N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 febbraio 2023
Ordinanza del 14 febbraio 2023 del Tribunale amministrativo regionale
per il Piemonte sul ricorso proposto da S. B.S. contro il Ministero
dell'interno.
Straniero - Ordine pubblico e sicurezza - Emersione di rapporti di
lavoro - Previsione che fa derivare automaticamente il rigetto
dell'istanza di regolarizzazione del lavoratore straniero dalla
pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per il
reato previsto dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990,
senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad
accertare che il medesimo lavoratore rappresenti una minaccia per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
- Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di
salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonche' di politiche
sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77,
art. 103, comma 10, lettera c).
(GU n. 20 del 17-05-2023)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL PIEMONTE
(Sezione prima)
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 1056 del 2022, proposto da B. S. S., rappresentato
e difeso dall'avv. Valentina Verdini, con domicilio digitale come da
PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio
in Milano, via Gioia n. 41/A;
contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello
Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via dell'Arsenale n. 21;
per l'annullamento
del provvedimento adottato in data... dalla Prefettura di Novara
(...), notificato in data..., con cui veniva decretato l'annullamento
del contratto di soggiorno di cui in premessa e il rigetto della
relativa istanza di emersione;
Visto il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero
dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2023 il
dott. Angelo Roberto Cenoni e viste le istanze di passaggio in
decisione senza discussione.
Fatto
1. - Il signor S. B. S., cittadino indiano, ha fatto il suo
ingresso in Italia nel 2003.
2. - In data..., il signor A. R. K., nella veste di datore di
lavoro, presentava telematicamente istanza di emersione del lavoro
irregolare ai sensi dell'art. 103, comma 1, decreto-legge 19 maggio
2020, n. 34, convertito in legge 17 luglio 2020, n. 77.
Successivamente, in data..., i due stranieri, convocati presso lo
Sportello Unico per l'Immigrazione, sottoscrivevano il relativo
contratto di soggiorno per lavoro subordinato domestico e veniva loro
rilasciato il modello 209 per presentare richiesta di permesso di
soggiorno.
3. - Senonche', una volta sottoposto a fotosegnalamento
emergevano due risalenti condanne penali a carico del sig. S. per il
reato di cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990. Pertanto, con missiva in data..., la Questura
di Novara modificava il parere favorevole precedentemente espresso in
parere negativo, ritenendo le condanne ostative all'ammissione alla
procedura di emersione ai sensi dell'art. 103, comma 10, lettera c),
decreto-legge n. 34 del 2020. Conseguentemente, la Prefettura di
Novara comunicava al ricorrente e al suo datore di lavoro, ai sensi e
per gli effetti dell'art. 10-bis, legge. n. 241/90, l'avvio del
procedimento per l'annullamento del contratto di soggiorno e del
rigetto del permesso di soggiorno. Nonostante la presentazione di
memorie difensive a sostegno della posizione dello straniero
richiedente, la Questura di Novara non riteneva le ragioni addotte
idonee a rimuovere il motivo impeditivo sussistente in suo sfavore.
4. - Di conseguenza, in data..., lo Sportello Unico per
l'immigrazione di Novara emetteva il provvedimento prot. n...,
notificato al ricorrente in data..., con cui decretava l'annullamento
del contratto di soggiorno di cui in premessa ed il rigetto della
relativa istanza di emersione. Il provvedimento di diniego era
motivato sul presupposto che l'odierno ricorrente era stato
condannato due volte (in data... e in data...) alla pena di mesi otto
di reclusione ed euro 2.000 di multa per il reato previsto e punito
dall'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n.
309/1990.
5. - Avverso il predetto provvedimento e' insorto il sig. S...
con ricorso depositato in data 26 ottobre 2022 e corredato da istanza
sospensiva.
A sostegno dell'impugnativa, il ricorrente ha articolato un unico
motivo di censura rubricato «Violazione di legge e falsa applicazione
dell'art. 103, comma 10, lettera c), decreto-legge n. 34/2020.
Nonche' eccesso di potere per carenza di istruttoria ed insufficiente
motivazione», col quale lamenta che la Prefettura di Novara non
avrebbe effettuato alcuna valutazione in concreto sulla pericolosita'
sociale del ricorrente, allorquando, anche se con riferimento
all'art. 1-ter, comma 13, lettera c), decreto-legge n. 78/2009, la
Corte Costituzionale, con sentenza n. 172 del 6 luglio 2012, ha
ritenuto illegittimo far derivare automaticamente il rigetto
dell'istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario
dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per
uno dei reati per i quali l'art. 381 del codice di procedura penale
permette l'arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere che la
Pubblica Amministrazione provveda ad accertare che il medesimo
rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello
Stato.
6. - Si e' costituito in giudizio il Ministero dell'Interno
chiedendo il rigetto dell'istanza cautelare e del ricorso in quanto
infondato, poiche' le condanne per stupefacenti riportate dal
ricorrente sono per legge ostative all'ammissione alla procedura di
emersione dal lavoro irregolare anche se risalenti nel tempo ai sensi
dell'art. 103, comma 10, lettera c), decreto-legge n. 34/2020; la
difesa erariale ha altresi', precisato che la sentenza della Corte
costituzionale citata da parte ricorrente non e' pertinente al caso
di specie perche' affronta la diversa questione dei reati per cui
l'arresto in flagranza e' facoltativo (art. 381 del codice di
procedura penale), mentre le condanne del ricorrente riguardano reati
in materia di stupefacenti per i quali l'arresto in flagranza e'
previsto come obbligatorio (art. 380 del codice di procedura penale)
e che il legislatore ha espressamente incluso tra quelli
automaticamente ostativi all'emersione.
7. - Nella camera di consiglio del 9 novembre 2022 questo T.A.R.,
con ordinanza n. 949/2022, ha rilevato in via officiosa, ai sensi
dell'art. 73, comma 3, c.p.a., profili di non implausibile contrasto
tra la disciplina di cui all'art. 103, comma 10, decreto-legge n.
34/2020 e l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui parifica
tutti «I reati inerenti gli stupefacenti», ivi incluso lo spaccio di
lieve entita' ex art. 73, comma 5, decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990, precludendo all'Amministrazione di valutare
in concreto la pericolosita' del cittadino straniero ai fini della
permanenza nello Stato e dell'eventuale rilascio del titolo di
soggiorno e dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione
all'art. 8 CEDU nella parte in cui non consente il bilanciamento tra
la condotta penalmente rilevante e quelle circostanze che attengono
alla vita privata secondo la nozione convenzionale elaborata dalla
giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Il Collegio
ha, dunque, accolto la domanda di sospensione cautelare e ha
assegnato alle parti trenta giorni, decorrenti dalla notificazione o
comunicazione in via amministrativa della suddetta ordinanza per
presentare memorie vertenti sulla questione indicata.
8. - Espletato lo scambio di memorie difensive sulla questione
delineata ex officio, la causa e' venuta in discussione all'udienza
pubblica del 25 gennaio 2023 ed e' stata trattenuta in decisione.
Diritto
1. - Nell'ambito della copiosa legislazione emergenziale varata
sulla scia della crisi epidemiologica da COVID-19, il legislatore
dell'emergenza ha apprestato uno speciale plesso normativo volto
all'emersione dal lavoro irregolare degli stranieri stabilendo
all'art. 103 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con
modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, che «al fine di
garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e
collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza
sanitaria connessa alla calamita' derivante dalla diffusione del
contagio da COVID-19 e favorire l'emersione di rapporti di lavoro
irregolari, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato
membro dell'Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in
possesso del titolo di soggiorno previsto dall'art. 9 del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni,
possono presentare istanza, [...], per concludere un contratto di
lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio
nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di
lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o
cittadini stranieri» (comma 1).
In linea con la ratio emergenziale della sanatoria, il
legislatore ha tracciato i limiti temporali entro cui gli interessati
potevano presentare formale istanza ai competenti Sportelli Unici per
l'immigrazione (1° giugno 2020 - 15 agosto 2020) delimitando,
altresi', i settori di attivita' cui era rivolta l'emersione, tra cui
figurava il lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare (comma
3, lettera c)), che assume rilievo nella fattispecie concreta in
esame.
1.1. - Al pari di precedenti iniziative di sanatoria, il
legislatore emergenziale ha puntualmente dettato le condizioni
ostative all'ammissione degli stranieri alla procedura di emersione
tra le quali figura, per quanto qui rileva, la circostanza di esser
stati «condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella
adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi
dell'art. 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati
previsti dall'art. 380 del codice di procedura penale o per i delitti
contro la liberta' personale ovvero per i reati inerenti agli
stupefacenti, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso
l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati
o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla
prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da
impiegare in attivita' illecite' (comma 10, lettera c)).
