ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nonché dell’art. 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, promosso dalla Corte di cassazione, prima sezione penale, nel procedimento penale a carico di S.F. P., con ordinanza del 3 giugno 2020, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti l’atto di costituzione di S.F. P., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2022 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi l’avvocato Giovanna Beatrice Araniti per S.F. P. e l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 novembre 2022.
Ritenuto che, con ordinanza del 3 giugno 2020, depositata il 18 giugno 2020 (r.o. n. 100 del 2020), la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nonché dell’art. 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis del codice penale, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia;
che la Corte rimettente è investita del ricorso per cassazione proposto, contro un’ordinanza del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, da persona irrevocabilmente condannata alla pena dell’ergastolo con sentenza della Corte di assise di Palermo del 24 giugno 2005, confermata dalla locale Corte di assise di appello (decisione irrevocabile dal 9 febbraio 2007), per un delitto di omicidio volontario aggravato ex art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, come convertito;
che il condannato si è rivolto al Tribunale di sorveglianza per ottenere un provvedimento di liberazione condizionale;
che la richiesta, tuttavia, è stata dichiarata inammissibile, anche perché la pena in corso di esecuzione è stata inflitta per un reato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività della associazione in esso prevista (associazione di tipo mafioso) e i benefici penitenziari e la stessa liberazione condizionale possono essere accordati solo se il condannato abbia prestato collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter ordin. penit., o si sia trovato nella impossibilità di collaborare efficacemente, circostanze non sussistenti nella specie;
che, avendo il ricorrente già scontato oltre ventisei anni di reclusione (anche grazie a provvedimenti di liberazione anticipata), e risultando elementi sintomatici del suo possibile ravvedimento, il rimettente sostiene la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, volte a temperare il valore preclusivo assoluto della mancata collaborazione;
che la Corte di cassazione, prima sezione penale, in punto di non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, osserva – nel solco della giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo – che solo la residua possibilità per i condannati alla pena perpetua di ottenere il beneficio della liberazione condizionale, anche attraverso il computo dei periodi di liberazione anticipata, avrebbe finora trattenuto la disciplina dell’ergastolo nell’alveo della compatibilità costituzionale e convenzionale;
che, nel ragionamento del rimettente, assume rilievo centrale la sentenza n. 253 del 2019, con la quale questa Corte avrebbe riconosciuto che la disciplina allora vigente istituiva una presunzione assoluta di perdurante pericolosità nel caso di mancata collaborazione, di conseguenza affermando l’illegittimità costituzionale del connesso divieto di accordare permessi premio in caso di reato “ostativo”, ritenendo necessario che il giudice, superando la soglia di ammissibilità rappresentata dalla preclusione concernente i non collaboratori, possa valutare ed eventualmente valorizzare situazioni di sicuro ravvedimento del condannato;
che a maggior ragione tale necessità si manifesterebbe quando la rilevante durata del percorso carcerario, il tempo trascorso dal fatto e la prolungata sperimentazione del trattamento rendono elevata la probabilità di seri e profondi mutamenti della personalità del detenuto;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata, in quanto la disciplina censurata sarebbe giustificata dalla rilevante gravità dei reati cui è connessa la pena dell’ergastolo, discrezionalmente stabilita dal legislatore e comunque proporzionata alla rilevanza dei beni giuridici compromessi;
che in particolare, a giudizio dell’interveniente, non sarebbe affatto arbitraria la presunzione che, nel contesto mafioso, l’atteggiamento non collaborativo sia dovuto alla volontà di non recidere i rapporti con l’ambiente di provenienza;
