N. 12 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2023
Ordinanza del 18 gennaio 2023 del Consiglio di Stato sul ricorso
proposto da A. C. contro il Ministero della giustizia.
Maternita' e infanzia - Polizia penitenziaria - Concorso per vice
ispettore - Allievi ispettori di sesso femminile ammessi a
partecipare al primo corso successivo ai periodi di assenza dal
lavoro, previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici
madri - Omessa previsione che possano essere promossi con la
medesima decorrenza giuridica attribuita agli idonei del corso da
cui erano stati dimessi, in mancanza della possibilita' di
partecipare a corsi paralleli di recupero organizzati in data certa
e ragionevolmente ravvicinata.
- Decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del
personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell'art. 14,
comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395), artt. 27, comma 2,
e 28, comma 4.
(GU n. 7 del 15-02-2023)
IL CONSIGLIO DI STATO
in sede giurisdizionale
(Sezione seconda)
ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 359 del 2019, proposto dalla sig.ra A. C. ,
rappresentata e difesa dall'avv. Sara Di Cunzolo, con domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, via Aureliana n. 63;
contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio, sezione prima-quater, del 6 giugno 2018, n.
6336, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della
giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l'istanza di passaggio in decisione della causa senza
discussione orale, depositata dalla parte appellante;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2022 il Cons.
Francesco Guarracino, considerata presente l'avv. Sara Di Cunzolo per
l'appellante, nessuno comparso per le parti;
Fatto
1. La sig. A. C. , dichiarata vincitrice in data 9 luglio 2001
del concorso pubblico a quattrocentoquarantotto posti (elevati a
quattrocentocinquantaquattro) di allievo vice ispettore del Corpo di
polizia penitenziaria indetto con decreto ministeriale 12 dicembre
1996, ha appellato la sentenza, n. 6336 del 6 giugno 2018, con cui il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione
prima-quater, ne ha respinto il ricorso, integrato da motivi
aggiunti, volto a ottenere l'annullamento del provvedimento del
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 18 dicembre 2014,
nella parte in cui si stabiliva che la sua immissione in ruolo come
vice ispettore in prova avesse decorrenza dal 18 dicembre 2014, e del
provvedimento del 3 ottobre 2017, di nomina a ispettore con
decorrenza dal 19 dicembre 2016, unitamente agli atti presupposti,
nonche' il risarcimento del danno per il ritardo nella nomina a vice
ispettore rispetto ai colleghi che avevano vinto il medesimo
concorso.
2. Il Ministero della giustizia ha resistito in giudizio con atto
di forma.
3. In vista dell'udienza l'appellante ha prodotto una memoria e
chiesto il passaggio in decisione della causa senza discussione
orale.
4. Alla pubblica udienza del 28 giugno 2022 la causa e' stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La questione controversa in giudizio attiene alla legittimita'
del provvedimento con cui la decorrenza della nomina dell'appellante
alla qualifica di vice ispettore in prova del Corpo di polizia
penitenziaria e' stata fissata al 18 dicembre 2014, oltre tredici
anni dopo essere stata dichiarata vincitrice del relativo concorso, e
della conseguente determinazione della decorrenza della sua
promozione a ispettore a far data dal 19 dicembre 2016.
2. La controversia trae origine dal fatto che l'appellante - in
data 9 luglio 2001 dichiarata idonea vincitrice del concorso pubblico
a quattrocentoquarantotto posti (elevati a
quattrocentocinquantaquattro) di allievo vice ispettore del Corpo di
polizia penitenziaria indetto con decreto ministeriale 12 dicembre
1996 e in data 28 agosto 2001 nominata allievo vice ispettore a
decorrere dal 13 ottobre 2001 - avendo ricevuto l'invito a
presentarsi, in data 11 ottobre 2001, presso la scuola di Parma per
frequentare il corso di formazione, aveva chiesto e ottenuto, siccome
in stato di astensione obbligatoria dal lavoro per le condizioni
della sua gravidanza (ex art. 17, comma 2, lettera a), del 26 marzo
2001, n. 151), che il posto le venisse riservato ai sensi dell'art.