Mette conto di rilevare che l'ordito normativo dell'emersione
emergenziale del 2020 ha registrato interventi migliorativi rispetto
a precedenti procedure emersive, sulla scorta degli interventi -
anche di segno manipolativo - apportati dalla giurisprudenza
costituzionale: si allude segnatamente alla procedura varata con
l'art. 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con
modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, che prevedeva al
comma 13 l'inammissibilita' dei lavoratori extracomunitari che
risultassero «condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa
quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su
richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per
uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice».
Come noto, la Corte costituzionale, con sentenza 2-6 luglio 2012, n.
172 dichiaro' l'illegittimita' costituzionale della disposizione
nella parte in cui faceva derivare automaticamente il rigetto della
istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla
pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei
reati previsti dall'art. 381 del codice di procedura penale, senza
prevedere che la pubblica amministrazione provvedesse ad accertare
che il medesimo rappresentava una minaccia per l'ordine pubblico o la
sicurezza dello Stato.
1.2. - Conseguentemente, in aderenza al dictum del giudice delle
leggi, il legislatore delle successive stagioni emersive ha
riadattato le previsioni tralatizie circa le condizioni ostative alla
regolarizzazione dello straniero puntualizzando che non possono
essere ammessi ipso iure i lavoratori stranieri «che risultino
condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella
pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta
ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per uno dei
reati previsti dall'art. 380 del medesimo codice» (v. art. 5, comma
13, lettera c) decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109), o che
«comunque siano considerati una minaccia per l'ordine pubblico o la
sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia
sottoscritta accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle persone». In siffatta ipotesi,
facendo proprio l'insegnamento della Corte, il legislatore specifica
che «nella valutazione della pericolosita' dello straniero si tiene
conto anche di eventuali condanne, anche con sentenza non definitiva,
compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su
richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per
uno dei reati previsti dall'art. 381 del medesimo codice» (v. art. 5,
comma 13, lettera d) cit.).
In via parzialmente innovativa, il legislatore emergenziale del
2020 ha enucleato tra le condanne ostative, anche se non definitive o
applicate su richiesta delle parti, non solo quelle per uno dei reati
previsti dall'art. 380 del codice di procedura penale, ma anche
quelle per i delitti contro la liberta' personale, per i reati
inerenti agli stupefacenti, il favoreggiamento dell'immigrazione
clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia
verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da
destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione
o di minori da impiegare in attivita' illecite (art. 103, comma 10,
lettera e), decreto-legge n. 34/2020), replicando dunque un
caratteristico automatismo legislativo secondo cui, al riscontro
positivo circa la sussistenza di una delle condanne ivi catalogate,
residua solo un agere vincolato dell'amministrazione, tenuta al
diniego di regolarizzazione. A tale disposizione si giustappone la
successiva lettera d) quale norma di chiusura che, nel valorizzare
peculiarmente il decisum costituzionale del 2012, demanda alla sfera
discrezionale dell'amministrazione l'apprezzamento se lo straniero
sia comunque considerato «una minaccia per l'ordine pubblico o la
sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia
sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle persone» tenendo conto, in
siffatta valutazione di pericolosita', anche di eventuali condanne,
anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito
di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del
codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall'art. 381
del codice di procedura penale.
13. - A completamento della cornice di inquadramento e' doveroso
segnalare che la disposizione emersiva emergenziale in esame mutua
uno stilema normativo gia' invalso nella disciplina generale
dell'immigrazione dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
(Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero): l'art. 4
del testo unico generalizza l'automatismo espulsivo nei confronti
dello straniero richiedente un titolo di soggiorno sul territorio
nazionale «che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva,
compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su
richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per
reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura
penale ovvero per reciti inerenti gli stupefacenti, la liberta'
sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso
l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati
o per reati diretti al reclutamento cli persone da destinare alla
prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da
impiegare in attivita' illecite». Il legislatore ha vieppiu'
arricchito il catalogo dei reati ostativi estendendolo anche alle
condanne, con sentenza irrevocabile, «per uno dei reati previsti
dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge
22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e
degli articoli 473 e 474 del codice penale, nonche' dall'art. 1 del
decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall'art. 24 del regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773».
Per ulteriore scrupolo di completezza consta al Collegio che
sulla disposizione teste' richiamata e' stata sollevata una duplice
questione di legittimita' costituzionale, con due pressoche' coeve
ordinanze della Terza Sezione Giurisdizionale del Consiglio di Stato,
in relazione agli articoli 3 e 117, primo comma della Costituzione
con riguardo all'art. 8 CEDU, nella parte in cui prevede che il reato
di cui all'art. 474 del codice penale, rubricato «introduzione nello
Stato e commercio di prodotti con segni falsi», sia automaticamente
ostativo al rilascio ovvero al rinnovo del titolo di soggiorno (cfr.
Cons. Stato, Sez. III, ord. 5171 del 23 giugno 2022) e nella parte in
cui, richiamando tutti «i reati inerenti gli stupefacenti», prevede
che la fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, sia automaticamente
ostativa al rilascio ovvero al rinnovo del titolo di soggiorno (Cons.
Stato, Sez. III, ordinanza n. 5492 del l° luglio 2022).
Il meccanismo di automatica ostativita' delle condanne ivi
evidenziate e' sospettato di contrasto con la Carta fondamentale sia
con riferimento ai principi di proporzionalita' e ragionevolezza sub
specie di necessarieta' della misura - in quanto ritenuta non
rispettosa di un bilanciamento, ragionevole e proporzionato ai sensi
dell'art. 3 della Costituzione, tra l'esigenza, da un lato, di
tutelare l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato e di regolare i
flussi migratori al cospetto di fattispecie illecite di particolare
tenuita' e, dall'altro, di salvaguardare i diritti dello straniero,
riconosciutigli dalla Costituzione - sia in relazione all'art. 8 CEDU
quale norma interposta a presidio della vita privata e familiare,
giacche' la preclusione del bilanciamento non risponderebbe piu' a
quel cogente pressing social need che e' necessario secondo la
giurisprudenza della Corte europea per ritenere legittima una
compromissione dei diritti fondamentali della persona umana.
Lo spiccato parallelismo tra la disposizione generale
attenzionata dal Supremo Consesso e quella emergenziale che viene qui
in rilievo impongono di svolgere dubbi di legittimita' costituzionale
della medesima indole per le ragioni che si vanno ad esporre.
2. - Venendo difatti al caso di specie, lo straniero per cui e'
stata richiesta la regolarizzazione ad iniziativa del datare di
lavoro (procedura di cui al comma l dell'art. 103 D.L. cit.) si e'
visto opporre un diniego dallo Sportello unico per l'immigrazione di
Novara in ragione della sussistenza di due risalenti condanne, sotto
diversi alias, per spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entita'
di cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica
n. 309/1990 - l'una risalente al..., l'altra al...: il diniego e'
stato motivato esclusivamente in ragione della ritenuta ostativita'
del tipo di reato, in quanto inerente agli stupefacenti, a norma
dell'art. 103, comma 10, lettera c) D.L. cit. senza null'altro
dedurre circa la situazione personale e la condizioni di integrazione
socio-economica dello straniero in linea con il tipico sillogismo
deduttivo insito negli automatismi legislativi.
3. - Condividendo le cadenze argomentative sviluppate dal
Consiglio di Stato in riferimento alla norma generale di cui all'art.
4, comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998, il Collegio ritiene
che la disposizione in parola presenti assonanti profili di
illegittimita' costituzionale rispetto agli articoli 3 e 117, comma 1
della Carta fondamentale nella parte in cui fa derivare
automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del
lavoratore straniero dalla pronuncia nei suoi confronti di una
sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 73, comma 5,
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 in quanto reato
inerente agli stupefacenti, senza prevedere che la pubblica
amministrazione provveda ad accertare in concreto che il medesimo
rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello
Stato - profili alla luce dei quali si impone la rimessione alla
Corte costituzionale della relativa questione, ai sensi dell'art. 23
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale).
4. - La disposizione in questione e' innanzitutto rilevante nel
presente giudizio.
La reiezione dell'istanza di regolarizzazione, come sunteggiato
dianzi, e' scaturita in via strettamente consequenziale dalla
riscontrata sussistenza di condanne riportate dallo straniero
richiedente e riconducibili al tassativo catalogo legislativo,
essendo di lapalissiana evidenza che la fattispecie incriminatrice di
cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n.
309/1990, pur se rubricata di lieve entita', afferisce ictu aculi al
novero dei reati inerenti agli stupefacenti inclusi nella lettera c)
del comma 10 dell'art. 103 in esame. L'impugnativa proposta dallo
straniero mira a censurare l'automatismo espulsivo applicato
dall'Autorita' amministrativa in relazione alle condanne per spaccio
di lieve entita', denunciando di conseguenza l'omessa valutazione
della pericolosita' in concreto del richiedente.
