Titolo
Finanza pubblica - Rapporti finanziari tra stato e regione siciliana - Disposizioni di legge dello stato in materia finanziaria - Ricorso della regione siciliana in via principale - Riserva all'erario, per risanamento del bilancio statale, di entrate derivanti dai provvedimenti legislativi impugnati - Lamentata genericità della riserva, in violazione della regola della devoluzione alla regione delle entrate erariali riscosse nel suo territorio, ad eccezione di "nuove entrate" destinate a particolari finalità - Conformita' delle disposizioni impugnate alla normativa di attuazione statutaria - Non fondatezza della questione.
Testo
Non ledono l'autonomia finanziaria della Regione Siciliana le disposizioni della legge n. 662 del 1996 (artt. 2, comma 154, e 3, comma 216) e del decreto-legge n. 669 del 1996, convertito dalla legge n. 30 del 1997 (art. 7), in quanto la riserva all'erario di entrate che trovano la loro fonte nei provvedimenti legislativi impugnati, non si discosta da quanto prevede la normativa di attuazione statutaria (art. 2, primo comma, seconda parte, del d.P.R. n. 107 del 1965), a tenore della quale singole leggi statali possono destinare il gettito di "nuove entrate tributarie" riscosse nell'ambito del territorio regionale a finalita' contingenti o continuative dello Stato specificate nelle stesse leggi (nella specie, allo scopo di risanamento del bilancio statale); ferma la possibilita', in sede applicativa e con gli strumenti appropriati - ivi compreso il conflitto di attribuzione -, che la Regione difenda la propria autonomia da eventuali illegittime lesioni, ove sorga controversia circa il carattere di "nuove entrate tributarie" attribuibile a questo o a quel gettito. Pertanto non sono fondate le questioni sollevate nei confronti delle suddette disposizioni di legge.
Atti oggetto del giudizio
legge
23/12/1996
n. 662
art. 2
co. 154
legge
23/12/1996
n. 662
art. 3
co. 216
decreto-legge
31/12/1996
n. 669
art. 7
co. 1
legge
28/02/1997
n. 30
Parametri costituzionali
statuto regione Sicilia
art. 36
Altri parametri e norme interposte
decreto del Presidente della Repubblica
26/07/1965
n. false
art. 2
Titolo
Finanza pubblica - Rapporti finanziari tra stato e regione siciliana - Riserva all'erario di tributi riscossi nell'ambito del territorio regionale - Ricorso della regione siciliana in via principale - Omessa previsione della partecipazione della stessa regione al procedimento di definizione delle modalità di attuazione delle clausole di riserva - Conseguente lesione dell'autonomia finanziaria della regione siciliana - Illegittimita' costituzionale 'in parte qua'.
Testo
Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 2, comma 154, e 3, comma 216, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e 7, comma 1, del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, nella parte in cui dette disposizioni, nello stabilire che le modalita' di attuazione della clausola di riserva all'erario di nuove entrate riscosse nella Regione Siciliana siano definite con decreto ministeriale, non prevedono la partecipazione della Regione Siciliana al relativo procedimento. Tale partecipazione e' infatti richiesta dal principio di leale cooperazione fra Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la' dove si verifichino, come in questa ipotesi accade, interferenze fra le rispettive sfere e i rispettivi ambiti finanziari. E' comunque in facolta' della stessa Regione Siciliana di avvalersi degli ordinari rimedi giurisdizionali previsti dall'ordinamento, nel caso essa ritenga che l'attuazione delle norme di riserva sia avvenuta in violazione della legalita', ovvero di promuovere il ricorso per conflitto di attribuzioni, ove insorga controversia sull'ambito delle rispettive sfere presidiate da norme costituzionali o di attuazione dello statuto.