27, comma 2, del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, che,
nel testo all'epoca vigente, stabiliva: «Gli allievi ispettori di
sesso femminile, la cui assenza oltre novanta giorni e' stata
determinata da maternita', sono ammessi a partecipare al primo corso
successivo ai periodi di assenza dal lavoro previsti dalle
disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri». Tuttavia il primo
corso successivo utile veniva attivato solo dodici anni piu' tardi,
quando in data 11 novembre 2013 aveva inizio il corso di formazione
per gli allievi vice ispettori vincitori del concorso indetto con
provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana - 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» - del 18 marzo 2003,
n. 22, all'esito di una lunga serie di contenziosi che avevano
interessato lo svolgimento del concorso medesimo.
L'appellante veniva quindi inserita in questo corso e,
superatolo, era finalmente immessa nel ruolo dei vice ispettori del
Corpo di polizia penitenziaria con decorrenza dalla data del
giuramento (18 dicembre 2014), al pari dei colleghi che avevano
frequentato lo stesso corso.
3. Nel giudizio di primo grado l'appellante prospettava, in primo
luogo, un dubbio di costituzionalita' della normativa di riferimento,
derivandone l'illegittimita' del bando di concorso e dei
provvedimenti conseguenti lesivi del suo interesse legittimo
pretensivo.
Sosteneva, infatti, che l'art. 27, comma 2, del decreto
legislativo n. 443 del 1992 (che nel disciplinare le ipotesi di
dimissione obbligatoria dal corso di formazione per assenza
determinata da maternita' degli allievi ispettori di sesso femminile
attribuiva loro il diritto di frequentare il corso successivo ai
periodi di assenza previsti dalle disposizioni sulla tutela delle
lavoratrici madri, ma non quello alla retrodatazione degli effetti
dell'immissione in ruolo e, quindi, alla medesima anzianita' relativa
al corso originario di appartenenza) e l'art. 25, comma 2, dello
stesso decreto (che, tacendo sullo specifico punto, prevedeva che gli
allievi vice ispettori, superati gli esami e le prove pratiche di
fine corso, fossero nominati vice ispettori in prova, prestassero
giuramento e venissero immessi nel ruolo secondo la graduatoria
finale) sarebbero stati in contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
che vieta qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso e,
quindi, ogni trattamento meno favorevole legato allo stato di
gravidanza e alla condizione di madre, e con gli articoli 31 e 37
della Costituzione posti a tutela della donna lavoratrice, munita
degli stessi diritti che spettano al lavoratore uomo.
Indicava, inoltre, un'ulteriore discriminazione a danno della
donna lavoratrice in stato di gravidanza nel fatto che, per il
concorso per vice soprintendenti, l'art. 18, comma 5, dello stesso
decreto legislativo stabiliva che i concorrenti dimessi per
infermita' contratta durante il corso o per infermita' dipendente da
causa di servizio e ammessi al primo corso utile fossero, invece,
promossi con la medesima decorrenza attribuita agli idonei del corso
da cui erano stati dimessi, sia pure ai soli effetti giuridici.
Propugnava, quindi, una lettura costituzionalmente orientata
della normativa richiamata che riconoscesse anche alle allieve vice
ispettrici dimesse dal corso formativo in ragione del loro stato di
gravidanza il diritto, una volta utilmente frequentato il corso
successivo, di essere immesse in ruolo con la medesima decorrenza
giuridica attribuita a quanti erano risultati vincitori della stessa
procedura concorsuale.
In subordine lamentava l'illegittimita' degli impugnati decreti
di nomina perche' adottati in asserito contrasto coi principi di
ragionevole durata del procedimento e di uguaglianza e par condicio,
che avrebbero richiesto una diversa decorrenza della nomina per le
ipotesi in cui il concorso si fosse concluso con un abnorme ritardo
imputabile all'Amministrazione.
In ulteriore subordine si doleva del danno patito a causa
dell'enorme ritardo colpevolmente accumulato dall'Amministrazione
nella definizione del successivo concorso pubblico e, quindi,
nell'avvio del primo corso di formazione utile, senza il quale
avrebbe conseguito la qualifica di vice ispettore entro un termine
piu' ragionevole, diminuendo lo spropositato divario rispetto agli
altri vincitori del suo concorso, e chiedeva, percio', la condanna
dell'intimata al risarcimento del danno, sia in forma specifica, con
retrodatazione della nomina quantomeno agli effetti giuridici, che
per equivalente.
4. Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto tutte le
domande.
