Reg. ord. n. 51 del 2023 pubbl. su G.U. del 26/04/2023 n. 17

Ordinanza del Consiglio di Stato  del 13/03/2023

Tra: FIRMA- Fabbrica Italiana Ritrovati Medicinali ed Affini s.p.a. C/ Presidenza Consiglio dei Ministri,Comitato interministeriale per la programmazione economica,Ministero Economia e Finanze ed altri 1



Oggetto:

Sanità pubblica - Farmaci - Sottoposizione dei prezzi delle specialità medicinali, esclusi i medicinali da banco, al regime di sorveglianza secondo le modalità indicate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), a decorrere dal 1° gennaio 1994 - Impossibilità di superare la media dei prezzi risultanti per prodotti similari e inerenti al medesimo principio attivo nell'ambito della Comunità europea - Norma di interpretazione autentica - Previsione che va intesa nel senso che è rimesso al CIPE stabilire anche quali e quanti Paesi della Comunità prendere a riferimento per il confronto, con applicazione dei tassi di conversione fra le valute, basati sulla parità dei poteri d'acquisto, come determinati dallo stesso CIPE - Disciplina che dispone la validità, dalla data del 1° settembre 1994 fino all'entrata in vigore del metodo di calcolo del prezzo medio europeo, dei prezzi applicati secondo i criteri indicati per la determinazione del prezzo medio europeo dalle previste deliberazioni del CIPE - Applicazione, a decorrere dal 1° luglio 1998, ai fini del calcolo del prezzo medio dei medicinali, dei tassi di cambio ufficiali relativi a tutti i Paesi dell'Unione europea - Denunciate previsioni che impropriamente hanno svolto una funzione di sanatoria, dando copertura legislativa a una fonte regolamentare annullata dal Consiglio di Stato per violazione di legge - Intrinseco difetto di ragionevolezza relativamente a quanto introdotto con la norma asseritamente interpretativa - Assenza di motivi imperativi di interesse generale, diversi dalla salvaguardia del bilancio dello Stato, idonei a giustificare l'intervento del legislatore con efficacia retroattiva - Ingerenza nella garanzia del diritto a un processo equo, in spregio a un principio dello stato di diritto tutelato dall'art. 6 della CEDU - Violazione del principio della parità delle armi nel processo e delle attribuzione costituzionalmente riservate all'autorità giudiziaria - Lesione del diritto inviolabile ad agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi - Violazione degli obblighi internazionali - Lesione della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione.

Norme impugnate:

legge  del 27/12/1997  Num. 449  Art. 36   Co.

legge  del 27/12/1997  Num. 449  Art. 36   Co.

legge  del 27/12/1997  Num. 449  Art. 36   Co.



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 24 

Costituzione  Art. 111 

Costituzione  Art. 113 

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.



Udienza Pubblica del 5 marzo 2024 rel. PATRONI GRIFFI


Testo dell'ordinanza

N. 51 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2023

Ordinanza del 13 marzo  2023  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da FIRMA - Fabbrica italiana ritrovati medicinali ed  affini
S.p.a. contro Presidenza Consiglio dei ministri ed altri. 
 
Sanita'  pubblica  -  Farmaci  -  Sottoposizione  dei  prezzi   delle
  specialita' medicinali, esclusi i medicinali da banco, al regime di
  sorveglianza   secondo   le   modalita'   indicate   dal   Comitato
  interministeriale  per  la  programmazione  economica   (CIPE),   a
  decorrere dal 1° gennaio 1994 - Impossibilita' di superare la media
  dei prezzi risultanti per prodotti similari e inerenti al  medesimo
  principio attivo nell'ambito della Comunita'  europea  -  Norma  di
  interpretazione autentica - Previsione che va intesa nel senso  che
  e' rimesso al CIPE stabilire  anche  quali  e  quanti  Paesi  della
  Comunita' prendere a riferimento per il confronto, con applicazione
  dei tassi di conversione fra le valute, basati  sulla  parita'  dei
  poteri d'acquisto, come determinati dallo stesso CIPE -  Disciplina
  che dispone la validita', dalla data del  1°  settembre  1994  fino
  all'entrata in vigore  del  metodo  di  calcolo  del  prezzo  medio
  europeo, dei prezzi applicati secondo i  criteri  indicati  per  la
  determinazione   del   prezzo   medio   europeo   dalle    previste
  deliberazioni del CIPE - Applicazione, a decorrere  dal  1°  luglio
  1998, ai fini del calcolo del  prezzo  medio  dei  medicinali,  dei
  tassi di cambio ufficiali relativi  a  tutti  i  Paesi  dell'Unione
  europea. 
- Legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della
  finanza pubblica), art. 36, commi da 1 a 3. 


(GU n. 17 del 26-04-2023)

