimo codice» (v. art. 5,
comma 13, lettera d) cit.). 
    In via parzialmente innovativa, il legislatore  emergenziale  del
2020 ha enucleato tra le condanne ostative, anche se non definitive o
applicate su richiesta delle parti, non solo quelle per uno dei reati
previsti dall'art. 380 del  codice  di  procedura  penale,  ma  anche
quelle per i delitti  contro  la  liberta'  personale,  per  i  reati
inerenti  agli  stupefacenti,  il  favoreggiamento  dell'immigrazione
clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia
verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di  persone  da
destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della  prostituzione
o di minori da impiegare in attivita' illecite (art. 103,  comma  10,
lettera  e),  decreto-legge  n.  34/2020),   replicando   dunque   un
caratteristico automatismo  legislativo  secondo  cui,  al  riscontro
positivo circa la sussistenza di una delle condanne  ivi  catalogate,
residua solo  un  agere  vincolato  dell'amministrazione,  tenuta  al
diniego di regolarizzazione. A tale disposizione  si  giustappone  la
successiva lettera d) quale norma di chiusura  che,  nel  valorizzare
peculiarmente il decisum costituzionale del 2012, demanda alla  sfera
discrezionale dell'amministrazione l'apprezzamento  se  lo  straniero
sia comunque considerato «una minaccia per  l'ordine  pubblico  o  la
sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali  l'Italia  abbia
sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle  persone»  tenendo  conto,  in
siffatta valutazione di pericolosita', anche di  eventuali  condanne,
anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito
di applicazione della pena su richiesta ai sensi  dell'art.  444  del
codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall'art.  381
del codice di procedura penale. 
    13. - A completamento della cornice di inquadramento e'  doveroso
segnalare che la disposizione emersiva emergenziale  in  esame  mutua
uno  stilema  normativo  gia'  invalso  nella   disciplina   generale
dell'immigrazione dal decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero): l'art. 4
del testo unico generalizza  l'automatismo  espulsivo  nei  confronti
dello straniero richiedente un titolo  di  soggiorno  sul  territorio
nazionale «che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva,
compresa quella adottata a seguito  di  applicazione  della  pena  su
richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale,  per
reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del  codice  di  procedura
penale ovvero per  reciti  inerenti  gli  stupefacenti,  la  liberta'
sessuale,  il  favoreggiamento  dell'immigrazione  clandestina  verso
l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati
o per reati diretti al reclutamento cli  persone  da  destinare  alla
prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori  da
impiegare  in  attivita'  illecite».  Il  legislatore   ha   vieppiu'
arricchito il catalogo dei reati  ostativi  estendendolo  anche  alle
condanne, con sentenza irrevocabile,  «per  uno  dei  reati  previsti
dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della  legge
22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e
degli articoli 473 e 474 del codice penale, nonche' dall'art.  1  del
decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall'art. 24 del  regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773». 
    Per ulteriore scrupolo di  completezza  consta  al  Collegio  che
sulla disposizione teste' richiamata e' stata sollevata  una  duplice
questione di legittimita' costituzionale, con  due  pressoche'  coeve
ordinanze della Terza Sezione Giurisdizionale del Consiglio di Stato,
in relazione agli articoli 3 e 117, primo  comma  della  Costituzione
con riguardo all'art. 8 CEDU, nella parte in cui prevede che il reato
di cui all'art. 474 del codice penale, rubricato «introduzione  nello
Stato e commercio di prodotti con segni falsi»,  sia  automaticamente
ostativo al rilascio ovvero al rinnovo del titolo di soggiorno  (cfr.
Cons. Stato, Sez. III, ord. 5171 del 23 giugno 2022) e nella parte in
cui, richiamando tutti «i reati inerenti gli  stupefacenti»,  prevede
che  la  fattispecie  di  cui  all'art.  73,  comma  5,  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  309  del  1990,  sia  automaticamente
ostativa al rilascio ovvero al rinnovo del titolo di soggiorno (Cons.
Stato, Sez. III, ordinanza n. 5492 del l° luglio 2022). 
    Il  meccanismo  di  automatica  ostativita'  delle  condanne  ivi
evidenziate e' sospettato di contrasto con la Carta fondamentale  sia
con riferimento ai principi di proporzionalita' e ragionevolezza  sub
specie di  necessarieta'  della  misura  -  in  quanto  ritenuta  non
rispettosa di un bilanciamento, ragionevole e proporzionato ai  sensi
dell'art. 3 della  Costituzione,  tra  l'esigenza,  da  un  lato,  di
tutelare l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato e di regolare i
flussi migratori al cospetto di fattispecie illecite  di  particolare
tenuita' e, dall'altro, di salvaguardare i diritti  dello  straniero,
riconosciutigli dalla Costituzione - sia in relazione all'art. 8 CEDU
quale norma interposta a presidio della  vita  privata  e  familiare,
giacche' la preclusione del bilanciamento non  risponderebbe  piu'  a
quel cogente pressing  social  need  che  e'  necessario  secondo  la
giurisprudenza  della  Corte  europea  per  ritenere  legittima   una
compromissione dei diritti fondamentali della persona umana. 
    Lo   spiccato   parallelismo   tra   la   disposizione   generale
attenzionata dal Supremo Consesso e quella emergenziale che viene qui
in rilievo impongono di svolgere dubbi di legittimita' costituzionale
della medesima indole per le ragioni che si vanno ad esporre. 
    2. - Venendo difatti al caso di specie, lo straniero per  cui  e'
stata richiesta la  regolarizzazione  ad  iniziativa  del  datare  di
lavoro (procedura di cui al comma l dell'art. 103 D.L.  cit.)  si  e'
visto opporre un diniego dallo Sportello unico per l'immigrazione  di
Novara in ragione della sussistenza di due risalenti condanne,  sotto
diversi alias, per spaccio di sostanze stupefacenti di lieve  entita'
di cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della  Repubblica
n. 309/1990 - l'una risalente al..., l'altra  al...:  il  diniego  e'
stato motivato esclusivamente in ragione della  ritenuta  ostativita'
del tipo di reato, in quanto  inerente  agli  stupefacenti,  a  norma
dell'art. 103, comma  10,  lettera  c)  D.L.  cit.  senza  null'altro
dedurre circa la situazione personale e la condizioni di integrazione
socio-economica dello straniero in linea  con  il  tipico  sillogismo
deduttivo insito negli automatismi legislativi. 
    3.  -  Condividendo  le  cadenze  argomentative  sviluppate   dal
Consiglio di Stato in riferimento alla norma generale di cui all'art.
4, comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998, il Collegio  ritiene
che  la  disposizione  in  parola  presenti  assonanti   profili   di
illegittimita' costituzionale rispetto agli articoli 3 e 117, comma 1
della  Carta  fondamentale   nella   parte   in   cui   fa   derivare
automaticamente il rigetto  della  istanza  di  regolarizzazione  del
lavoratore straniero  dalla  pronuncia  nei  suoi  confronti  di  una
sentenza di condanna per il  reato  di  cui  all'art.  73,  comma  5,
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 in  quanto  reato
inerente  agli  stupefacenti,  senza  prevedere   che   la   pubblica
amministrazione provveda ad accertare in  concreto  che  il  medesimo
rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la  sicurezza  dello
Stato - profili alla luce dei quali  si  impone  la  rimessione  alla
Corte costituzionale della relativa questione, ai sensi dell'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale). 
    4. - La disposizione in questione e' innanzitutto  rilevante  nel
presente giudizio. 
    La reiezione dell'istanza di regolarizzazione,  come  sunteggiato
dianzi,  e'  scaturita  in  via  strettamente  consequenziale   dalla
riscontrata  sussistenza  di  condanne  riportate   dallo   straniero
richiedente  e  riconducibili  al  tassativo  catalogo   legislativo,
essendo di lapalissiana evidenza che la fattispecie incriminatrice di
cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica  n.
309/1990, pur se rubricata di lieve entita', afferisce ictu aculi  al
novero dei reati inerenti agli stupefacenti inclusi nella lettera  c)
del comma 10 dell'art. 103 in  esame.  L'impugnativa  proposta  dallo
straniero  mira  a  censurare   l'automatismo   espulsivo   applicato
dall'Autorita' amministrativa in relazione alle condanne per  spaccio
di lieve entita', denunciando  di  conseguenza  l'omessa  valutazione
della pericolosita' in concreto del richiedente. 
    Senonche', il limpido dato testuale della disposizione («non sono
ammessi  alle  procedure  [...]  i  cittadini  stranieri  [...]   che
risultino condannati, anche con  sentenza  non  definitiva,  compresa
quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta  ai
sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, [...] per i reati
inerenti agli stupefacenti») non lascia margini per esegesi  difformi
da quella aderente alla littera legis, nel senso che  lo  spaccio  di
sostanze stupefacenti di lieve entita', previsto e  punito  ai  sensi
dell'art. 73, comma 5, , decreto del Presidente della  Repubblica  n.