In particolare, il Tribunale ha affermato che:
nella normativa vigente non risulta alcuna disposizione volta a
consentire la retrodatazione degli effetti giuridici della nomina
delle allieve vice ispettrici che abbiano dovuto posticipare la
frequenza del corso in ragione della gravidanza alla data in cui
avrebbero potuto conseguire la nomina stessa, qualora detto evento
non si fosse verificato;
essendo regola generale che le assenze determinano la
dimissione dal corso tranne che nelle ipotesi in cui siano
riconducibili alla particolarissima tipologia delle assenze
determinate dall'adempimento di un dovere, ne consegue
l'eccezionalita' della previsione per cui, tanto in ipotesi di
dimissioni per malattia, quanto in caso di assenza per maternita',
gli allievi vice ispettori possono essere ammessi a frequentare il
primo corso utile (ma senza godere della retrodatazione della
nomina);
non e' applicabile la diversa disciplina dettata per il corso
per vice soprintendenti dall'art. 18, comma 5, del decreto
legislativo n. 443 del 1992, stante il consolidato orientamento
giurisprudenziale sull'inapplicabilita' ai casi non previsti dalla
legge delle eccezioni previste dal legislatore in materia di
retrodatazione dei provvedimenti di nomina;
non sono ravvisabili manifesti profili di violazione della
Carta costituzionale o della normativa comunitaria a tutela della par
condicio e della maternita' «che anzi viene specificatamente
garantita dal legislatore il quale consente - a titolo di eccezione
alla regola, analogamente a quanto riconosciuto ai dipendenti uomini
in caso di malattia intervenuta durante il corso - agli allievi e
agenti in prova di sesso femminile, la cui assenza oltre sessanta
giorni sia stata determinata da maternita', di partecipare al primo
corso di formazione utile»;
«[d]el resto, se gli articoli 4, 31 e 35 della Costituzione
fanno divieto al legislatore di imporre limiti discriminatori alla
liberta' di conseguire e scegliere un posto di lavoro e di
conservarlo, e gli fanno obbligo di sviluppare una adeguata
protettiva attivita' assistenziale nei riguardi della famiglia, della
maternita' e dell'infanzia e di determinare modi e forme adatte alla
tutela del lavoro stesso, tuttavia non gli vietano di regolamentare i
rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, tenendo conto dei
particolari aspetti che alcuni rapporti di lavoro vengono ad assumere
di fronte ad altri, e dettare di conseguenza, discipline diverse,
dirette ad equilibrare ed armonizzare tra loro interessi contrastanti
(profili che, quanto al diverso trattamento previsto per gli allievi
vice ispettori rispetto ai vice soprintendenti, risultano ben
evidenziati nella motivazione della sentenza del Tribunale
amministrativo regionale Lazio, Roma, n. 7863/2009)»;
quanto al provvedimento di nomina alla qualifica di ispettore,
ai sensi dell'art. 29 del decreto legislativo n. 443 del 1992 si
tratta di promozione mediante scrutinio per merito assoluto al quale
puo' essere ammesso esclusivamente il personale che abbia maturato
almeno due anni di anzianita' di effettivo servizio nella qualifica
precedente;
quanto alla domanda di risarcimento del danno, il ritardo
nell'ammissione della ricorrente al primo corso di formazione utile
non e' dipeso da una condotta dolosa o colposa dell'amministrazione,
bensi' dalle vicende giudiziarie che hanno caratterizzato il concorso
del 2003, tali non soltanto da escludere il profilo psicologico della
fattispecie ma, ancor prima, lo stesso nesso causale «in quanto il
lunghissimo lasso di tempo intervenuto prima che potesse
effettivamente svolgersi il corso in oggetto e' risultato il frutto
di sfortunata concatenazione di eventi [...] nella quale, tuttavia
[...] non e' dato rinvenire condotte dilatorie dell'amministrazione
ne' grave violazione delle regole di imparzialita', correttezza e
buona fede che giustifichino il risarcimento richiesto (in tal senso
anche Tribunale amministrativo regionale Puglia Bari Sez. I,
22-03-2018, n. 419)».
5. L'appello e' affidato a un solo complesso motivo di gravame
(pagg. 10-36) con cui l'appellante, imputando in primo luogo al
Tribunale amministrativo regionale di aver omesso di rilevare che il
motivo per cui non aveva partecipato al primo corso di formazione
risiedeva non in una decisione volontaria, bensi' nel fatto di
versare in astensione obbligatoria dal lavoro fino alla data del 30
ottobre 2001 in ragione del complicato stato di gravidanza (come
comunicato al Ministero dalla Direzione della scuola di formazione e
aggiornamento del personale di Parma), ripropone in chiave critica
del percorso motivazionale della sentenza impugnata gli argomenti
proposti in primo grado a fondamento delle sue domande.
