N. 4 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 novembre 2022
Ordinanza del 14 novembre 2022 del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Assobibe ed altri contro
Ministero dell'economia e delle finanze ed altri.
Tributi - Imposta di consumo - Bevande edulcorate - Previsione che
assoggetta a imposta sul consumo i soli prodotti rientranti nelle
voci NC 2009 e 2202 della nomenclatura combinata dell'Unione
europea, ossia certe bevande analcoliche, ottenuti con l'aggiunta
di edulcoranti, e non anche altri prodotti alimentari diversi dalle
bevande ma parimenti contraddistinti dall'aggiunta dei medesimi
edulcoranti.
- Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato
per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio
2020-2022), art. 1, commi da 661 a 676.
(GU n. 6 del 08-02-2023)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
Sezione seconda
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 7766 del 2021, proposto da Assobibe (Associazione
italiana tra gli industriali delle bevande analcooliche), Fonti Di
Posina S.p.A., Romanella Drinks S.r.l., in persona dei rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e difese dal
prof. avv. Marcello Clarich, con domicilio digitale come da PEC da
registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio
sito in Roma, viale Liegi n. 32;
Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero
della salute, la Presidenza del Consiglio dei ministri e l'Agenzia
delle dogane e dei monopoli, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
Sul ricorso numero di registro generale n. 7874 del 2021,
proposto da Sibeg S.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Saverio Sticchi
Damiani e Chiara Nuzzo, con domicilio digitale come da PEC da
registri di giustizia;
Contro Ministero dell'economia e delle finanze, Agenzia delle
dogane e dei monopoli, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
Per l'annullamento:
per quanto riguarda il ricorso n. 7766 del 2021:
del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del
12 maggio 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 27
maggio 2021, recante «Imposta di consumo sulle bevande edulcorate»
che stabilisce le modalita' di attuazione dell'art. 1, commi da 661 a
676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante disposizioni per la
formazione del bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022,
con il quale e' istituita un'imposta sul consumo delle bevande
edulcorate, come definite all'art. 1, comma 662 della predetta legge
n. 160 del 2019;
di ogni altro atto connesso, presupposto e/o
consequenziale, ivi compreso, per quanto occorrer possa, il decreto
interdirettoriale del Ministero dell'economia e delle finanze e del
Ministero della salute del 15 ottobre 2020, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 260 del 20 ottobre 2020, con il quale sono
convenzionalmente stabiliti, ai sensi del comma 667 del predetto art.
1 della legge n. 160 del 2019, il potere edulcorante delle sostanze
ivi indicate a confronto con il saccarosio nonche', con riferimento a
tale potere, le relative quantita' delle medesime sostanze
equivalenti a 1 grammo del medesimo saccarosio;
per quanto riguarda il ricorso n. 7874 del 2021:
del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del
12 maggio 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 27
maggio 2021, recante «Imposta di consumo sulle bevande edulcorate
(21A03190)» e dei modelli ad esso allegati;
nonche' di ogni atto presupposto, connesso e/o
consequenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni
resistenti;
Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87;
Visto l'art. 79 del codice del processo amministrativo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2022 il
dott. Michele Tecchia;
1. Lo svolgimento del giudizio.
1.1. Il ricorso iscritto al numero di ruolo n. 7766/2021.
Con il ricorso iscritto nel registro generale del 2021 con il
numero 7766, le tre ricorrenti - premesso di essere la prima
(Assobibe) un'associazione di categoria raggruppante le imprese
produttrici e distributrici di bevande analcoliche in Italia, mentre
la seconda e la terza due imprese iscritte a detta associazione
(Fonti di Posina S.p.A. e Romanella Drinks S.r.l.) - insorgono
avverso il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 12
maggio 2021 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 27 maggio
2021), adottato ai sensi dell'art. 1, comma 675, legge 27 dicembre
2019, n. 160.
Quest'ultima norma di legge ha introdotto in Italia una nuova
imposta sul consumo (c.d. «sugar tax») che - al dichiarato scopo di
contrastare il diabete, l'obesita' ed altri specifici effetti dannosi
per la salute umana - colpisce le bevande analcoliche contenenti
sostanze edulcoranti, id est qualsiasi tipo di zucchero aggiunto -
diverso dagli zuccheri gia' presenti in natura in una determinata
bevanda - atto a conferire un sapore dolce alla bibita.
Il summenzionato decreto del Ministero dell'economia e delle
finanze del 12 maggio 2021 (nel prosieguo anche il «decreto») e'
stato adottato allo scopo di dare attuazione concreta all'insieme di
regole contenute nei commi 661-676 del citato art. 1 della legge 27
dicembre 2019, n. 160.
I rilievi censori mossi dalle ricorrenti all'indirizzo
dell'avversato decreto possono ascriversi a due distinte categorie, e
cioe' da un lato profili di illegittimita' derivata incentrati
sull'incostituzionalita' e antieuronitarieta' della norma di legge su
cui il decreto poggia, dall'altro lato profili di illegittimita'
propria per vizi autonomi (o per meglio dire endo-provvedimentali)
slegati dall'incostituzionalita' e antieuronitarieta' della base
legale.
Quanto alla prospettata illegittimita' derivata, le ricorrenti
instano anzitutto per una rimessione alla Corte costituzionale della
questione di legittimita' costituzionale del summenzionato art. 1,
commi 661-676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (su cui come visto
poggia il decreto impugnato) per violazione degli articoli 3 e 41
della Costituzione, ovviamente previa delibazione della sua rilevanza
e non manifesta infondatezza. La richiesta di rimessione degli atti
alla Corte costituzionale poggia sui seguenti argomenti:
i) violazione del principio di uguaglianza e/o ragionevolezza
ex art. 3 della Costituzione - letto nella sua duplice accezione di
eguaglianza sostanziale e proporzionalita' - in quanto la nuova
imposta de qua va a colpire indifferentemente tutte le bevande
analcoliche contenenti additivi edulcoranti (anche noti come
«zuccheri aggiunti»), indipendentemente dall'origine naturale o
sintetica di tali additivi, cosi' trascurando il fatto che gli
edulcoranti sintetici - a differenza di quelli naturali - sono non
soltanto privi di calorie ma anche sottoposti a «limiti massimi di
impiego per ogni categoria alimentare» prestabiliti a livello
euro-unitario. A quest'ultimo riguardo, parte ricorrente cita
l'esempio dell'aspartame, deducendo che «la quantita' massima
utilizzabile di un edulcorante artificiale, come, ad esempio,
l'aspartame, e' di 600 mg/l (vedi allegato II al regolamento, p. 263,
doc. 5) mentre la dose massima giornaliera, espressa in base al peso
corporeo, e' di 40 mg/kg, fissata nel 1984 dal Comitato scientifico
dell'alimentazione umana «Scientific Committee on Food - SCF», le cui
competenze sono state trasferite all'Autorita' europea per la
sicurezza alimentare - «EFSA» nel 2002 la quale ha confermato il
predetto limite». Sostiene parte ricorrente, quindi, che
l'applicazione indifferenziata della c.d. «sugar tax» agli
edulcoranti naturali e a quelli sintetici contrasterebbe sia con il
parametro dell'eguaglianza tributaria (disincentivando nella stessa
misura il consumo di due categorie di additivi rispettivamente
ipercalorici ed ipocalorici, questi ultimi quindi del tutto
irragionevolmente), sia il parametro di proporzionalita' sub specie
di idoneita' della misura allo scopo (atteso che l'obiettivo della
lotta all'obesita' e al diabete non puo' essere certamente realizzato
con la disincentivazione del consumo di quelle sostanze edulcoranti -
come per l'appunto gli zuccheri sintetici - che sono prive di
qualsiasi apporto calorico);
ii) violazione del principio di uguaglianza e/o
ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione - letto ancora una volta
nella sua duplice accezione di eguaglianza sostanziale e
proporzionalita' - in quanto il nuovo prelievo fiscale introduce
un'irragionevole disparita' di trattamento rispetto a situazioni
sostanzialmente uguali. Espongono in particolare le ricorrenti che
«se l'intenzione del legislatore era quella di limitare il consumo
degli edulcoranti, naturali e sintetici, non sussiste alcun motivo
logico per il quale questi vengono tassati solamente se essi sono
utilizzati nelle bevande (il cui consumo come sopra chiarito e'
irrilevante nel nostro Paese) e non anche negli altri alimenti. Le
sostanze in questione, proprie perche' in grado di conferire un gusto
dolce sono molto utilizzati nei cibi: dolci, biscotti, chewingum,
gelati, cioccolatini etc. La scelta quindi di contrastare il consumo
degli edulcoranti colpendo solo le bibite appare irragionevole,
discriminatoria e, in ogni caso, non idonea a raggiungere il fine
prefissato dalla disposizione tenuto conto del minimo impatto che le
bibite edulcorate hanno sulla dieta italiana»;
iii) violazione del principio di uguaglianza e/o
ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, visto questa volta
esclusivamente sotto l'angolo prospettico del principio di
proporzionalita' nella sua meccanica c.d. trifasica (idoneita',
necessita' e proporzionalita' in senso stretto della nuova norma
impositiva). In particolare:
per quel che riguarda l'idoneita' del nuovo prelievo
fiscale rispetto all'obiettivo che esso persegue (id est la riduzione
di obesita', diabete ed altri effetti collaterali connessi al consumo
di edulcoranti sintetici), tale presupposto sarebbe eliso in radice
non soltanto dal fatto che il prelievo colpisce irragionevolmente
pure le sostanze ipocaloriche (id est gli edulcoranti sintetici), ma
anche dal fatto che il consumo di bevande analcoliche in Italia e'
del tutto irrisorio. Al riguardo, parte ricorrente evidenzia che «in
Italia, il consumo delle c.d. «soft drink» (altra denominazione delle
bevande edulcorate oggetto della nuova imposta) e' il piu' basso
d'Europa (secondo solo alla Grecia) e del mondo, pertanto non esiste,
in radice, il presupposto «colpito» dalla nuova imposizione (consumo
eccessivo delle bevande edulcorate)», e che «non c'e' una
correlazione tra consumo di tali bevande e aumento di casi di
obesita' o diabete. Peraltro, l'irragionevolezza dell'istituzione di
un'imposta sul consumo delle bevande edulcoranti per finalita'
salutistiche trova conferma anche dall'esperienza degli altri Paesi.