309/1990, ricada de plano  nel  complesso  dei  reati  inerenti  agli
stupefacenti ostando,  per  l'effetto,  alla  regolarizzazione  dello
straniero, a prescindere dalla sua situazione personale e  dalla  sua
condizione di integrazione socio-economica nella comunita' nazionale.
Sicche', non potrebbe trovare ingresso nella delibazione del Collegio
nell'ambito del presente giudizio il bilanciamento tra gli  interessi
pubblicistici alla sicurezza dello Stato e  alla  tutela  dell'ordine
pubblico e le circostanze dedotte dal ricorrente in ordine  al  lento
percorso di recupero dalla  tossicodipendenza,  successivamente  alla
rituale espiazione delle  pene  riportate,  al  deterioramento  delle
condizioni di salute sopravvenuto nel... e,  infine,  alla  raggiunta
stabilita'  economica  in  forza  di  un  contratto  di  lavoro  come
collaboratore domestico nel... 
    Non pare, infatti, propugnabile una linea ermeneutica adeguatrice
che, nel disapplicare l'automatismo espulsivo divisato  dalla  norma,
recuperi in modo surrettizio un momento di  valutazione  in  concreto
della pericolosita' sociale al cospetto di fattispecie incriminatrici
dichiaratamente rubricate di lieve entita' da parte del  legislatore:
un'operazione interpretativa di tal fatta  colliderebbe  frontalmente
col dato letterale e sistematico, ne' si rinvengono indici  normativi
che possano corroborare una chiave di lettura teleologica  stante  la
perspicua ratio legis  della  disposizione  emersiva,  improntata  al
rigorismo consentaneo con un elevato standard di difesa sociale.  Del
resto,     siffatto     approdo     esegetico     si      tradurrebbe
nell'eterointegrazione  normativa  della  previsione   recata   dalla
successiva lettera d) ove si enuclea una fattispecie amministrativa a
struttura    discrezionale    e    non    vincolata    che    demanda
all'amministrazione la valutazione concreta di pericolosita'  sociale
dello straniero richiedente. 
    Tanto considerato, all'esito di  una  ricognizione  meditata  del
diritto positivo, il Collegio rimettente - memore  anche  del  chiaro
richiamo rivolto sul punto dalla Corte costituzionale con la sentenza
24 febbraio 2017, n. 45  -  deve  concludere  che  l'unica  soluzione
applicativa prospettabile de jure condito nella controversia in esame
sarebbe rappresentata dal rigetto del gravame in  piana  applicazione
della disposizione della cui tenuta costituzionale si viene invece  a
dubitare. 
    Indi, la rilevanza della questione si impone con  tutta  evidenza
senza possibilita' alcuna di  soluzioni  costituzionalmente  conformi
che possano scongiurare il presente incidente di costituzionalita'. 
    5. - Con riguardo al presupposto della non manifesta infondatezza
della questione  si  impongono  alcune  considerazioni  di  carattere
preliminare di indole storico-sistematica. 
    5.1. - Il Collegio e', infatti, ben consapevole che una questione
di legittimita' costituzionale di indole affine, in  quanto  relativa
alla norma  generale  del  testo  unico  (art.  4,  comma  3  decreto
legislativo n. 286/1998),  fu  gia'  sollevata  in  riferimento  agli
articoli 2, 3, 24 e 97 della Costituzione nella palle in cui la norma
include tra i  reati  ostativi  quelli  inerenti  agli  stupefacenti,
ancorche' per ipotesi di lieve entita': in tale  occasione  la  Corte
costituzionale   si   e'   pronunciata   risolutamente   nel    senso
dell'infondatezza  con  la  pronuncia  n.  148  del  16  maggio  2008
statuendo che «l'inclusione di condanne per qualsiasi reato  inerente
agli  stupefacenti  tra  le  cause  ostative  all'ingresso   e   alla
permanenza  dello  straniero  in  Italia  non  appare  manifestamente
irragionevole  qualora  si  consideri  che  si  tratta   di   ipotesi
delittuose  spesso  implicanti  contatti,  a  diversi  livelli,   con
appartenenti  ad  organizzazioni  criminali  o  che,  comunque,  sono
dirette ad alimentare il cosiddetto mercato  della  droga,  il  quale
rappresenta una delle maggiori fonti di  reddito  della  criminalita'
organizzata (sentenza n. 333  del  1991».  Nel  ribadire  la  propria
giurisprudenza  sul  punto,  il  giudice  delle  leggi  ha   altresi'
soggiunto che "il cosiddetto automatismo espulsivo «altro non e'  che
un riflesso del principio di stretta legalita'  che  permea  l'intera
disciplina  dell'immigrazione  e  che  costituisce,  anche  per   gli
stranieri, presidio ineliminabile dei loro  diritti,  consentendo  di
scongiurare possibili arbitri da parte dell'autorita' amministrativa»
(ordinanza n. 146 del 2002)". 
    5.2. - Il Collegio  e'  dell'avviso  che  tale  orientamento  sia
meritevole   di   revisione   critica   alla   luce   dell'evoluzione
dell'ordinamento  nazionale  e  della  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale, nella sua  vieppiu'  intima  compenetrazione  con  le
fonti sovranazionali di matrice europea e col fervido  pungolo  della
elaborazione  giurisprudenziale  della  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo. 
    5.2.1.   -   Va   innanzitutto   dato   rilievo    all'evoluzione
storico-sistematica del dato positivo.  La  Corte  nel  2008  ebbe  a
pronunciarsi  con  riferimento  all'ostativita'  di  una  fattispecie
incriminatrice  che  era  strutturalmente  difforme  dall'attuale  in
termini di configurazione e carica di disvalore, per come  evincibile
dalla cornice edittale: il tenore testuale dell'allora vigente  comma
quinto dell'art.  73  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990, sulla scorta del  quale  erano  state  emesse  le  condanne
ritenute ostative nei giudizi a quibus, stabiliva che «quando, per  i
mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione  ovvero  per  la
qualita' e quantita' delle sostanze, i fatti  previsti  dal  presente
articolo sono di lieve entita', si applicano le pene della reclusione
da uno a sei anni e della multa da euro 2.582 (lire cinque milioni) a
euro 25.822  (lire  cinquanta  milioni)  se  si  tratta  di  sostanze
stupefacenti o psicotrope di  cui  alle  tabelle  I  e  III  previste
dall'art. 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi  a  quattro
anni e della multa da euro 1.032 (lire due  milioni)  a  euro  10.329
(lire venti milioni) se si tratta di sostanze di cui alle tabelle  II
e  IV»  (formulazione  vigente  sino  alle  modifiche  apportate  dal
decreto-legge   30   dicembre   2005,   n.   272,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49). Successivamente,
la disposizione fu semplificata riducendosi ad  incriminare  i  fatti
che, per i mezzi, per  la  modalita'  o  le  circostanze  dell'azione
ovvero per la qualita' e quantita' delle  sostanze,  risultassero  di
lieve entita', con l'applicazione della pena della reclusione da  uno
a sei anni e della multa da curo 3.000 a  euro  26.000  (formulazione
vigente sino alle modifiche apportate dal decreto-legge  23  dicembre
2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21  febbraio
2014, n. 10). 
    Successivamente, col decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 e col
successivo  decreto-legge  20  marzo  2014,  n.   36   cd.   «decreto
stupefacenti»,  il   legislatore   accentuo'   la   vocazione   della
disposizione ad intercettare  le  condotte  di  particolare  tenuita'
riducendo il massimo edittale dapprima a cinque anni, poi  a  quattro
anni parallelamente alla consistenza delle pene  pecuniarie,  nonche'
rimarcando  la  natura  autonoma  e  sussidiaria  della   fattispecie
incriminatrice mediante la clausola di sussidiarieta' espressa «salvo
che il fatto costituisca piu' grave reato» - natura autonoma ribadita
altresi' dalla riformulazione della norma processuale di cui all'art.
380, comma 2, lettera h) del codice di procedura penale. 