6. Ritiene il Collegio che la prospettata questione di
legittimita' costituzionale sia rilevante e, diversamente da quanto
opinato dal giudice di prime cure, non manifestamente infondata.
7. La rilevanza della questione discende dal fatto che il dubbio
di costituzionalita' investe le disposizioni di legge di cui
l'Amministrazione ha fatto applicazione nell'ammettere l'appellante a
partecipare al primo corso successivo al periodo di assenza
obbligatoria dal lavoro previsto dalle disposizioni sulla tutela
delle lavoratrici madri senza prevederne la retrodatazione e nel
disporne la nomina a vice ispettore con decorrenza dalla data del
giuramento prestato, anziche' da quella riconosciuta ai colleghi
vincitori del suo stesso concorso.
La praticabilita' di una lettura costituzionalmente orientata
delle medesime e' esclusa dal loro tenore letterale, corroborato dal
raffronto sistematico con quanto e' diversamente disposto per i
concorrenti dimessi dal corso per vice sovrintendente per infermita'
contratta durante il corso o dipendente da causa di servizio, che
vincola invece l'Amministrazione, che ai sensi dell'art. 27, comma 2,
del decreto legislativo n. 443 del 1992 ammette a partecipare al
primo corso successivo l'allieva vice ispettore assente per ragioni
di gravidanza, a disporne la nomina secondo l'ordine della
graduatoria finale di questo stesso corso, ai sensi dell'art. 28,
comma 4, del decreto stesso.
Il comma 6 di quest'ultimo articolo, infatti, rende applicabili
alla nomina di vice ispettore, in quanto compatibili, le disposizioni
di cui al precedente art. 18, il quale, al comma 4, e' chiaro nel
prevedere la retrodatazione, ai soli effetti giuridici, della
decorrenza nella qualifica in favore del solo personale ammesso a
ripetere il corso per infermita' contratta durante il corso ovvero
per infermita' dipendente da causa di servizio e non anche del
personale di sesso femminile la cui assenza e' stata determinata da
maternita', pur godendo quest'ultimo dello stesso diritto a essere
ammesso al primo corso successivo utile (art. 18, comma 2).
Una diversa lettura forzerebbe inammissibilmente il dato
normativo, poiche' questo costituisce il limite cui deve arrestarsi
anche l'interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo essere
sollevato l'incidente di costituzionalita' ogni qual volta l'opzione
ermeneutica supposta conforme alla Costituzione sia incongrua
rispetto al tenore letterale della norma stessa (Cass., SS.UU., 1°
giugno 2021, n. 15177, e 22 marzo 2019, n. 8230, con richiamo a Corte
costituzionale sentenze n. 78 del 2012, n. 49 del 2015, n. 36 del
2016 e n. 82 del 2017).
Quanto ai concorrenti profili d'incompatibilita' della normativa
in questione con il diritto dell'Unione europea di cui appresso si
dira', il fatto che si controverta in materia diritti fondamentali
della persona rende palese la ricorrenza, nella specie, di
quell'opportunita' di sollecitare anzitutto un intervento con effetti
erga omnes della Corte costituzionale evidenziata dalla Corte stessa
(sentenza n. 20 del 2019; cfr. anche sentenze nn. 63 e 112 del 2019;
ordinanza n. 117 del 2019).
Infine, poiche' il denunciato contrasto coi parametri
costituzionali condiziona l'applicabilita' delle norme censurate nel
presente giudizio il quale ha per oggetto non solo una domanda di
annullamento degli atti impugnati ai fini della retrodatazione degli
effetti giuridici della nomina, ma anche una domanda di risarcimento
in forma specifica, ancora sotto forma di retrodatazione della
nomina, e comunque per equivalente monetario, non si ritiene
necessario esaminare gia' in questa sede la questione, rilevabile
d'ufficio, dell'integrita' del contraddittorio rispetto a coloro che
potrebbero avere interesse al mantenimento della decorrenza dal 18
dicembre 2014 dell'immissione in ruolo dell'appellante, senza che
cio' faccia venir meno la rilevanza della questione di
costituzionalita' di quelle disposizioni che concorrerebbero
all'ingiustizia del danno.