In Finlandia e in Norvegia, dove l'imposta e' in vigore da oltre
vent'anni, non si sono registrati benefici, mentre in Francia i
risultati sono stati minimi, con riduzione di 3 calorie al giorno per
consumatore rispetto ad una media di 2.000/2.500. Risulta
particolarmente significativa l'esperienza della Danimarca, dove
l'imposta in questione e' stata eliminata nel 2012 dopo appena due
anni per assenza di alcun impatto positivo ne' sulla riduzione dei
consumi, che sono rimasti comunque molto sostenuti, ne' tantomeno
sulla salute (per il confronto con gli altri Paesi dell'Unione
Europea v. doc. 10, pag. 6 e doc. 11, pag. 76 seg.)»;
per quel che riguarda invece il requisito della necessita'
e proporzionalita' in senso stretto della c.d. «sugar tax», tale
presupposto sarebbe escluso dal fatto che l'imposta «determina gravi
ripercussioni economiche e sociali nel settore in questione. Da uno
studio di TradeLab del 2019 (doc. 16) emerge che le imprese del
settore rappresentato da Assobibe patirebbero una contrazione del 10%
del fatturato a causa di questa imposta che, oltre a togliere
liquidita' ogni mese per i versamenti dell'imposta determina una
contrazione di attivita' e vendite, stimata nel 10% nel periodo
pre-Covid e nel 16% per il biennio 2022-2023 alla luce di nuove stime
Nomisma elaborate nel 2021 (doc. 11, pag. 67 seg.). A queste stime
vanno aggiunti i costi di adeguamento amministrativo, precedenti
all'entrata in vigore, prevista per il 1° gennaio 2022, per la
conformita' ai dettami imposti dal decreto attuativo». Sempre nel
senso di escludere il parametro della necessita' del nuovo prelievo
fiscale, parte ricorrente soggiunge che l'obiettivo dichiarato dal
legislatore con la relazione illustrativa (cfr. relazione
illustrativa al disegno di legge di bilancio integrato 2020-2022,
Atti parlamentari, Senato della Repubblica, n. 1586) e' quello di
disincentivare il consumo delle sole bevande con contenuto «elevato»
di sostanze edulcoranti. Ne discende che la norma contenuta nel comma
666 della legge n. 160 del 2019, laddove prevede una «soglia di
dolcezza» (al di sotto della quale l'imposta non si applica)
eccessivamente bassa - pari «a 25 grammi per litro» per i prodotti
finiti e a 125 grammi per chilogrammo «per i prodotti predisposti ad
essere utilizzati previa diluizione» - finirebbe sostanzialmente per
disincentivare non soltanto il consumo di bevande con contenuto
«elevato» di sostanze edulcoranti, ma anche il consumo di bevande con
qualsiasi minimo contenuto edulcorante. Pertanto, una soluzione
alternativa percorribile, ma meno gravosa, erroneamente non
considerata dal legislatore, sarebbe stata quella di fissare una
soglia di dolcezza piu' elevata e meno irragionevole.
Identificati i profili censori incentrati sull'asserita
illegittimita' costituzionale della legge di cui il decreto impugnato
costituisce attuazione, va soggiunto che parte ricorrente si duole,
in via subordinata, anche di una possibile illegittimita'
eurounitaria di tale legge, per contrasto con gli articoli 49, 56 e
101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
Tenuto conto, infatti, che l'imposta non si applica alle
esportazioni (comma 666), parte ricorrente sostiene che tale
esenzione comporterebbe un forte svantaggio per le imprese italiane
che operano solo (o comunque prevalentemente) nel territorio
nazionale, costrette a vendere i propri prodotti ad un prezzo
superiore rispetto a quello offerto dalle imprese che esportano (non
incise dall'imposta) o a quello offerto per gli stessi prodotti negli
altri Stati membri, determinandosi cosi' un'alterazione della
concorrenza a svantaggio delle imprese italiane che operano nel
territorio nazionale.
In coerenza con quanto precede - ed in subordine rispetto alla
richiesta di incidente di costituzionalita' - parte ricorrente insta
affinche' il collegio sollevi ai sensi dell'art. 267 del TFUE,
davanti alla Corte di giustizia dell'Unione europea, la seguente
questione pregiudiziale: «se gli articoli 49, 56 e 101 TFUE nonche' i
principi di liberta' di stabilimento, libera prestazione dei servizi
e di libera concorrenza ostino a una disposizione legislativa
nazionale quale l'art. 1, commi 661-676 della legge n. 160/2019 che
introduce un'imposta sulle bevande analcoliche contenenti sostanze
edulcoranti applicabile solo nel mercato dello Stato membro che ha
emanato la predetta disposizione».
Identificate le questioni di legittimita' costituzionale ed
eurounitaria sollevate in relazione alla disciplina di legge di cui
il decreto costituisce attuazione, vanno richiamati, a questo punto,
i profili censori incentrati sull'illegittimita' propria di detto
decreto, e cioe' sui suoi vizi «autonomi» slegati dall'incidente di
costituzionalita'.
A sostegno della domanda di annullamento, in particolare, si
afferma che il decreto avrebbe introdotto - in fase di determinazione
delle modalita' di versamento e accertamento della nuova imposta -
adempimenti amministrativi e contabili eccessivamente gravosi e
sproporzionati a carico dei produttori di bevande analcoliche
contenenti sostanze edulcoranti.
Cio' in spregio del fatto che la c.d. «sugar tax» e' un'imposta
sul consumo, sicche' essa non avrebbe dovuto imporre nuovi oneri a
carico del produttore, salvo quelli strettamente indispensabili al
versamento dell'imposta.
1.2. Il ricorso iscritto al numero di ruolo n. 7874/2021.
Con il ricorso iscritto nel registro generale del 2021 con il n.
7874, la societa' Sibeg S.r.l. - premesso di essere la societa' che
si occupa nel territorio siciliano della produzione e
commercializzazione delle bevande a marchio The Coca-Cola Company -
insorge avverso il medesimo decreto del MEF del 12 maggio 2021
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 27 maggio 2021)
avversato nel summenzionato giudizio contraddistinto dal NRG 7766 del
2021.
Anche i rilievi censori mossi da Sibeg S.r.l. all'indirizzo
dell'avversato decreto investono da un lato profili di illegittimita'
derivata incentrati sull'incostituzionalita' e antieuronitarieta'
della norma di legge su cui il decreto poggia e, dall'altro lato,
profili di illegittimita' propria per vizi autonomi.
Quanto ai primi, Sibeg S.r.l. sostiene che la base legale del
decreto e' viziata dai seguenti profili di incostituzionalita':
violazione dell'art. 3 della Costituzione nella sua duplice
accezione di eguaglianza tributaria e ragionevolezza. Quanto
all'eguaglianza tributaria, essa sarebbe lesa dalla sperequazione tra
bevande contenenti sostanze edulcoranti (incise dalla «sugar tax») e
altri prodotti alimentari diversi dalle bevande aventi le medesime
sostanze (non incisi invece dalla «sugar tax»). Quanto alla
ragionevolezza, essa sarebbe lesa dal contraddittorio perseguimento,
da parte del legislatore fiscale, di due obiettivi ontologicamente
confliggenti, ossia da un lato l'obiettivo di ridurre la domanda di
mercato di certi prodotti dannosi per la salute e, dall'altro lato,
l'obiettivo di incrementare gli introiti dello Stato. Irragionevole
sarebbe, in tesi, anche la scelta legislativa di cercare di
disincentivare il consumo di certi prodotti con un'imposta che,
pero', impatta piu' sul produttore che sul consumatore, nonche' di
intervenire su un settore di consumo che in Italia non raggiunge le
soglie di criticita' di altri paesi europei;
violazione dell'art. 3 della Costituzione in rapporto al
principio di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della
Costituzione, atteso che l'imposta e' liquidata «in base alla
quantita' di edulcorante, naturale o sintetico, presente nel
prodotto, per cui il soggetto obbligato (il fabbricante, il soggetto
nazionale che provvede al condizionamento, l'acquirente e
l'importatore) e' tenuto al pagamento di un'imposta finale che pesa
sul proprio bilancio in modo del tutto indipendente dagli introiti»
(cfr. pag. 17 del ricorso introduttivo di Sibeg S.r.l.);
violazione dell'art. 41 della Costituzione, atteso che di
fronte ad un'imposizione di questo tipo, gli operatori del settore si
troverebbero nell'impossibilita' di pianificare correttamente i
propri investimenti e di adeguare le strutture aziendali alla nuova
imposizione.
Sibeg S.r.l. lamenta inoltre la contrarieta' della nuova imposta
al diritto euro-unitario, nonche' in via subordinata l'illegittimita'
«autonoma» del decreto impugnato (a prescindere
dall'incostituzionalita' o illegittimita' comunitaria della base
legale) sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente corrispondenti
a quelle gia' esposte nel primo ricorso NRG 7766/2021.
1.3. Le difese sviluppate dalle amministrazioni resistenti in
entrambi i giudizi.