Senonche', il limpido dato testuale della disposizione («non sono
ammessi alle procedure [...] i cittadini stranieri [...] che
risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa
quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai
sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, [...] per i reati
inerenti agli stupefacenti») non lascia margini per esegesi difformi
da quella aderente alla littera legis, nel senso che lo spaccio di
sostanze stupefacenti di lieve entita', previsto e punito ai sensi
dell'art. 73, comma 5, , decreto del Presidente della Repubblica n.
309/1990, ricada de plano nel complesso dei reati inerenti agli
stupefacenti ostando, per l'effetto, alla regolarizzazione dello
straniero, a prescindere dalla sua situazione personale e dalla sua
condizione di integrazione socio-economica nella comunita' nazionale.
Sicche', non potrebbe trovare ingresso nella delibazione del Collegio
nell'ambito del presente giudizio il bilanciamento tra gli interessi
pubblicistici alla sicurezza dello Stato e alla tutela dell'ordine
pubblico e le circostanze dedotte dal ricorrente in ordine al lento
percorso di recupero dalla tossicodipendenza, successivamente alla
rituale espiazione delle pene riportate, al deterioramento delle
condizioni di salute sopravvenuto nel... e, infine, alla raggiunta
stabilita' economica in forza di un contratto di lavoro come
collaboratore domestico nel...
Non pare, infatti, propugnabile una linea ermeneutica adeguatrice
che, nel disapplicare l'automatismo espulsivo divisato dalla norma,
recuperi in modo surrettizio un momento di valutazione in concreto
della pericolosita' sociale al cospetto di fattispecie incriminatrici
dichiaratamente rubricate di lieve entita' da parte del legislatore:
un'operazione interpretativa di tal fatta colliderebbe frontalmente
col dato letterale e sistematico, ne' si rinvengono indici normativi
che possano corroborare una chiave di lettura teleologica stante la
perspicua ratio legis della disposizione emersiva, improntata al
rigorismo consentaneo con un elevato standard di difesa sociale. Del
resto, siffatto approdo esegetico si tradurrebbe
nell'eterointegrazione normativa della previsione recata dalla
successiva lettera d) ove si enuclea una fattispecie amministrativa a
struttura discrezionale e non vincolata che demanda
all'amministrazione la valutazione concreta di pericolosita' sociale
dello straniero richiedente.
Tanto considerato, all'esito di una ricognizione meditata del
diritto positivo, il Collegio rimettente - memore anche del chiaro
richiamo rivolto sul punto dalla Corte costituzionale con la sentenza
24 febbraio 2017, n. 45 - deve concludere che l'unica soluzione
applicativa prospettabile de jure condito nella controversia in esame
sarebbe rappresentata dal rigetto del gravame in piana applicazione
della disposizione della cui tenuta costituzionale si viene invece a
dubitare.
Indi, la rilevanza della questione si impone con tutta evidenza
senza possibilita' alcuna di soluzioni costituzionalmente conformi
che possano scongiurare il presente incidente di costituzionalita'.
5. - Con riguardo al presupposto della non manifesta infondatezza
della questione si impongono alcune considerazioni di carattere
preliminare di indole storico-sistematica.
5.1. - Il Collegio e', infatti, ben consapevole che una questione
di legittimita' costituzionale di indole affine, in quanto relativa
alla norma generale del testo unico (art. 4, comma 3 decreto
legislativo n. 286/1998), fu gia' sollevata in riferimento agli
articoli 2, 3, 24 e 97 della Costituzione nella palle in cui la norma
include tra i reati ostativi quelli inerenti agli stupefacenti,
ancorche' per ipotesi di lieve entita': in tale occasione la Corte
costituzionale si e' pronunciata risolutamente nel senso
dell'infondatezza con la pronuncia n. 148 del 16 maggio 2008
statuendo che «l'inclusione di condanne per qualsiasi reato inerente
agli stupefacenti tra le cause ostative all'ingresso e alla
permanenza dello straniero in Italia non appare manifestamente
irragionevole qualora si consideri che si tratta di ipotesi
delittuose spesso implicanti contatti, a diversi livelli, con
appartenenti ad organizzazioni criminali o che, comunque, sono
dirette ad alimentare il cosiddetto mercato della droga, il quale
rappresenta una delle maggiori fonti di reddito della criminalita'
organizzata (sentenza n. 333 del 1991». Nel ribadire la propria
giurisprudenza sul punto, il giudice delle leggi ha altresi'
soggiunto che "il cosiddetto automatismo espulsivo «altro non e' che
un riflesso del principio di stretta legalita' che permea l'intera
disciplina dell'immigrazione e che costituisce, anche per gli
stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di
scongiurare possibili arbitri da parte dell'autorita' amministrativa»
(ordinanza n. 146 del 2002)".
5.2. - Il Collegio e' dell'avviso che tale orientamento sia
meritevole di revisione critica alla luce dell'evoluzione
dell'ordinamento nazionale e della giurisprudenza della Corte
costituzionale, nella sua vieppiu' intima compenetrazione con le
fonti sovranazionali di matrice europea e col fervido pungolo della
elaborazione giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell'uomo.
5.2.1. - Va innanzitutto dato rilievo all'evoluzione
storico-sistematica del dato positivo. La Corte nel 2008 ebbe a
pronunciarsi con riferimento all'ostativita' di una fattispecie
incriminatrice che era strutturalmente difforme dall'attuale in
termini di configurazione e carica di disvalore, per come evincibile
dalla cornice edittale: il tenore testuale dell'allora vigente comma
quinto dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n.
309/1990, sulla scorta del quale erano state emesse le condanne
ritenute ostative nei giudizi a quibus, stabiliva che «quando, per i
mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per la
qualita' e quantita' delle sostanze, i fatti previsti dal presente
articolo sono di lieve entita', si applicano le pene della reclusione
da uno a sei anni e della multa da euro 2.582 (lire cinque milioni) a
euro 25.822 (lire cinquanta milioni) se si tratta di sostanze
stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste
dall'art. 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro
anni e della multa da euro 1.032 (lire due milioni) a euro 10.329
(lire venti milioni) se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II
e IV» (formulazione vigente sino alle modifiche apportate dal
decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con
modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49). Successivamente,
la disposizione fu semplificata riducendosi ad incriminare i fatti
che, per i mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione
ovvero per la qualita' e quantita' delle sostanze, risultassero di
lieve entita', con l'applicazione della pena della reclusione da uno
a sei anni e della multa da curo 3.000 a euro 26.000 (formulazione
vigente sino alle modifiche apportate dal decreto-legge 23 dicembre
2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio
2014, n. 10).
Successivamente, col decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 e col
successivo decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36 cd. «decreto
stupefacenti», il legislatore accentuo' la vocazione della
disposizione ad intercettare le condotte di particolare tenuita'
riducendo il massimo edittale dapprima a cinque anni, poi a quattro
anni parallelamente alla consistenza delle pene pecuniarie, nonche'
rimarcando la natura autonoma e sussidiaria della fattispecie
incriminatrice mediante la clausola di sussidiarieta' espressa «salvo
che il fatto costituisca piu' grave reato» - natura autonoma ribadita
altresi' dalla riformulazione della norma processuale di cui all'art.
380, comma 2, lettera h) del codice di procedura penale.
5.2.2. - L'intento ordinatorio perseguito dal legislatore col
decreto-legge n. 146/2013 e' stato tempestivamente colto dalla
giurisprudenza penale della Corte di cassazione la quale,
emancipandosi dai consolidati indirizzi interpretativi che
propugnavano la natura meramente circostanziale della previsione,
ancorandola alla fattispecie base di cui all'art. 73, comma 1 (cfr.
ex multis, Cass. SS.UU. 24 giugno 2010, n. 35737; Cass. SS.UU. 21
giugno 2000, n. 17, Cass. S.U. 31 maggio 1991, n. 9148), ha
risolutamente imboccato la linea esegetica della configurazione
autonoma della fattispecie incriminatrice implicando «una
rivisitazione dei tradizionali orientamenti interpretativi, in modo
da riconoscere a tale fattispecie un suo autonomo specifico grado di
offensivita', correlato ad un dato antologico-strutturale»
(Cassazione penale sez. VI, 26 marzo 2018, n. 13982). La Suprema
Corte ha difatti enucleato i dati distintivi dell'ipotesi di lieve
entita' esplorando tutti i parametri stabiliti dal dato positivo -
mezzi, modalita' o circostanze dell'azione ovvero qualita' e
quantita' delle sostanze: al riguardo ha significativamente soggiunto
che «non puo' essere solo il dato del quantitativo singolarmente
spacciato o complessivamente detenuto ad assumere rilievo, bensi' il
tipo di relazioni che si determinano tra il soggetto e il mercato di
riferimento, nel senso che, in rapporto all'offensivita' della
condotta, viene ad assumere specifico rilievo l'entita' della droga
movimentata in un determinato lasso di tempo e il numero di assuntori
che sono stati riforniti, in quanto rientranti nella ordinaria
capacita' di azione del soggetto. [...] Ne consegue che non puo'
ritenersi di lieve entita' il fatto compiuto nel quadro della
gestione di una «piazza di spaccio», che e' connotata da
un'articolata organizzazione di supporto e difesa ed assicura uno
stabile commercio di sostanza stupefacente» (Cassazione penale sez.