8. Per quanto concerne la non manifesta infondatezza della
questione, questo Consiglio (sez. II, 24 dicembre 2021, n. 8578) ha
gia' ricostruito in termini analitici, che il Collegio condivide e fa
propri, il quadro delle norme e dei principi che sono volti a evitare
ogni forma di discriminazione fondata sul sesso e a garantire la
parita' di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento
all'accesso al lavoro, osservando quanto segue:
«25. Sul piano sovranazionale, viene in rilievo, in primo
luogo, la Convenzione ONU sull'eliminazione di tutte le forme di
discriminazione nei confronti della donna adottata dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata e resa
esecutiva dall'Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132 che, all'art
11, sancisce "Gli Stati parte si impegnano a prendere ogni misura
adeguata al fine di eliminare la discriminazione nei confronti della
donna nel campo dell'impiego ed assicurare, sulla base della parita'
tra uomo e donna, gli stessi diritti", e "per prevenire la
discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio
o della loro maternita' e garantire il loro diritto effettivo al
lavoro, gli Stati parte si impegnano a prendere misure appropriate
tendenti a: (...) d) assicurare una protezione speciale alle donne
incinte per le quali e' stato dimostrato che il lavoro e' nocivo".
25.1 In ambito comunitario, l'art 23 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea dispone che "La parita' fra uomini e
donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di
occupazione, di lavoro e di retribuzione", mentre l'art. 157 (ex art.
141 del TCE) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
prevede, al comma 1, che "Ciascuno Stato membro assicura
l'applicazione del principio della parita' di retribuzione tra
lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno
stesso lavoro o per un lavoro di pari valore" e, al comma 3, che "Il
Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura
legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e
sociale, adottano misure che assicurino l'applicazione del principio
delle pari opportunita' e della parita' di trattamento tra uomini e
donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio
della parita' delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un
lavoro di pari valore."
25.2 La disposizione da ultimo citata ha costituito la base
normativa per l'adozione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio del
9 febbraio 1976, nonche' della piu' recente direttiva 2006/54/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, relative
all'attuazione del principio delle pari opportunita' e della parita'
di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e
impiego. L'art. 2, comma 3 [recte: paragrafo 2], lettera c) della
direttiva n. 2006/54/CE, riprendendo quanto gia' previsto dall'art.
2, comma 7 della direttiva 76/207/CEE, precisa che "Ai fini della
presente direttiva, la discriminazione comprende: (...) qualsiasi
trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni
collegate alla gravidanza o al congedo per maternita' ai sensi della
direttiva 92/85/CEE". L'art. 14 dispone, altresi', che "e' vietata
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei
settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico,
per quanto attiene: a) alle condizioni di accesso all'occupazione e
al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di
selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di
attivita' e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonche'
alla promozione". Infine, il ventitreesimo considerando della
medesima direttiva sancisce che "Dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole
nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla
maternita' costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso.
Pertanto, occorre includere esplicitamente tale trattamento nella
presente direttiva".
25.3 La Corte di giustizia, nel qualificare come
discriminazione diretta fondata sul sesso tanto il rifiuto di
assumere una donna a causa del suo stato di gravidanza quanto il
licenziamento di una lavoratrice per la medesima ragione (sent. 8
novembre 1990, Dekker, C-177/88 e Handels-og Kontorfunktionaerernes
Forbund, C-179/88; sentenza del 4 ottobre 2001, Jimenez Melgar,
C-438/99 e Tele Danmark A/S, C-109/00, nonche' sentenza 30 giugno
1998, Brown, C-394/96), ha avuto cura di distinguere il caso della
lavoratrice che si trova in stato di gravidanza da quella che versi
in stato di malattia che sopraggiunga dopo il congedo di maternita',
osservando che "Un tale stato patologico rientra quindi nel regime
generale applicabile alle ipotesi di malattia. Infatti i lavoratori
di sesso femminile e maschile sono del pari esposti alle malattie.
Anche se e' vero che taluni disturbi sono specifici dell'uno o
dell'altro sesso, l'unico problema e' quindi quello di sapere se una
donna viene licenziata per le assenze dovute a malattia nelle stesse
condizioni di un uomo; se per entrambi valgono le stesse condizioni
non vi e' discriminazione diretta in ragione del sesso" (sent.
Handels-og Kontorfunktionaerernes Forbund, C-179/88, punti 16 e 17).
La Corte ha, altresi', chiarito che "lo stato di gravidanza non e' in
alcun modo assimilabile ad uno stato patologico, a fortiori a
un'indisponibilita' non derivante da ragioni di salute, situazioni
che invece possono motivare il licenziamento di una donna senza che
per questo tale licenziamento sia discriminatorio in base al sesso.