    5.2.2. - L'intento ordinatorio  perseguito  dal  legislatore  col
decreto-legge  n.  146/2013  e'  stato  tempestivamente  colto  dalla
giurisprudenza  penale  della   Corte   di   cassazione   la   quale,
emancipandosi   dai   consolidati   indirizzi   interpretativi    che
propugnavano la natura  meramente  circostanziale  della  previsione,
ancorandola alla fattispecie base di cui all'art. 73, comma  1  (cfr.
ex multis, Cass. SS.UU. 24 giugno 2010, n.  35737;  Cass.  SS.UU.  21
giugno 2000,  n.  17,  Cass.  S.U.  31  maggio  1991,  n.  9148),  ha
risolutamente  imboccato  la  linea  esegetica  della  configurazione
autonoma   della   fattispecie   incriminatrice    implicando    «una
rivisitazione dei tradizionali orientamenti interpretativi,  in  modo
da riconoscere a tale fattispecie un suo autonomo specifico grado  di
offensivita',   correlato   ad   un   dato    antologico-strutturale»
(Cassazione penale sez. VI, 26 marzo  2018,  n.  13982).  La  Suprema
Corte ha difatti enucleato i dati distintivi  dell'ipotesi  di  lieve
entita' esplorando tutti i parametri stabiliti dal  dato  positivo  -
mezzi,  modalita'  o  circostanze  dell'azione  ovvero   qualita'   e
quantita' delle sostanze: al riguardo ha significativamente soggiunto
che «non puo' essere solo  il  dato  del  quantitativo  singolarmente
spacciato o complessivamente detenuto ad assumere rilievo, bensi'  il
tipo di relazioni che si determinano tra il soggetto e il mercato  di
riferimento,  nel  senso  che,  in  rapporto  all'offensivita'  della
condotta, viene ad assumere specifico rilievo l'entita'  della  droga
movimentata in un determinato lasso di tempo e il numero di assuntori
che sono  stati  riforniti,  in  quanto  rientranti  nella  ordinaria
capacita' di azione del soggetto. [...]  Ne  consegue  che  non  puo'
ritenersi di  lieve  entita'  il  fatto  compiuto  nel  quadro  della
gestione  di  una  «piazza  di  spaccio»,   che   e'   connotata   da
un'articolata organizzazione di supporto e  difesa  ed  assicura  uno
stabile commercio di sostanza stupefacente» (Cassazione  penale  sez.
VI, 26 marzo 2018, n. 13982). 
    Nelle  pronunce  piu'  recenti  si  e'  assestato  un   indirizzo
interpretativo  che  apprezza  globalmente  gli  elementi  modali  di
fattispecie al fine di determinare la minore offensivita' del  fatto,
rilevante per riconoscere il fatto lieve ex art.  73,  comma  5,  del
decreto del Presidente della Repubblica n.  n.  309  del  1990:  «gli
indici elencati in detta disposizione non possono, da un lato, essere
utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od  escludendo,
cioe', la lieve entita' del  fatto  anche  in  presenza  di  un  solo
indicatore  di  segno  positivo  o  negativo,  a  prescindere   dalla
considerazione degli altri, e, dall'altro, non e' richiesta  la  loro
esistenza cumulativa, in  senso  positivo  o  negativo.  Infatti,  e'
imposto di considerare anche la possibilita' che tra  gli  stessi  si
instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione, in grado  di
consentire un giudizio unitario sulla concreta offensivita' del fatto
anche quando le circostanze che  lo  caratterizzano  risultano  prima
facie contraddittorie in tal senso» (cfr. Cassazione penale sez. III,
13 maggio 2022, n. 31768). 
    Questa digressione attesta la sostanziale evoluzione del  diritto
positivo  e  dell'elaborazione   giurisprudenziale   concernente   la
fattispecie dello spaccio di lieve entita'  dall'originaria  versione
vigente nel biennio  2004-2005  da  cui  origino'  la  pronuncia  del
giudice delle leggi  del  2008  in  confronto  all'assetto  normativo
cogente, che come visto si connota per una fattispecie incriminatrice
autonoma espressiva di una carica di disvalore vieppiu'  contenuto  e
prudentemente     valorizzata     dalla     giurisprudenza     penale
nell'apprezzamento delle note modali  di  fattispecie  rispetto  alla
figura base, prevista e punita dal primo comma dell'art.  73  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/1990, fattispecie che si situa
in territori di prensione  punitiva  assai  distanti  in  termini  di
offensivita' per l'assai piu' aspra dosimetria  sanzionatoria  -  dai
sei ai venti anni. 
    5.2.3. - Anche la giurisprudenza della  Corte  costituzionale  ha
registrato una significativa evoluzione del proprio  orientamento  in
ordine  al  meccanismo  degli  automatismi  legali  e   alla   logica
presuntiva insita in essi. Il  terreno  elettivo  su  cui  e'  andata
maturando la sensibilita' della Corte e'  innanzitutto  quello  degli
automatismi sanzionatori, guardati con crescente sfavore a mente  dei
principi di proporzionalita' e  individualizzazione  della  pena,  in
quanto  normalmente  inidonei  ad  assicurare  che  la   stessa   sia
commisurata dal giudice tenendo conto  della  concreta  gravita'  del
fatto del quale l'imputato e' ritenuto responsabile (da ultimo, Corte
costituzionale  -  sentenza  n.  222  del  2018).  Il  principio   di
tendenziale esclusione di previsioni  sanzionatorie  rigide,  la  cui
applicazione  non  sia  conseguenza  di  un  riscontrato   confacente
rapporto di adeguatezza col caso  concreto,  e  rispetto  alle  quali
l'indispensabile gradualita' applicativa non sia oggetto di specifica
valutazione nel naturale contesto del procedimento giurisdizionale e'
stato dapprima elaborato dalla Corte  sul  combinato  disposto  degli
articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, avendo come
necessario referente il principio della  funzione  rieducativa  della
pena (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012  e  n.  363
del 1996). Ne sono  testimonianza  le  significative  pronunce  della
Corte sugli «automatismi» nell'applicazione  delle  misure  cautelari
personali, ove si richiama il principio secondo cui  «le  presunzioni
assolute,  specie  quando  limitano  un  diritto  fondamentale  della
persona, violano il principio di uguaglianza, se  sono  arbitrarie  e
irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono   a   dati   di   esperienza
generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod   plerumque
accidit» (Corte  costituzionale  -  sentenza  n.  268  del  2016;  in
precedenza, sentenze n. 185 del 2015, n. 232, n.  213  e  n.  57  del
2013, n. 291, n. 265, n. 139 del 2010, n. 41 del 1999 e  n.  139  del
1982). Analoghe considerazioni sono state svolte con riferimento alle
altre misure privative e  limitative  della  liberta'  (ex  plurimis,
Corte costituzionale 18  luglio  2019,  n.  187)  e  alle  misure  di
sicurezza rispetto alle quali si  deve  far  luogo  ad  una  doverosa
valutazione della pericolosita' in concreto e non puo' trovar  spazio
alcun automatismo legislativo (Corte costituzionale 24 febbraio 1995,
n. 58). 
    Non potendo essere sic et simpliciter traslati alla materia delle
sanzioni disciplinari o  amministrative,  tali  principi  sono  stati
successivamente adattati alle peculiarita'  di  sistemi  sanzionatori
che perseguono obiettivi diversi rispetto a  quelli  cui  il  diritto
penale e' orientato, consacrando quale  parametro  di  ammissibilita'
dei  meccanismi  presuntivi  insiti  negli  automatismi  sanzionatori
l'indispensabile gradualita'  della  reazione  sanzionatoria.  A  tal
riguardo,   il   «principio   di   proporzione»,   fondamento   della
razionalita'  che  domina  «il  principio  di  eguaglianza»,  postula
l'adeguatezza della sanzione al caso concreto anche  con  riferimento
alla generalita'  delle  sanzioni  amministrative  o  disciplinari  -
adeguatezza che non  puo'  essere  raggiunta  se  non  attraverso  la
concreta valutazione degli  specifici  comportamenti  messi  in  atto
nella   commissione   dell'illecito,   nell'ambito   di    un    iter
procedimentalizzato e partecipato (Corte costituzionale - sentenze n.
170 del 2015, n. 447 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 40
del 1990 e n. 971 del 1988). 
    A conforto di tale dato di sintesi, nella recente  giurisprudenza
della Corte in materia disciplinare, si afferma che  la  sanzione  va
graduata, di regola, nell'ambito dell'autonomo  procedimento  a  cio'
preposto, secondo criteri di proporzionalita' e adeguatezza  al  caso
concreto, e non  puo'  pertanto  costituire  l'effetto  automatico  e
incondizionato  di  una  condanna  penale  (Corte  costituzionale   -
sentenze n. 234 del 2015, n. 2 del 1999, n. 363 del 1996, n. 220  del
1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 158 del 1990,  n.  971  del
1988 e n. 270 del 1986), neppure quando  si  tratti  di  rapporto  di
servizio del personale militare (ad esempio, sentenze n. 363 del 1996
e n. 126  del  1995).  Solo  eccezionalmente  l'automatismo  potrebbe
essere giustificato: segnatamente quando la fattispecie penale  abbia
contenuto tale da essere radicalmente incompatibile con  il  rapporto
di impiego o di servizio, come ad esempio quella sanzionata anche con
la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici  ex
art. 28, secondo comma, del codice  penale  (Corte  costituzionale  -
sentenze n. 286 del 1999 e n. 363 del  1996)  o  dell'estinzione  del
rapporto di impiego ex art.  32-quinquies  del  codice  penale  (cfr.