 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
 
    In  sede  giurisdizionale  (Sezione  quarta)  ha  pronunciato  la
presente ordinanza, sul ricorso numero di registro generale 1968  del
2016,  proposto  dalla  F.I.R.M.A  -  Fabbrica   italiana   ritrovati
medicinali ed affini S.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa  dall'avvocato  Stefano  Grassi,  con
domicilio eletto presso lo studio Visentini in Roma, piazza Barberini
n. 12; 
    Contro la Presidenza del  Consiglio  dei  ministri,  il  Comitato
interministeriale  per  la  programmazione  economica,  il  Ministero
dell'economia e delle finanze, il Ministero della salute, in  persona
dei rispettivi legali rappresentanti  pro  tempore,  rappresentati  e
difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in
Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio (Sezione prima) n. 10351 del 28  luglio  2015,
resa tra le parti; 
    Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio delle  amministrazioni
intimate; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a. 
    Relatore all'udienza straordinaria del giorno 14 dicembre 2022 il
consigliere Silvia Martino; 
    Viste le conclusioni delle parti, come da verbale; 
    1. La societa' appellante ha agito in primo  grado  chiedendo  la
condanna delle amministrazioni resistenti al risarcimento  del  danno
patrimoniale asseritamente procuratole dalla  delibera  del  Comitato
interministeriale per  la  programmazione  economica  (CIPE)  del  25
febbraio 1994. 
  Al riguardo, e' stato esposto quanto segue. 
    2. L'art. 8, comma 12, della legge 24 dicembre 1993, n. 537,  nel
trasformare il  regime  dei  prezzi  dei  medicinali  (in  precedenza
«amministrato»)  sottoponendolo  alla  sorveglianza  delle  Autorita'
amministrative «secondo modalita' dettate dal CIPE», ha obbligato  le
imprese  a  rispettare,  nella  determinazione   del   prezzo   delle
specialita' medicinali, il limite del prezzo  medio  europeo  (ovvero
«la media dei prezzi risultanti per prodotti similari e  inerenti  al
medesimo principio nell'ambito della Comunita' europea»). 
    Alla scelta dell'impresa  di  porre  in  vendita  la  specialita'
medicinale ad un prezzo superiore al prezzo medio europeo, conseguiva
la facolta' del Ministro della sanita' di disporne  il  trasferimento
nella  classe  C  (escludendo  il  rimborso  dal  Servizio  sanitario
nazionale)  oppure  di  mantenerla  nella  classe  di   appartenenza,
limitando tuttavia il rimborso ad un  valore  pari  al  prezzo  medio
europeo. 
    Il CIPE, con  deliberazione  del  25  febbraio  1994,  fissava  i
criteri per la determinazione del prezzo medio europeo disponendo: 
        i)  la  riduzione  autoritativa  del  prezzo  dei  medicinali
qualora risultante superiore di almeno il 5% rispetto a quello  medio
europeo; 
        ii) il riferimento  ai  prezzi  di  quattro  Paesi  (Francia,
Inghilterra, Germania e Spagna) per la determinazione della media dei
prezzi europei; 
        iii) l'applicazione, ai fini del  calcolo  della  media,  dei
tassi di conversione basati sulla  parita'  dei  poteri  di  acquisto
delle varie monete come determinati annualmente dal CIPE stesso. 
    2.1. Tale delibera veniva annullata dal Consiglio di  Stato,  con
sentenza n. 118 del 27 gennaio 1997, nella quale veniva rilevata, per
quanto qui interessa: 
        a) l'illegittimita' della scelta di  soli  quattro  Paesi  al
fine di individuare il prezzo medio europeo; 
        b) l'illegittimita' della scelta di fare  riferimento  ad  un
criterio di conversione del valore delle monete diverso dal tasso  di
cambio ufficiale, basato sulla parita' dei poteri di acquisto. 
    2.2. La sentenza del Consiglio di Stato e' passata  in  giudicato
il 24 marzo 1999, data di  pubblicazione  dell'ordinanza  n.  36  del
1999, con la  quale  le  Sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione
dichiaravano   estinto   il   ricorso   per    cassazione    proposto
dall'Avvocatura generale dello Stato avverso tale sentenza. 
    2.3.  I  criteri  di  determinazione  del  prezzo  medio  europeo
annullati dal Consiglio di Stato hanno trovato applicazione  fino  al
15 luglio 1998, data in cui e' entrata in vigore la deliberazione del
CIPE n. 10 del 26 febbraio 1998 che ha dato attuazione alla  sentenza
del Consiglio di Stato. 
    2.4. Nel frattempo, con la legge 27 dicembre 1997, n.  449  (art.
36, terzo e quarto comma) veniva introdotta una nuova disciplina  del
prezzo dei medicinali, che prevede l'applicazione dei tassi ufficiali
di cambio relativi alle monete di tutti i Paesi dell'Unione europea e
la considerazione dei prezzi dei  medicinali  praticati  in  tutti  i
Paesi dell'Unione europea al fine  di  individuare  il  prezzo  medio
europeo. 
    Nello stesso art. 36 della legge n.  449/1997  veniva,  altresi',
disposta la sanatoria degli effetti prodotti dalla delibera CIPE  del
25 febbraio 1994 attraverso la previsione della perdurante  efficacia
delle disposizioni dettate in tale delibera  dal  1°  settembre  1994
fino al momento dell'entrata in  vigore  dei  nuovi  criteri  per  la
determinazione del prezzo medio europeo di  cui  al  terzo  e  quarto
comma dell'art. 36 (secondo comma). 
    Inoltre, veniva dettata l'interpretazione  autentica  del  citato
art. 8, comma 12, della legge n. 537/1993,  in  senso  corrispondente
alla scelta effettuata dal CIPE  con  la  delibera  annullata  (primo
comma). 
    3. Su queste premesse in fatto, la ricorrente ha  prospettato  la
sussistenza   dei   presupposti   per   la   responsabilita'   civile
dell'amministrazione, individuandoli: 
        nella violazione del citato art. 8, comma 12, della legge  n.
537 del 1993, come accertata dalla sentenza n. 118/1997 del Consiglio
di Stato; 
        nell'esistenza di un rapporto di causalita' tra  la  condotta
dell'amministrazione (approvazione della delibera CIPE)  e  il  danno
lamentato; 
        nell'esistenza dell'elemento soggettivo della colpa  in  capo
all'amministrazione; 
        nella inapplicabilita'  al  presente  giudizio  dell'art.  36
della  legge  n.  449/1997,  del  quale   e'   stata   eccepita   sia
l'illegittimita' costituzionale, per essere venuta tale  disposizione
ad incidere su una situazione cristallizzata da una sentenza  passata
in giudicato; sia il contrasto con l'art. 28 del trattato CE. 
    Il danno a ristoro del quale ha agito la societa'  ricorrente  e'
rappresentato dalla perdita netta di fatturato  derivatale  dall'aver
dovuto ridurre entro i parametri imposti dal CIPE i prezzi di vendita
delle proprie specialita' medicinali. 
    4. Con la sentenza oggetto dell'odierna impugnativa,  la  domanda
risarcitoria e' stata rigettata. 
    In sintesi il primo giudice ha ritenuto che: 
        a) il disposto dell'art. 36, primo e secondo  comma,  esclude
il diritto al risarcimento dei danni, in quanto la deliberazione  del
CIPE 25 febbraio 1994 non  puo'  essere  considerata  illegittima  in