Nella citata sentenza Hertz, la Corte ha d' altronde nettamente
distinto la gravidanza dalla malattia, anche nel caso di una malattia
causata dalla gravidanza ma che sopraggiunga dopo il congedo di
maternita'. Essa ha precisato (punto 16) che non e' il caso di
distinguere tale malattia da qualsiasi altra malattia" (sentenza 14
luglio 1994, Carole Louise Webb C-32/93, punto 25).
26. Sul piano costituzionale rilevano non solo gli articoli 3 e
51 della Costituzione, richiamati anche dal giudice di primo grado,
ma anche l'art. 4 della Costituzione ("la Repubblica riconosce a
tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto"), l'art. 31 della Costituzione che
qualifica compito della Repubblica l'agevolazione della formazione
della famiglia e la protezione della maternita', e l'art. 37 della
Costituzione che impone la fissazione di condizioni di lavoro per la
donna compatibili con l'adempimento della sua funzione familiare.
26.1 Il legislatore ordinario, dal canto suo, ha dato
attuazione ai precetti costituzionali, statuendo che "la parita' di
trattamento e di opportunita' tra donne e uomini deve essere
assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del
lavoro e della retribuzione" (art. 1, comma 2, decreto legislativo 11
aprile 2006, n. 198 il c.d. Codice delle pari opportunita' tra uomo e
donna).
26.2 I principi sottesi al quadro normativo sopra richiamato,
sono stati puntualizzati e ribaditi dalla Corte costituzionale, la
quale ha sancito che "il principio posto dall'art. 37 - collegato al
principio di uguaglianza - impone alla legge di impedire che possano,
dalla maternita' e dagli impegni connessi alla cura del bambino,
derivare conseguenze negative e discriminatorie. Entrambe queste
esigenze impongono, per lo stato di gravidanza e puerperio, di
adottare misure legislative dirette non soltanto alla conservazione
dell'impiego, ma anche ad evitare che nel relativo periodo di tempo
intervengano, in relazione al rapporto di lavoro, comportamenti che
possano turbare ingiustificatamente la condizione della donna ed
alterare il suo equilibrio psico-fisico, con serie ripercussioni
sulla gestazione o, successivamente, sullo sviluppo del
bambino"(sentenza n. 61 del 1991; cfr. anche 12 settembre 1995 n.
423, la quale ha precisato che il rilievo costituzionale del valore
rappresentato dal ruolo di madre della lavoratrice comporta che, nel
rapporto di lavoro, non possono frapporsi ne' ostacoli, ne' remore,
alla gravidanza e alla cura del bambino nel periodo di puerperio).
27. L'impianto normativo, sia nazionale che sovranazionale, e'
univoco nell'escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare
un ostacolo nell'accesso al lavoro o fonte di discriminazione
nell'ambito del rapporto lavorativo. Per tale ragione, il decreto
ministeriale 17 maggio 2000, n. 155 (Regolamento recante norme per
l'accertamento dell'idoneita' al servizio nella Guardia di finanza)
non puo' che essere letto alla luce delle coordinate sopra
richiamate, in quanto volto a garantire l'uguaglianza sostanziale dei
candidati che aspirano all'arruolamento in Guardia di finanza e ad
evitare che la gravidanza, di per se', possa costituire una causa di
esclusione dal concorso, e, quindi, fonte di una discriminazione
diretta fondata sul sesso, la cui eliminazione si impone come un
obiettivo multilivello.
27.1 L'uguaglianza sostanziale tra i candidati, senza
distinzione di genere, sarebbe frustrata in via definitiva se lo
stato di gravidanza si trasformasse da impedimento temporaneo
all'accertamento a causa definitiva di esclusione. Giova, sotto tale
profilo, richiamare i principi espressi dalla Corte di giustizia,
secondo cui il rifiuto d'assunzione per motivo di gravidanza puo'
opporsi solo alle donne e rappresenta, quindi, una discriminazione
diretta a motivo del sesso (sent. 8 novembre 1990, Dekker, C-177/88,
punto 12)».