Corte costituzionale 15 dicembre 2016,  n.  268,  poi  confermata  da
Corte costituzionale 23 giugno 2020, n. 123). 
    In materia di sanzioni amministrative, particolarmente affine  al
caso di specie e'  la  giurisprudenza  costituzionale  formatasi  con
riguardo all'automatismo legislativo circa la revoca della patente di
guida che consegue obbligatoriamente a condanna per reati in  materia
di stupefacenti (art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285. Nuovo codice della strada): la Corte  ha  ravvisato  la
violazione  dei   principi   di   eguaglianza,   proporzionalita'   e
ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione  nella  parte  in
cui la  disposizione  ricollega,  «in  via  automatica,  il  medesimo
effetto, la revoca di quel titolo, ad una  varieta'  di  fattispecie,
non sussumibili in termini di omogeneita', atteso  che  la  condanna,
cui la norma fa riferimento, puo' riguardare reati di diversa, se non
addirittura di lieve entita'. Reati che, per di piu', possono  essere
assai risalenti nel tempo, rispetto  alla  data  di  definizione  del
giudizio (come nella specie in cui risaliva ad otto anni  prima).  Il
che dovrebbe escluderne l'attitudine a  fondare,  nei  confronti  del
condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio di assenza
dei  requisiti  soggettivi  per  il  mantenimento   del   titolo   di
abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all'attualita'»
(Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22). 
    In ogni caso, la giurisprudenza costituzionale e' approdata  alla
conclusione che l'automatismo legale  non  puo'  essere  giustificato
sulla base del fatto che si fondi su  una  presunzione  assoluta,  in
quanto ha  ripetutamente  affermato  che  «le  presunzioni  assolute,
specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano
il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali,  cioe'
se non rispondono a  dati  di'  esperienza  generalizzati,  riassunti
nella  formula  dell'id  quod  plerumque  accidit».  In  particolare,
«l'irragionevolezza della presunzione assoluta si puo' cogliere tutte
le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti  reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»
(ex multis, Corte costituzionale - sentenze n. 253 del 2019,  n.  185
del 2015, n. 268, n. 232 e n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011,
n. 265 e n. 139 del 2010). 
    5.2.4. -  Nella  materia  che  qui  ci  occupa,  mette  conto  di
rammentare la pronuncia n. 172 del 6  luglio  2012,  gia'  richiamata
nella cornice di inquadramento, che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale della norma di emersione del 2009, l'art. 1-ter, comma
13,  lettera  c),  del  decreto-legge   1°   luglio   2009,   n.   78
(Provvedimenti anticrisi, nonche'  proroga  di  termini),  introdotto
dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, nella parte in  cui
faceva  derivare  automaticamente  il  rigetto   della   istanza   di
regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia  nei
suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti
dall'art. 381 del codice di procedura penale, senza prevedere che  la
pubblica amministrazione provvedesse ad  accertare  che  il  medesimo
rappresentava una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello
Stato. 
    Segnatamente,  la  Corte,  pur  premettendo   che   l'automatismo
espulsivo costituisce un riflesso del principio di stretta  legalita'
che permea l'intera disciplina dell'immigrazione ed e' «anche per gli
stranieri, presidio ineliminabile dei loro  diritti,  consentendo  di
scongiurare possibili arbitri da parte dell'autorita' amministrativa»
(tra le molte, sentenza n. 148 del 2008; ordinanza n. 146 del  2002),
ha  puntualizzato  che  la  discrezionalita'  di   cui   dispone   il
legislatore  nel  regolamentare  l'ingresso  e  il  soggiorno   dello
straniero  sul  territorio  nazionale,  tipicamente   involgente   un
bilanciamento di molteplici interessi pubblici e diritti fondamentali
in  gioco  «incontra,  tuttavia,  i  limiti  segnati   dai   precetti
costituzionali  e,  per  essere  in  armonia  con  l'art.   3   della
Costituzione, occorre  che  sia  conforme  a  criteri  di  intrinseca
ragionevolezza (Corte costituzionale - sentenze n. 206 del 2006 e  n.
62 del 1994)». 
    Pur richiamando, tra i vari, il  proprio  precedente  arresto  in
tema  di  reati  inerenti  agli  stupefacenti   ("v.   sopra,   Corte
costituzionale n. 148/2008), la Corte ha  soggiunto  che  legislatore
puo', pertanto,  subordinare  la  regolarizzazione  del  rapporto  di
lavoro al fatto che la permanenza nel territorio dello Stato non  sia
di pregiudizio ad alcuno degli interessi coinvolti  dalla  disciplina
dell'immigrazione, ma la relativa scelta deve costituire il risultato
di  un  ragionevole  e  proporzionato  bilanciamento  degli   stessi,
soprattutto quando sia suscettibile di  incidere  sul  godimento  dei
diritti  fondamentali  dei  quali  e'  titolare  anche  lo  straniero
extracomunitario (sentenze n. 245 del 2011,  n.  299  e  n,  249  dei
2010), perche' la  condizione  giuridica  dello  straniero  non  deve
essere «considerata per quanto riguarda la tutela di tali  diritti  -
come causa ammissibile di trattamenti diversificati  o  peggiorativi»
(sentenza n. 245 del  2011)";  ha,  inoltre,  fatto  leva  sul  sopra
richiamato principio pretorio in virtu'  del  quale  «le  presunzioni
assolute,  specie  quando  limitano  un  diritto  fondamentale  della
persona, violano il principio di eguaglianza, se  sono  arbitrarie  e
irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono   a   dati   di   esperienza
generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod   plerumque
accidit», sussistendo l'irragionevolezza della  presunzione  assoluta
«tutte le volte in cui sia «agevole» formulare ipotesi di accadimenti
reali contrari alla generalizzazione posta a base  della  presunzione
stessa» (sentenze n. 231 e n. 164 del 2011;  n.  265  e  n.  139  del
2010). 
    Nel caso venuto allora all'esame la Corte,  quindi,  ha  concluso
per la manifesta irragionevolezza della norma censurata  per  il  sol
fatto   che   il   diniego    della    regolarizzazione    conseguiva
automaticamente alla pronuncia di una sentenza di condanna anche  per
uno dei reati di cui all'art. 381 del  codice  di  procedura  penale,
nonostante che gli stessi  non  fossero  necessariamente  sintomatici
della pericolosita' di colui che li ha commessi.  In  tal  senso  e',
infatti, significativo che, essendo  possibile  procedere  per  detti
reati «all'arresto in flagranza soltanto se la misura e' giustificata
dalla gravita' del fatto  ovvero  dalla  pericolosita'  del  soggetto
desunta dalla sua personalita' o dalle circostanze del  fatto»  (art.
381,  comma  4,  del   codice   di   procedura   penale),   e'   gia'
l'applicabilita'  di  detta  misura  ad  essere  subordinata  ad  una
specifica  valutazione  di  elementi  ulteriori  rispetto  a   quelli
consistenti nella mera prova della commissione  del  fatto.  Inoltre,
osservo' la Corte che l'automatismo allora in discussione  concerneva
una fattispecie connotata da profili peculiari tra quelle  aventi  ad
oggetto  l'accertamento  della  sussistenza  dei  requisiti  per   la
permanenza nel territorio dello Stato, intercettando profili di forte
assonanza con la fattispecie emersiva oggi sottoposta a scrutinio: la
procedura  di  emersione  del  2009,  difatti,  riguardava  «i   soli
stranieri  extracomunitari  i  quali  da  un   tempo   ritenuto   dal
legislatore apprezzabile svolgevano, sia pure in  una  situazione  di
irregolarita', attivita' di assistenza in favore del datore di lavoro
o  di  componenti  della  famiglia  del   predetto,   ancorche'   non
conviventi, affetti  da  patologie  o  disabilita'  che  ne  limitano
l'autosufficienza, ovvero attivita' di lavoro domestico  di  sostegno
al bisogno familiare. Sono, queste, infatti, attivita'  che,  per  il
loro contenuto e per la circostanza di essere svolte ali  interno  di
una famiglia, da un canto,  agevolano  l'accertamento  dell'effettiva
pericolosita'   dello   straniero.   Dall'altro,   evidenziano    che
l'automatismo, nel caso  di  assistenza  in  favore  di  quanti  sono
affetti da patologie o disabilita' che ne limitano l'autosufficienza,
rischia di pregiudicare irragionevolmente  gli  interessi  di  questi
ultimi. E', invero, notorio che, soprattutto  quando  tale  attivita'
sia stata svolta per  un  tempo  apprezzabile,  puo'  instaurarsi  un
legame peculiare e forte con chi ha bisogno di assistenza costante  e
che, quindi, puo' essere leso da un diniego disposto  in  difetto  di
ogni  valutazione  in  ordine  alla  effettiva  imprescindibilita'  e
proporzionalita' dello  stesso  rispetto  all'esigenza  di  garantire
l'ordine pubblico e la sicurezza  dello  Stato,  nonostante  che  sia
agevole ipotizzare, ed accertare, l'esistenza di situazioni contrarie
alla generalizzazione posta a base  della  presunzione  assoluta  che
fonda l'automatismo». 