forza della sanatoria  disposta  dal  legislatore,  venendo  cosi'  a
mancare il presupposto, necessario  per  l'imputazione  di  un  danno
risarcibile, dell'esistenza di un atto illegittimo adottato con  dolo
o colpa dall'amministrazione; 
        b)  nel  caso   di   specie   non   sussiste   un   giudicato
amministrativo, in ragione della pendenza del ricorso per  Cassazione
al momento della entrata in vigore della legge di sanatoria,  con  il
che  e'  esclusa  una  ingerenza  del  legislatore   incisiva   delle
prerogative proprie dell'Ordine giudiziario; 
        c)  sarebbe  manifestatamente  infondata  la   questione   di
legittimita' costituzionale delle norme qui in rilievo, in quanto  la
Corte costituzionale ha ripetutamente affermato  che  il  legislatore
puo'  intervenire,  anche  con  norme  retroattive  (di  sanatoria  e
interpretative),  quando  sia  necessario  assicurare  una  copertura
normativa in settori determinati e non vi sia  la  diretta  specifica
intenzione di vanificare un giudicato; 
        d) in ogni caso, a  fronte  di  una  vicenda  complessa,  con
elementi di novita' nella  disciplina  legislativa,  non  vi  sarebbe
alcun profilo rilevante di colpa nella determinazione presa dal  CIPE
e poi sanata con l'art. 36 della legge n. 449/1997, e cio' anche  se,
nel dettare la nuova regolamentazione, il legislatore ha  poi  deciso
di seguire, in buona parte, le indicazioni fornite dal  Consiglio  di
Stato con la sentenza n. 118/1997. 
    4. L'appello della societa' e' affidato alle seguenti deduzioni: 
        I.  Per  quanto  riguarda  l'elemento  oggettivo  dell'azione
risarcitoria, l'appellante sostiene che  il  combinato  disposto  dei
commi  da  1  a  3  dell'art.  36  non  puo'  essere  applicato  alla
fattispecie perche', nella parte in cui convalida il contenuto  della
deliberazione CIPE del 1994, risulta recessivo rispetto al  giudicato
di annullamento della predetta deliberazione. 
    Il giudicato prevale sullo ius superveniens retroattivo, sebbene,
da un punto di vista formale, esso si sia formato dopo l'approvazione
della legge n. 449 del 1997. 
        II. Il secondo  caposaldo  della  sentenza  e'  la  negazione
dell'elemento psicologico del dolo e  della  colpa  grave,  anche  in
relazione alla presenza di giurisprudenza oscillante (la  domanda  di
annullamento della delibera CIPE era stata respinta in primo grado  e
lo stesso giudice d'appello, adito in fase cautelare, aveva  respinto
l'istanza della ricorrente). 
    L'appellante  sottolinea  pero'  che  le  disposizioni  contenute
nell'art. 8, comma 12, della legge n. 537 del 1993  ponevano  vincoli
chiari e precisi da  cui  l'amministrazione  -  come  statuito  nella
sentenza n. 118 del 1997 - si e' arbitrariamente discostata. 
    Per quanto riguarda, poi, l'esistenza  di  un  preteso  contrasto
giurisprudenziale,  l'appellante  sottolinea  che   la   controversia
definita con la suddetta pronuncia e'  in  realta'  rimasta  l'unica,
avendo la stessa  definito,  mediante  riunione,  tutti  gli  appelli
proposto avverso le sentenze del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio che avevano rigettato i ricorsi proposti  dalle  imprese
farmaceutiche. 
        III. L'appellante ha dedotto  altresi'  l'incostituzionalita'
dell'art. 36, legge n. 449 del 1997, nella  parte  in  cui  riconosce
validita' ed  efficacia,  fino  al  15  luglio  1998  ai  criteri  di
determinazione del prezzo stabiliti con la deliberazione Cipe del  25
febbraio 1994. 
    Tali disposizioni sarebbero state introdotte al  dichiarato  fine
di vanificare gli effetti della sentenza del Consiglio  di  Stato  n.
118 del 1997. 
    La prova dell'interferenza potrebbe rinvenirsi, per tabulas,  nei
lavori parlamentari. 
    Risulterebbero  comunque  violati  il   principio   generale   di
ragionevolezza e di tutela dell'affidamento. 
        IV.  Infine,  e'  stata  riproposta  anche   l'argomentazione
secondo cui l'art. 36 della legge n. 449 del 1997 -  nella  parte  in
cui riconosce validita' ed efficacia,  fino  al  15  luglio  1998  ai
criteri di determinazione del prezzo stabiliti con  la  deliberazione
CIPE del 25 febbraio 1994  -  dovrebbe  essere  disapplicato  poiche'
avrebbe  introdotto  una  misura  ad  effetto  equivalente   ad   una
restrizione quantitativa all'importazione, in violazione dell'art. 34
del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. 
    4.1. Il danno e' stato complessivamente quantificato nella misura
indicata nella relazione peritale depositata in allegato all'atto  di
citazione introduttivo del giudizio  innanzi  al  Tribunale  di  Roma
(euro  20.675.670,49  oltre  interessi  e  rivalutazione,  per  danni
patrimoniali diretti; euro  5.735.830  per  ulteriori  danni,  sempre
oltre a rivalutazione ed interessi). 
    5.  Si  sono  costituite,  per  resistere,   le   amministrazioni
intimate. 
    6. Con ordinanza presidenziale n. 1827 del 15 ottobre 2021,  sono
stati disposti incombenti istruttori volti a verificare la permanenza
dell'interesse alla definizione del giudizio. 
    7. La societa' ha confermato il proprio interesse, rappresentando
altresi' la parallela pendenza  -  dinanzi  alla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo - delle impugnative proposte  avverso  le  sentenze
nn. 6348, 6349, 6350, 6351 e 6352 del 12 novembre  2018  con  cui  la
Sezione III di questo  Consiglio  ha  respinto  gli  appelli,  aventi
contenuto analogo a quello in esame, proposti  dalle  altre  societa'
del Gruppo Menarini. 
    Tali  ricorsi  sono  tuttora  in  attesa  della  prima  decisione
processuale della Corte europea. 
    8. La societa' ha depositato  una  memoria  conclusionale  e  una
memoria di replica nelle  quali,  tra  l'altro,  ha  chiesto  che  il
presente processo venga sospeso nelle more delle pronunce della Corte
europea dei diritti dell'uomo. 
    9. Le amministrazioni resistenti hanno depositato una memoria  di
replica. 
    10. L'appello, infine,  e'  stato  trattenuto  per  la  decisione
all'udienza straordinaria del 14 dicembre 2022. 
    11.  In  via  preliminare,  si  rileva  che  non   sussistono   i
presupposti  per  disporre  la  sospensione  del  processo  ai  sensi
dell'art. 295  del  codice  di  procedura  civile  in  ragione  della
pendenza  dei  giudizi  innanzi  alla  Corte  europea   dei   diritti
dell'uomo, richiamati dall'appellante. 
    Conformemente  alla   consolidata   giurisprudenza,   civile   ed
amministrativa, la sospensione necessaria va disposta nei  soli  casi
di pregiudizialita' in senso tecnico-giuridico, ovvero quando  in  un
altro giudizio, pendente tra le stesse parti,  possa  essere  emanata
una pronuncia avente efficacia di giudicato nella causa  pregiudicata
o comunque un'efficacia vincolante, atteso che la ratio dell'istituto
e' quella di evitare il rischio di un  conflitto  tra  giudicati  (ex
plurimis, Cons. Stato Sez. IV, 22 aprile 2022, n. 3104). 