Atti oggetto del giudizio
legge
23/12/1996
n. 662
art. 2
co. 154
legge
23/12/1996
n. 662
art. 3
co. 216
decreto-legge
31/12/1996
n. 669
art. 7
legge
28/02/1997
n. 30
Parametri costituzionali
statuto regione Sicilia
art. 36
Altri parametri e norme interposte
decreto del Presidente della Repubblica
26/07/1965
n. false
art. 2
N. 98
SENTENZA 5-13 APRILE 2000
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 154,
e 3, comma 216, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante "Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica", e dell'art. 7 del
decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, recante "Disposizioni urgenti
in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della
manovra di finanza pubblica per l'anno 1997", convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, promossi con due
ricorsi della Regione Siciliana, notificati rispettivamente il
27 gennaio e il 27 marzo 1997, depositati in Cancelleria,
rispettivamente, il 30 gennaio ed il 7 aprile 1997, ed iscritti ai
nn. 18 e 32 del registro ricorsi 1997.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 2000 il giudice relatore
Valerio Onida;
Uditi gli avvocati Franco Castaldi, Giovanni Lo Bue e Francesco
Torre per la Regione Siciliana e l'avvocato dello Stato Giancarlo
Mandò per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 27 gennaio e depositato il
30 gennaio 1997 (Reg. ric. n. 18 del 1997) la Regione Siciliana ha
impugnato, in riferimento agli articoli 14, lettera r), 17, lettera
d) 20, 21, terzo comma, e 36 dello statuto speciale e alle relative
norme di attuazione in materia di pubblica istruzione e in materia
finanziaria, gli articoli 1, comma 85, 2, comma 154, e 3, commi 158 e
216, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica).
A seguito dell'udienza pubblica del 26 gennaio 1999 questa Corte
ha deciso, con sentenza n. 111 del 1999, oltre ad un profilo comune
di illegittimità costituzionale sollevato dalla ricorrente nei
confronti di tutte le disposizioni impugnate, le questioni specifiche
sollevate nei confronti dell'art. 1, comma 85, e dell'art. 3, comma
158. Il giudizio è proseguito quindi limitatamente alle specifiche
questioni di legittimità costituzionale, sollevate con il terzo
motivo del ricorso, nei confronti dell'art. 2, comma 154, e
dell'art. 3, comma 216, della stessa legge n. 662 del 1996, in
riferimento all'art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme
di attuazione in materia finanziaria, nonché ai principi di certezza
del diritto e di leale cooperazione.
Si tratta di due disposizioni di tenore simile, che riservano
all'erario, rispettivamente, le entrate derivanti dai commi da 133 a
165 dell'art. 2, e le entrate derivanti dalla legge n. 662 nella sua
globalità, destinandole a concorrere "alla copertura degli oneri per
il servizio del debito pubblico, nonché alla realizzazione delle
linee di politica economica e finanziaria in funzione degli impegni
di riequilibrio del bilancio assunti in sede comunitaria", e
stabiliscono che con decreto del Ministro delle finanze (per il solo
art. 2, comma 154, di concerto con il Ministro del tesoro) "sono
definite, ove necessarie, le modalità" di attuazione di quanto
previsto negli stessi commi in questione.
La ricorrente osserva che la legge n. 662 contiene, oltre a
diverse disposizioni che istituiscono nuovi tributi, sostituiscono
imposte esistenti con altro tipo di imposizioni, ed elevano aliquote
di tributi, interventi molteplici e di varia natura caratterizzati
dall'apparente intento di ridisegnare fattispecie tributarie, cause
di detrazione o di deduzione, o di allargare la base imponibile (ad
esempio attraverso l'aumento delle rendite catastali), ma
sostanzialmente rivolti a procurare, in "forme trasversali", maggiori
entrate.
Tali interventi sulla base imponibile di tributi esistenti, che
consentono l'acquisizione di maggiori entrate, non darebbero però
luogo a quelle "nuove entrate tributarie" che l'art. 2 del d.P.R.
26 luglio 1965, n. 1074, nell'attribuire alla Regione la spettanza
delle entrate tributarie erariali (salvo alcune eccezioni) riscosse
nel suo territorio, consente di riservare allo Stato con apposite
leggi, che le destinino al soddisfacimento di particolari finalità
specificate nelle leggi medesime. Nuove entrate tributarie, a questi
fini, sarebbero solo, secondo la ricorrente, quelle derivanti dalla
istituzione di nuovi tributi o dall'incremento delle aliquote di
tributi preesistenti: non ricorrendo, nella specie, tali ipotesi, la
devoluzione allo Stato dei maggiori proventi sarebbe illegittima.