che, nelle more del giudizio incidentale, sono state depositate da gruppi ed organizzazioni, nel ruolo dichiarato di amici curiae, varie memorie scritte, ammesse con decreto presidenziale del 15 febbraio 2021, ai sensi dell’art. 4-ter, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
che la parte ricorrente nel giudizio principale ha depositato una memoria di costituzione nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, assumendo che, nella specie, il ravvedimento del condannato, nonostante sia sempre mancata una scelta di collaborazione, sarebbe pienamente provato, così come sussisterebbero le ulteriori condizioni per l’accesso alla liberazione condizionale;
che la parte insiste affinché sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme censurate dal giudice rimettente, riprendendo diffusamente le motivazioni alla base della sentenza n. 253 del 2019, al fine di argomentare contro la presunzione assoluta di pericolosità sociale insita nella normativa censurata;
che, all’esito dell’udienza pubblica del 23 marzo 2021, questa Corte ha pronunciato l’ordinanza n. 97 del 2021, con la quale ha, in primo luogo, evidenziato il ruolo dell’istituto della liberazione condizionale, quale garanzia di compatibilità della pena dell’ergastolo di cui all’art. 22 cod. pen. con il principio di risocializzazione presidiato dall’art. 27 Cost., ribadendo che la liberazione condizionale è l’unico istituto che, in virtù della sua esistenza nell’ordinamento, rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell’ergastolo;
che, in tale pronuncia, si è sottolineato come la disciplina “ostativa” contenuta nell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., da una parte elevi la utile collaborazione a presupposto indefettibile per l’accesso (anche) alla liberazione condizionale, dall’altra sancisca, a carico del detenuto non collaborante, una presunzione assoluta di perdurante pericolosità (dovuta, in tesi, alla mancata rescissione dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata), non superabile da altro se non dalla collaborazione stessa, che lo esclude in radice dall’accesso ai benefici penitenziari e, appunto, fra questi, alla liberazione condizionale;
che, pertanto, ha proseguito l’ordinanza n. 97 del 2021, alcune delle rationes decidendi poste a base della già citata sentenza n. 253 del 2019 sono utili per scrutinare anche le questioni all’odierno esame;
che la medesima ordinanza ha, quindi, ribadito che la presunzione di pericolosità gravante sul condannato all’ergastolo per reati di contesto mafioso che non collabora con la giustizia non è, di per sé, in tensione con i parametri costituzionali evocati dal rimettente, perché non è affatto irragionevole presumere che costui mantenga vivi i legami con l’organizzazione criminale di originaria appartenenza;
che, tuttavia, la collaborazione non può essere considerata l’unica strada a disposizione del condannato a pena perpetua per accedere alla valutazione da cui dipende, decisivamente, la sua restituzione alla libertà, perché è sempre necessario – come già statuito con la sentenza n. 253 del 2019 per la concessione dei permessi premio – che la presunzione in esame diventi relativa e possa essere vinta da prova contraria, valutabile dal tribunale di sorveglianza;
che, in ogni caso, in relazione a condannati per reati di affiliazione a una associazione mafiosa (e per reati a questa collegati), la valutazione in concreto di accadimenti idonei a superare la presunzione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata – da parte di tutte le autorità coinvolte, e in primo luogo ad opera del magistrato di sorveglianza – deve rispondere a criteri di particolare rigore, proporzionati alla forza del vincolo imposto dal sodalizio criminale del quale si esige l’abbandono definitivo;
che, in particolare, la presunzione di pericolosità sociale del condannato all’ergastolo che non collabora, per quanto non debba più essere assoluta, può risultare superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carceraria o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione;
che, prosegue l’ordinanza n. 97 del 2021, per l’accesso alla liberazione condizionale di un ergastolano (non collaborante) per delitti collegati alla criminalità organizzata, e per la connessa valutazione del suo sicuro ravvedimento, è necessaria l’acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere, sia l’attualità di suoi collegamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino;