    6. - Le notazioni che precedono conducono, dunque, al nucleo  dei
rinnovati dubbi di tenuta costituzionale della disposizione  emersiva
del   2020   nella   parte   in   cui   ricomprende   indistintamente
nell'automatismo  espulsivo  previsto  per  i  reati  inerenti   agli
stupefacenti anche le condanne per spaccio di  lieve  entita',  nella
sua nuova veste di fattispecie incriminatrice autonoma a minor carica
di disvalore se esaminata alla lente dell'art. 3  della  Costituzione
quale crogiuolo  fulgido  in  cui  si  fondono  secondo  un  sapiente
dosaggio assiologico  i  principi  cardinali  di  proporzionalita'  e
ragionevolezza. 
    6.1. - In termini di  inquadramento  generale,  il  principio  di
proporzionalita' e' stato enunciato agli inizi del  secolo  XX  dalla
dottrina e dalla giurisprudenza germanica, nel contesto specifico del
«Polizeirecht» tedesco (le leggi di polizia), e in quel contesto esso
implicava che «la polizia non deve sparare ai passeri con i cannoni».
Attualmente  la  proporzionalita'  e'  uno  degli  architravi   della
giurisprudenza europea delle Corti di Lussemburgo  e  di  Strasburgo.
Attraverso il diritto comunitario, la  proporzionalita'  e'  divenuta
uno dei principi generali  anche  del  diritto  amministrativo,  come
argine al potere discrezionale quando questo si imbatte in un diritto
fondamentale.  Sin  dagli  anni  '70,  poi,  la  proporzionalita'  e'
impiegata nella procedura penale in funzione di minimizzazione  delle
limitazioni della liberta' personale. 
    Il principio di  proporzionalita'  nella  elaborazione  esegetica
ormai  consolidatasi  viene  declinato  secondo  due  modelli  -  uno
trifasico e uno bifasico. Secondo il primo,  la  proporzionalita'  si
compone di tre elementi: idoneita', necessarieta' e  proporzionalita'
in senso stretto. E' idonea la misura che permette il  raggiungimento
del fine, il conseguimento del risultato prefissato, mentre  essa  e'
necessaria  se  e'  l'unica  possibile  per  il  raggiungimento   del
risultato prefissato o e' quella che arreca il  minor  sacrificio  di
interessi confliggenti  laddove  vi  sia  una  pluralita'  di  misure
perseguibili. La proporzionalita' in senso stretto richiede,  invece,
che la scelta amministrativa ovvero legislativa  non  rappresenti  un
sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato. 
    Mutatis mutandis, nel modello bifasico, prevalentemente  adottato
dalla Corte di Giustizia UE, il requisito della  proporzionalita'  in
senso stretto e' insito nei parametri di idoneita'  e  di  necessita'
come fine ultimo del principio  nonche'  canone  strutturale  cui  si
conformano le scelte di intervento,  siano  esse  legislative  ovvero
amministrative. 
    6.2 - Per converso,  il  principio  di  ragionevolezza  non  pare
potersi ridursi a mero complemento di  un'endiadi  col  principio  di
proporzionalita':  pur  essendo  ancora  ampiamente   dibattute,   le
coordinate del confronto dottrinal-giurisprudenziale  propendono  per
una tendenziale ricostruzione autonoma dei due principi. Per  mutuare
sul tema i passaggi argomentativi delle due ordinanze  di  rimessione
del Consiglio di Stato sulla norma generale di cui all'art. 4,  comma
3 T.U.I., «per essere ragionevole, la norma deve essere coerente  con
il fine perseguito, ne deve essere deduzione logica, rappresentazione
pratica. Oltre che soluzione proporzionata - nel senso  di  idonea  e
necessaria - deve rispondere ad una precisa esigenza  di  tutela.  Il
principio di ragionevolezza comprende  a  monte  la  valutazione  dei
fatti  che  hanno  determinano  la  decisione   legislativa   e   che
perimetrano  il  bene  della  vita  che  si  intende  proteggere.  La
ragionevolezza e la proporzionalita', quindi, non  possono  definirsi
sinonimi ma sono in un rapporto di interdipendenza. Il legislatore  -
o   l'amministrazione   nell'esercizio   del   proprio    potere    -
preliminarmente opera una indagine e una valutazione degli interessi.
In  secondo  luogo  deve  predisporre   una   misura   che   risponda
all'interesse  da  perseguire  e  che  abbia  il  corretto  punto  di
bilanciamento tra interessi inevitabilmente  confliggenti.  Anche  la
Corte europea dei diritti dell'uomo, in alcune pronunce, ha  distinto
i due concetti statuendo che "what is necessary is more than what  is
desirable or reasonable" (Dudgeon v. the  United  Kingdom,  paragrafi
51-53». 
    Nelle  varie  applicazioni  che  punteggiano  la   giurisprudenza
costituzionale sul terna, si rammenta quanto affermato dalla Corte in
punto  di  bilanciamento  di   confliggenti   interessi   e   diritti
fondamentali per cui "il  giudizio  di  ragionevolezza  sulle  scelte
legislative si avvale del cosiddetto test  di  proporzionalita',  che
«richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura
e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea  al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto,  tra
piu'  misure  appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (Corte Costituzionale - sentenza n.
1 del 2014, richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137 del 2018, n.
10 del 2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del  2014)"  (v.  Corte
costituzionale - sentenza 21 febbraio 2019, n. 20). 
    Segnatamente, la  materia  dell'immigrazione  che  viene  qui  in
rilievo si atteggia a terreno elettivo di bilanciamento tra  svariati
interessi pubblici, quali, ad esempio,  la  sicurezza  e  la  sanita'
pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale  e
la  politica  nazionale  in  tema  di  immigrazione,  e   i   diritti
fondamentali dello straniero anelante al  soggiorno  regolare  ed  e'
stata la Corte  stessa  nella  richiamata  pronuncia  n.  148/2008  a
puntualizzare che  «tale  ponderazione  spetta  in  via  primaria  al
legislatore  ordinario,  il  quale  possiede  in   materia   un'ampia
discrezionalita', limitata, sotto  il  profilo  della  conformita'  a
Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue  scelte  non  risultino
manifestamente irragionevoli». 
    6.3.  -  Dipoi,  mette  conto  di   segnalare   che   la   stessa
giurisprudenza  costituzionale  ha   dato   prova   di   una   mutata
sensibilita' circa l'incidenza del  canone  di  proporzionalita'  sul
bilanciamento  dei  contrapposti   interessi   pubblici   e   diritti
fondamentali in materia  di  immigrazione  allorquando  ha  censurato
l'irragionevole estensione dell'automatismo espulsivo  ai  reati  per
cui e' previsto l'arresto facoltativo  ex  art.  381  del  codice  di
procedura penale osservando che il legislatore puo' ben  "subordinare
la regolarizzazione del rapporto di lavoro al fatto che la permanenza
nel territorio dello Stato non sia di  pregiudizio  ad  alcuno  degli
interessi  coinvolti  dalla  disciplina  dell'immigrazione,   ma   la
relativa scelta deve costituire il  risultato  di  un  ragionevole  e
proporzionato bilanciamento  degli  stessi,  soprattutto  quando  sia
suscettibile di incidere sul godimento dei diritti  fondamentali  dei
quali e' titolare anche lo straniero  extracomunitario  (Sentenze  n.
245 del 2011, n.  299  en.  249  dei  2010),  perche'  la  condizione
giuridica dello straniero non deve essere «considerata -  per  quanto
riguarda la tutela di  tali  diritti  -  come  causa  ammissibile  di
trattamenti diversificati o peggiorativi» (sentenza n. 245 del 2011)"
(v. supra, Corte costituzionale 2 luglio 2012, n. 172). 
    6.4. - Riassemblando tutti  i  tasselli  appena  esaminati  -  la
parabola storico-sistematica della fattispecie di  spaccio  di  lieve
entita' e  la  maturazione  dell'elaborazione  giurisprudenziale  sui
principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'   con   particolare
riferimento  agli  automatismi  legali  --  si  compone  un   mosaico
regolatorio che, nella  disciplina  emersiva  in  esame,  sconta,  ad
avviso  del  Collegio,  una  forte  stonatura  nell'inclusione  della
fattispecie  in  parola  nel  novero  dei  reati  ostativi  tale   da
prefigurare  una  linea  di  insanabile   contrasto   coi   parametri
assiologico-strutturali condensati dall'art. 3 della Costituzione. 