Le amministrazioni resistenti si sono ritualmente costituite in
giudizio contestando i due ricorsi e chiedendone la reiezione,
eccependo in particolare che:
i due gravami sarebbero anzitutto inammissibili per un
duplice ordine di ragioni, e cioe' da un lato perche' difetterebbe
l'interesse ad agire delle ricorrenti, stante l'assenza di lesivita'
del decreto impugnato, il quale recherebbe statuizioni normative
generali e astratte, e dall'altro lato perche' ci sarebbe un difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo adito ex art. 7, primo
comma, codice del processo amministrativo, atteso che il gravame e'
essenzialmente rivolto a censurare un atto politico, quale per
l'appunto sarebbe l'atto legislativo di cui il decreto costituisce
attuazione;
in ogni caso la questione di legittimita' costituzionale
sarebbe infondata, atteso che:
i) il legislatore ha compiutamente individuato e
selezionato i beni da sottoporre ad imposta sul consumo, un'imposta
chiaramente connotata da una finalita' extra-fiscale disincentivante,
ispirata dall'interesse alla tutela della salute pubblica, il tutto
avendo cura, in coerenza con l'art. 41 della Costituzione, di non
frapporre alcuna limitazione assoluta all'esercizio dell'attivita'
delle aziende operanti nel settore;
ii) l'imposta di cui si discorre colpisce in egual misura
tanto le bevande edulcorate ottenute da impianti di produzione
nazionali, quanto quelle provenienti da altri Stati appartenenti
all'Unione europea, nonche' le bevande edulcorate importate da Paesi
extra-UE.
Alla camera di consiglio del 12 gennaio 2022 fissata per la
trattazione dell'istanza cautelare in entrambi i giudizi, le
ricorrenti - preso atto del sopravvenuto differimento legislativo al
1° gennaio 2023 della data di entrata in vigore della normativa di
legge su cui e' basato il decreto impugnato (cfr. art. 1, comma 12,
lettera b) della legge 30 dicembre 2021, n. 234, che ha modificato
l'art. 1, comma 676 della legge n. 160/2019, rinviando la decorrenza
dell'efficacia dei commi 661-676 dell'art. 1 della legge n. 160/2019,
postergando quindi di un anno l'entrata in vigore della «sugar tax»)
- hanno rinunziato alla richiesta di misure sospensive cautelari.
Successivamente, all'esito di una nuova istanza cautelare
ritualmente notificata e depositata ex art. 55 codice del processo
amministrativo nel mese di settembre 2022 per entrambi i giudizi (in
vista dell'approssimarsi della nuova data di entrata in vigore della
legge istitutiva della «sugar tax», attualmente fissata al 1° gennaio
2023), nella camera di consiglio del 12 ottobre 2022 il collegio -
preso atto della disponibilita' delle ricorrenti a rinunziare
all'istanza cautelare a fronte di una fissazione anticipata
dell'udienza di merito, nonche' del consenso prestato da tutte le
parti a tale fissazione e della loro abdicazione ai termini ex art.
73, comma 1, codice del processo amministrativo - cancellava le due
cause dal ruolo delle sospensive cautelari e le rinviava all'udienza
pubblica del 26 ottobre 2022 per la definizione del merito.
Alla suddetta udienza di merito il Collegio - previa discussione
delle due cause - introitava quest'ultime in decisione.
2. La rimessione della questione di legittimita' costituzionale al
giudice delle leggi.
Il collegio ritiene di riunire i gravami, ai sensi dell'art. 70
codice del processo amministrativo, in quanto sussiste una stretta
connessione oggettiva, sotto il profilo del petitum immediato e della
causa petendi, tra i contenziosi aventi ad oggetto la domanda di
annullamento del decreto sopra menzionato.
Il collegio condivide i dubbi di legittimita' costituzionale
prospettati delle ricorrenti, ritenendo rilevante e non
manifestamente infondata la questione della conformita' dell'art. 1,
commi 661-676 della legge n. 160/2019, con l'art. 3 della
Costituzione.
2.1. Sulla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale.
La questione di legittimita' costituzionale e' anzitutto
rilevante ai fini della decisione del presente giudizio, non essendo
possibile respingere in rito il ricorso in base alle eccezioni
pregiudiziali delle amministrazioni resistenti.
Quanto infatti al prospettato difetto di giurisdizione (la cui
inerenza alla potestas iudicandi ne rende prioritaria la
trattazione), esso va respinto perche' e' ben possibile che il vizio
che affligge il provvedimento amministrativo si esaurisca
nell'incostituzionalita' della norma di legge su cui lo stesso
provvedimento si regge, senza che tale profilo censorio esorbiti in
un'indebita richiesta di sindacato giurisdizionale di un atto
politico (id est la legge in tesi incostituzionale).
Ed invero, l'ipotesi di cui si discorre e' per l'appunto quella
dell'impugnazione di un provvedimento amministrativo emanato in
applicazione di una norma in tesi incostituzionale (cfr. Corte
costituzionale n. 361/2004; n. 71/2001; n. 30/1987; n. 86/1982;
nonche' Corte costituzionale n. 134/1963, in cui i ricorrenti hanno
congegnato il ricorso articolandolo su due motivi entrambi
coincidenti con dubbi di costituzionalita').
In questo caso la configurazione dell'atto giudiziale
introduttivo sembra incidere sulla nozione di rilevanza, dissolvendo
la logica della pregiudizialita' tra due questioni (l'una principale
e l'altra strumentale) per generare una (apparente) coincidenza tra
il dubbio sulla legittimita' costituzionale di una norma di legge e
la risoluzione del merito della controversia dinanzi al giudice
amministrativo.
In realta', il Consiglio di Stato ha da tempo chiarito che tale
peculiarita' - consistente per l'appunto nell'apparente coincidenza
della questione principale di merito con la questione pregiudiziale
di costituzionalita' - non elide affatto il carattere incidentale del
dubbio di legittimita' costituzionale, essendo del tutto indifferente
il fatto che l'eventuale decisione della Corte costituzionale «possa
esaurire la materia sottoposta all'indagine del giudice che ha
ordinato la trasmissione degli atti, vincolando completamente la sua
pronuncia alla sentenza» della stessa Corte costituzionale (cfr.
Consiglio di Stato, sezione IV, 3 aprile 1957, n. 393, in giur. it.,
1953, III, 93. cfr. anche Tar Sicilia, ordinanza 27 novembre 1997, n.
3121, in giust. amm. sic., 1997, 1340, in cui si riconosce
chiaramente che «la dedotta incostituzionalita' di una norma puo'
costituire l'unico motivo su cui puo' validamente fondarsi
l'impugnazione»).
La stessa Corte costituzionale ha affermato chiaramente che anche
la «circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu'
norme legislative costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al
giudice a quo, non impedisce di considerare sussistente il requisito
della rilevanza» (cfr. ex multis Corte costituzionale, n. 4/2000,
nonche' Corte costituzionale n. 138/2017; n. 16/2017; n. 128/1999; n.
263/1994).
Ed infatti, se il giudice delle leggi giunge a dichiarare
incostituzionale la norma di legge su cui poggia (a vario titolo)
l'atto amministrativo impugnato, il giudice amministrativo rimane
comunque il dominus del proprio processo, dovendo esercitare il
potere di annullamento dell'atto, non potendo certo sostenersi che la
sentenza di illegittimita' possa soddisfare direttamente il petitum
del ricorso amministrativo.
In tale quadro di principi, pertanto, non e' revocabile in dubbio
che gli odierni gravami - con cui le ricorrenti si dolgono
prioritariamente proprio dell'incostituzionalita' della legge su cui
il decreto impugnato si basa - non integrano affatto gli estremi di
un'indebita richiesta di sindacato dell'atto politico da parte del
giudice amministrativo in spregio dell'art. 7 del codice del processo
amministrativo, bensi' di uno strumento rimediale pienamente coerente
con il nostro sistema costituzionale, oltre che gia' ben noto alla
giurisprudenza della Corte costituzionale.
Ne discende che i gravami de quibus - lungi dal risolversi in
un'inammissibile impugnazione dell'atto politico (id est della legge)
- consistono invero nell'impugnazione di un atto amministrativo con
contenuto normativo (id est il decreto impugnato), il cui vizio
genetico risiede nell'ipotizzata incostituzionalita' della sua base
di legge, rispetto alla quale viene sollecitato un incidente di
legittimita' costituzionale.
Orbene, tutto cio' rientra ictu oculi nel pieno dominio della
giurisdizione di legittimita' del giudice amministrativo adito, con
conseguente infondatezza dell'eccezione di difetto di giurisdizione,
che va quindi respinta.
Ugualmente infondata e' l'eccezione di inammissibilita' del
ricorso per supposta carenza di interesse ad agire, la quale riposa
sulla presunta assenza di lesivita' del decreto impugnato.
Costituisce principio consolidato della giurisprudenza
amministrativa, infatti, quello secondo cui gli atti normativi (a
prescindere dal loro formale nomen juris di atti regolamentari)
devono essere immediatamente ed autonomamente impugnati, in
osservanza del termine decadenziale, solo laddove gli stessi siano
suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una lesione
concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto,
mentre, nel caso di volizioni astratte e generali, suscettibili di
ripetuta applicazione e che esplichino effetto lesivo solo nel
momento in cui e' adottato l'atto applicativo, la previsione
normativa non deve essere oggetto di autonoma impugnazione - la quale
sarebbe peraltro inammissibile per difetto di una lesione concreta e
attuale - ma deve essere impugnata unitamente al provvedimento
applicativo di cui costituisce l'atto presupposto, in quanto solo
quest'ultimo rende concreta la lesione degli interessi di cui sono
portatori i destinatari, potendo, quindi, le previsioni normative
formare oggetto di censura in occasione dell'impugnazione dell'atto
che ne fa applicazione.
Venendo al caso di specie, pertanto, non appare revocabile in
dubbio che le previsioni normative contenute nel decreto impugnato
sono certamente atte a produrre, in via diretta ed immediata, una
lesione concreta ed attuale della sfera giuridica delle odierne
ricorrenti.