    11.1.  Tale  rapporto  di  pregiudizialita'  necessaria  non   e'
configurabile  rispetto  ai  processi  pendenti  davanti  alla  Corte
europea dei diritti dell'uomo poiche' le pronunce di tale  Corte  non
hanno effetti diretti nel nostro ordinamento. 
    Come  chiarito  dalla  Corte  costituzionale  (a  partire   dalle
sentenze gemelle n. 348 e 349 del 2007), la Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
non crea un  ordinamento  giuridico  sovranazionale  e  non  produce,
quindi, norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. 
    11.2. Tuttavia, l'art. 117,  comma  1,  Cost.,  nel  condizionare
l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle regioni al
rispetto degli obblighi internazionali,  tra  i  quali  indubbiamente
rientrano quelli derivanti dalla CEDU, assegna  a  queste  ultime  il
rango di «fonti interposte», la  cui  funzione  e'  di  concretizzare
nella fattispecie la consistenza degli obblighi internazionali  dello
Stato. 
    Al giudice  comune  spetta  pertanto  di  interpretare  la  norma
interna in modo conforme alla disposizione  internazionale,  entro  i
limiti nei quali cio' sia permesso dai testi delle norme. 
    Qualora   cio'   non   sia   possibile,   ovvero   dubiti   della
compatibilita' della norma interna con la disposizione  convenzionale
«interposta», egli non puo' disapplicare la  norma  stessa,  ma  deve
investire  la  Corte  costituzionale  della  relativa  questione   di
legittimita' rispetto al parametro dell'art. 117, comma 1, Cost. 
    11.3. E' questo appunto il caso in esame, in cui - come meglio si
spieghera' nei paragrafi successivi della  presente  decisione  -  e'
necessario sollevare  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
delle disposizioni recate dall'art. 36, commi da 1 a 3,  della  legge
n. 449 del 1997, e quindi sospendere il presente processo non gia' ai
sensi dell'art. 295 c.p.c., bensi' ai sensi dell'art. 23 della  legge
11 marzo 1953, n. 87. 
    12.  Cio'  posto,  con  il  primo  motivo  di  censura  (riferito
all'«elemento  oggettivo  dell'azione»)  la  societa'  appellante  ha
lamentato l'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata  e
la violazione degli articoli 8, comma 12, della legge n. 537 del 1993
e 36 della legge n. 449/1997. 
    A suo dire: 
        il combinato disposto dei commi da 1 a 3 dell'art. 36 sarebbe
inapplicabile alla fattispecie oggetto del presente giudizio, perche'
nella parte in  cui  mira  a  convalidare  in  senso  retroattivo  il
contenuto  della  deliberazione  CIPE  25  febbraio   1994,   risulta
recessivo rispetto al giudicato di annullamento che si e' formato  su
tale deliberazione; 
        a nulla rileverebbe il fatto che il giudicato  formale  sulla
sentenza n. 118 del 27 gennaio 1997 del Consiglio  di  Stato  si  sia
venuto a formare dopo  l'approvazione  della  legge  n.  449  del  27
dicembre 1997 (la legge,  infatti,  e'  intervenuta  nelle  more  del
termine d'impugnazione in Cassazione della sentenza),  in  quanto  e'
dirimente  considerare  il  tempo  in  cui  si  forma  il   giudicato
sostanziale, non quello formale; e, nel caso  in  esame,  al  momento
dell'entrata in vigore dell'art. 36 cit., la pronuncia del  Consiglio
di Stato era impugnata davanti alla Corte di cassazione  solo  per  i
motivi attinenti alla giurisdizione, sicche' il giudicato sostanziale
poteva ritenersi gia' formato; 
        infine, la norma sopravvenuta e' idonea in linea di principio
a disciplinare la fattispecie sottoposta al vaglio del  giudice  solo
se sia da quest'ultimo effettivamente applicata:  ma,  dato  che  nel
giudizio avverso la delibera del CIPE non e' stato  mai  eccepito  lo
ius superveniens, sarebbe evidente che  tale  sopravvenienza  non  ha
impedito  il  passaggio  in  giudicato  della  citata  sentenza   del
Consiglio di Stato. In  altri  termini,  l'applicabilita'  dello  ius
superveniens  incontrerebbe  nel  caso  di  specie  un  limite  nella
formazione del giudicato interno. 
    12.1. Il motivo e', complessivamente, infondato. 
    Al riguardo, la sezione  condivide  quanto  gia'  fatto  rilevare
dalla Sezione III di questo Consiglio in ordine alle analoghe censure
sollevate dalle altre societa' del gruppo Menarini nelle sentenze nn.
6348, 6349, 6350, 6351  e  6352  del  12  novembre  2018,  che  hanno
definito controversie sovrapponibili a quella in esame. 
    12.1.1. Con i primi due profili della censura e' stata  reiterata
una tematica gia' affrontata e correttamente risolta  dalla  sentenza
di primo grado. 
    Il Tribunale amministrativo regionale ha infatti statuito che «la
ricostruzione  proposta  in  ricorso,  e  secondo  cui  in  caso   di
impugnazione di una decisione per motivi di rito di una  sentenza  si
avrebbe una scissione tra giudicato formale  (che  si  formerebbe  al
momento della decisione  della  questione  processuale)  e  giudicato
sostanziale  (che  retroagirebbe  al  momento  della  adozione  della
decisione del merito), non  puo'  essere  in  alcun  modo  condivisa,
atteso che la definitivita' della  sentenza,  anche  con  riferimento
alle statuizioni di merito non oggetto di gravame, consegue (solo) al
totale esaurimento dei rimedi impugnatori esperiti». 
    Alle considerazioni espresse dal primo giudice occorre aggiungere
che l'esito di accoglimento del ricorso ex  art.  111  Cost.  avrebbe
potuto certamente riavviare il giudizio su profili  estesi  anche  al
merito delle questioni sostanziali. 
    Dunque, il distinguo tracciato tra le due forme di giudicato  non
vale a  superare  la  considerazione  che  solo  la  definizione  del
giudizio in Cassazione avrebbe potuto conferire piena stabilita' alla
decisione di merito assunta con la pronuncia n. 118/1997. 
    12.2. Anche il terzo profilo di censura, strettamente connesso ai
precedenti gia' esaminati, non puo' essere condiviso. 
    La fattispecie del giudicato interno si realizza nella ipotesi di
formazione della cosa giudicata su un capo autonomo della sentenza. 
    Perche'  cio'  si  verifichi,  e'  quindi   necessario   che   la
statuizione non impugnata  sia  completamente  autonoma  dalle  altre
parti  della  sentenza  impugnate,  perche'   fondata   su   distinti
presupposti di fatto e di  diritto;  viceversa,  l'acquiescenza  alle
parti della sentenza non impugnata non si verifica allorquando queste
si pongano in nesso conseguenziale con le altre contestate e, quindi,
trovino in esse il loro presupposto (ex  plurimis,  Cassazione  civ.,
sez. IV, 23 settembre 2016, n. 18713). 
    Nel caso di specie, la questione di giurisdizione  sottoposta  al
vaglio della Corte di  Cassazione  era  potenzialmente  in  grado  di
travolgere la totalita' delle statuizioni contenute nella sentenza n.
118/1997 e di riavviare su di esse un nuovo scrutinio di merito. 
    Dunque, l'implicazione consequenziale tra profili  processuali  e