VI, 26 marzo 2018, n. 13982).
Nelle pronunce piu' recenti si e' assestato un indirizzo
interpretativo che apprezza globalmente gli elementi modali di
fattispecie al fine di determinare la minore offensivita' del fatto,
rilevante per riconoscere il fatto lieve ex art. 73, comma 5, del
decreto del Presidente della Repubblica n. n. 309 del 1990: «gli
indici elencati in detta disposizione non possono, da un lato, essere
utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo,
cioe', la lieve entita' del fatto anche in presenza di un solo
indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla
considerazione degli altri, e, dall'altro, non e' richiesta la loro
esistenza cumulativa, in senso positivo o negativo. Infatti, e'
imposto di considerare anche la possibilita' che tra gli stessi si
instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione, in grado di
consentire un giudizio unitario sulla concreta offensivita' del fatto
anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima
facie contraddittorie in tal senso» (cfr. Cassazione penale sez. III,
13 maggio 2022, n. 31768).
Questa digressione attesta la sostanziale evoluzione del diritto
positivo e dell'elaborazione giurisprudenziale concernente la
fattispecie dello spaccio di lieve entita' dall'originaria versione
vigente nel biennio 2004-2005 da cui origino' la pronuncia del
giudice delle leggi del 2008 in confronto all'assetto normativo
cogente, che come visto si connota per una fattispecie incriminatrice
autonoma espressiva di una carica di disvalore vieppiu' contenuto e
prudentemente valorizzata dalla giurisprudenza penale
nell'apprezzamento delle note modali di fattispecie rispetto alla
figura base, prevista e punita dal primo comma dell'art. 73 decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/1990, fattispecie che si situa
in territori di prensione punitiva assai distanti in termini di
offensivita' per l'assai piu' aspra dosimetria sanzionatoria - dai
sei ai venti anni.
5.2.3. - Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale ha
registrato una significativa evoluzione del proprio orientamento in
ordine al meccanismo degli automatismi legali e alla logica
presuntiva insita in essi. Il terreno elettivo su cui e' andata
maturando la sensibilita' della Corte e' innanzitutto quello degli
automatismi sanzionatori, guardati con crescente sfavore a mente dei
principi di proporzionalita' e individualizzazione della pena, in
quanto normalmente inidonei ad assicurare che la stessa sia
commisurata dal giudice tenendo conto della concreta gravita' del
fatto del quale l'imputato e' ritenuto responsabile (da ultimo, Corte
costituzionale - sentenza n. 222 del 2018). Il principio di
tendenziale esclusione di previsioni sanzionatorie rigide, la cui
applicazione non sia conseguenza di un riscontrato confacente
rapporto di adeguatezza col caso concreto, e rispetto alle quali
l'indispensabile gradualita' applicativa non sia oggetto di specifica
valutazione nel naturale contesto del procedimento giurisdizionale e'
stato dapprima elaborato dalla Corte sul combinato disposto degli
articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, avendo come
necessario referente il principio della funzione rieducativa della
pena (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012 e n. 363
del 1996). Ne sono testimonianza le significative pronunce della
Corte sugli «automatismi» nell'applicazione delle misure cautelari
personali, ove si richiama il principio secondo cui «le presunzioni
assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della
persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e
irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza
generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque
accidit» (Corte costituzionale - sentenza n. 268 del 2016; in
precedenza, sentenze n. 185 del 2015, n. 232, n. 213 e n. 57 del
2013, n. 291, n. 265, n. 139 del 2010, n. 41 del 1999 e n. 139 del
1982). Analoghe considerazioni sono state svolte con riferimento alle
altre misure privative e limitative della liberta' (ex plurimis,
Corte costituzionale 18 luglio 2019, n. 187) e alle misure di
sicurezza rispetto alle quali si deve far luogo ad una doverosa
valutazione della pericolosita' in concreto e non puo' trovar spazio
alcun automatismo legislativo (Corte costituzionale 24 febbraio 1995,
n. 58).
Non potendo essere sic et simpliciter traslati alla materia delle
sanzioni disciplinari o amministrative, tali principi sono stati
successivamente adattati alle peculiarita' di sistemi sanzionatori
che perseguono obiettivi diversi rispetto a quelli cui il diritto
penale e' orientato, consacrando quale parametro di ammissibilita'
dei meccanismi presuntivi insiti negli automatismi sanzionatori
l'indispensabile gradualita' della reazione sanzionatoria. A tal
riguardo, il «principio di proporzione», fondamento della
razionalita' che domina «il principio di eguaglianza», postula
l'adeguatezza della sanzione al caso concreto anche con riferimento
alla generalita' delle sanzioni amministrative o disciplinari -
adeguatezza che non puo' essere raggiunta se non attraverso la
concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto
nella commissione dell'illecito, nell'ambito di un iter
procedimentalizzato e partecipato (Corte costituzionale - sentenze n.
170 del 2015, n. 447 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 40
del 1990 e n. 971 del 1988).
A conforto di tale dato di sintesi, nella recente giurisprudenza
della Corte in materia disciplinare, si afferma che la sanzione va
graduata, di regola, nell'ambito dell'autonomo procedimento a cio'
preposto, secondo criteri di proporzionalita' e adeguatezza al caso
concreto, e non puo' pertanto costituire l'effetto automatico e
incondizionato di una condanna penale (Corte costituzionale -
sentenze n. 234 del 2015, n. 2 del 1999, n. 363 del 1996, n. 220 del
1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 158 del 1990, n. 971 del
1988 e n. 270 del 1986), neppure quando si tratti di rapporto di
servizio del personale militare (ad esempio, sentenze n. 363 del 1996
e n. 126 del 1995). Solo eccezionalmente l'automatismo potrebbe
essere giustificato: segnatamente quando la fattispecie penale abbia
contenuto tale da essere radicalmente incompatibile con il rapporto
di impiego o di servizio, come ad esempio quella sanzionata anche con
la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici ex
art. 28, secondo comma, del codice penale (Corte costituzionale -
sentenze n. 286 del 1999 e n. 363 del 1996) o dell'estinzione del
rapporto di impiego ex art. 32-quinquies del codice penale (cfr.
Corte costituzionale 15 dicembre 2016, n. 268, poi confermata da
Corte costituzionale 23 giugno 2020, n. 123).
In materia di sanzioni amministrative, particolarmente affine al
caso di specie e' la giurisprudenza costituzionale formatasi con
riguardo all'automatismo legislativo circa la revoca della patente di
guida che consegue obbligatoriamente a condanna per reati in materia
di stupefacenti (art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285. Nuovo codice della strada): la Corte ha ravvisato la
violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalita' e
ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione nella parte in
cui la disposizione ricollega, «in via automatica, il medesimo
effetto, la revoca di quel titolo, ad una varieta' di fattispecie,
non sussumibili in termini di omogeneita', atteso che la condanna,
cui la norma fa riferimento, puo' riguardare reati di diversa, se non
addirittura di lieve entita'. Reati che, per di piu', possono essere
assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del
giudizio (come nella specie in cui risaliva ad otto anni prima). Il
che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare, nei confronti del
condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio di assenza
dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di
abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all'attualita'»
(Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22).
In ogni caso, la giurisprudenza costituzionale e' approdata alla
conclusione che l'automatismo legale non puo' essere giustificato
sulla base del fatto che si fondi su una presunzione assoluta, in
quanto ha ripetutamente affermato che «le presunzioni assolute,
specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano
il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioe'
se non rispondono a dati di' esperienza generalizzati, riassunti
nella formula dell'id quod plerumque accidit». In particolare,
«l'irragionevolezza della presunzione assoluta si puo' cogliere tutte
le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»
(ex multis, Corte costituzionale - sentenze n. 253 del 2019, n. 185
del 2015, n. 268, n. 232 e n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011,
n. 265 e n. 139 del 2010).