    6.4.1.  -  Come  si  e'  tratteggiato   supra,   la   maturazione
politico-criminale della figura dello spaccio di lieve entita'  (art.
73, comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n.  309/1990)  ha
registrato importanti momenti evolutivi che l'hanno proiettata  nella
direzione della piena autonomia incriminatrice,  emancipandola  dalla
qualificazione  meramente  circostanziale  predicata  dalla  costante
giurisprudenza penale fino al  2013.  A  cio'  si  e'  affiancato  il
crescente divario, sul  terreno  della  dosimetria  sanzionatoria,  e
parallelamente, anche del disvalore intrinseco delle condotte, tra la
figura  base,  prevista  e  punita  dal  comma  primo  dell'art.   73
(sei-venti anni) e la figura di lieve entita' di cui al quinto  comma
(sei mesi-quattro anni). In buona sostanza,  l'indirizzo  legislativo
ha progressivamente ritagliato l'area  di  prensione  punitiva  delle
condotte sussumibili nello spaccio di lieve  entita'  tracciando  una
sempre piu' profonda linea discretiva tra fenomeni criminologicamente
distanti e non confondibili tra loro: come illustrato in  precedenza,
cio' e'  stato  colto  dall'avveduta  giurisprudenza  penale  che  ha
prestato   particolare   attenzione   nel   tracciare   i    contorni
criminologici  delle  condotte  sussumibili   nella   nuova   figura,
valorizzandone  i  parametri  strutturali  secondo  una   valutazione
tipicamente  globale  di  segno  compensativo-neutralizzante  (v.  ex
multis,  Cass.  pen.,  sez  III,  13  maggio  2022,  n.  31768;  piu'
diffusamente supra sub 5.2.2). 
    Segnatamente, la ricorrenza della figura e' stata ravvisata  solo
nella  ipotesi  di  minima  offensivita'   penale   della   condotta,
deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia  dagli  altri
parametri richiamati dalla disposizione (ex multis, da ultimo,  Cass.
pen., sez. VII, ord. 24 gennaio - 12 febbraio 2019,  n.  6621;  Cass.
pen., Sez. VII, ord. 20 dicembre 2018-24 gennaio 2019, n. 3350; Cass.
pen., sez. IV, sentenza 13 dicembre 2018-18 gennaio 2019, n. 2312). 
    Invero, la traiettoria di progressiva divaricazione  tra  le  due
figure ha dato adito anche a veri e propri "inciampi" legislativi  in
punto di armonia del  quadro  sanzionatorio:  la  stratificazione  di
interventi   legislativi   e   giurisprudenziali   aveva,    difatti,
progressivamente scavato una profonda frattura  tra  le  due  figure,
pari a ben quattro anni tra il minimo edittale di pena  previsto  dal
comma 1 dell'art. 73 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
309 del 1990 per fatti non lievi e il  massimo  edittale  della  pena
comminata dal comma 5 dello stesso articolo per fatti lievi,  divario
tale da indurre  la  stessa  Corte  costituzionale  a  discorrere  di
«anomalia sanzionatoria» (sentenza n. 179  del  2017),  evidentemente
sproporzionata ponendo mente al fatto  che  il  minimo  edittale  del
fatto di non lieve entita' era pari al doppio  del  massimo  edittale
del  fatto   lieve   e   concretamente   foriera   di   intollerabili
sperequazioni   punitive.   Lo   iato   sanzionatorio,    dopo    una
pronuncia-monito  che  metteva  in  mora  il  legislatore   affinche'
procedesse «rapidamente  a  soddisfare  il  principio  di  necessaria
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio, risanando la frattura
che separa le pene previste per i fatti lievi e per i fatti non lievi
(Corte costituzionale - sentenza n. 179 del 2017),  e'  stato  sanato
dalla Corte stessa con un innovativo arresto  manipolativo  che,  nel
far leva su plurimi indici sanzionatori rinvenibili  nell'ordinamento
in subiecta materia, ha ritenuto appropriata la richiesta di  ridurre
a sei anni di reclusione la pena  minima  peri  fatti  di  non  lieve
entita' di cui al comma 1 dell'art. 73  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309 del 1990, al fine di porre rimedio ai vizi di
illegittimita'  costituzionale  denunciati  (Corte  costituzionale  -
sentenza 8 marzo 2019, n. 40). 
    6.4.2.  -  Il  corollario  processuale  piu'  significativo   del
processo di «emancipazione normativa» dello spaccio di lieve  entita'
va rinvenuto nell'espressa esclusione della fattispecie  de  qua  dal
novero tassativo dei reati per cui e' previsto l'arresto obbligatorio
in flagranza ex art. 380 del codice di procedura penale:  la  lettera
h) del comma 2 annovera, infatti,  i  «delitti  concernenti  sostanze
stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, salvo che per i delitti  di  cui  al  comma  5  del  medesimo
articolo». Siffatta espunzione comporta la rifluenza della figura per
fatti  lievi  nella  previsione  generale   dettata   per   l'arresto
facoltativo in caso di delitti non colposi puniti con pena  superiore
nel massimo a tre anni a condizione che la  misura  sia  giustificata
dalla gravita' del fatto  ovvero  dalla  pericolosita'  del  soggetto
desunta dalla sua personalita' o dalle circostanze del fatto (v. art.
381, comma 1 e 4  del  codice  di  procedura  penale).  Tale  opzione
processuale testimonia  la  piena  coscienza  del  legislatore  circa
l'irriducibile inassimilabilita'  dei  fatti  lievi  sussumibili  nel
comma  quinto  rispetto  a  quelli  non  lievi   intercettati   dalla
fattispecie incriminatrice base di cui al primo comma. 
    6.4.3. - A fronte di questi dati  inequivocabili  evincibili  dal
diritto  cogente  non  puo'  non   destare   perplessita'   l'opzione
regolatoria  adottata  dal  legislatore  emergenziale  di   estendere
l'automatismo  ostativo  indistintamente  al  complesso   dei   reati
inerenti agli stupefacenti, accomunando fatti lievi e fatti non lievi
in una omologazione di regime che non puo' contentarsi  di  rinvenire
la propria ratio nel contrasto senza esclusione di colpi dei fenomeni
criminali che alimentano il  mercato  della  droga  quale  fonte  dei
maggiori  proventi  per  la  criminalita'  organizzata  a   pena   di
strumentalizzare  per  ragioni  politico-criminali  anche  le  misure
amministrative in materia di immigrazione  tenendo  in  non  cale  la
quasi mai semplice storia di integrazione degli stranieri nel  nostro
paese. 
    Piu' specificamente, la tenuita' delle condotte abbracciate dalla
nuova fattispecie, oggetto di distinta considerazione  da  parte  del
legislatore  penale  sia  a  livello  sostanziale   sia   a   livello
processuale, non pare giustificare l'applicazione di  un  automatismo
legale cosi rigoroso da  negare  in  radice  qualsivoglia  chance  di
regolarizzazione per lo straniero che sia incorso in tale  menda  nel
suo percorso di integrazione nella comunita' nazionale: il sillogismo
presuntivo  sotteso  all'automatismo  scalza,  infatti,  qualsivoglia
rilevanza alla valutazione individualizzata del profilo  del  singolo
straniero richiedente  e  generalizza  una  presunzione  assoluta  di
pericolosita' sociale che non  necessariamente  trova  corrispondenza
nell'id quod plerumque accidit della gamma di  condotte  intercettate
dalla nuova fattispecie per fatti lievi. 
    Basti considerare nel caso di specie che i  precedenti  criminali
del richiedente, ritenuti ostativi, risalivano ai lontani anni 2008 e
2009: la costruzione della fattispecie attualmente vigente fa si' che
essi proiettino un cono di effetti inibitori illimitato e perpetuo, a
nulla rilevando la  risalenza  nel  tempo  e  trascurando  la  storia
personale dello straniero successivamente  alla  regolare  espiazione
della propria pena. I successivi problemi di salute e  la  definitiva
integrazione socio-economica con un regolare contratto  di  soggiorno
suggerirebbero un approccio piu' gradato e proporzionato alla  carica
di  disvalore  di  quei  precedenti  criminosi  se   riguardati   nel
complessivo vissuto dello straniero. 
    Applicando, peraltro, le richiamate dimensioni insite nel  canone
di proporzionalita', deve soggiungersi che  la  misura  divisata  dal
legislatore emergenziale si profila si idonea ma non necessaria,  nel
senso  che  pur  perseguendo  efficacemente  la  salvaguardia   degli
interessi pubblici alla sicurezza dello Stato e all'ordine  pubblico,
vulnera irragionevolmente  i  diritti  fondamentali  dello  straniero
richiedente la regolarizzazione mediante l'automatica reiezione della
domanda al mero riscontro di un  precedente  penale  per  spaccio  di
lieve entita'. La non necessarieta' si apprezza sol che si  consideri
la possibilita' di apprestare misure amministrative alternative, meno
drastiche ed ispirate a maggiore gradualita', in  guisa  di  affidare
all'apprezzamento  discrezionale   della   pubblica   amministrazione
titolare del potere la valutazione della pericolosita'  concreta  del
soggetto richiedente. 