Lamenta la ricorrente che nelle norme impugnate non vi è alcuna
indicazione dei criteri per distinguere i proventi nuovi da ciò che
nuovo non è, limitandosi esse a rinviare ad un decreto ministeriale
la indicazione dei criteri selettivi: si impedirebbe così il
controllo sul corretto esercizio della deroga, e verrebbe meno la
prevedibilità delle relative decisioni, con violazione della
certezza del diritto. Per aversi tutela effettiva, occorrerebbe che
le norme fossero sufficientemente precise e dettagliate, nonché
ancorate a precisi indicatori quantitativi.
Il vulnus al principio di leale cooperazione sarebbe ancora più
grave per non essersi prevista alcuna forma di partecipazione e
consultazione della Regione nella determinazione dei maggiori
proventi derivanti dagli interventi in parola. La Regione sarebbe
stata totalmente ignorata, in quanto il Presidente della Regione non
sarebbe stato invitato al Consiglio dei ministri in cui si è
discussa e approvata la normativa in questione, e il decreto
ministeriale verrebbe a determinare discrezionalmente, senza alcuna
partecipazione della Regione, il quantum dei maggiori proventi
riservati allo Stato.
2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, costituitosi nel
giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, osserva, in ordine alle
censure qui esaminate, che questa Corte, nella sentenza n. 429 del
1996, ha giudicato infondato il dubbio di legittimità costituzionale
che investiva una clausola legislativa (art. 3, comma 241, della
legge n. 549 del 1995) identica a quella contenuta nell'art. 3, comma
216, della legge impugnata, e ha precisato che il requisito della
novità dell'entrata può ritenersi soddisfatto anche con riferimento
ad entrate derivanti dall'aumento delle aliquote di tributi
preesistenti.
Le norme della legge n. 662 del 1996, inoltre, solo in parte
determinerebbero entrate aggiuntive relative a tributi preesistenti,
mediante la rimodulazione di una serie di imposte erariali attraverso
l'accorpamento delle aliquote; per il resto prevederebbero nuovi
tributi strutturalmente destinati alle Regioni, come l'IRAP e
l'addizionale regionale all'IRPEF, ovvero nuovi tributi erariali
specificamente destinati al perseguimento delle linee di politica
economica e finanziaria in vista della partecipazione dell'Italia
all'Unione monetaria europea (c.d. contributo per l'Europa).
3. - Con ordinanza in data 11-22 febbraio 1999, la Corte ha
disposto l'acquisizione in via istruttoria di informazioni e
documenti circa l'attuazione e gli effetti finanziari delle clausole
legislative impugnate.
Le relazioni dei Ministeri competenti e la documentazione
prodotta sia dall'amministrazione centrale, sia dalla regione, hanno
consentito di accertare che l'attuazione in via amministrativa delle
clausole di riserva di entrate all'erario, contenute nelle norme
impugnate, è avvenuta (per la legge n. 662 del 1996 con riguardo ad
una sola parte delle disposizioni da cui derivano maggiori entrate,
con esclusione delle disposizioni destinate ad essere attuate con
atti di legislazione delegata) con il decreto del Ministro delle
finanze, adottato di concerto con il Ministro del tesoro, in data
23 dicembre 1997 (Modalità di attuazione delle riserve all'erario
dal 1° gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia
di entrate finanziarie della Regione Sicilia, emanati dal 1992),
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 marzo 1998, che ha
provveduto contestualmente all'attuazione anche di altre analoghe
clausole di riserva di entrate, disposte da provvedimenti legislativi
succedutisi dal 1992 al 1997, per quanto riguarda i gettiti relativi
agli anni 1997 e seguenti. In particolare, si è provveduto a stimare
- principalmente sulla scorta delle relazioni tecniche che
accompagnavano i disegni di legge - il maggior gettito atteso in
ciascuno degli anni 1997, 1998 e 1999, dall'applicazione delle
singole disposizioni delle leggi da cui derivano nuove entrate,
calcolando poi l'incidenza percentuale di tale gettito sul gettito
totale a livello nazionale, relativo alle singole voci di entrata -
definite per singoli capitoli e articoli del bilancio dello Stato -
previste nel relativo esercizio; tale percentuale di incidenza è
stata applicata alle corrispondenti voci di entrata del bilancio
della Regione Siciliana, sulla base delle riscossioni del 1997 e di
stime effettuate per il 1998 e il 1999, per determinare l'importo
riservato, per ogni voce, all'erario. Si è poi disposto che gli
incaricati della riscossione, per le operazioni eseguite nel
territorio della Regione Siciliana in ciascuno degli anni 1997, 1998
e 1999, versino all'erario gli importi corrispondenti alle
percentuali di incidenza predette, e alla Regione gli importi residui
(art. 2 del d.m. 23 dicembre 1997); che per gli anni 2000 e seguenti
sia versata all'erario la percentuale prevista per il 1999 (art. 3);
e si è previsto che i versamenti effettuati con l'applicazione delle
predette percentuali possano essere oggetto di conguaglio sulla base
di un aggiornamento di dette percentuali, ottenuto utilizzando i dati
definitivi dei singoli capitoli di bilancio risultanti dal rendiconto
generale dello Stato per ciascun anno: conguaglio da effettuare
secondo modalità da stabilirsi con decreto del Ministro delle
finanze, di concerto con quello del tesoro, al momento della
determinazione delle percentuali definitive da utilizzare (art. 4).