5.2.4. - Nella materia che qui ci occupa, mette conto di
rammentare la pronuncia n. 172 del 6 luglio 2012, gia' richiamata
nella cornice di inquadramento, che ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale della norma di emersione del 2009, l'art. 1-ter, comma
13, lettera c), del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini), introdotto
dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, nella parte in cui
faceva derivare automaticamente il rigetto della istanza di
regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei
suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti
dall'art. 381 del codice di procedura penale, senza prevedere che la
pubblica amministrazione provvedesse ad accertare che il medesimo
rappresentava una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello
Stato.
Segnatamente, la Corte, pur premettendo che l'automatismo
espulsivo costituisce un riflesso del principio di stretta legalita'
che permea l'intera disciplina dell'immigrazione ed e' «anche per gli
stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di
scongiurare possibili arbitri da parte dell'autorita' amministrativa»
(tra le molte, sentenza n. 148 del 2008; ordinanza n. 146 del 2002),
ha puntualizzato che la discrezionalita' di cui dispone il
legislatore nel regolamentare l'ingresso e il soggiorno dello
straniero sul territorio nazionale, tipicamente involgente un
bilanciamento di molteplici interessi pubblici e diritti fondamentali
in gioco «incontra, tuttavia, i limiti segnati dai precetti
costituzionali e, per essere in armonia con l'art. 3 della
Costituzione, occorre che sia conforme a criteri di intrinseca
ragionevolezza (Corte costituzionale - sentenze n. 206 del 2006 e n.
62 del 1994)».
Pur richiamando, tra i vari, il proprio precedente arresto in
tema di reati inerenti agli stupefacenti ("v. sopra, Corte
costituzionale n. 148/2008), la Corte ha soggiunto che legislatore
puo', pertanto, subordinare la regolarizzazione del rapporto di
lavoro al fatto che la permanenza nel territorio dello Stato non sia
di pregiudizio ad alcuno degli interessi coinvolti dalla disciplina
dell'immigrazione, ma la relativa scelta deve costituire il risultato
di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli stessi,
soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei
diritti fondamentali dei quali e' titolare anche lo straniero
extracomunitario (sentenze n. 245 del 2011, n. 299 e n, 249 dei
2010), perche' la condizione giuridica dello straniero non deve
essere «considerata per quanto riguarda la tutela di tali diritti -
come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi»
(sentenza n. 245 del 2011)"; ha, inoltre, fatto leva sul sopra
richiamato principio pretorio in virtu' del quale «le presunzioni
assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della
persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e
irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza
generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque
accidit», sussistendo l'irragionevolezza della presunzione assoluta
«tutte le volte in cui sia «agevole» formulare ipotesi di accadimenti
reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione
stessa» (sentenze n. 231 e n. 164 del 2011; n. 265 e n. 139 del
2010).
Nel caso venuto allora all'esame la Corte, quindi, ha concluso
per la manifesta irragionevolezza della norma censurata per il sol
fatto che il diniego della regolarizzazione conseguiva
automaticamente alla pronuncia di una sentenza di condanna anche per
uno dei reati di cui all'art. 381 del codice di procedura penale,
nonostante che gli stessi non fossero necessariamente sintomatici
della pericolosita' di colui che li ha commessi. In tal senso e',
infatti, significativo che, essendo possibile procedere per detti
reati «all'arresto in flagranza soltanto se la misura e' giustificata
dalla gravita' del fatto ovvero dalla pericolosita' del soggetto
desunta dalla sua personalita' o dalle circostanze del fatto» (art.
381, comma 4, del codice di procedura penale), e' gia'
l'applicabilita' di detta misura ad essere subordinata ad una
specifica valutazione di elementi ulteriori rispetto a quelli
consistenti nella mera prova della commissione del fatto. Inoltre,
osservo' la Corte che l'automatismo allora in discussione concerneva
una fattispecie connotata da profili peculiari tra quelle aventi ad
oggetto l'accertamento della sussistenza dei requisiti per la
permanenza nel territorio dello Stato, intercettando profili di forte
assonanza con la fattispecie emersiva oggi sottoposta a scrutinio: la
procedura di emersione del 2009, difatti, riguardava «i soli
stranieri extracomunitari i quali da un tempo ritenuto dal
legislatore apprezzabile svolgevano, sia pure in una situazione di
irregolarita', attivita' di assistenza in favore del datore di lavoro
o di componenti della famiglia del predetto, ancorche' non
conviventi, affetti da patologie o disabilita' che ne limitano
l'autosufficienza, ovvero attivita' di lavoro domestico di sostegno
al bisogno familiare. Sono, queste, infatti, attivita' che, per il
loro contenuto e per la circostanza di essere svolte ali interno di
una famiglia, da un canto, agevolano l'accertamento dell'effettiva
pericolosita' dello straniero. Dall'altro, evidenziano che
l'automatismo, nel caso di assistenza in favore di quanti sono
affetti da patologie o disabilita' che ne limitano l'autosufficienza,
rischia di pregiudicare irragionevolmente gli interessi di questi
ultimi. E', invero, notorio che, soprattutto quando tale attivita'
sia stata svolta per un tempo apprezzabile, puo' instaurarsi un
legame peculiare e forte con chi ha bisogno di assistenza costante e
che, quindi, puo' essere leso da un diniego disposto in difetto di
ogni valutazione in ordine alla effettiva imprescindibilita' e
proporzionalita' dello stesso rispetto all'esigenza di garantire
l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, nonostante che sia
agevole ipotizzare, ed accertare, l'esistenza di situazioni contrarie
alla generalizzazione posta a base della presunzione assoluta che
fonda l'automatismo».
6. - Le notazioni che precedono conducono, dunque, al nucleo dei
rinnovati dubbi di tenuta costituzionale della disposizione emersiva
del 2020 nella parte in cui ricomprende indistintamente
nell'automatismo espulsivo previsto per i reati inerenti agli
stupefacenti anche le condanne per spaccio di lieve entita', nella
sua nuova veste di fattispecie incriminatrice autonoma a minor carica
di disvalore se esaminata alla lente dell'art. 3 della Costituzione
quale crogiuolo fulgido in cui si fondono secondo un sapiente
dosaggio assiologico i principi cardinali di proporzionalita' e
ragionevolezza.
6.1. - In termini di inquadramento generale, il principio di
proporzionalita' e' stato enunciato agli inizi del secolo XX dalla
dottrina e dalla giurisprudenza germanica, nel contesto specifico del
«Polizeirecht» tedesco (le leggi di polizia), e in quel contesto esso
implicava che «la polizia non deve sparare ai passeri con i cannoni».
Attualmente la proporzionalita' e' uno degli architravi della
giurisprudenza europea delle Corti di Lussemburgo e di Strasburgo.
Attraverso il diritto comunitario, la proporzionalita' e' divenuta
uno dei principi generali anche del diritto amministrativo, come
argine al potere discrezionale quando questo si imbatte in un diritto
fondamentale. Sin dagli anni '70, poi, la proporzionalita' e'
impiegata nella procedura penale in funzione di minimizzazione delle
limitazioni della liberta' personale.
Il principio di proporzionalita' nella elaborazione esegetica
ormai consolidatasi viene declinato secondo due modelli - uno
trifasico e uno bifasico. Secondo il primo, la proporzionalita' si
compone di tre elementi: idoneita', necessarieta' e proporzionalita'
in senso stretto. E' idonea la misura che permette il raggiungimento
del fine, il conseguimento del risultato prefissato, mentre essa e'
necessaria se e' l'unica possibile per il raggiungimento del
risultato prefissato o e' quella che arreca il minor sacrificio di
interessi confliggenti laddove vi sia una pluralita' di misure
perseguibili. La proporzionalita' in senso stretto richiede, invece,
che la scelta amministrativa ovvero legislativa non rappresenti un
sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato.
Mutatis mutandis, nel modello bifasico, prevalentemente adottato
dalla Corte di Giustizia UE, il requisito della proporzionalita' in
senso stretto e' insito nei parametri di idoneita' e di necessita'
come fine ultimo del principio nonche' canone strutturale cui si
conformano le scelte di intervento, siano esse legislative ovvero
amministrative.
6.2 - Per converso, il principio di ragionevolezza non pare
potersi ridursi a mero complemento di un'endiadi col principio di
proporzionalita': pur essendo ancora ampiamente dibattute, le
coordinate del confronto dottrinal-giurisprudenziale propendono per
una tendenziale ricostruzione autonoma dei due principi. Per mutuare
sul tema i passaggi argomentativi delle due ordinanze di rimessione
del Consiglio di Stato sulla norma generale di cui all'art. 4, comma
3 T.U.I., «per essere ragionevole, la norma deve essere coerente con
il fine perseguito, ne deve essere deduzione logica, rappresentazione
pratica. Oltre che soluzione proporzionata - nel senso di idonea e
necessaria - deve rispondere ad una precisa esigenza di tutela. Il
principio di ragionevolezza comprende a monte la valutazione dei
fatti che hanno determinano la decisione legislativa e che
perimetrano il bene della vita che si intende proteggere. La
ragionevolezza e la proporzionalita', quindi, non possono definirsi
sinonimi ma sono in un rapporto di interdipendenza. Il legislatore -
o l'amministrazione nell'esercizio del proprio potere -
preliminarmente opera una indagine e una valutazione degli interessi.