    Il Collegio condivide e  fa  proprie,  al  riguardo,  le  movenze
argomentative svolte dal Supremo Consesso di giustizia amministrativa
nelle pressoche' coeve ordinanze di rimessione del 23 giugno  2022  e
1° luglio 2022: «l'automatismo in ogni caso  non  puo'  dirsi  misura
necessaria  ovvero  idonea  alla  tutela  della  sicurezza  pubblica.
L'esigenza di pubblica sicurezza,  come  accade  in  altri  casi  non
ostativi,    ben    potrebbe    essere    tutelata     dal     potere
dell'amministrazione di procedere alla valutazione in concreto  della
fattispecie. 
    Non e' neppure proporzionata  in  senso  stretto  perche'  troppo
pregiudizievole della sfera del privato  il  quale  non  puo'  addure
alcun  elemento  relativo  al  proprio   percorso   di   integrazione
socio-lavorativa   che   possa   essere   preso   in   considerazione
dall'amministrazione  la  quale  si  vede   costretta   a   rigettare
l'istanza. 
    Parificare,   in   via   automatica,   sotto   l'unico    profilo
dell'espulsione, la condotta di cessione di una piccola quantita'  di
sostanza stupefacente con reati gravi quali, ad esempio, l'omicidio e
la violenza sessuale, appare, a parere del  Collegio,  sproporzionato
specie con riferimento al  principio  di  proporzionalita'  in  senso
stretto, in quanto, tale discrimine  determina  un  sacrificio  della
posizione giuridica dello straniero che non risponde a  necessita'  e
puo' risultare, in taluni casi, ingiustificatamente discriminatorio». 
    6.4.4.    -    La    spia    rivelatrice    dell'irragionevolezza
dell'omologazione delle  due  figure  e'  stata  ben  lumeggiata  dal
giudice delle leggi  allorquando,  nella  messa  a  punto  di  quella
peculiare «ortopedia interpretativa» della forbice edittale  prevista
per i fatti non lievi,  ha  crucialmente  soggiunto  che  un  divario
sanzionatorio eccessivamente ampio  condizionava  inevitabilmente  la
valutazione complessiva che il giudice di  merito  deve  compiere  al
fine di accertare la lieve entita' del fatto  (ritenuta  doverosa  da
Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 settembre -  9
novembre 2018, n. 51063), con il rischio di dar luogo a sperequazioni
punitive,  in  eccesso  o  in  difetto,  oltre  che  a  irragionevoli
difformita' applicative in un numero  rilevante  di  condotte  (Corte
costituzionale n. 40/2019). Il riallineamento per  via  pretoria  del
minimo  edittale  previsto  per  i   fatti   non   lievi   (abbassato
manipolativamente a sei anni) ha ridotto quella zona  grigia  fornite
di perniciose divergenze  applicative  ripristinando  la  gradualita'
della  dorsale  sanzionatoria,  che  riafferma,  in  controluce,   la
sostanziale disparita' di disvalore dello spaccio  di  lieve  entita'
rispetto al reato non lieve. 
    Questa  riaffermata   dicotomia   punitiva   trova,   come   gia'
evidenziato, un  congruo  precipitato  a  livello  processuale  nella
differenziazione del regime dell'arresto, obbligatorio o facoltativo,
in caso di flagranza a seconda che si tratti  dei  reati  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 o dell'ipotesi di
cui all'art. 73, comma 5 decreto del Presidente della  Repubblica  n.
cit.  mentre   irragionevolmente   incappa   in   una   irragionevole
omologazione nel diritto amministrativo dell'immigrazione. 
    Segnatamente, la piu' che  condivisibile  e  insindacabile  ratio
legis  sottesa  alle  opzioni  politico-criminali  dianzi  esaminate,
rinvenibile nel serrato contrasto della criminalita' che alimenta  il
mercato degli stupefacenti, si traspone in campo  amministrativo  con
l'innesto di un significato ulteriore: la commissione di un qualsiasi
reato in materia di stupefacenti, accertata dal giudice  penale,  con
sentenza anche non definitiva, implica la  violazione  del  patto  di
civile convivenza con  lo  Stato  italiano  e  comporta  l'automatico
diniego del permesso  di  soggiorno  ovvero  la  revoca  del  titolo,
qualora  il  cittadino  straniero  ne  fosse   gia'   titolare,   con
contestuale allontanamento dello stesso dal territorio  nazionale  in
quanto sprovvisto di un valido titolo di soggiorno. 
    Senonche', siffatta  disciplina  amministrativa  ricorre  ad  uno
strumento -l'automatismo  espulsivo  -  che  stride  con  le  opzioni
politico-criminali  piu'  gradate   espresse   nel   diritto   penale
sostanziale  e   processuale   -   risultando   sotto   tal   profilo
irragionevole - e impone  un  sacrificio  eccessivo  ai  confliggenti
interessi con un vulnus ai diritti fondamentali dello straniero  che,
se pregiudicato da una condanna per spaccio  di  lieve  entita',  non
potra' invocare alcun bilanciamento e si trovera' sempre al  cospetto
di un granitico ed ineluttabile rigetto, con  conseguente  espulsione
dal territorio nazionale - in cio' sfociando nel  denunciato  difetto
di proporzionalita'. 
    7. - In sintonia con  le  deduzioni  censorie  del  Consiglio  di
Stato, rimettente analoghe questioni di  legittimita'  costituzionale
sulla norma generale di cui all'art. 4, comma 3  T.U.I,  il  Collegio
ravvisa profili di tensione della norma speciale  emersiva  del  2020
anche con l'art. 117, primo comma  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 8 CEDU quale norma interposta. 
    La norma convenzionale, nell'apprestare  fondamentali  tutele  al
diritto alla vita privata e familiare, dispone che: «Ogni persona  ha
diritto al rispetto della  propria  vita  privata  e  familiare,  del
proprio domicilio e della propria corrispondenza.  Non  puo'  esservi
ingerenza di una autorita' pubblica nell'esercizio di tale diritto  a
meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge  e  costituisca  una
misura che, in una societa' democratica, e' necessaria alla sicurezza
nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese,
alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione
della salute o della morale, o alla protezione dei  diritti  e  delle
liberta' altrui». 
    La giurisprudenza della Corte europea offre una lettura  ampia  e
comprensiva della nozione di vita privata con riferimento ai casi  di
diniego di soggiorno e conseguente espulsione degli  stranieri:  "dal
momento che l'art.  8  tutela  anche  il  diritto  cli  allacciare  e
intrattenere legami con i propri simili e con il  inondo  esterno,  e
comprende a  volte  alcuni  aspetti  dell'identita'  sociale  cli  un
individuo, si deve accettare che tutti i  rapporti  sociali  tra  gli
immigrati stabilmente insediati e la  comunita'  nella  quale  vivono
faccia parte integrante della nozione  di  «vita  privata»  ai  sensi
dell'art. 8. Indipendentemente dall'esistenza o meno  cli  una  «vita
famigliare», l'espulsione di uno straniero stabilmente  insediato  si
traduce in una violazione del suo diritto al rispetto della sua  vita
privata.  In  funzione  delle  circostanze  della  causa   che   deve
esaminare, la  Corte  decidera'  se  sia  opportuno  porre  l'accento
sull'aspetto  «vita  famigliare»  piuttosto  che  sull'aspetto  «vita
privata» (Üner c. Paesi Bassi, n. 46410/99, § 59, CEDU 2006-XII)» (v.
CEDU, N c. Italia, 14 gennaio 2019, n. 57433, § 35). 
    Nondimeno, la compressione del diritto di fonte convenzionale  e'
scriminato nei casi di cui al paragrafo 2 dell'art. 8  CEDU,  laddove
vi sia una base legale - e nel caso di specie indubbiamente vi e' - e
costituisca  una  misura  che,  in  una  societa'   democratica,   e'
necessaria,  inter  alia,  alla  pubblica  sicurezza,   alla   difesa
dell'ordine e alla prevenzione  dei  reati.  In  buona  sostanza,  la
questione  fondamentale  da  definire  nel  caso  di  specie  e'   se
l'ingerenza   concretizzantesi   nell'automatismo    espulsivo    sia
«necessaria in una societa' democratica». I principi fondamentali per
quanto riguarda l'espulsione di una persona che ha trascorso un tempo
considerevole in un paese ospitante da cui dovrebbe essere espulsa in
seguito alla perpetrazione di illeciti penali  sono  ben  consolidati
nella giurisprudenza della Corte (si  veda  in  particolare  Üner  c.