9. A tanto deve aggiungersi che la Corte di giustizia, con
riferimento alla direttiva comunitaria del 1976 di cui sopra gia' si
e' detto, ha altresi' chiarito che la posticipazione dell'entrata in
servizio in qualita' di dipendente di ruolo conseguente al congedo di
maternita' di cui abbia beneficiato l'interessata costituisce un
trattamento sfavorevole vietato giacche' «[l]a direttiva del
Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del
principio della parita' di trattamento fra gli uomini e le donne per
quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla
promozione professionali e le condizioni di lavoro, osta ad una
normativa nazionale che non riconosce ad un lavoratore di sesso
femminile che si trova in congedo di maternita' gli stessi diritti
riconosciuti ad altri vincitori dello stesso concorso di assunzione
per quanto riguarda le condizioni di accesso alla carriera di
dipendente di ruolo posticipando la sua entrata in servizio alla
scadenza di questo congedo, senza prendere in considerazione la
durata del detto congedo nel calcolo dell'anzianita' di servizio di
questo lavoratore» (sent. 16 febbraio 2006, Sarkatzis Herrero,
C294/04).
In quel caso, dove la ricorrente nel giudizio a quo aveva
ottenuto un nuovo impiego durante un congedo di maternita' e la data
della sua entrata in servizio era stata posticipata alla scadenza di
tale congedo, la Corte ha rimarcato che «poiche' la direttiva 76/207
mira ad un'uguaglianza sostanziale e non formale, le disposizioni
degli articoli 2, nn. 1 e 3, e 3 di questa direttiva devono essere
interpretate nel senso che vietano qualsiasi trattamento sfavorevole
di un lavoratore di sesso femminile a causa di un congedo di
maternita' o in relazione con un tale congedo, diretto alla tutela
della donna incinta, senza che occorra tener conto del fatto che il
detto trattamento riguarda un rapporto di lavoro esistente o un nuovo
rapporto di lavoro» (sentenza Sarkatzis Herrero, cit., punto 41).
Piu' di recente la Corte medesima, investita in via pregiudiziale
dal Tribunale amministrativo regionale Lazio nell'ambito di una
controversia concernente la dimissione da un corso di formazione per
l'assunzione della qualifica di vice commissario di polizia
penitenziaria a seguito della prolungata assenza dell'interessata
motivata da un congedo obbligatorio di maternita', a fronte della
rappresentata esigenza, per motivi di interesse pubblico, di
ammettere all'esame solo candidati adeguatamente preparati a
esercitare le loro nuove funzioni attraverso la loro partecipazione a
tutte le lezioni previste nell'ambito del relativo corso di
formazione, ha ribadito il principio per cui le autorita' nazionali
«quando adottano le misure che ritengono necessarie per garantire la
pubblica sicurezza di uno Stato membro (v., in particolare, sentenza
dell'11 gennaio 2000, Kreil, C285/98, Racc. pag. I69, punto 24), esse
sono tuttavia tenute, quando adottano misure in deroga a un diritto
fondamentale, quale il diritto alla parita' di trattamento tra uomini
e donne, di cui la direttiva 2006/54 mira a garantire l'attuazione, a
rispettare il principio di proporzionalita', che fa parte dei
principi generali del diritto dell'Unione (v., in tal senso, in
particolare, sentenza Kreil, cit., punto 23)» (sentenza 6 marzo 2014,
Napoli, C-595/12, punto 35).
Ha affermato la Corte che «si deve constatare che una misura come
quella controversa nella causa principale, che prevede l'esclusione
automatica dal corso di formazione e comporta l'impossibilita' di
presentarsi a sostenere l'esame organizzato in seguito senza tenere
conto, in particolare, ne' della fase del corso in cui si verifica
l'assenza per congedo di maternita', ne' della formazione gia'
acquisita, e che si limita a riconoscere alla donna che abbia fruito
di detto congedo il diritto di partecipare a un corso di formazione
organizzato in data successiva ma incerta, non appare conforme al
principio di proporzionalita'» (sentenza Napoli, cit., punto 36).
Ha quindi rilevato che «[l]a violazione di tale principio e'
tanto piu' flagrante in quanto, come rilevato dal giudice del rinvio,
la circostanza che l'inizio del successivo corso di formazione
costituisca un evento incerto deriva dal fatto che le autorita'
competenti non sono obbligate a organizzare detto corso a scadenze
predeterminate» (punto 37) e ha convenuto col giudice del rinvio
anche sul fatto che «le autorita' nazionali potrebbero eventualmente
prevedere di conciliare l'esigenza di formazione completa dei
candidati con i diritti della lavoratrice predisponendo, per la
lavoratrice che rientra da un congedo di maternita', corsi paralleli
di recupero equivalenti a quelli inizialmente dispensati, di modo che
la lavoratrice possa essere ammessa, in tempo utile, all'esame che le
consentira' di accedere il prima possibile a un livello superiore di
carriera, cosicche' l'evoluzione della sua carriera non risulti
sfavorita rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore
dello stesso concorso e ammesso allo stesso corso di formazione
iniziale» (punto 38).