In secondo luogo deve predisporre una misura che risponda
all'interesse da perseguire e che abbia il corretto punto di
bilanciamento tra interessi inevitabilmente confliggenti. Anche la
Corte europea dei diritti dell'uomo, in alcune pronunce, ha distinto
i due concetti statuendo che "what is necessary is more than what is
desirable or reasonable" (Dudgeon v. the United Kingdom, paragrafi
51-53».
Nelle varie applicazioni che punteggiano la giurisprudenza
costituzionale sul terna, si rammenta quanto affermato dalla Corte in
punto di bilanciamento di confliggenti interessi e diritti
fondamentali per cui "il giudizio di ragionevolezza sulle scelte
legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalita', che
«richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura
e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra
piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (Corte Costituzionale - sentenza n.
1 del 2014, richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137 del 2018, n.
10 del 2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del 2014)" (v. Corte
costituzionale - sentenza 21 febbraio 2019, n. 20).
Segnatamente, la materia dell'immigrazione che viene qui in
rilievo si atteggia a terreno elettivo di bilanciamento tra svariati
interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanita'
pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e
la politica nazionale in tema di immigrazione, e i diritti
fondamentali dello straniero anelante al soggiorno regolare ed e'
stata la Corte stessa nella richiamata pronuncia n. 148/2008 a
puntualizzare che «tale ponderazione spetta in via primaria al
legislatore ordinario, il quale possiede in materia un'ampia
discrezionalita', limitata, sotto il profilo della conformita' a
Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino
manifestamente irragionevoli».
6.3. - Dipoi, mette conto di segnalare che la stessa
giurisprudenza costituzionale ha dato prova di una mutata
sensibilita' circa l'incidenza del canone di proporzionalita' sul
bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e diritti
fondamentali in materia di immigrazione allorquando ha censurato
l'irragionevole estensione dell'automatismo espulsivo ai reati per
cui e' previsto l'arresto facoltativo ex art. 381 del codice di
procedura penale osservando che il legislatore puo' ben "subordinare
la regolarizzazione del rapporto di lavoro al fatto che la permanenza
nel territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad alcuno degli
interessi coinvolti dalla disciplina dell'immigrazione, ma la
relativa scelta deve costituire il risultato di un ragionevole e
proporzionato bilanciamento degli stessi, soprattutto quando sia
suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali dei
quali e' titolare anche lo straniero extracomunitario (Sentenze n.
245 del 2011, n. 299 en. 249 dei 2010), perche' la condizione
giuridica dello straniero non deve essere «considerata - per quanto
riguarda la tutela di tali diritti - come causa ammissibile di
trattamenti diversificati o peggiorativi» (sentenza n. 245 del 2011)"
(v. supra, Corte costituzionale 2 luglio 2012, n. 172).
6.4. - Riassemblando tutti i tasselli appena esaminati - la
parabola storico-sistematica della fattispecie di spaccio di lieve
entita' e la maturazione dell'elaborazione giurisprudenziale sui
principi di ragionevolezza e proporzionalita' con particolare
riferimento agli automatismi legali -- si compone un mosaico
regolatorio che, nella disciplina emersiva in esame, sconta, ad
avviso del Collegio, una forte stonatura nell'inclusione della
fattispecie in parola nel novero dei reati ostativi tale da
prefigurare una linea di insanabile contrasto coi parametri
assiologico-strutturali condensati dall'art. 3 della Costituzione.
6.4.1. - Come si e' tratteggiato supra, la maturazione
politico-criminale della figura dello spaccio di lieve entita' (art.
73, comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990) ha
registrato importanti momenti evolutivi che l'hanno proiettata nella
direzione della piena autonomia incriminatrice, emancipandola dalla
qualificazione meramente circostanziale predicata dalla costante
giurisprudenza penale fino al 2013. A cio' si e' affiancato il
crescente divario, sul terreno della dosimetria sanzionatoria, e
parallelamente, anche del disvalore intrinseco delle condotte, tra la
figura base, prevista e punita dal comma primo dell'art. 73
(sei-venti anni) e la figura di lieve entita' di cui al quinto comma
(sei mesi-quattro anni). In buona sostanza, l'indirizzo legislativo
ha progressivamente ritagliato l'area di prensione punitiva delle
condotte sussumibili nello spaccio di lieve entita' tracciando una
sempre piu' profonda linea discretiva tra fenomeni criminologicamente
distanti e non confondibili tra loro: come illustrato in precedenza,
cio' e' stato colto dall'avveduta giurisprudenza penale che ha
prestato particolare attenzione nel tracciare i contorni
criminologici delle condotte sussumibili nella nuova figura,
valorizzandone i parametri strutturali secondo una valutazione
tipicamente globale di segno compensativo-neutralizzante (v. ex
multis, Cass. pen., sez III, 13 maggio 2022, n. 31768; piu'
diffusamente supra sub 5.2.2).
Segnatamente, la ricorrenza della figura e' stata ravvisata solo
nella ipotesi di minima offensivita' penale della condotta,
deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri
parametri richiamati dalla disposizione (ex multis, da ultimo, Cass.
pen., sez. VII, ord. 24 gennaio - 12 febbraio 2019, n. 6621; Cass.
pen., Sez. VII, ord. 20 dicembre 2018-24 gennaio 2019, n. 3350; Cass.
pen., sez. IV, sentenza 13 dicembre 2018-18 gennaio 2019, n. 2312).
Invero, la traiettoria di progressiva divaricazione tra le due
figure ha dato adito anche a veri e propri "inciampi" legislativi in
punto di armonia del quadro sanzionatorio: la stratificazione di
interventi legislativi e giurisprudenziali aveva, difatti,
progressivamente scavato una profonda frattura tra le due figure,
pari a ben quattro anni tra il minimo edittale di pena previsto dal
comma 1 dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.
309 del 1990 per fatti non lievi e il massimo edittale della pena
comminata dal comma 5 dello stesso articolo per fatti lievi, divario
tale da indurre la stessa Corte costituzionale a discorrere di
«anomalia sanzionatoria» (sentenza n. 179 del 2017), evidentemente
sproporzionata ponendo mente al fatto che il minimo edittale del
fatto di non lieve entita' era pari al doppio del massimo edittale
del fatto lieve e concretamente foriera di intollerabili
sperequazioni punitive. Lo iato sanzionatorio, dopo una
pronuncia-monito che metteva in mora il legislatore affinche'
procedesse «rapidamente a soddisfare il principio di necessaria
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio, risanando la frattura
che separa le pene previste per i fatti lievi e per i fatti non lievi
(Corte costituzionale - sentenza n. 179 del 2017), e' stato sanato
dalla Corte stessa con un innovativo arresto manipolativo che, nel
far leva su plurimi indici sanzionatori rinvenibili nell'ordinamento
in subiecta materia, ha ritenuto appropriata la richiesta di ridurre
a sei anni di reclusione la pena minima peri fatti di non lieve
entita' di cui al comma 1 dell'art. 73 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 309 del 1990, al fine di porre rimedio ai vizi di
illegittimita' costituzionale denunciati (Corte costituzionale -
sentenza 8 marzo 2019, n. 40).
6.4.2. - Il corollario processuale piu' significativo del
processo di «emancipazione normativa» dello spaccio di lieve entita'
va rinvenuto nell'espressa esclusione della fattispecie de qua dal
novero tassativo dei reati per cui e' previsto l'arresto obbligatorio
in flagranza ex art. 380 del codice di procedura penale: la lettera
h) del comma 2 annovera, infatti, i «delitti concernenti sostanze
stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo
articolo». Siffatta espunzione comporta la rifluenza della figura per
fatti lievi nella previsione generale dettata per l'arresto
facoltativo in caso di delitti non colposi puniti con pena superiore
nel massimo a tre anni a condizione che la misura sia giustificata
dalla gravita' del fatto ovvero dalla pericolosita' del soggetto
desunta dalla sua personalita' o dalle circostanze del fatto (v. art.
381, comma 1 e 4 del codice di procedura penale). Tale opzione
processuale testimonia la piena coscienza del legislatore circa
l'irriducibile inassimilabilita' dei fatti lievi sussumibili nel
comma quinto rispetto a quelli non lievi intercettati dalla
fattispecie incriminatrice base di cui al primo comma.