4. - Con ricorso notificato il 27 marzo e depositato il 7 aprile
1997 (Reg. ric. 32 del 1997), la Regione Siciliana ha proposto due
questioni di legittimità costituzionale riguardanti,
rispettivamente, l'art. 5, comma 1, lettera a e l'art. 7 del
decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in
materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della
manovra di finanza pubblica per l'anno 1997), convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, entrambi
impugnati per contrasto con l'art. 36 dello statuto speciale e con le
relative norme di attuazione in materia finanziaria di cui al d.P.R.
26 luglio 1965, n. 1074, nonché con il principio di leale
collaborazione fra Stato e Regione.
A seguito dell'udienza del 9 marzo 1999, la prima di dette
questioni è stata decisa dalla Corte con la sentenza n. 186 del
1999: il giudizio è dunque proseguito con riguardo solo alla seconda
questione.
L'art. 7 del decreto-legge n. 669 del 1996 dispone la riserva a
favore dell'erario delle entrate derivanti dal decreto medesimo, che
vengono destinate a finalità di copertura degli oneri per il debito
pubblico e di riequilibrio del bilancio statale.
La ricorrente afferma che varie disposizioni del capo I del
decreto-legge darebbero luogo a incrementi di entrate conseguenti non
a nuove imposizioni o all'aumento delle aliquote di tributi
esistenti, ma a semplici rimodulazioni della base imponibile di
tributi, il cui gettito è devoluto alla Regione ai sensi dell'art. 2
del d.P.R. n. 1074 del 1965. Tali incrementi non costituirebbero
dunque "nuove entrate tributarie" suscettibili, secondo la previsione
dello stesso art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, di essere riservate
con legge all'erario per essere destinate "alla copertura di oneri
diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative
dello Stato".
Mancando ogni indicazione dei criteri di selezione fra nuove
entrate e ciò che non lo è, e limitandosi la norma impugnata a
rinviare ad un successivo decreto ministeriale, verrebbe meno la
possibilità di controllare il corretto uso della deroga al principio
della devoluzione alla regione siciliana del gettito dei tributi
erariali riscossi nel suo territorio, e verrebbe meno la
prevedibilità delle decisioni ministeriali di applicazione, con
violazione del principio di certezza del diritto. Per aversi
effettiva tutela, occorrerebbe che le norme fossero sufficientemente
precise e dettagliate, nonché ancorate a precisi indicatori
quantitativi.
5. - Il Presidente del Consiglio, costituitosi nel giudizio per
chiedere il rigetto del ricorso, osserva, quanto alla censura che
investe l'art. 7 del decreto-legge impugnato, che non sarebbe dato di
comprendere quali siano le norme che comporterebbero entrate senza
influire sulle aliquote tributarie. "Nuove entrate" suscettibili di
essere riservate allo Stato, comunque, sarebbero tutte quelle che,
modificando il meccanismo impositivo (base imponibile, aliquota, o
altro), producono maggior gettito.
6. - Con ordinanza 22-31 marzo 1999 la Corte ha disposto in via
istruttoria l'acquisizione di informazioni e documenti
sull'attuazione e sugli effetti finanziari della norma impugnata, e
di altre clausole legislative analoghe.