Paesi Bassi, n. 46410/99, CEDU 2006,  §§  5455  e  57-58;  Maslov  c.
Austria n. 1638/03, §§ 68 76, CEDU  2008;  e  K.M.  c.  Svizzera,  n.
6009/10, 2  giugno  2015).  Nella  causa  Üner,  la  Corte  ha  avuto
occasione di sintetizzare i criteri  che  devono  guidare  i  giudici
nazionali in tali cause (§§ 57 e  segg.)  tra  cui  qui  rilevano  la
natura e la gravita' del reato commesso dal ricorrente. 
    La durata del soggiorno dell'interessato nel paese  da  cui  deve
essere espulso; il tempo trascorso da quando  e'  stato  commesso  il
reato  e  la  condotta  del  ricorrente  durante  tale  periodo;   la
situazione famigliare del ricorrente e, se del caso,  la  durata  del
suo matrimonio, e altri fattori che attestano l'effettivita'  di  una
vita famigliare all'interno della sua unione; la solidita' dei legami
sociali, culturali e famigliari con il paese ospitante e con il paese
di destinazione. 
    Fil rouge comune alle pronunce  della  Corte  europea  su  questa
tematica e' l'insopprimibile  esigenza  di  assicurare  un  ponderato
bilanciamento tra  le  contrapposte  situazioni  giuridiche,  che  si
traduce nel «certain marge d'appreciation»  evocato  dalla  Corte  in
piu' arresti: «Une mesure constituant une ingerence  dans  l'exercice
de droits garantis par l'article 8 § 1 de  la  Convention  peut  être
consideree comme «necessaire dans une societe' democratique» si  elle
a ete' prise pur repondre a' un besoin social  imperieux  te  si  les
moyens  employes  sont  proportionnes  aux  buts  poursuivis.  En  la
matiere, les autorites  nationales  jouissent  d'une  certaine  marge
d'appreciation. La tâche de la Cour consiste  a'  determiner  si  les
mesures en question ont,  respecte'  un  juste  equilibre  entre  les
interêts en presence, a' savoir, d'une part, les droits de l'individu
concerne' au regard de la Convention et, d'autre part,  les  interêts
de la societe' (Slivenko c. Lettonia, n. 48321/99,  § 113, CEDU  2003
X). 
    Dalla disamina che precede  sub  §  5-6  si  e'  gia'  giunti  al
fondamentale approdo per cui, ad avviso  del  Collegio,  l'estensione
dell'automatismo espulsivo alla fattispecie di  particolare  tenuita'
non risulti conforme al canone intrinseco di necessarieta' in cui  si
struttura il principio di proporzionalita', indi non  puo'  palesarsi
neanche rispettoso del canone convenzionale di «misura necessaria  in
una societa' democratica»  non  essendo  rispondente  ad  un  bisogno
sociale imperioso (besoin social imperieux,  pressing  social  need),
giacche' l'esigenza di  salvaguardare  interessi  come  la  sicurezza
pubblica  e   la   difesa   sociale   puo'   ben   trovare   risposta
nell'apprestamento di un meccanismo piu' graduato di  valutazione  in
concreto della  pericolosita'  sociale,  previo  bilanciamento  delle
varie circostanze in cui si estrinseca il contenuto convenzionale del
diritto alla vita privata, ben  enucleate  dalla  pronuncia  Üner  c.
Paesi Bassi. 
    8. - In esito all'articolata disamina svolta, il Collegio ravvisa
per la fattispecie emersiva  censurata  anche  un  possibile  approdo
manipolativo, offerto  dallo  stesso  legislatore  in  virtu'  di  un
atteggiamento di ascolto, raro ma fecondo,  dei  moniti  del  giudice
delle leggi (v. Corte costituzionale n. 172 del 2012): a ben  vedere,
la stonatura del quadro disciplinare, correlata  all'irragionevole  e
sproporzionata  inclusione  dello  spaccio  di  lieve  entita'  nella
lettera  c)  dell'art.   103,   comma   10   potrebbe   trovare   una
ricomposizione armonica mediante la sua espunzione dalla lettera c) e
il suo reinnesto nella  lettera  d),  che  preclude  l'emersione  per
quegli stranieri «che comunque siano  considerati  una  minaccia  per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i
quali l'Italia abbia sottoscritto accordi  per  la  soppressione  dei
controlli alle frontiere  interne  e  la  libera  circolazione  delle
persone», assumendo quale indice  di  pericolosita'  dello  straniero
anche la sussistenza di eventuali condanne per uno dei reati  di  cui
all'art. 381 del codice di procedura penale. 
    La fattispecie di  cui  alla  lettera  d),  che  demanda  l'esito
dell'emersione  alla  valutazione  in  concreto  della  pericolosita'
sociale dello straniero  a  cura  dell'Autorita'  amministrativa,  si
profila quale naturale sedes materiae - ragionevole e proporzionata -
per l'emersione degli stranieri pregiudicati da condanne per  spaccio
di lieve entita' alla luce quantomeno di due indici: 
      i. uno di matrice strettamente positiva  riveniente  dal  fatto
che l'art. 380 del  codice  di  procedura  penale,  richiamato  dalla
lettera e), nell'escludere  espressamente  la  fattispecie  di  lieve
entita', la farebbe ipoteticamente rifluire nell'ipotesi  di  arresto
obbligatorio  ex  art.  381   del   codice   di   procedura   penale,
sussistendone i presupposti, indi proprio  nell'alveo  della  lettera
d),  ove  non   vi   fosse   l'invalicabile   sbarramento   letterale
dell'irragionevole richiamo ai  «reati  inerenti  agli  stupefacenti»
tout court; 
      ii.  uno  di  matrice  pretoria,  ritraibile  dall'arresto   n.
172/2012 della Corte  costituzionale,  piu'  volte  richiamato  nella
presente   ordinanza,   ove    e'    stata    giudicata    «manifesta
l'irragionevolezza del diniego  di  regolarizzazione  automaticamente
correlato alla pronuncia di una sentenza  di  condanna  per  uno  dei
reati di cui all'art. 381 del codice di procedura penale,  senza  che
sia permesso alla pubblica amministrazione di  apprezzare  al  giusto
gli  interessi  coinvolti   e   di   accertare   se   il   lavoratore
extracomunitario sia o meno pericoloso per  l'ordine  pubblico  o  la
sicurezza  dello  Stato».  La  ratio  decidendi  della   Corte,   che
valorizzo' proprio l'opinabilita' della presunzione di  pericolosita'
sociale per  il  fascio  di  reati  per  cui  e'  previsto  l'arresto
facoltativo secondo  l'id  quod  plerumque  accidit,  militerebbe  in
favore della riconduzione anche dello spaccio  di  lieve  entita',  a
mente dei suoi ridetti contorni criminologici, nel novero  dei  reati
per cui dovrebbe attivarsi  una  valutazione  individualizzata  della
pericolosita' sociale da parte dell'Autorita'  amministrativa  e  non
gia' un automatismo espulsivo. 
    9. - Conclusivamente, si ritiene, per le su esposte  ragioni,  di
sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 103, comma  10,
lettera c) del decreto-legge 19 maggio 2020, n.  34,  convertito  con
modificazioni dalla legge  17  luglio  2020,  n.  77  per  violazione
dell'art. 3 della Costituzione e dell'art.  117,  primo  comma  della
Costituzione  in  relazione  all'art.  8  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
nella parte in cui  fa  derivare  automaticamente  il  rigetto  della
istanza di regolarizzazione del lavoratore straniero dalla  pronuncia
nei suoi confronti di una sentenza di condanna per il reato  previsto
dall'art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
9  ottobre  1990,  n.  309,   senza   prevedere   che   la   pubblica
amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una
minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. 
    Si sospende conseguentemente la decisione nel  presente  giudizio
in attesa della pronunzia della Corte costituzionale.  

 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per  il  Piemonte  (Sezione
Prima),  ritenuta  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  nei
termini di cui in  motivazione,  la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 103, comma 10, lettera c) del decreto-legge 19 maggio 2020,
n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77
in relazione agli articoli 3 e 117, comma  l  della  Costituzione  in
riferimento all'art. 8 CEDU, dispone l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. 
    Ordina che la presente ordinanza a cura  della  Segreteria  della
Sezione sia notificata alle  parti  in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti  della  Camera  dei
Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1
e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e  dell'art.  10
del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del  Consiglio
del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignita' della parte
interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle
generalita' nonche' di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la
persona del ricorrente. 
    Cosi' deciso in Torino nella Camera di consiglio  del  giorno  25
gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: 
      Raffaele Prosperi, Presidente; 
      Flavia Risso, consigliere; 
      Angelo Roberto Cerroni, referendario, estensore. 
 
                       Il Presidente: Prosperi 
 
 
                                                 L'estensore: Cerroni