6.4.3. - A fronte di questi dati inequivocabili evincibili dal
diritto cogente non puo' non destare perplessita' l'opzione
regolatoria adottata dal legislatore emergenziale di estendere
l'automatismo ostativo indistintamente al complesso dei reati
inerenti agli stupefacenti, accomunando fatti lievi e fatti non lievi
in una omologazione di regime che non puo' contentarsi di rinvenire
la propria ratio nel contrasto senza esclusione di colpi dei fenomeni
criminali che alimentano il mercato della droga quale fonte dei
maggiori proventi per la criminalita' organizzata a pena di
strumentalizzare per ragioni politico-criminali anche le misure
amministrative in materia di immigrazione tenendo in non cale la
quasi mai semplice storia di integrazione degli stranieri nel nostro
paese.
Piu' specificamente, la tenuita' delle condotte abbracciate dalla
nuova fattispecie, oggetto di distinta considerazione da parte del
legislatore penale sia a livello sostanziale sia a livello
processuale, non pare giustificare l'applicazione di un automatismo
legale cosi rigoroso da negare in radice qualsivoglia chance di
regolarizzazione per lo straniero che sia incorso in tale menda nel
suo percorso di integrazione nella comunita' nazionale: il sillogismo
presuntivo sotteso all'automatismo scalza, infatti, qualsivoglia
rilevanza alla valutazione individualizzata del profilo del singolo
straniero richiedente e generalizza una presunzione assoluta di
pericolosita' sociale che non necessariamente trova corrispondenza
nell'id quod plerumque accidit della gamma di condotte intercettate
dalla nuova fattispecie per fatti lievi.
Basti considerare nel caso di specie che i precedenti criminali
del richiedente, ritenuti ostativi, risalivano ai lontani anni 2008 e
2009: la costruzione della fattispecie attualmente vigente fa si' che
essi proiettino un cono di effetti inibitori illimitato e perpetuo, a
nulla rilevando la risalenza nel tempo e trascurando la storia
personale dello straniero successivamente alla regolare espiazione
della propria pena. I successivi problemi di salute e la definitiva
integrazione socio-economica con un regolare contratto di soggiorno
suggerirebbero un approccio piu' gradato e proporzionato alla carica
di disvalore di quei precedenti criminosi se riguardati nel
complessivo vissuto dello straniero.
Applicando, peraltro, le richiamate dimensioni insite nel canone
di proporzionalita', deve soggiungersi che la misura divisata dal
legislatore emergenziale si profila si idonea ma non necessaria, nel
senso che pur perseguendo efficacemente la salvaguardia degli
interessi pubblici alla sicurezza dello Stato e all'ordine pubblico,
vulnera irragionevolmente i diritti fondamentali dello straniero
richiedente la regolarizzazione mediante l'automatica reiezione della
domanda al mero riscontro di un precedente penale per spaccio di
lieve entita'. La non necessarieta' si apprezza sol che si consideri
la possibilita' di apprestare misure amministrative alternative, meno
drastiche ed ispirate a maggiore gradualita', in guisa di affidare
all'apprezzamento discrezionale della pubblica amministrazione
titolare del potere la valutazione della pericolosita' concreta del
soggetto richiedente.
Il Collegio condivide e fa proprie, al riguardo, le movenze
argomentative svolte dal Supremo Consesso di giustizia amministrativa
nelle pressoche' coeve ordinanze di rimessione del 23 giugno 2022 e
1° luglio 2022: «l'automatismo in ogni caso non puo' dirsi misura
necessaria ovvero idonea alla tutela della sicurezza pubblica.
L'esigenza di pubblica sicurezza, come accade in altri casi non
ostativi, ben potrebbe essere tutelata dal potere
dell'amministrazione di procedere alla valutazione in concreto della
fattispecie.
Non e' neppure proporzionata in senso stretto perche' troppo
pregiudizievole della sfera del privato il quale non puo' addure
alcun elemento relativo al proprio percorso di integrazione
socio-lavorativa che possa essere preso in considerazione
dall'amministrazione la quale si vede costretta a rigettare
l'istanza.
Parificare, in via automatica, sotto l'unico profilo
dell'espulsione, la condotta di cessione di una piccola quantita' di
sostanza stupefacente con reati gravi quali, ad esempio, l'omicidio e
la violenza sessuale, appare, a parere del Collegio, sproporzionato
specie con riferimento al principio di proporzionalita' in senso
stretto, in quanto, tale discrimine determina un sacrificio della
posizione giuridica dello straniero che non risponde a necessita' e
puo' risultare, in taluni casi, ingiustificatamente discriminatorio».
6.4.4. - La spia rivelatrice dell'irragionevolezza
dell'omologazione delle due figure e' stata ben lumeggiata dal
giudice delle leggi allorquando, nella messa a punto di quella
peculiare «ortopedia interpretativa» della forbice edittale prevista
per i fatti non lievi, ha crucialmente soggiunto che un divario
sanzionatorio eccessivamente ampio condizionava inevitabilmente la
valutazione complessiva che il giudice di merito deve compiere al
fine di accertare la lieve entita' del fatto (ritenuta doverosa da
Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 settembre - 9
novembre 2018, n. 51063), con il rischio di dar luogo a sperequazioni
punitive, in eccesso o in difetto, oltre che a irragionevoli
difformita' applicative in un numero rilevante di condotte (Corte
costituzionale n. 40/2019). Il riallineamento per via pretoria del
minimo edittale previsto per i fatti non lievi (abbassato
manipolativamente a sei anni) ha ridotto quella zona grigia fornite
di perniciose divergenze applicative ripristinando la gradualita'
della dorsale sanzionatoria, che riafferma, in controluce, la
sostanziale disparita' di disvalore dello spaccio di lieve entita'
rispetto al reato non lieve.
Questa riaffermata dicotomia punitiva trova, come gia'
evidenziato, un congruo precipitato a livello processuale nella
differenziazione del regime dell'arresto, obbligatorio o facoltativo,
in caso di flagranza a seconda che si tratti dei reati di cui al
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 o dell'ipotesi di
cui all'art. 73, comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n.
cit. mentre irragionevolmente incappa in una irragionevole
omologazione nel diritto amministrativo dell'immigrazione.
Segnatamente, la piu' che condivisibile e insindacabile ratio
legis sottesa alle opzioni politico-criminali dianzi esaminate,
rinvenibile nel serrato contrasto della criminalita' che alimenta il
mercato degli stupefacenti, si traspone in campo amministrativo con
l'innesto di un significato ulteriore: la commissione di un qualsiasi
reato in materia di stupefacenti, accertata dal giudice penale, con
sentenza anche non definitiva, implica la violazione del patto di
civile convivenza con lo Stato italiano e comporta l'automatico
diniego del permesso di soggiorno ovvero la revoca del titolo,
qualora il cittadino straniero ne fosse gia' titolare, con
contestuale allontanamento dello stesso dal territorio nazionale in
quanto sprovvisto di un valido titolo di soggiorno.
Senonche', siffatta disciplina amministrativa ricorre ad uno
strumento -l'automatismo espulsivo - che stride con le opzioni
politico-criminali piu' gradate espresse nel diritto penale
sostanziale e processuale - risultando sotto tal profilo
irragionevole - e impone un sacrificio eccessivo ai confliggenti
interessi con un vulnus ai diritti fondamentali dello straniero che,
se pregiudicato da una condanna per spaccio di lieve entita', non
potra' invocare alcun bilanciamento e si trovera' sempre al cospetto
di un granitico ed ineluttabile rigetto, con conseguente espulsione
dal territorio nazionale - in cio' sfociando nel denunciato difetto
di proporzionalita'.
7. - In sintonia con le deduzioni censorie del Consiglio di
Stato, rimettente analoghe questioni di legittimita' costituzionale
sulla norma generale di cui all'art. 4, comma 3 T.U.I, il Collegio
ravvisa profili di tensione della norma speciale emersiva del 2020
anche con l'art. 117, primo comma della Costituzione in relazione
all'art. 8 CEDU quale norma interposta.
La norma convenzionale, nell'apprestare fondamentali tutele al
diritto alla vita privata e familiare, dispone che: «Ogni persona ha
diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del
proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non puo' esservi
ingerenza di una autorita' pubblica nell'esercizio di tale diritto a
meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una
misura che, in una societa' democratica, e' necessaria alla sicurezza
nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese,
alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione
della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle
liberta' altrui».
La giurisprudenza della Corte europea offre una lettura ampia e
comprensiva della nozione di vita privata con riferimento ai casi di
diniego di soggiorno e conseguente espulsione degli stranieri: "dal
momento che l'art. 8 tutela anche il diritto cli allacciare e
intrattenere legami con i propri simili e con il inondo esterno, e
comprende a volte alcuni aspetti dell'identita' sociale cli un
individuo, si deve accettare che tutti i rapporti sociali tra gli
immigrati stabilmente insediati e la comunita' nella quale vivono
faccia parte integrante della nozione di «vita privata» ai sensi
dell'art. 8. Indipendentemente dall'esistenza o meno cli una «vita
famigliare», l'espulsione di uno straniero stabilmente insediato si
traduce in una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita
privata. In funzione delle circostanze della causa che deve
esaminare, la Corte decidera' se sia opportuno porre l'accento
sull'aspetto «vita famigliare» piuttosto che sull'aspetto «vita
privata» (Üner c. Paesi Bassi, n. 46410/99, § 59, CEDU 2006-XII)» (v.