Lesione capace di consumarsi ben prima di (e a prescindere da)
qualsiasi eventuale atto applicativo successivo, posto che le
previsioni di detto decreto recano obblighi gia' di per se' imminenti
e stringenti, tra i quali vanno citati, a mero titolo esemplificativo
e non esaustivo, quelli di:
i) denuncia all'ADM per ciascun impianto di produzione - da
parte dei singoli esercenti impianti di produzione e dei soggetti
cedenti bevande edulcorate - dell'esercizio dell'attivita', e cio'
indicando, inter alia, le tipologie di bevande edulcorate che si
intendono produrre (con la specificazione delle relative voci della
nomenclatura combinata dell'Unione europea), la quantita' annua
stimata di bevande edulcorate che si intendono produrre per conto
proprio ovvero per conto di soggetti terzi anche non residenti, la
quantita' annua stimata di edulcoranti necessaria alla produzione
delle bevande in questione;
ii) redazione ed invio di specifici prospetti riepilogativi
nei quali sono annotati i quantitativi di bevande edulcorate ottenuti
nell'impianto di produzione.
Ne' vale eccepire, in senso contrario, che la disciplina di legge
su cui si basa il decreto entrera' in vigore soltanto in data 1°
gennaio 2023.
Al riguardo, occorre distinguere concettualmente la fonte di
legge (art. 1, commi 661-676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160)
dal relativo decreto attuativo qui impugnato.
Quanto alla legge (in relazione alla quale si chiede di
promuovere l'incidente di costituzionalita'), va osservato che il suo
procedimento di formazione si e' interamente concluso, essendo la
stessa gia' promulgata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale, con la
conseguenza che si sono esaurite sia le formalita' attinenti alla
fase perfezionativa, sia le formalita' attinenti alla fase
integrativa dell'efficacia.
Non appare revocabile in dubbio, pertanto, che la legge su cui
poggia il decreto rientri nel perimetro degli atti legislativi per i
quali l'art. 134 della Costituzione ammette il giudizio incidentale
di costituzionalita'.
Quanto al decreto impugnato, se da un lato e' vero che esso reca
disposizioni attuative di una fonte legale che entrera' in vigore il
1° gennaio 2023, dall'altro lato e' anche vero, pero', che tali
disposizioni esecutive pongono a carico delle aziende del settore
anche alcuni adempimenti contabili ed amministrativi che sono - come
anticipato - preparatori, prodromici e strumentali rispetto alla fase
di autoliquidazione e versamento del tributo.
Nel novero di tali adempimenti rientra, ad esempio, l'obbligo del
«soggetto che intende realizzare bevande edulcorate a partire da
materie prime o da prodotti semilavorati» di «denuncia[re], per
ciascun impianto di produzione, prima di iniziare l'attivita' di
produzione, l'esercizio della medesima all'ADM per via telematica
indicando, a pena di inammissibilita':
a) la denominazione dell'impresa, la sede legale, la partita
IVA, le generalita' del rappresentante legale, il luogo in cui e'
ubicato l'impianto di produzione e i depositi in cui intende stoccare
le bevande edulcorate prodotte e la propria PEC;
b) le tipologie di bevande edulcorate che intende produrre,
con l'indicazione delle relative voci della nomenclatura combinata
dell'Unione europea;
c) la quantita' annua stimata di bevande edulcorate che
intende produrre per conto proprio ovvero per conto di soggetti terzi
anche non residenti;
d) la quantita' annua stimata di edulcoranti necessaria alla
produzione delle bevande di cui alla lettera c);
e) per ciascuna tipologia di bevanda di cui alla lettera b),
il tipo e la quantita' prevista, espressa in peso, di ogni
edulcorante contenuto in un litro di bevanda finita ovvero in un
chilogrammo di prodotto predisposto per diventare bevanda previa
aggiunta di acqua o altri liquidi;
f) i dati concernenti le rese teoriche di lavorazione degli
edulcoranti utilizzati per la produzione di ciascuna tipologia di
bevanda edulcorata di cui alla lettera b)» (cfr. art. 3, comma 1 del
decreto impugnato).
Ebbene, l'obbligo del singolo contribuente di denunciare ex ante
la quantita' annua stimata di bevande edulcorate che egli intende
produrre per conto proprio ovvero per conto di terzi - cosi' come
declinato dal decreto attuativo de quo - determina gia' ora alcuni
oneri gestionali e contabili immediati a carico delle singole
aziende, quindi ben prima dell'entrata in vigore della disposizione
di legge che consente la riscossione dell'imposta.
Quanto precede vale a fortiori se si considera che il decreto
impugnato - a differenza della legge di cui costituisce attuazione -
e' immediatamente vigente.
In ogni caso, anche a voler ammettere che il decreto sia soltanto
un atto «ad efficacia differita» - efficacia decorrente, quindi,
dalla data di entrata in vigore della sua base legale - va rammentato
che la giurisprudenza amministrativa non ha mai dubitato dell'onere
di immediata impugnazione (e quindi della piena lesivita') del
«provvedimento lesivo la cui efficacia sia soggetta a termine
iniziale (efficacia/esecutivita' differita)» (cosi' TAR Lazio Roma,
sezione II, 15 ottobre 2018, n. 987; TAR Puglia, Bari, sezione II, 11
marzo 2010, n. 893; cfr. anche, in argomento, Consiglio di Stato,
sezione IV, 17 aprile 2002, n. 2032).
Le conclusioni che precedono conducono, pertanto, anche alla luce
della nozione sostanziale ed effettiva di interesse ad agire che si
e' ormai consolidata nella giurisprudenza, ad affermare che nel caso
di specie esiste un tangibile e concreto interesse delle ricorrenti
ad una pronunzia sulla legittimita' del decreto impugnato, gia' ora
produttivo di effetti.
Ne discende che l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per
supposta carenza di interesse ad agire va respinta in quanto
infondata.
Rigettate le eccezioni preliminari sollevate in rito dalle
amministrazioni resistenti, il collegio ritiene doveroso scrutinare -
prima di concludere sulla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale e di passare quindi ad esaminare il profilo della sua
non manifesta infondatezza - l'eccezione di incompatibilita'
euro-unitaria dell'art. 1, commi 661-676 della legge 27 dicembre
2019, n. 160 (incompatibilita' che, ove accertata anche all'esito di
un eventuale rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE, potrebbe
sfociare nella disapplicazione di tale normativa e nel conseguente
annullamento del decreto impugnato).
Orbene, l'imposta sulle bevande analcoliche contenenti sostanze
edulcoranti - cosi' come disciplinata dall'art. 1, commi 661-676
della legge 27 dicembre 2019, n. 160 - appartiene al novero delle
imposte speciali sui consumi, le quali, a differenza dell'IVA, non
hanno carattere generale in quanto colpiscono soltanto una
determinata categoria di beni o servizi.
Esse si caratterizzano, altresi', per la struttura monofase,
diventando esigibili in un unico momento dettagliatamente descritto
dalla normativa di riferimento (cfr. Corte costituzionale, sentenza
n. 185/2011).
Nell'ordinamento italiano, la disciplina delle accise (e delle
altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi) e' contenuta
in larga parte nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo
unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla
produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative,
c.d. Testo unico delle accise o TUA), piu' volte modificato ed
integrato in attuazione delle direttive eurounitarie che hanno
disciplinato la materia. Successivamente, il decreto legislativo 29
marzo 2010, n. 48 (recante «Attuazione della direttiva 2008/118/CE
relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva
92/12/CEE») ha provveduto, fra l'altro, a modificare le norme
collegate al fatto generatore ed all'esigibilita' dell'accisa, di cui
alla relativa direttiva eurounitaria.
La disciplina generale delle imposizioni indirette sulla
produzione e sui consumi, diverse dalle accise disciplinate dai
titoli I e II del TUA (ovvero le imposte indirette diverse da quelle
sulla produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcol
etilico e delle bevande alcoliche, dell'energia elettrica e dei
tabacchi lavorati), e' contenuta nell'art. 61 del citato decreto
legislativo.
In particolare, secondo tali disposizioni, «a) l'imposta e'
dovuta sui prodotti immessi in consumo nel mercato interno ed e'
esigibile con l'aliquota vigente alla data in cui viene effettuata
l'immissione in consumo», mentre obbligato al pagamento dell'imposta
e' «il fabbricante per i prodotti ottenuti nel territorio dello
Stato», ovvero «il soggetto che effettua la prima immissione in
consumo per i prodotti di provenienza comunitaria», ovvero ancora
«l'importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi».
L'immissione in consumo si verifica: «1) per i prodotti
nazionali, all'atto della cessione sia ai diretti utilizzatori o
consumatori sia a ditte esercenti il commercio che ne effettuano la
rivendita; 2) per i prodotti di provenienza comunitaria, all'atto del
ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente ovvero nel
momento in cui si considera effettuata, ai fini dell'imposta sul
valore aggiunto, la cessione, da parte del venditore residente in
altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti che agiscono
nell'esercizio di una impresa, arte o professione; 3) per i prodotti
di provenienza da Paesi terzi, all'atto dell'importazione; 4) per i
prodotti che risultano mancanti alle verifiche e per i quali non e'
possibile accertare il regolare esito, all'atto della loro
constatazione; [...]».
In ambito eurounitario, come gia' accennato, la direttiva
2008/118/CE, oltre a disciplinare il regime generale delle accise
c.d. «armonizzate», stabilisce alcuni principi fondamentali in ordine
all'imposizione sui «prodotti diversi dai prodotti sottoposti ad
accisa» armonizzata, al fine di garantire il corretto funzionamento
del mercato interno.
Le accise c.d. «armonizzate» riguardano esclusivamente:
a) prodotti energetici ed elettricita' di cui alla direttiva
2003/96/CE;
b) alcol e bevande alcoliche di cui alle direttive 92/83/CEE
e 92/84/CEE;
c) tabacchi lavorati di cui alle direttive 95/59/CE,
92/79/CEE e 92/80/CEE.
Relativamente ai prodotti gia' sottoposti ad accisa armonizzata,
l'art. 1, par. 2, della direttiva stabilisce che «gli Stati membri
possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte
indirette aventi finalita' specifiche, purche' tali imposte siano
conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o
per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della
base imponibile, calcolo, esigibilita' e controllo dell'imposta».