che questa Corte, dopo aver illustrato le ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata, ha tuttavia sottolineato che un proprio intervento meramente “demolitorio” avrebbe potuto mettere a rischio il complessivo equilibrio della disciplina in esame, e, soprattutto, le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa;
che, dunque, facendo leva sui propri poteri di gestione del processo costituzionale, questa Corte ha quindi disposto il rinvio del giudizio in corso e ha fissato una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame all’udienza del 10 maggio 2022, dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia;
che all’invito rivolto al Parlamento da questa Corte ha fatto seguito l’approvazione, in data 31 marzo 2022, di un disegno di legge da parte della Camera dei deputati, contenente una complessiva normativa di riforma della disciplina oggetto del presente scrutinio;
che tale disegno di legge è stato trasmesso al Senato della Repubblica in data 1° aprile 2022, dove ha assunto il numero AS 2574 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia);
che, con istanze di differimento depositate in data 4 e 5 maggio 2022, e dunque pochi giorni prima dell’udienza del 10 maggio 2022, l’Avvocatura generale dello Stato ha richiesto un ulteriore rinvio, evidenziando lo stato avanzato dei lavori parlamentari di approvazione del complessivo disegno di legge riformatore della normativa sub iudice;
che, con istanza depositata in data 6 maggio 2022, S.F. P. ha invece presentato «richiesta motivata di rigetto dell’istanza di differimento dell’udienza da parte dell’Avvocatura dello Stato»;
che, all’esito dell’udienza del 10 maggio 2022, udite le parti, questa Corte, con ordinanza n. 122 del 2022, ha accolto l’istanza di ulteriore differimento, disponendo un rinvio all’udienza dell’8 novembre 2022, dando atto dei lavori parlamentari in precedenza illustrati;
che, dopo il nuovo rinvio dell’udienza di discussione, l’iter del procedimento legislativo non si è completato, anche per lo scioglimento anticipato delle Camere, disposto dal Presidente della Repubblica con decreto firmato il 21 luglio 2022.
Considerato che, come emerge dalle premesse in fatto innanzi illustrate, le questioni sollevate riguardano, specificamente, la legittimità costituzionale della disciplina relativa al cosiddetto ergastolo ostativo;
che la Corte di cassazione rimettente censura non solo la disciplina “ostativa” contenuta nell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., ma (oltre alla previsione del successivo art. 58-ter) anche, in particolare, il contenuto dell’art. 2 del d.l. n. 152 del 1991, come convertito, in base al cui comma 1 il regime restrittivo per l’accesso ai benefici penitenziari, previsto all’art. 4-bis ordin. penit., si estende anche alla disciplina della liberazione condizionale;
che, quindi, è sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale la normativa che non consente al condannato all’ergastolo per delitti di “contesto” mafioso, che non collabori utilmente con la giustizia e che abbia già scontato ventisei anni di carcere (anche grazie a provvedimenti di liberazione anticipata), di essere ammesso al beneficio della liberazione condizionale, in forza di una presunzione assoluta di mancata rescissione dei suoi legami con la criminalità organizzata, non superabile se non per effetto della collaborazione stessa;
che la Camera dei deputati ha approvato, in data 31 marzo 2022, il disegno di legge ricordato in precedenza;
che, tuttavia, tale disegno di legge non è stato approvato anche dal Senato della Repubblica;
che in data 21 luglio 2022 il Presidente della Repubblica ha disposto lo scioglimento anticipato delle Camere, nonché la convocazione dei comizi per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica per il giorno 25 settembre 2022;
che la prima riunione delle nuove Camere ha avuto luogo il giorno 13 ottobre 2022;
che il Governo, ricevuta la fiducia dalle Camere, con il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore in pari data, ha apportato modifiche alla disciplina prevista dall’art. 4-bis ordin. penit., ravvisando i presupposti di straordinaria necessità e urgenza previsti dall’art. 77 Cost. nei «moniti rivolti dalla Corte costituzionale al legislatore per l’adozione di una nuova regolamentazione dell’istituto al fine di ricondurlo a conformità con la Costituzione», nonché nella «imminenza della data dell’8 novembre 2022, fissata dalla Corte costituzionale per adottare la propria decisione in assenza di un intervento del legislatore»;