sostanziali  induce  ad  escludere  che  su  una  parte   della   res
controversa potesse ritenersi formato un giudicato, insensibile  agli
esiti del ricorso ex art. 111 Cost. 
    D'altra parte, se il giudicato implicito sulla  giurisdizione  e'
desumibile dalla avvenuta definizione  di  questioni  di  merito  che
presuppongono risolto in senso positivo il profilo  pregiudiziale  di
rito, non e' vero il contrario, in quanto  il  carattere  controverso
della  giurisdizione,  attenendo  ad  un  profilo   preliminare   del
giudizio,  non  consente  la  consolidazione  del   giudicato   sulle
questioni di merito. 
    12.3. Quanto alla mancata rilevazione della norma  interpretativa
nel giudizio di appello e poi in quello pendente  in  Cassazione,  si
osserva che lo ius superveniens e'  applicabile  d'ufficio,  in  ogni
stato e grado del giudizio, salvo che sulla questione controversa non
si sia formato il giudicato interno (ex multis, Cassazione civ., sez.
lav., 17 marzo 2014, n. 6101). 
    Tuttavia, nel caso  di  specie  alcun  giudicato  si  era  ancora
formato all'atto della entrata in vigore  della  nuova  norma  ed  un
eventuale  accoglimento  del  ricorso  ex  art.  111  Cost.   avrebbe
consentito una complessiva  riapertura  del  procedimento  anche  sui
profili soggetti alle sopravvenienze normative. 
    Non trova pertanto riscontro l'assunto secondo  il  quale,  nella
pendenza del giudizio ex art. 111 Cost., si era gia' cristallizzata -
per effetto del giudicato interno - una definitiva  preclusione  alla
possibile applicazione dello ius superveniens. 
    Al   riguardo,   risulta    non    pertinente    il    precedente
giurisprudenziale invocato dalla parte  appellante  (Cass.  12  marzo
1988, n.  2416),  in  quanto  riferito  ad  una  ipotesi  in  cui  al
consolidamento  del  diritto  soggettivo  affermato  in  sentenza  si
contrapponeva una norma  interpretativa  di  segno  opposto  di  cui,
tuttavia, nella pendenza del ricorso ex art. 111  Cost.  e,  piu'  in
generale, nel corso del complessivo giudizio,  non  era  stata  fatta
alcuna applicazione: su queste premesse la  Corte  di  cassazione  ha
potuto concludere che il diritto soggettivo originariamente affermato
non  aveva  risentito  della  norma  interpretativa  sopravvenuta  in
pendenza del processo. 
    Il caso in esame attiene al diverso  aspetto  della  legittimita'
costituzionale di una norma interpretativa  intervenuta  su  una  res
controversa non ancora coperta da alcun giudicato interno. 
    Lo ius superveniens consiste in una successione di norme per  cui
ad una fonte regolamentare (sindacata perche' non conforme alla fonte
sovraordinata) ha fatto seguito una disposizione legislativa primaria
di contenuto in parte equivalente alla prima. 
    Tale intervento di  legificazione  non  ha  inciso  su  posizioni
soggettive  consolidate,  posto  che  il  giudizio  ancora   pendente
riguardava la conformita' a legge della delibera CIPE del 1994 ma non
investiva specifiche determinazioni attuative della delibera medesima
ovvero individuate posizioni soggettive di vantaggio. 
    La norma interpretativa ha prodotto  una  variazione  del  quadro
normativo  automaticamente  efficace  e  rilevante   -   quindi   non
dipendente da una invocazione di parte dello ius  superveniens  -  in
quanto, almeno formalmente, munita di portata generale e astratta. 
    12.4. E' tuttavia proprio in relazione all'interferenza  rispetto
ad un giudizio ancora in corso, e ai suoi potenziali sviluppi, che il
Collegio reputa rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 36, commi da 1  a  3,  della
legge n. 449 del 1997, con riferimento agli articoli 3, 24, 111, 113,
e 117, comma 1, della Costituzione  in  relazione  all'art.  6  della
CEDU. 
  Al riguardo, si osserva quanto segue. 
    13.  Come  gia'  accennato,  l'art.  36,  comma  1,  della  legge
finanziaria per  il  1998,  ha  dettato  l'interpretazione  autentica
dell'art. 8, comma 12, della legge n. 537 del  1993,  disponendo  che
esso si interpreta nel senso che «e' rimesso al CIPE stabilire  anche
quali e quanti Paesi della Comunita' prendere a  riferimento  per  il
confronto, con applicazione dei tassi di conversione fra  le  valute,
basati sulla parita' dei poteri d'acquisto,  come  determinati  dallo
stesso CIPE». 
    Il comma 2 della medesima disposizione ha altresi' stabilito  che
«Dalla data del 1° settembre 1994  fino  all'entrata  in  vigore  del
metodo di calcolo del prezzo medio europeo come previsto dai commi  3
e 4, restano validi i prezzi applicati secondo i criteri indicati per
la determinazione del prezzo medio europeo  dalle  deliberazioni  del
CIPE 25 febbraio 1994, 16 marzo 1994, 13 aprile 1994, 3 agosto 1994 e
22 novembre 1994». 
    Il comma 3 ha quindi disposto che  «A  decorrere  dal  1°  luglio
1998, ai  fini  del  calcolo  del  prezzo  medio  dei  medicinali  si
applicano i tassi di  cambio  ufficiali  relativi  a  tutti  i  Paesi
dell'Unione europea in  vigore  nel  primo  giorno  non  festivo  del
quadrimestre precedente quello in cui si opera il calcolo». 
    Inoltre «4. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, con deliberazione del  CIPE  si  provvede  alla
definizione dei criteri per il calcolo del prezzo medio europeo sulla
base di quanto previsto dal  comma  3  e  delle  medie  ponderate  in
funzione dei consumi di  medicinali  in  tutti  i  Paesi  dell'Unione
europea per i quali siano disponibili i dati  di  commercializzazione
dei prodotti [...]». 
    In sostanza, il comma 1  detta  una  interpretazione  «autentica»
dell'art. 8, comma 12, della legge n. 537 del 1993, coerente  con  le
disposizioni contenute nella deliberazione 25 febbraio 1994 del CIPE,
annullata in parte qua dal Consiglio di Stato  (selezione  dei  Paesi
europei per il calcolo della media; adozione di tassi di  cambio  non
effettivi);  il  comma  2  conferma  l'efficacia   dei   criteri   di
determinazione del prezzo medio europeo cosi' come stabiliti dal CIPE
in tale deliberazione. 
    Il comma 3 introduce, a regime, i nuovi criteri di individuazione
del prezzo medio europeo, coerenti con le indicazioni contenute nella
sentenza n. 118 del 1997 del Consiglio di Stato e, prima ancora,  con
il testo originario (non «interpretato») dell'art. 8, comma 12, della
legge n. 537 del 1993: nessuna selezione dei  Paesi  europei  per  il
calcolo della media; adozione di tassi di cambio effettivi. 
    13.1. In relazione alla dichiarata natura interpretativa e quindi
alla retroattivita' delle disposizioni contenute nell'art. 36,  commi
1-3, della legge n. 537 del 1993, la  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita'  consiste  nel  fatto   che,   in   assenza   della
declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale   l'appello   della
societa' F.I.R.M.A. dovrebbe essere senz'altro respinto perche', come
sottolineato dal T.a.r., «la domanda risarcitoria  si  giustifica  in