Relativamente ai prodotti «diversi dai prodotti sottoposti ad
accisa», gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di applicare
altre forme di imposizione purche' l'applicazione di tali imposte non
comporti «negli scambi tra Stati membri, formalita' connesse
all'attraversamento delle frontiere» (art. 1, par. 3).
In sostanza, le norme eurounitarie consentono agli Stati membri
di introdurre altre forme di imposizione indiretta sui prodotti per i
quali gia' sussiste un'accisa armonizzata, nonche' di introdurre
accise non armonizzate.
E' significativo che l'ordinamento eurounitario, per non privare
gli Stati membri di un efficace strumento di politica economica,
abbia lasciato ad essi ampio margine di discrezionalita' sia nella
scelta delle aliquote delle accise armonizzate (essendo previste solo
aliquote minime), sia nell'istituire prelievi aventi specifiche
finalita' quand'anche gravanti su prodotti gia' soggetti ad accisa
armonizzata.
A cio' si aggiunge la possibilita' di tassare la produzione o il
consumo di beni estranei al processo di armonizzazione, la quale non
e' legata alla necessita' di perseguire specifiche finalita', ma puo'
essere giustificata anche soltanto da esigenze di bilancio.
Ne discende che la disciplina eurounitaria non osta affatto
all'introduzione di un'accisa non armonizzata quale quella di cui si
discorre nel giudizio de quo, ne' tampoco impone vincoli in ordine
alle sue modalita' di funzionamento.
E se e' pur vero che la legge nazionale introduttiva di un'accisa
non armonizzata deve comunque rispettare le liberta' eurounitarie di
stabilimento, prestazione di servizi e concorrenza scolpite negli
articoli 49, 56 e 101 del TFUE, e' altrettanto vero che la
summenzionata direttiva 2008/118/CE stabilisce chiaramente il confine
entro cui la sovranita' del singolo Stato membro - eventualmente
esercitata in materia di accise non armonizzate - puo' muoversi senza
ledere dette liberta'.
Il confine e' per l'appunto tracciato dall'art. 1, comma 3,
ultimo capoverso, della suddetta direttiva, dove e' chiaramente
previsto che - impregiudicata la potesta' di ogni singolo Stato
membro di applicare proprie imposte «su prodotti diversi dai prodotti
sottoposti ad accisa» armonizzata - «l'applicazione di tali imposte
non puo' [NDR: cionondimeno] comportare, negli scambi tra Stati
membri, formalita' connesse all'attraversamento delle frontiere».
Orbene, nel caso di specie la legge istitutiva della c.d. «sugar
tax» non ha introdotto alcuna formalita' connessa all'attraversamento
delle frontiere, dovendosi quindi escludere qualsiasi violazione dei
parametri eurounitari degli articoli 49, 56 e 101 del TFUE.
Ne' vi e' contrasto con altre norme dei trattati ovvero con
principi di carattere generale. In particolare:
non e' violato l'art. 30 del TFUE («i dazi doganali
all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente
sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica anche ai
dazi doganali di carattere fiscale»), in quanto l'imposta si applica
sia ai prodotti nazionali che a quelli di provenienza UE;
non sono violati gli articoli 34 e 35, relativi al divieto di
restrizioni quantitative all'importazione e/o all'esportazione,
ovvero di qualsiasi misura di effetto equivalente, in quanto, anche
in questo caso, l'imposta si applica a tutti i prodotti immessi in
commercio nel territorio dello Stato;
non e' violato il principio di non discriminazione di cui
all'art. 110 («Nessuno Stato membro applica direttamente o
indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni
interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate
direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari [...]»),
in quanto l'imposta che si applica ai prodotti UE e' uguale a quella
che si applica sui prodotti nazionali.
In definitiva, reputa il collegio che l'art. 1, commi 661-676
della legge 27 dicembre 2019, non debba essere disapplicato, posto
che esso appare coerente con i parametri eurounitari evocati, con la
conseguenza che non e' necessario rimettere alla Corte di giustizia
europea la questione pregiudiziale posta dalle ricorrenti.
Se ne inferisce, conclusivamente, la piena rilevanza della
questione di legittimita' costituzionale resa oggetto della maggior
parte dei motivi articolati in via principale con i due ricorsi, con
la sola precisazione che il collegio non puo' decidere - in uno con
il deferimento della questione di legittimita' costituzionale - anche
il motivo di ricorso volto a denunziare il vizio autonomo del decreto
impugnato.
Cio' per due ordini di ragioni.
In primo luogo perche' tale motivo e' stato formulato soltanto in
via subordinata rispetto alla domanda principale di annullamento
incentrata sull'incostituzionalita' della base legale del decreto.
In secondo luogo perche' tale vizio consiste nella supposta
difformita' del decreto rispetto alla norma di legge indiziata di
incostituzionalita', sicche' non puo' non richiamarsi il consolidato
insegnamento della giurisprudenza costituzionale a rigore del quale
«il carattere incidentale del giudizio di costituzionalita' non
consente di sollevare la questione di legittimita' dopo la decisione
del merito della causa, quando il suo oggetto comporti la necessaria
applicazione della disposizione censurata» (cfr. ordinanze Corte
costituzionale n. 215 del 2003, n. 264 del 1998, n. 315 del 1992; n.
116 del 1992; n. 242 del 1990).
Di qui la preclusione all'esame, nella presente fase, del merito
del motivo proposto soltanto in via subordinata, avente ad oggetto il
vizio autonomo del decreto impugnato.
2.2. Sulla non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale.
Quanto al concorrente profilo della non manifesta infondatezza
della questione di costituzionalita', il collegio ritiene opportuno
ricostruire - seppur brevemente - la disciplina di legge con cui e'
stata introdotta l'imposta di cui si discorre, nonche' le finalita'
che essa persegue.
Orbene, l'art. 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante
«Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e
bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022» ha introdotto, ai
commi 661-676, «l'imposta sul consumo delle bevande analcoliche, come
definite al comma 662, di seguito denominate "bevande edulcorate"».
L'entrata in vigore dell'imposta, come da ultimo modificata
dall'art. 1, comma 12, lettera b) della legge 30 dicembre 2021, n.
234 (che ha modificato l'art. 1, comma 676 della legge n. 160/2019)
e' prevista per il 1° gennaio 2023.
Il comma 662 definisce le «bevande edulcorate» come «prodotti
finiti e i prodotti predisposti per essere utilizzati come tali
previa diluizione, rientranti nelle voci NC 2009 e 2202 della
nomenclatura combinata dell'Unione europea, condizionati per la
vendita, destinati al consumo alimentare umano, ottenuti con
l'aggiunta di edulcoranti e aventi un titolo alcolometrico inferiore
o uguale a 1,2 per cento in volume».
Quanto invece alla definizione di «edulcorante», la disposizione
chiarisce che, «ai fini dei commi da 661 a 676, per bevande
edulcorate si intende qualsiasi sostanza, di origine naturale o
sintetica, in grado di conferire sapore dolce alle bevande».
La definizione di edulcorante a cui annettere rilievo ai fini
dell'imposta de qua comprende, quindi, qualsiasi sostanza aggiunta -
ovviamente diversa rispetto agli zuccheri «propri» presenti in rerum
natura in una bevanda - capace di conferire sapore dolce alle bibite,
irrilevante essendo l'origine naturale o sintetica di tale sostanza.
L'imposta colpisce, quindi, tanto gli edulcoranti naturali quanto
gli edulcoranti sintetici, con l'ulteriore precisazione che gli
edulcoranti sintetici (costituenti una sottocategoria della
macro-categoria «edulcoranti») includono alcuni esemplari specifici -
come ad esempio l'aspartame - rispetto ai quali il regolamento UE
1333/2008 del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea fissa la
quantita' massima che puo' essere presente in ogni litro di bevanda
(a mero titolo esemplificativo la quantita' massima di aspartame e'
pari a 600 mg/l, cfr. allegato II del summenzionato regolamento).
Si e' gia' visto che le bevande analcoliche incise dall'imposta
sono soltanto quelle ricomprese nelle voci NC 2009 e 2202 della
nomenclatura combinata dell'Unione europea, corrispondenti
rispettivamente a:
succhi di frutta (compresi i mosti di uva) o di ortaggi e
legumi, non fermentati, senza aggiunta di alcol, anche addizionati di
zuccheri o di altri dolcificanti;
acque, comprese quelle minerali e gassate, con aggiunta di
zucchero o di altri dolcificanti o di aromatizzanti, e altre bevande
non alcoliche, esclusi i succhi di frutta o di ortaggi della voce
2009 (vedi nota esplicativa della nomenclatura combinata, emanata ai
sensi dell'art. 9 del regolamento (CEE) n. 2658/1987 del Consiglio
dell'Unione europea del 23 luglio 1987).
Pertanto, l'imposta si applica alle bevande analcoliche che
rientrino nelle tipologie sopra descritte, alle quali siano state
aggiunte sostanze - di origine naturale o sintetica - in grado di
conferire un sapore dolce e con una percentuale di alcol uguale o
inferiore all'1,2% in volume.
L'imposta e' fissata nella misura di «euro 10,00 per ettolitro»
per i prodotti finiti, e di «euro 0,25 al chilogrammo» per i prodotti
predisposti per essere utilizzati previa diluizione (comma 665).
Quanto invece all'esigibilita' dell'imposta, il comma 663 prevede
che l'obbligazione divenga esigibile:
a) all'atto della cessione, anche a titolo gratuito, di
bevande edulcorate a consumatori nel territorio dello Stato ovvero a
ditte nazionali che ne effettuino la vendita, da parte del
fabbricante nazionale;
b) all'atto del ricevimento di bevande edulcorate da parte
del soggetto acquirente, per i prodotti provenienti da Stati
appartenenti all'Unione europea;
c) all'atto dell'importazione definitiva nel territorio
nazionale, per le bevande importate da Stati non appartenenti
all'Unione europea.
E' prevista inoltre l'esenzione dall'imposta per le bevande
edulcorate prodotte dal fabbricante nazionale che siano pero'
destinate al consumo in altri Stati dell'Unione europea o comunque
all'esportazione.