CEDU, N c. Italia, 14 gennaio 2019, n. 57433, § 35).
Nondimeno, la compressione del diritto di fonte convenzionale e'
scriminato nei casi di cui al paragrafo 2 dell'art. 8 CEDU, laddove
vi sia una base legale - e nel caso di specie indubbiamente vi e' - e
costituisca una misura che, in una societa' democratica, e'
necessaria, inter alia, alla pubblica sicurezza, alla difesa
dell'ordine e alla prevenzione dei reati. In buona sostanza, la
questione fondamentale da definire nel caso di specie e' se
l'ingerenza concretizzantesi nell'automatismo espulsivo sia
«necessaria in una societa' democratica». I principi fondamentali per
quanto riguarda l'espulsione di una persona che ha trascorso un tempo
considerevole in un paese ospitante da cui dovrebbe essere espulsa in
seguito alla perpetrazione di illeciti penali sono ben consolidati
nella giurisprudenza della Corte (si veda in particolare Üner c.
Paesi Bassi, n. 46410/99, CEDU 2006, §§ 5455 e 57-58; Maslov c.
Austria n. 1638/03, §§ 68 76, CEDU 2008; e K.M. c. Svizzera, n.
6009/10, 2 giugno 2015). Nella causa Üner, la Corte ha avuto
occasione di sintetizzare i criteri che devono guidare i giudici
nazionali in tali cause (§§ 57 e segg.) tra cui qui rilevano la
natura e la gravita' del reato commesso dal ricorrente.
La durata del soggiorno dell'interessato nel paese da cui deve
essere espulso; il tempo trascorso da quando e' stato commesso il
reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo; la
situazione famigliare del ricorrente e, se del caso, la durata del
suo matrimonio, e altri fattori che attestano l'effettivita' di una
vita famigliare all'interno della sua unione; la solidita' dei legami
sociali, culturali e famigliari con il paese ospitante e con il paese
di destinazione.
Fil rouge comune alle pronunce della Corte europea su questa
tematica e' l'insopprimibile esigenza di assicurare un ponderato
bilanciamento tra le contrapposte situazioni giuridiche, che si
traduce nel «certain marge d'appreciation» evocato dalla Corte in
piu' arresti: «Une mesure constituant une ingerence dans l'exercice
de droits garantis par l'article 8 § 1 de la Convention peut être
consideree comme «necessaire dans une societe' democratique» si elle
a ete' prise pur repondre a' un besoin social imperieux te si les
moyens employes sont proportionnes aux buts poursuivis. En la
matiere, les autorites nationales jouissent d'une certaine marge
d'appreciation. La tâche de la Cour consiste a' determiner si les
mesures en question ont, respecte' un juste equilibre entre les
interêts en presence, a' savoir, d'une part, les droits de l'individu
concerne' au regard de la Convention et, d'autre part, les interêts
de la societe' (Slivenko c. Lettonia, n. 48321/99, § 113, CEDU 2003
X).
Dalla disamina che precede sub § 5-6 si e' gia' giunti al
fondamentale approdo per cui, ad avviso del Collegio, l'estensione
dell'automatismo espulsivo alla fattispecie di particolare tenuita'
non risulti conforme al canone intrinseco di necessarieta' in cui si
struttura il principio di proporzionalita', indi non puo' palesarsi
neanche rispettoso del canone convenzionale di «misura necessaria in
una societa' democratica» non essendo rispondente ad un bisogno
sociale imperioso (besoin social imperieux, pressing social need),
giacche' l'esigenza di salvaguardare interessi come la sicurezza
pubblica e la difesa sociale puo' ben trovare risposta
nell'apprestamento di un meccanismo piu' graduato di valutazione in
concreto della pericolosita' sociale, previo bilanciamento delle
varie circostanze in cui si estrinseca il contenuto convenzionale del
diritto alla vita privata, ben enucleate dalla pronuncia Üner c.
Paesi Bassi.
8. - In esito all'articolata disamina svolta, il Collegio ravvisa
per la fattispecie emersiva censurata anche un possibile approdo
manipolativo, offerto dallo stesso legislatore in virtu' di un
atteggiamento di ascolto, raro ma fecondo, dei moniti del giudice
delle leggi (v. Corte costituzionale n. 172 del 2012): a ben vedere,
la stonatura del quadro disciplinare, correlata all'irragionevole e
sproporzionata inclusione dello spaccio di lieve entita' nella
lettera c) dell'art. 103, comma 10 potrebbe trovare una
ricomposizione armonica mediante la sua espunzione dalla lettera c) e
il suo reinnesto nella lettera d), che preclude l'emersione per
quegli stranieri «che comunque siano considerati una minaccia per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i
quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei
controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle
persone», assumendo quale indice di pericolosita' dello straniero
anche la sussistenza di eventuali condanne per uno dei reati di cui
all'art. 381 del codice di procedura penale.
La fattispecie di cui alla lettera d), che demanda l'esito
dell'emersione alla valutazione in concreto della pericolosita'
sociale dello straniero a cura dell'Autorita' amministrativa, si
profila quale naturale sedes materiae - ragionevole e proporzionata -
per l'emersione degli stranieri pregiudicati da condanne per spaccio
di lieve entita' alla luce quantomeno di due indici:
i. uno di matrice strettamente positiva riveniente dal fatto
che l'art. 380 del codice di procedura penale, richiamato dalla
lettera e), nell'escludere espressamente la fattispecie di lieve
entita', la farebbe ipoteticamente rifluire nell'ipotesi di arresto
obbligatorio ex art. 381 del codice di procedura penale,
sussistendone i presupposti, indi proprio nell'alveo della lettera
d), ove non vi fosse l'invalicabile sbarramento letterale
dell'irragionevole richiamo ai «reati inerenti agli stupefacenti»
tout court;
ii. uno di matrice pretoria, ritraibile dall'arresto n.
172/2012 della Corte costituzionale, piu' volte richiamato nella
presente ordinanza, ove e' stata giudicata «manifesta
l'irragionevolezza del diniego di regolarizzazione automaticamente
correlato alla pronuncia di una sentenza di condanna per uno dei
reati di cui all'art. 381 del codice di procedura penale, senza che
sia permesso alla pubblica amministrazione di apprezzare al giusto
gli interessi coinvolti e di accertare se il lavoratore
extracomunitario sia o meno pericoloso per l'ordine pubblico o la
sicurezza dello Stato». La ratio decidendi della Corte, che
valorizzo' proprio l'opinabilita' della presunzione di pericolosita'
sociale per il fascio di reati per cui e' previsto l'arresto
facoltativo secondo l'id quod plerumque accidit, militerebbe in
favore della riconduzione anche dello spaccio di lieve entita', a
mente dei suoi ridetti contorni criminologici, nel novero dei reati
per cui dovrebbe attivarsi una valutazione individualizzata della
pericolosita' sociale da parte dell'Autorita' amministrativa e non
gia' un automatismo espulsivo.
9. - Conclusivamente, si ritiene, per le su esposte ragioni, di
sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 103, comma 10,
lettera c) del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con
modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 per violazione
dell'art. 3 della Costituzione e dell'art. 117, primo comma della
Costituzione in relazione all'art. 8 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto della
istanza di regolarizzazione del lavoratore straniero dalla pronuncia
nei suoi confronti di una sentenza di condanna per il reato previsto
dall'art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n.
9 ottobre 1990, n. 309, senza prevedere che la pubblica
amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una
minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
Si sospende conseguentemente la decisione nel presente giudizio
in attesa della pronunzia della Corte costituzionale.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sezione
Prima), ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, nei
termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalita'
dell'art. 103, comma 10, lettera c) del decreto-legge 19 maggio 2020,
n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77
in relazione agli articoli 3 e 117, comma l della Costituzione in
riferimento all'art. 8 CEDU, dispone l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.
Ordina che la presente ordinanza a cura della Segreteria della
Sezione sia notificata alle parti in causa e al Presidente del
Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei
Deputati e del Senato della Repubblica.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1
e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10
del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignita' della parte
interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle
generalita' nonche' di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la
persona del ricorrente.
Cosi' deciso in Torino nella Camera di consiglio del giorno 25
gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Raffaele Prosperi, Presidente;
Flavia Risso, consigliere;
Angelo Roberto Cerroni, referendario, estensore.
Il Presidente: Prosperi
L'estensore: Cerroni