presenza di un danno ingiusto riconducibile causalmente  all'adozione
di un atto illegittimo, a sua volta  derivante  da  un  comportamento
doloso o colposo  dell'amministrazione.  La  sanatoria  disposta  dal
legislatore del 1997 fa venir meno  l'illegittimita'  della  delibera
C.I.P.E. del 25 febbraio 1994, avendo essa, di fatto,  legificato  il
precedente provvedimento amministrativo, che risulta, di conseguenza,
legittimo ab initio». 
    Viceversa,   qualora   tali   disposizioni   fossero   dichiarate
incostituzionali, rimarrebbe accertata la  sussistenza  dell'elemento
oggettivo della domanda risarcitoria,  in  relazione  all'illegittimo
esercizio di una funzione pubblica, con la conseguente necessita'  di
procedere all'accertamento degli ulteriori elementi costitutivi della
fattispecie, rappresentati dall'effettivita' e ingiustizia del danno,
dall'esistenza del nesso di  causalita',  nonche'  dall'imputabilita'
del danno alla pubblica  amministrazione  sulla  base  del  requisito
soggettivo del dolo o della colpa  (ex  plurimis,  Cassazione  civile
sez. III, 6 dicembre 2018, n. 31567). 
    Tali  accertamenti,  pero',  sono   logicamente   succedanei   al
riscontro di un'azione amministrativa illegittima, che e' allo  stato
esclusa dalle disposizioni sospette di incostituzionalita'. 
    14. Per  quanto  riguarda  la  valutazione  della  non  manifesta
infondatezza della questione, vanno anzitutto esposte le ragioni  per
cui la sezione esclude il carattere interpretativo delle norme  sopra
richiamate. 
    Come noto, perche'  una  norma  possa  dirsi  di  interpretazione
autentica  e'  necessario  che  essa  si  limiti  ad  assegnare  alla
disposizione interpretata un  significato  gia'  in  essa  contenuto,
riconoscibile come una delle possibili letture del testo  originario;
in tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire
situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo, in ragione  di
un  dibattito   giurisprudenziale   irrisolto,   o   di   ristabilire
un'interpretazione  piu'  aderente  alla  originaria   volonta'   del
legislatore a tutela della certezza del  diritto  e  dell'eguaglianza
dei  cittadini,   cioe'   di   principi   di   preminente   interesse
costituzionale (cfr. le sentenze della Corte  costituzionale  n.  103
del 2013, n. 271 del 2011, n. 209 del 2010, n. 311 del 2009). 
    Sin dalla sentenza n. 118 del 1957, la  Corte  costituzionale  ha
riconosciuto  che  la  funzione  legislativa  (art.  70  Cost.)  puo'
esprimersi, ad opera del legislatore statale o regionale,  anche  con
disposizioni interpretative, selezionando un significato normativo di
una  precedente  disposizione,  quella  interpretata,  la  quale  sia
originariamente connotata da un certo tasso di polisemia e quindi sia
potenzialmente suscettibile di esprimere piu' significati secondo gli
ordinari criteri di interpretazione della legge. 
    La  norma  che  risulta  dalla   saldatura   della   disposizione
interpretativa  con  quella  interpretata  ha  quel   contenuto   fin
dall'origine e in questo senso puo' dirsi retroattiva. 
    In  tale  ottica,  il  legislatore   puo'   adottare   norme   di
interpretazione autentica non  soltanto  in  presenza  di  incertezze
sull'applicazione   di    una    disposizione    o    di    contrasti
giurisprudenziali, ma anche quando  la  scelta  imposta  dalla  legge
rientri tra le possibili varianti  di  senso  del  testo  originario,
cosi' rendendo vincolante un significato  ascrivibile  ad  una  norma
anteriore (Corte costituzionale, sentenze n. 132 del 2016, n. 314 del
2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011, n. 209 del 2010). 
    Una norma  puo'  quindi  essere  qualificata  di  interpretazione
autentica solo se  esprime,  anche  nella  sostanza,  un  significato
appartenente a quelli  riconducibili  alla  previsione  interpretata,
secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge. 
    Ne deriva che il legislatore puo' adottare norme che precisino il
significato di altre disposizioni, anche  in  mancanza  di  contrasti
giurisprudenziali,   purche'   la   scelta   imposta   dalla    legge
interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso  del  testo
originario (Corte costituzionale, sentenza n. 133 del 2020). 
    14.1. Orbene, le disposizioni  in  esame  non  presentano  alcuna
delle suindicate caratteristiche atteso che: 
        al momento in cui la norma «interpretativa» e' stata adottata
non esisteva alcun contrasto giurisprudenziale, bensi' esclusivamente
la pronuncia del Consiglio di Stato, n. 118 del 1997 che, in  riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio  n.
1696 del 30 ottobre 1995, aveva annullato in parte  qua  la  delibera
del CIPE del 25 febbraio 1994, in ragione della sua contrarieta' alla
fonte normativa sovraordinata (ovvero l'art. 8, comma 12, della legge
n. 537 del 1993); 
        la scelta imposta dalla legge interpretativa non era in alcun
modo ricavabile dall'art. 8 della legge  n.  537  del  1993;  in  tal
senso, la sentenza n. 118 del 1997, aveva fatto rilevare  che,  nella
parte di interesse, la delibera del CIPE era «del tutto  contrastante
con  il  dettato  normativo»  (par.  6),  ovvero  con   il   criterio
fondamentale dettato dalla legge per attuare  il  sistema  di  prezzi
c.d. «sorvegliati» (par. 7). 
    14.2. In realta', le norme sospette di incostituzionalita'  hanno
semplicemente svolto  una  funzione  di  sanatoria,  dando  copertura
legislativa ad una fonte regolamentare  annullata  dal  Consiglio  di
Stato per violazione di legge. 
    Tale circostanza - secondo l'indirizzo della Corte costituzionale
- costituisce gia'  di  per  se'  un  primo  sintomo,  sia  pure  non
dirimente, di un uso improprio della  funzione  legislativa,  da  cui
puo' derivare un intrinseco difetto  di  ragionevolezza  quanto  alla
retroattivita'  del  novum  introdotto  dalla   norma   asseritamente
interpretativa (Corte costituzionale, sentenza n. 145 del 2022;  cfr.
anche le sentenze n. 133 del 2020, n. 108 del 2019 e n. 73 del 2017). 
    Si e' infatti affermato che se i valori costituzionali  in  gioco
sono quelli dell'affidamento dei  consociati  e  della  certezza  dei
rapporti giuridici, e' di tutta evidenza che  l'esegesi  imposta  dal
legislatore,  laddove  assegni  alle  disposizioni  interpretate   un
significato in esse gia' contenuto, riconoscibile come una delle loro
possibili varianti di senso, influisce sul positivo apprezzamento sia
della sua  ragionevolezza  sia  della  non  configurabilita'  di  una
lesione dell'affidamento dei destinatari (sentenze n. 108 del 2019  e
73 del 2017). 
    Viceversa,  la  retroattivita'  conseguente  alla   natura   solo
apparente di interpretazione autentica  puo'  disvelare  l'intrinseca
irragionevolezza della disposizione interpretata. 
    14.3.  La  Corte   costituzionale   ha   peraltro   costantemente
confermato  che  l'erroneita'  dell'auto-qualificazione  come   norma