C'e' infine una «soglia di dolcezza» al di sotto della quale
l'imposta non si applica. Infatti, affinche' una bevanda edulcorata
possa considerarsi esente dall'imposta in questione, il contenuto
complessivo di edulcoranti deve essere inferiore o uguale «a 25
grammi per litro» per i prodotti finiti e a 125 grammi per
chilogrammo «per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa
diluizione».
Passando ora ad esaminare le finalita' per le quali e' stata
introdotta l'imposta de qua, la relazione illustrativa al disegno di
legge di bilancio integrato 2020-2022 (Atti parlamentari, Senato
della Repubblica, n. 1586) chiarisce quanto segue:
l'imposta in questione «risulta essere gia' applicata in
altri Stati dell'Unione europea con la finalita' principale di
limitare, attraverso la penalizzazione fiscale, il consumo di bevande
che hanno un elevato contenuto di sostanze edulcoranti aggiunte. Il
consumo elevato di tali bevande comporta, infatti, un sistematico
apporto ulteriore di zuccheri nella dieta giornaliera degli
individui, comportando un aumento potenziale di fenomeni quali
l'aumento dell'obesita' media della popolazione e la diffusione di
malattie come il diabete. Come riferisce l'Organizzazione mondiale
della sanita' (World Health Organization) nel suo rapporto del 2015,
dal titolo «Le politiche fiscali per la dieta e la prevenzione delle
malattie non trasmissibili», la riduzione del consumo di bevande
zuccherate determinerebbe un calo nell'assunzione di zuccheri liberi
e calorie complessive e potrebbe generare, nel tempo, una riduzione
dei tassi di sovrappeso e obesita' oltre che di carie e di diabete»;
quanto alla logica sottesa alla decisione di tassare non
soltanto gli edulcoranti naturali ma anche quelli artificiali (pur
essendo questi ultimi ipocalorici), «occorre sottolineare che una
tassazione selettiva delle bevande contenenti zuccheri aggiunti che
non riguardasse anche le bevande contenenti dolcificanti di sintesi,
sposterebbe immediatamente le preferenze di consumo su queste ultime
bevande, con ripercussioni sia sulla salute, per l'aumento del
consumo di dolcificanti sintetici che, sull'economia, in relazione
allo spostamento della domanda del mercato dagli zuccheri ai prodotti
dolcificanti sintetici», con l'ulteriore precisazione che «la mera
sostituzione, nelle bevande in parola, di dolcificanti di origine
naturale con sostanze edulcoranti di origine sintetica, pur
comportando un abbattimento evidente dell'apporto di zuccheri (e
quindi di energia) nell'ambito della dieta giornaliera, avrebbe
l'effetto di incentivare l'uso smisurato di tali sostanze sintetiche
che puo' avere effetti collaterali sugli individui. Le sostanze
dolcificanti sintetiche in questione sono, infatti, da considerarsi
sicure purche' consumate esclusivamente nell'ambito delle dosi
massime giornaliere consigliate»;
l'imposta mira sostanzialmente a colpire indistintamente le
«bevande che contengono dolcificanti aggiunti, qualunque ne sia
l'origine, escludendo da tale imposta le sole bevande che contengano
zuccheri «propri» e lasciando esenti dal tributo stesso, come
stabilito dal successivo comma 6, quelle in cui l'aggiunta di
dolcificanti sia assai modesta in quanto finalizzata esclusivamente a
«perfezionare» il gusto delle bevande. Con il comma 2 dell'articolo
in commento si intende definire l'ambito applicativo sopra accennato
utilizzando le voci della nomenclatura combinata in uso nell'Unione
europea al fine di una maggiore precisione e chiarezza. L'imposta
sara' quindi applicabile esclusivamente su quelle bevande (e su quei
prodotti concentrati realizzati per essere consumati successivamente
alla opportuna diluizione), destinate al consumo alimentare umano,
nelle quali i suddetti prodotti dolcificanti siano stati aggiunti a
quelli eventualmente presenti, per natura, nella bevanda stessa».
In sintesi, quindi, lo scopo principale del prelievo fiscale de
quo e' quello di ridurre - attraverso la disincentivazione del
consumo di bevande analcoliche contenenti sostanze edulcoranti
naturali ed artificiali (id est sostanze aggiuntive rispetto agli
zuccheri «propri» gia' presenti in rerum natura nella bevanda) - la
diffusione dell'obesita' e del diabete, nonche' l'eccessivo utilizzo
di sostanze edulcoranti sintetiche, avendo queste ultime effetti
collaterali dannosi per la salute dell'uomo.
Chiariti gli scopi perseguiti dal legislatore, il collegio
ritiene necessario selezionare - al cospetto di un'ampia gamma di
profili di incostituzionalita' sollevati dalle ricorrenti - quali di
questi profili appaiono prima facie non manifestamente infondati e
quali, invece, privi di fondamento.
Non senza prima osservare che il principale parametro di
costituzionalita' invocato nei motivi di gravame e' quello dell'art.
3 della Costituzione (talvolta in combinato disposto con gli articoli
41 e 53 della Costituzione), nella sua duplice accezione di principio
di eguaglianza tributaria e di principio di proporzionalita'.
Per quel che concerne il principio di proporzionalita' - inteso
nella sua composizione «trifasica» di idoneita', necessita' e
proporzionalita' in senso stretto - il collegio non ravvisa i
presupposti di una sua concreta violazione nel caso di specie.
Quanto al profilo dell'idoneita', infatti, va osservato che:
i) non appare condivisibile l'assunto delle ricorrenti
secondo cui non esisterebbe in Italia alcuna reale esigenza di
ridurre il consumo di bevande c.d. «soft drink» (consumo pari a circa
50 litri pro capite all'anno, uno dei piu' bassi a livello europeo).
Ed infatti, la circostanza che detto consumo sia - in un'ottica
«comparatistica» - piuttosto basso in Italia rispetto ad altri paesi
stranieri, non significa che il legislatore non possa comunque
scegliere, nell'esercizio della propria discrezionalita' politica, di
voler ridurre ulteriormente tale consumo e di imprimere
un'accelerazione maggiore al processo di flessione gia' in atto,
nell'ottica precauzionale di preservare al meglio la salute pubblica.
Del resto, lo scopo ultimo e mediato - al lume del quale valutare
l'idoneita' dell'imposta - non e' tanto la riduzione del consumo di
bevande analcoliche, quanto piuttosto la diminuzione di certe
patologie, diminuzione che ben puo' realizzarsi «accelerando» il
processo di contrazione della domanda di dette bevande;
ii) ugualmente non condivisibile e' l'assunto per cui non vi
sarebbe alcun nesso di efficienza causale tra l'introduzione della
«sugar tax» e la riduzione delle summenzionate patologie (id est
obesita', diabete ed effetti collaterali dannosi degli edulcoranti
sintetici). Cio' in quanto gli studi scientifici ed economici versati
in atti attestano che l'introduzione della «sugar tax» - riversando i
propri effetti sul prezzo finale - impatta indiscutibilmente sulla
domanda del prodotto, la cui curva e' connotata da un elevatissimo
tasso di «elasticita'» rispetto alle variazioni dei prezzi. E' quindi
incontestabile che la misura impositiva de qua riduca la domanda - e
dunque il consumo - delle bevande analcoliche. Ovviamente il collegio
e' ben consapevole che non esiste alcuna «equazione» automatica tra
minor consumo di bevande zuccherate e riduzione delle patologie
associate a tali bevande. Cionondimeno, la correlazione causale tra
eccesso di zuccheri aggiunti e patologie come diabete e obesita' -
nonche' tra eccesso di zuccheri sintetici ed effetti collaterali
dannosi ad essi collegati (gli stessi effetti per i quali il
regolamento UE n. 1333/2008 ha gia' fissato dosi massime di
edulcoranti sintetici) - costituisce un fatto notorio, sicche' un
qualunque prelievo fiscale avente finalita' disincentivante del
consumo di prodotti contenenti zuccheri aggiunti e' indubitabilmente
idoneo a concorrere alla lotta a tali patologie. Ne' possono
invocarsi - a sostegno della tesi secondo cui la «sugar tax» sarebbe
inutile - i dati comparatistici del Messico (in cui l'introduzione di
detta misura non sembra aver inciso sui dati relativi al tasso di
obesita' e diabete) e della Danimarca (dove l'imposta e' stata
soppressa nel 2012). Cio' sia perche' l'unicita' di questi dati osta
ad una loro sovraestimazione e traslazione su scala transnazionale,
sia perche' esiste sul fronte opposto un ben maggior numero di paesi
stranieri che hanno, invece, conservato la sugar tax;
iii) parimenti non condivisibile e' la tesi che - partendo
dalla natura ipocalorica degli edulcoranti sintetici - esclude
qualsiasi correlazione causale tra tassazione di detti edulcoranti e
l'obiettivo politico di riduzione dell'obesita' e del diabete. Questa
tesi trascura il fatto che lo scopo della sugar tax non e' soltanto
quello della lotta all'obesita' e al diabete, ma anche quello della
lotta a tutti gli effetti collaterali dannosi (autonomi e distinti
rispetto alle summenzionate patologie) derivanti da un uso eccessivo
di edulcoranti sintetici. Effetti collaterali dannosi della cui
esistenza non e' possibile dubitare scientificamente, atteso che
proprio per limitarli e' stato adottato il regolamento UE n.
1333/2008, il quale per l'appunto fissa le dosi massime consentite di
edulcoranti sintetici;
iv) ugualmente non condivisibile, infine, e' la tesi secondo
cui la tassazione degli edulcoranti sintetici sarebbe inidonea allo
scopo in quanto dette sostanze gia' soggiacciono ad un altro tipo di
limitazione di per se' risolutiva, ossia la fissazione a livello
eurounitario di «limiti massimi di impiego per ogni categoria
alimentare».