che il d.l. n. 162 del 2022 incide sulle disposizioni oggetto del presente giudizio, riproducendo – salvo limitate modifiche – il testo del ricordato disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati nel corso della precedente legislatura;
che, per quanto qui rilevante, il provvedimento d’urgenza prevede all’art. 1, comma 1, lettera a), numero 2), l’integrale sostituzione del comma 1-bis dell’art. 4-bis ordin. penit., e l’aggiunta di due nuovi commi (1-bis.1 e 1-bis.2);
che la nuova disciplina trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo;
che la disciplina della collaborazione impossibile o irrilevante – pur ancora applicabile, in forza della previsione di cui all’art. 3, comma 2, del d. l. n. 162 del 2022 ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell’art. 4-bis ordin. penit. – viene sostituita dalla nuova regolamentazione dell’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, applicabile a tutti i detenuti ed internati che non collaborano con la giustizia;
che, quanto ai detenuti e agli internati per delitti di contesto mafioso e, in generale, di tipo associativo, i benefici possono essere loro concessi purché dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o «l’assoluta impossibilità di tale adempimento», nonché alleghino elementi specifici – diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza – che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché, ancora, la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa;
che ai detenuti per i restanti reati indicati dal comma 1 dell’art. 4-bis ordin. penit. si richiede il rispetto delle medesime condizioni, depurate, tuttavia, da indicazioni non coerenti con la natura dei reati che vengono in rilievo, sicché la richiesta allegazione deve avere ad oggetto elementi idonei ad escludere l’attualità dei collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso (non anche il pericolo di ripristino dei collegamenti con tale contesto);
che l’art. 1, comma 1, lettera a), numero 3), prevede l’ampliamento delle fonti di conoscenza cui la magistratura di sorveglianza deve ricorrere e la modifica del relativo procedimento, nonché l’onere in capo al detenuto di fornire elementi di prova contraria in caso di indizi, emergenti dall’istruttoria, dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di loro ripristino;
che l’art. 2 del d.l. n. 162 del 2022 prevede l’innalzamento della durata del periodo di pena da espiare (per quanto qui rilevante, «almeno trenta anni di pena, quando vi è stata condanna all’ergastolo», in luogo dei precedenti ventisei) per l’accesso alla liberazione condizionale del detenuto per reati ostativi non collaborante, nonché l’allungamento della durata della libertà vigilata (dieci anni, anziché cinque) in caso di condanna all’ergastolo;
che, quindi, si è in presenza di una modifica complessiva della disciplina interessata dalle questioni di legittimità costituzionale in esame e, per quel che qui particolarmente interessa, di una trasformazione da assoluta in relativa della presunzione di pericolosità del condannato all’ergastolo per reati ostativi non collaborante, cui è concessa – sia pur in presenza degli stringenti requisiti ricordati – la possibilità di domandare la liberazione condizionale e, così, di vedere vagliata nel merito la propria istanza;
che tale modifica – sebbene operata da un decreto-legge ancora in corso di conversione – incide immediatamente sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione;
che la giurisprudenza costituzionale – quando le modifiche apportate incidono così «profondamente sull’ordito logico che sta alla base delle censure prospettate» (ordinanze n. 97 del 2022 e n. 60 del 2021), oppure intaccano il meccanismo contestato dal rimettente (ordinanza n. 55 del 2020) – è costante nel ricavarne la necessità di restituire gli atti al giudice a quo, spettando a quest’ultimo, sia verificare l’influenza della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate (ordinanza n. 243 del 2021), sia procedere alla rivalutazione della loro non manifesta infondatezza, tenendo conto delle intervenute modifiche normative (ordinanze n. 97 del 2022, n. 60 del 2021 e n. 185 del 2020);
che spetta, pertanto, al giudice rimettente valutare la portata applicativa dello ius superveniens nel giudizio a quo, anche all’esito del procedimento di conversione del decreto-legge.