10. Le disposizioni di legge sopra richiamate che pur prevedendo,
a tutela della gravidanza e delle lavoratrici madri, che alla
dimissione dall'originario corso di formazione determinata da
maternita' segua l'ammissione alla partecipazione al primo corso di
formazione successivo ai periodi di assenza obbligatoria, tuttavia
non prevengono e comunque non temperano l'effetto distorsivo e
penalizzante per la carriera delle allieve vice ispettrici di questa
postergazione rispetto ai colleghi di sesso maschile vincitori del
loro stesso concorso (con disincentivo alla partecipazione delle
donne al concorso ovvero alla maternita') e, dunque, non si
sottraggono certamente al dubbio di non garantire l'uguaglianza e la
parita' di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento
all'accesso al lavoro e di discriminare le donne a causa della
maternita', dubbio che alla luce di tutte le considerazioni finora
svolte non puo' dirsi manifestamente infondato.
Tanto piu' che ad escludere la possibilita' di invocare in senso
opposto la discrezionalita' del legislatore nel contemperamento di
valori costituzionali diversi sta il fatto che la limitata tutela
assicurata dalla legislazione vigente, come sopra ricostruita, non
risponde al principio di proporzionalita' gia' secondo la
giurisprudenza nella Corte di giustizia.
D'altronde la retrodatazione agli effetti giuridici della nomina
in ruolo alla stessa data di decorrenza attribuita agli idonei del
corso di formazione originario e' la soluzione gia' prescelta dal
legislatore per i vincitori del concorso per vice sovrintendente
dimessi dal corso per infermita' (contratta durante il corso o
dipendente da causa di servizio), indipendentemente dall'epoca in cui
essi in concreto abbiano potuto ripetere il corso, considerandola
all'evidenza lo strumento maggiormente idoneo o, comunque,
preferibile per apprestare una tutela piena ed effettiva in quei casi
di legittimo impedimento.
11. Per queste ragioni il giudizio va sospeso e vanno rimesse
alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 1 della legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, della legge 11
marzo 1953, n. 87, le questioni di legittimita' costituzionale degli
articoli 27, comma 2, e 28, comma 4, del decreto legislativo 30
ottobre 1992, n. 443, nella parte in cui non prevedono che gli
allievi ispettori di sesso femminile ammessi a partecipare al primo
corso successivo ai periodi di assenza dal lavoro previsti dalle
disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri possano essere
promossi con la medesima decorrenza giuridica attribuita agli idonei
del corso da cui erano stati dimessi, in mancanza della possibilita'
di partecipare a corsi paralleli di recupero organizzati in data
certa e ragionevolmente ravvicinata, perche' in contrasto con gli
articoli 3, 31, 37 e 117, primo comma, della Costituzione in
riferimento all'art. 23 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, agli articoli 2, paragrafo 2, lettera c), e 14,
paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 e all'art. 11 della
Convenzione ONU sull'eliminazione di tutte le forme di
discriminazione nei confronti della donna adottata dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata e resa
esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione seconda)
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli
articoli 3, 31, 37 e 117, primo comma, della Costituzione in
riferimento all'art. 23 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, agli articoli 2, paragrafo 2, lettera c), e 14,
paragrafo, 1 lettera a), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 e all'art. 11 della
Convenzione ONU sull'eliminazione di tutte le forme di
discriminazione nei confronti della donna adottata il 18 dicembre
1979, ratificata e resa esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132, la
questione di legittimita' costituzionale, nei termini di cui in
motivazione, degli articoli 27, comma 2, e 28, comma 4, del decreto
legislativo 30 ottobre 1992, n. 443.
Sospende il giudizio in corso e ordina l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia
notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera
dei deputati.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'art. 52,
commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e
all'art. 9, paragrafi 1 e 4, del regolamento (UE) 2016/679 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'art.
2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come
modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla
Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del
presente provvedimento, all'oscuramento delle generalita' nonche' di
qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di
persone comunque ivi citate.
Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 28
giugno 2022, con l'intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente;
Giovanni Sabbato, consigliere;
Francesco Frigida, consigliere;
Francesco Guarracino, consigliere, estensore;
Carmelina Addesso, consigliere.
Il Presidente: Castriota Scanderbeg
L'estensore: Guarracino