interpretativa non e' risolutiva ai fini dell'esito  dello  scrutinio
di legittimita' costituzionale. 
    Una disposizione innovativa con  effetti  retroattivi,  ancorche'
qualificata di interpretazione autentica, non e', di  per  se'  e  in
quanto tale, costituzionalmente illegittima. 
    Vale, in tal caso, il  principio  per  cui  il  legislatore  puo'
approvare leggi con efficacia retroattiva purche'  la  retroattivita'
trovi adeguata giustificazione nell'esigenza  di  tutelare  principi,
diritti  e  beni  di  rilievo   costituzionale,   che   costituiscono
altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della
Convenzione  europea  dei  diritti   dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (Corte costituzionale sentenze n. 78 del 2012 e  n.  311
del 2009). 
    Occorre pertanto verificare se  le  giustificazioni,  poste  alla
base dell'intervento legislativo a carattere retroattivo,  prevalgano
rispetto ai valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente  lesi
da tale efficacia a ritroso (Corte costituzionale,  sentenze  n.  108
del 2019 e n. 173 del 2016). 
    Tali  valori  sono  individuati  nel  legittimo  affidamento  dei
destinatari della regolazione originaria, nel principio di certezza e
stabilita' dei  rapporti  giuridici,  nel  giusto  processo  e  nelle
attribuzioni  costituzionalmente  riservate  al  potere   giudiziario
(Corte costituzionale, sentenze n. 104 e n. 61 del 2022, n.  210  del
2021, n. 133 del 2020 e n. 73 del 2017). 
    A fronte di tali valori, la Corte  costituzionale,  sulla  scorta
della giurisprudenza della  CEDU,  ha  ritenuto  che  i  soli  motivi
finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire  risorse
per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare  un
intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso
(sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, n. 170 del 2013). 
    L'efficacia retroattiva della  legge,  finalizzata  a  preservare
l'interesse economico dello Stato che sia parte di giudizi in  corso,
si pone infatti in contrasto con il principio di parita'  delle  armi
nel processo  e  con  le  attribuzioni  costituzionalmente  riservate
all'autorita' giudiziaria (Corte costituzionale, sentenze n.  12  del
2018 e n. 209 del 2010). 
    14.4.  Nel  caso  in  esame,  alla  luce  dei   principi   teste'
richiamati,  il  Collegio  reputa  che  le  disposizioni  retroattive
censurate presentino gli  indici  sintomatici  propri  del  vizio  di
irragionevolezza intrinseca. 
    14.4.1. In primo luogo, non e' possibile chiaramente rinvenire  i
«motivi imperativi di interesse generale» sottesi  all'intervento  in
sanatoria, non potendo questi  ricondursi  sic  et  simpliciter  alla
volonta'  di  evitare   la   soccombenza   dell'amministrazione   nel
contenzioso all'epoca pendente, ovvero in quello che  avrebbe  potuto
essere instaurato quale conseguenza  dell'annullamento  disposto  dal
giudice amministrativo. 
    In tal senso, l'appellante ha richiamato  i  lavori  parlamentari
dai quali e' possibile percepire solo  l'esplicito  riferimento  alla
necessita' di sterilizzare gli effetti della sentenza  del  Consiglio
di Stato (cfr., infra, il par. 15 della presente ordinanza). 
    In secondo luogo, che non vi fossero ragioni sostanziali  diverse
da quella di dare una copertura legislativa alla regolamentazione del
CIPE oggetto di annullamento, si ricava pianamente dal fatto  che  la
stessa legge n.  449  del  1997  (ai  commi  3  e  4  dell'art.  36),
stabilisce, per il  futuro,  una  regola  sostanzialmente  analoga  a
quella originaria, violata dal CIPE. 
    Se la norma interpretativa,  corrispondente  alle  determinazioni
del  CIPE  annullate  in  sede  giurisdizionale,   avesse   contenuto
parametri equilibrati e ragionevoli di regolazione  dei  prezzi  c.d.
«sorvegliati», non e' chiaro  perche'  quegli  stessi  parametri  non
siano stati confermati anche per il  futuro,  in  quanto  espressione
dell'equo e ragionevole contemperamento degli interessi in gioco. 
    15. Un secondo possibile profilo di illegittimita' costituzionale
attiene alla violazione degli articoli 24, 111, 113 e 117,  comma  1,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione alla  norma  interposta
di cui all'art. 6 della CEDU. 
    Nello specifico, esso si ricollega alla pendenza del  contenzioso
giudiziale ancora in essere al momento dell'entrata in  vigore  della
legge n. 449 del 1997, stante  la  pendenza  innanzi  alla  Corte  di
cassazione dell'impugnazione della sentenza di  questo  Consiglio  di
Stato n. 118 del 1997. 
    15.1. La giurisprudenza della Corte costituzionale  e'  da  tempo
consolidata nel senso di ritenere  che  le  norme  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali - nel significato loro attribuito  dalla  Corte  europea
dei diritti dell'uomo, specificamente  istituita  per  dare  ad  esse
interpretazione e applicazione - integrino, quali «norme interposte»,
il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma  1,  Cost.,
nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna
ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (cfr.  da  ultimo,
la sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  145  del  2022,  e  la
giurisprudenza ivi richiamata). 
    In particolare, secondo la Corte costituzionale, l'art. 24, primo
comma, Cost., nel  garantire  il  diritto  inviolabile  di  agire  in
giudizio a tutela dei propri  diritti  e  interessi  legittimi,  deve
essere letto congiuntamente con l'art. 111 Cost. posto a presidio del
giusto processo nonche' con le  ulteriori  disposizioni  della  Carta
poste a tutela delle attribuzioni dell'Autorita' giudiziaria. 
    L'insieme di  tali  parametri  converge  nella  tutela  garantita
dall'art. 6 Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  (Corte   costituzionale,
sentenza n. 145 del 2022, cit.). 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo e' costante nell'affermare
che, seppure in linea di principio non  e'  precluso  al  legislatore
disciplinare,  con  nuove  disposizioni  dalla  portata  retroattiva,
diritti risultanti da leggi in vigore, tuttavia, «il principio  della
preminenza del  diritto  e  il  concetto  di  processo  equo  sanciti
dall'art. 6 ostano, salvo che per  imperative  ragioni  di  interesse
generale, all'ingerenza del potere  legislativo  nell'amministrazione
della giustizia al fine di influenzare  l'esito  giudiziario  di  una
controversia» (sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi
sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo  2014,  Biasucci  e
altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e  altri
contro Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011,  Agrati  e  altri  contro
Italia,  paragrafo  58;  pronunce  tutte   richiamate   dalla   Corte
costituzionale, nella sentenza n. 145 del 2022, cit.). 
    Le  leggi  retroattive  o  di   interpretazione   autentica   che