Questa tesi trascura il fatto che detti limiti quantitativi
assicurano la non eccedenza di edulcoranti sintetici all'interno del
singolo prodotto messo in commercio, ma non garantiscono affatto la
non eccedenza (rectius: modicita') del consumo individuale di
prodotti contenenti edulcoranti sintetici da parte del singolo
consumatore, il quale ben potrebbe acquistarne delle quantita'
spropositate. Orbene, l'imposta di cui si discorre va proprio ad
intervenire sul consumo, cercando di orientarlo e limitarlo, in tal
senso palesandosi pienamente idonea rispetto allo scopo che si e'
prefissata.
Passando ad esaminare poi le due ulteriori declinazioni del
principio di proporzionalita' (id est necessita' e proporzionalita'
in senso stretto), anch'esse non sembrano violate, atteso che:
i) la documentazione in atti non fa emergere la presenza di
alcuna omologa misura che - a parita' di efficacia (e cioe' di
equivalente incidenza sulla curva di domanda di bevande analcoliche
contenenti zuccheri aggiunti) - produca minori sacrifici a carico
delle aziende produttrici e dei consumatori. E cio' a maggior ragione
ove si consideri che - come risulta dallo studio di Nomisma prodotto
dalle stesse ricorrenti (cfr. pag. 76) - l'entita' economica del
prelievo (10 euro/hl) e' significativamente inferiore rispetto a
quella di altri ordinamenti europei (Regno unito 20 euro/hl; Irlanda
20 euro/hl; Norvegia 44 euro/hl);
ii) non puo' essere positivamente apprezzata la tesi secondo
cui il legislatore avrebbe potuto fissare una «soglia di dolcezza»
minima (al di sotto della quale escludere l'incidenza della sugar
tax) piu' elevata rispetto a quella concretamente individuata, in
modo da rendere meno invasivo ed esteso il prelievo fiscale di cui si
discorre. Tale obiezione si risolve nella censura di un atto di
esercizio della discrezionalita' politica del legislatore, atto
rispetto al quale il collegio non ravvisa quei profili di patente
arbitrarieta' e/o irragionevolezza che, soli, potrebbero sfociare in
un giudizio di non manifesta infondatezza della supposta violazione
dell'art. 3 della Costituzione (sub specie di proporzionalita'). E
cio' a maggior ragione ove si consideri che la surriferita «soglia di
dolcezza» minima corrisponde al limite stabilito dall'allegato al
regolamento CE n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 20 dicembre 2006, adottato proprio allo scopo di individuare le
bevande che - secondo il medesimo regolamento - possono essere
considerate aventi un basso tenore di zuccheri e recare quindi
l'indicazione «a basso contenuto di zuccheri»;
iii) ne' appaiono risolutive - al fine di escludere i
requisiti della necessita' e proporzionalita' in senso stretto della
misura fiscale de qua - le prospettate ricadute economiche negative
di tale misura. Quest'ultima rientra, infatti, nel paradigma - gia'
ben noto al nostro ordinamento - delle imposte sul consumo con
finalita' extrafiscali disincentivanti (si pensi, a mero titolo
esemplificativo, alle imposte sui tabacchi lavorati, all'imposta sui
prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze
liquide, ai tributi ambientali, etc.), imposte la cui ratio essendi
consiste proprio nel perseguire un interesse pubblico ben definito -
nel caso di specie quello alla tutela della salute pubblica - a
potenziale discapito di altri diritti astrattamente confliggenti, in
primis la liberta' di iniziativa economica ex art. 41 della
Costituzione. Diritti, questi ultimi, il cui esercizio ben puo'
essere indirizzato e coordinato dal legislatore statale «a fini
sociali», ma giammai precluso o comunque radicalmente inciso sino ad
eliderne le sue principali forme di manifestazione.
Orbene, il collegio ritiene che le limitazioni della liberta'
d'iniziativa economica lamentate dalle societa' ricorrenti - in tesi
discendenti dalla prospettata entrata in vigore dell'art. 1, commi
661-676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 - rientrino nel novero
delle fisiologiche ed ordinarie conseguenze di qualsiasi norma
impositiva avente finalita' disincentivanti, esprimendo quindi un
giusto punto di contemperamento tra diritto alla salute e diritto di
impresa, senza che quest'ultimo possa dirsi radicalmente eliso o
rimosso.
Ritiene il collegio, pertanto, che la prospettata violazione del
principio di proporzionalita' (ed anche della liberta' di iniziativa
economica ex art. 41 della Costituzione) debba essere esclusa.
Ne' appare fondata la censura di irragionevolezza della
disciplina di legge de qua, censura con cui Sibeg S.r.l. si duole -
sempre attraverso il richiamo all'art. 3 della Costituzione - in
primis di una presunta contraddittorieta' tra finalita'
disincentivante del prelievo fiscale e correlativo scopo erariale, ed
in secundis di un'eccessiva penalizzazione del produttore/fabbricante
a cui non farebbe riscontro un egual sacrificio del consumatore
(cosi' vanificando lo scopo disincentivante sotteso al tributo).
Sotto il primo profilo, infatti, la censura trascura il fatto che
lo scopo assolutamente prevalente e preponderante dell'imposta de qua
e' quello disincentivante. La stima preventiva degli introiti del
prelievo fiscale, cosi' come formulata nella relazione illustrativa
al disegno di legge, lungi dall'assegnare alla «sugar tax» qualsiasi
funzione erariale equi-ordinata rispetto a quella disincentivante, ha
invece solo lo scopo di identificare l'impatto finanziario della
misura. Il che non comporta, com'e' evidente, alcuna trasmutazione
«genetica» dell'originaria finalita' prevalente del tributo, che e'
per l'appunto quella extra-fiscale di contrasto di specifiche
patologie. Sotto il secondo profilo, la censura si infrange nei
plurimi studi e documenti - ritualmente versati in atti dalle stesse
ricorrenti - attestanti l'elevatissima elasticita' della domanda di
bevande zuccherate rispetto a qualsiasi nuova imposta gravante sul
produttore o fabbricante, essendo quest'ultima traslata
economicamente sul consumatore finale.
Il collegio ritiene, pertanto, che la censurata violazione del
principio di ragionevolezza - per come prospettata da Sibeg S.r.l. -
non raggiunga la soglia di non manifesta infondatezza richiesta ai
fini dell'incidente di costituzionalita'.
Quanto alla prospettata violazione del principio di capacita'
contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione, la censura omette
di considerare che l'imposta de qua - lungi dall'essere commisurata
«alla quantita' di edulcorante naturale o sintetico» (cfr. pag. 17
del ricorso introduttivo di Sibeg S.r.l.) - e' invece parametrata
alla quantita' dell'intero prodotto messo in commercio (10 centesimi
di euro per ogni litro di bevanda, nonche' 0,25 euro per ogni
chilogrammo di prodotto concentrato), sicche' essa appare rispettosa
della concezione «relativa» di capacita' contributiva ormai
consolidatasi nella giurisprudenza costituzionale, a rigore della
quale il potere impositivo puo' colpire anche fatti non patrimoniali,
purche' naturalmente rilevabili e misurabili in denaro (come per
l'appunto sarebbe la quantita' di bevanda analcolica immessa in
commercio).
Ritiene il collegio, pertanto, che la prospettata violazione del
principio di capacita' contributiva strettamente inteso debba essere
esclusa.
Diversamente e' a dirsi, invece, per il principio di eguaglianza
tributaria.
Il collegio reputa, infatti, che l'imposta in questione entri in
frizione con il combinato disposto degli articoli 53 e 3 della
Costituzione, ovverosia sotto il profilo del principio di eguaglianza
tributaria in base al quale «a situazioni eguali devono corrispondere
uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un
trattamento tributario diseguale» (Corte costituzionale, 6 luglio
1972, n. 120).
Prima di evidenziare meglio tale contrasto, tuttavia, va premesso
che l'applicazione delle accise e, piu' in generale, delle imposte
sui consumi, puo' avere non solo funzione di gettito fiscale, ma
anche scopi extrafiscali strumentali a scelte di carattere politico -
economico.
La finalita' delle imposte speciali sui consumi puo' essere in
particolare quella di disincentivare il consumo di beni che generano
esternalita' negative a danno della collettivita', ovvero soltanto
quella di aumentare le entrate pubbliche senza eccessivi costi di
accertamento e di riscossione.
Sul piano economico, e dal punto di vista della equita'
distributiva, esse hanno effetti regressivi o progressivi a seconda
delle tipologie di consumo e della elasticita' delle curve di domanda
e di offerta.
Non va dimenticato, inoltre, il consolidato insegnamento della
Corte costituzionale secondo cui legislatore ordinario puo' assumere,
quali soggetti passivi di imposta idonei a concorrere alle pubbliche
spese, anche coloro che pongono in essere presupposti aventi una
rilevanza economico-sociale, ma non necessariamente anche
patrimoniale.
L'importante e' che tali presupposti siano oggettivamente
rilevabili, si prestino ad essere comparati con altre situazioni
fiscalmente rilevanti e siano pur sempre misurabili economicamente.
Ad esempio, secondo la Corte costituzionale n. 102/93, che richiama
la sentenza n. 201 del 1975, per capacita' contributiva «deve
intendersi l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta,
deducibile dal presupposto al quale la prestazione e' collegata senza
che spetti al giudice della legittimita' delle leggi alcun controllo,
se non, ovviamente, sotto il profilo dell'assoluta arbitrarieta' o
irrazionalita' delle norme».
In tali pronunce (ma cfr. anche 16 giugno 1964, n. 45, 28 luglio
1976, n. 200, 11 luglio 1989, n. 387) si afferma che il principio di
capacita' contributiva risponde all'esigenza di garantire che ogni
prelievo tributario abbia causa giustificatrice in «indici
concretamente rilevatori di ricchezza» dai quali sia «razionalmente
deducibile l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta». Queste
sentenze vanno poi lette in sintonia con quelle che riconoscono la
legittimita' costituzionale di presupposti che esprimono una
capacita' contributiva in termini di mera potenzialita' economica.
Ad esempio, secondo la sentenza n. 156/2001 (in materia di Irap),
«rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il solo limite
della non arbitrarieta', la determinazione dei singoli fatti
espressivi della capacita' contributiva che, quale idoneita' del
soggetto all'obbligazione di imposta, puo' essere desunta da
qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal
reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143
del 1995, n. 159 del 1985)».
In pratica, l'art. 53, comma 1, viene applicato dalla Corte
costituzionale in maniera congiunta con l'art. 3, «assumendo il
principio di uguaglianza quale regola fondamentale ed autosufficiente
di congruita' che prevale su ogni altra regola attinente ai criteri
di riparto dei carichi pubblici».
Secondo tale giurisprudenza, e la dottrina cui si ispira, il
legislatore «deve operare il riparto del carico pubblico secondo i
criteri di coerenza interna, non contraddittorieta', adeguatezza e
non arbitrarieta' assicurando che a situazioni di fatto uguali
corrispondano uguali regimi impositivi e, correlativamente, a
situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale».
Ritornando al caso di specie, quindi, il collegio ritiene che la
disciplina di legge introdotta dall'art. 1, commi 661-676 della legge
n. 160/2019, sembra contrastare con il principio di eguaglianza
tributaria - cosi' come risultante dal combinato disposto degli
articoli 3 e 53 della Costituzione - laddove va a colpire fiscalmente
le sole bevande analcoliche contenenti sostanze edulcoranti eccedenti
una certa soglia, e non anche gli altri prodotti alimentari (diversi
dalle bevande) aventi le medesime sostanze.
Viene in questo modo introdotta, infatti, una differenziazione di
trattamento fiscale a supporto della quale non viene fornito alcun
criterio oggettivo che possa giustificarla.
In particolare, se e' vero come e' vero che la c.d. «sugar tax»
e' un tributo introdotto con finalita' extra-fiscale disincentivante
(in quanto avente lo scopo di contrastare - incidendo sul consumo di
certi prodotti - il fenomeno dell'obesita' e del diabete, nonche' la
diffusione degli effetti collaterali dannosi degli edulcoranti
sintetici), e assodato che la scelta legislativa di realizzare un
certo obiettivo di salute pubblica e' tendenzialmente insindacabile
(salvo il limite della manifesta irragionevolezza), e' altrettanto
vero che in base al principio di ragionevolezza ed uguaglianza il
legislatore deve spiegare il perche' tale obiettivo vada perseguito
«colpendo» soltanto gli edulcoranti contenuti nelle bevande
analcoliche, e non anche i medesimi edulcoranti contenuti negli altri
prodotti alimentari diversi dalle bevande. Il principio di
eguaglianza tributaria - cosi' come costantemente interpretato dalla
giurisprudenza costituzionale - postula che a fronte di un'imposta
avente una finalita' extra-fiscale disincentivante, debba essere
adeguatamente motivata tanto la scelta legislativa di tassare in
egual misura due o piu' fattispecie imponibili apparentemente
diverse, quanto l'opposta scelta di tassare in misura diversa due
fattispecie imponibili apparentemente uguali.
Si pensi, nel primo senso, alla sentenza della Corte
costituzionale n. 83 del 2015, che ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale di una normativa che tassava in egual misura due
fattispecie - rispettivamente quella dei tabacchi lavorati e quella
dei prodotti non contenenti nicotina idonei a sostituire il consumo
dei tabacchi lavorati (ad esempio i liquidi aromatizzati delle
sigarette elettroniche) - obiettivamente diverse tra loro, la prima
ricadente prima facie nel campo di applicazione della finalita'
disincentivante, la seconda invece no (in quell'occasione il giudice
delle leggi si espresse con le seguenti parole: «la violazione del
parametro di cui all'art. 3 della Costituzione va ravvisata
nell'intrinseca irrazionalita' della disposizione che assoggetta ad
un'aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze,
non contenenti nicotina, e di beni, aventi uso promiscuo. Infatti,
mentre il regime fiscale dell'accisa con riferimento al mercato dei
tabacchi, trova la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di
un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale
si cerca di scoraggiare il consumo, tale presupposto non e'
ravvisabile in relazione al commercio di prodotti contenenti «altre
sostanze», diverse dalla nicotina, idonee a sostituire il consumo del
tabacco, nonche' dei dispositivi e delle parti di ricambio che ne
consentono il consumo. Appare quindi del tutto irragionevole
l'estensione, operata dalla disposizione censurata, del regime
amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche al commercio
di liquidi aromatizzati e di dispositivi per il relativo consumo, i
quali non possono essere considerati succedanei del tabacco»).
In senso esattamente inverso, si pensi alla sentenza della Corte
costituzionale n. 201 del 2014, che aveva respinto la questione di
legittimita' costituzionale della disposizione di legge con cui
veniva introdotto - nel contesto della crisi finanziaria
internazionale del 2011 coinvolgente il mondo delle banche - un
prelievo fiscale aggiuntivo a carico dei soli dirigenti nel settore
finanziario (e non anche a carico dei dirigenti di settori
merceologici diversi).
In quel caso, la diversa «regola fiscale» applicata a due
categorie di soggetti apparentemente omogenee (id est da un lato la
regola del prelievo aggiuntivo a carico dei dirigenti del settore
finanziario, dall'altro lato la regola di nessun prelievo aggiuntivo
a carico dei dirigenti degli altri settori) trovava spiegazione nel
fatto che detto prelievo aggiuntivo avrebbe prodotto un reale effetto
disincentivante soltanto se applicato ai soli dirigenti del settore
finanziario, e non anche ai dirigenti degli altri settori
merceologici (in quell'occasione il giudice delle leggi si e'
espresso, infatti, con le seguenti parole: «la norma, infatti,
inasprendo il prelievo fiscale, rappresenta un disincentivo per le
prassi retributive che possono avere l'effetto di condurre
all'assunzione di rischi eccessivi di breve termine da parte della
categoria di contribuenti sottoposta al prelievo. Questi ultimi, in
ragione del tasso di professionalita', della autonomia operativa, del
potere decisionale di cui godono e dell'aspirazione a maggiori
guadagni personali (per il legame tra l'andamento del titolo da un
lato ed il riconoscimento e l'ammontare del beneficio correlato a
dette forme di compenso dall'altro), sono in grado di porre in essere
attivita' speculative suscettibili di pregiudicare la stabilita'
finanziaria. Un rischio di questo genere non ricorre per l'attivita'
degli altri contribuenti che vengono retribuiti in modo analogo ma
non hanno la stessa possibilita' di incidere, con il loro operato,
sulla stabilita' dei mercati finanziari. Pertanto, da un lato, la
scelta disincentivante del legislatore e' tutt'altro che
irragionevole o arbitraria e, dall'altro, non e' ingiustificata la
limitazione al solo «settore finanziario» della platea dei soggetti
passivi sottoposti al prelievo addizionale»).
Orbene, nel caso di specie la diversa «regola fiscale» applicata
a due fattispecie apparentemente omogenee (id est da un lato
l'imposizione della «sugar tax» alle bibite contenenti edulcoranti,
dall'altro lato la mancata imposizione della «sugar tax» agli altri
prodotti alimentari diversi dalle bevande contenenti i medesimi
edulcoranti) non trova alcuna giustificazione ne' nel testo della
legge, ne' nella relazione illustrativa del disegno di legge, e cio'
in spregio del fatto che il fine ultimo di tale prelievo (id est
quello di contrastare l'obesita', il diabete e il consumo di sostanze
edulcoranti sintetiche) ben avrebbe potuto realizzarsi incidendo
anche sui prodotti alimentari diversi dalle bevande analcoliche.
Valga infine soggiungere, per completezza, che il Collegio non
ravvisa invece alcuna violazione del principio di eguaglianza
tributaria nel mero fatto che la «sugar tax» si applichi
indistintamente sia agli edulcoranti naturali che a quelli sintetici.
Cio' in quanto la finalita' disincentivante, come gia' visto, e'
predicabile sia per i primi che per i secondi, stante l'obiettivo
legislativo di contrastare non soltanto le patologie associate agli
edulcoranti naturali (obesita' e diabete) ma anche gli altri effetti
nocivi correlati all'eccessivo consumo di edulcoranti sintetici.
Quanto sopra argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e
non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale - in relazione agli articoli 3 e 53 della Costituzione
- dell'art. 1, commi 661-676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160,
nella parte in cui ha assoggettato ad imposta sul consumo i soli
prodotti rientranti nelle voci NC 2009 e 2202 della nomenclatura
combinata dell'Unione europea (ossia certe bevande analcoliche)
ottenuti con l'aggiunta di edulcoranti, e non anche altri prodotti
alimentari diversi dalle bevande ma parimenti contraddistinti
dall'aggiunta dei medesimi edulcoranti.
Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio
ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e la
rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci
sulla questione.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma,
sezione seconda, non definitivamente pronunciando sui ricorsi di cui
in premessa, nonche' riuniti gli stessi, cosi' dispone:
1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in
relazione agli articoli 3 e 53 della Costituzione - la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 661-676 della legge 27
dicembre 2019, n. 160, nella parte in cui ha assoggettato ad imposta
sul consumo i soli prodotti rientranti nelle voci NC 2009 e 2202
della nomenclatura combinata dell'Unione europea (ossia le bevande
analcoliche) ottenuti con l'aggiunta di edulcoranti, e non anche
altri prodotti alimentari diversi dalle bevande ma parimenti
contraddistinti dall'aggiunta di edulcoranti;
2) dispone la sospensione dei due giudizi e ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
3) rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e
sulle spese di lite all'esito del giudizio incidentale promosso con
la presente pronuncia;
4) ordina che, a cura della segreteria della sezione, la
presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26
ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, presidente;
Eleonora Monica, consigliere;
Michele Tecchia, referendario, estensore.
Il Presidente: Riccio
L'estensore: Tecchia