intervengono in pendenza di giudizi di cui lo Stato e' parte, in modo
tale da influenzarne l'esito, comportano un'ingerenza nella  garanzia
del diritto a un processo equo e violano un principio dello stato  di
diritto garantito dall'art. 6 della Convenzione. 
    15.2. Tale orientamento e' stato confermato dalla  Corte  europea
dei diritti dell'uomo anche con specifico riferimento alle  leggi  di
sanatoria. 
    Ad  esempio,  nella  sentenza  del  28  ottobre  1999,  nel  caso
Zielinsky  e  Pradal  c.  Francia,  la  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  ha
ritenuto la contrarieta' al diritto convenzionale  di  una  «lois  de
validation» e cioe'  una  particolare  tipologia  di  legge  presente
nell'ordinamento  francese,  attraverso  la  quale   il   legislatore
convalida retroattivamente  un  atto  che  sia  passibile  di  essere
dichiarato nullo da un giudice o che sia gia' stato dichiarato nullo,
al fine di evitare le conseguenze che  potrebbero  derivare  dal  suo
annullamento. 
    15.3. Nel  nostro  ordinamento,  la  Corte  costituzionale,  come
ricordato dall'appellante, ha chiarito che le leggi di sanatoria  non
sono  costituzionalmente  precluse  in  via  di  principio  ma   che,
tuttavia, trattandosi di ipotesi eccezionali, la loro giustificazione
deve essere sottoposta a uno scrutinio particolarmente rigoroso. 
    L'intervento    legislativo    in    sanatoria    puo'    «essere
ragionevolmente giustificato soltanto dallo stretto collegamento  con
le  specifiche  peculiarita'  del  caso»  (Corte  costituzionale,   5
febbraio  1999  n.  14),  tali  da  escludere  che  possa   risultare
arbitraria   la   sostituzione   della    disciplina    generale    -
originariamente applicabile - con quella eccezionale  successivamente
emanata (sentenza n. 100 del 1987, nonche' sentenze nn. 402 del 1993,
474 del 1988). 
    Siffatto scrutinio deve essere svolto "tanto  sotto  il  rispetto
del principio costituzionale di parita' di trattamento, quanto  sotto
il profilo della salvaguardia da indebite interferenze nei  confronti
dell'esercizio della funzione giurisdizionale» (sentenza  n.  94  del
1995; cfr. anche la sentenza n. 346 del 1991). 
    15.4. Cio' posto,  nella  fattispecie,  non  e'  stato  possibile
individuare i «motivi imperativi d'interesse generale», diversi dalla
salvaguardia  del  bilancio  dello  Stato,  idonei   a   giustificare
l'intervento del legislatore con efficacia retroattiva. 
    Il fine del legislatore sembra essere stato infatti  solo  quello
di incidere sul giudizio di annullamento della delibera del CIPE  del
25 febbraio 1994, e sulle sue  potenziali  conseguenze  di  carattere
finanziario. 
    In tal senso, il Collegio  non  condivide  quanto  in  precedenza
affermato dalla Sezione, nella sentenza 1140 del  26  febbraio  2009,
secondo cui non vi sarebbe stata la volonta' di incidere  su  singole
vicende processuali, bensi' quella di tenere fermi, su  larga  scala,
gli innumerevoli ed economicamente rilevanti rapporti che erano stati
definiti in base ai previgenti criteri, essendo  questi  soggetti  ad
applicazione generale ed estesi a numerose categorie di  operatori  e
di farmaci. 
    Tale argomentazione non tiene conto del  fatto  che  il  processo
pendente riguardava in realta' proprio i  rapporti  con  le  maggiori
imprese del settore farmaceutico, tutte ricorrenti in giudizio. 
    In ogni caso, gli unici  elementi  concreti  circa  la  finalita'
perseguita sono reperibili negli atti parlamentari  nei  quali,  come
gia' accennato, e' contenuto solo il riferimento alla  necessita'  di
«chiudere definitivamente con il passato in materia  dei  prezzi  dei
farmaci»  ovvero  di  evitare  «appositi   accantonamenti   volti   a
fronteggiare le spese per il suddetto contenzioso  e  di  determinare
cosi' con maggiore esattezza gli oneri  per  la  spesa  farmaceutica»
(cosi' l'intervento del  Sottosegretario  dell'epoca  in  Commissione
Bilancio della Camera dei deputati in data 6 dicembre 1997, riportato
nel Resoconto stenografico, pag. 30). 
    Nella seduta della Camera dei deputati, n. 287  del  15  dicembre
1997, in merito all'approvazione dell'art. 31 (poi  divenuto  36  nel
testo definitivo della  legge),  fu  approvato  l'emendamento  31.65,
volto ad introdurre l'attuale comma 2,  dell'art.  36,  proposto  dal
Governo. 
    In quell'occasione,  il  Ministro  della  Sanita'  dell'epoca  si
limito' ad affermare che il comma era previsto al fine di  rafforzare
l'interpretazione data dall'art. 36 «in  seguito  alla  sentenza  del
Consiglio di Stato, che si considera non applicata  fino  all'entrata
in vigore del nuovo metodo di calcolo del  prezzo  medio  europeo  da
parte del Cipe» (Resoconto stenografico, pag. 21). 
    Come in precedenza evidenziato, pero', considerazioni  di  natura
finanziaria non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a
sostituirsi al giudice nella definizione  delle  controversie  (Corte
EDU, sentenze 29 marzo 2006, Scordino contro Italia,  paragrafo  132;
31 maggio 2011, Maggio contro Italia, paragrafo 47; 15  aprile  2014,
Stefanetti e altri contro Italia, paragrafo 39,  sentenze  ancora  da
ultimo richiamate dalla Corte costituzionale nella  sentenza  n.  145
del 2022, cit.). 
    16.  In  definitiva,  quanto  sopra  argomentato  giustifica   la
valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 36, commi da 1  a  3,  della
legge n. 449 del 1997, in relazione agli articoli 3,  24,  111,  113,
117, comma 1 (in relazione all'art. 6 della CEDU) della Costituzione. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla Corte  costituzionale,  affinche'  si
pronunci sulla questione. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione  quarta),
non definitivamente pronunciando sull'appello n. 1968 del 2016: 
        1) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36, commi da  1  a
3, della legge n. 449 del 1997, in relazione  agli  articoli  3,  24,
111, 113, 117, comma 1 (in relazione all'art.  6  della  CEDU)  della
Costituzione; 
        2) dispone la sospensione  del  giudizio  e  la  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
        3) rinvia ogni ulteriore statuizione in rito,  nel  merito  e
sulle spese di lite all'esito del giudizio incidentale  promosso  con
la presente pronuncia; 
        4) ordina che, a cura  della  Segreteria  della  Sezione,  la
presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  costituite  e   al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  14
dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: 
        Francesco Gambato Spisani, Presidente; 
        Raffaello Sestini, consigliere; 
        Silvia Martino, consigliere, estensore; 
        Sergio Zeuli, consigliere; 
        Ugo De Carlo, consigliere. 
 
                   Il Presidente: Gambato Spisani 
 
 
                                                 L'estensore: Martino