Sia il Presidente del Consiglio, sia la regione hanno depositato
una abbondante documentazione, che ha permesso di accertare come la
clausola di riserva di entrate per cui è giudizio sia stata attuata,
contestualmente a quelle analoghe contenute in altri provvedimenti
legislativi emanati a partire dal 1992, con il decreto del Ministro
delle finanze 22 dicembre 1997, di cui si è detto sopra, al n. 3.
7. - Nell'imminenza della nuova udienza del 7 marzo 2000, la
difesa del Presidente del Consiglio ha depositato una memoria, nella
quale afferma che rientrerebbero nella definizione di "nuove entrate
tributarie" quelle conseguenti ad una "rimodulazione" dei vari
elementi che integrano il rapporto tributario (fattispecie
imponibile, base imponibile, esenzioni, deduzioni, detrazioni,
modalità di accertamento e di definizione dello stesso, ecc.); e
osserva che al decreto interministeriale è rimessa solo la
determinazione concreta, oggettiva e vincolata della porzione di
gettito spettante all'erario, attraverso un procedimento
logico-matematico, così come sarebbe avvenuto nell'attuazione delle
disposizioni denunciate.
Considerato in diritto
1. - I giudizi, aventi ad oggetto disposizioni di contenuto
analogo, impugnate in relazione agli stessi parametri costituzionali,
possono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.
2. - Le questioni, ancora non decise, proposte con i due ricorsi
della regione siciliana investono, rispettivamente, l'art. 2, comma
154, e l'art. 3, comma 216, della legge n. 662 del 1996 (Reg. ric.
n. 18 del 1997), e l'art. 7 del decreto-legge n. 669 del 1996,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 30 del 1997 (Reg. ric.
n. 32 del 1997): tutte e tre le norme dispongono la riserva a favore
dell'erario delle entrate derivanti da altre disposizioni degli
stessi provvedimenti legislativi impugnati, e vengono censurate in
relazione all'art. 36 dello statuto speciale e alle norme di
attuazione dello stesso, e in particolare all'art. 2, primo comma,
seconda parte, del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, a tenore del quale
fanno eccezione, rispetto alla regola della devoluzione alla Regione
delle entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del territorio
regionale, le "nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato
con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare
particolari finalità contingenti o continuative dello Stato
specificate nelle leggi medesime".
Le censure mosse dalla ricorrente fanno leva, da un lato,
sull'assunto secondo cui potrebbero essere riservate allo Stato solo
le nuove entrate conseguenti alla istituzione di nuovi tributi o
all'aumento di aliquote di tributi esistenti, ma non le entrate
derivanti da altri interventi legislativi incidenti sulla base
imponibile e quindi sul gettito di tributi esistenti, onde sarebbero
illegittime le norme impugnate che riservano all'erario,
genericamente, le entrate derivanti dai due provvedimenti legislativi
(art. 3, comma 216, della legge n. 662 del 1996; art. 7 del
decreto-legge n. 669 del 1996), o quelle derivanti da un gruppo di
altre disposizioni della stessa legge (art. 2, comma 154, della legge
n. 662 del 1996). Dall'altro lato, la ricorrente lamenta che le norme
in questione, non precisando quali siano le entrate riservate, ma
rinviando ad un decreto ministeriale, espongono la regione ad
incertezza circa le entrate ad essa spettanti, e contrastano altresì
con il principio di leale collaborazione.
3. - Sotto il primo profilo, le questioni non sono fondate.
La regione impugna le norme che dispongono la riserva di entrate
all'erario, nella loro portata generale o generica, senza coinvolgere
nell'impugnativa alcuna delle singole disposizioni delle stesse
leggi, relative ad entrate che, secondo l'assunto della ricorrente,
non potrebbero essere legittimamente riservate allo Stato. Ma le
norme impugnate si limitano a riservare all'erario le entrate
"derivanti" dalle altre disposizioni contenute negli stessi
provvedimenti legislativi, cioè le entrate che trovano in essi la
loro fonte (cfr. sentenza n. 198 del 1999), senza discostarsi in ciò
da quanto appunto prevede l'art. 2, primo comma, seconda parte, del
d.P.R. n. 1074 del 1965, a tenore del quale le singole leggi statali
possono appunto destinare il gettito di "nuove entrate tributarie" a
finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle
stesse leggi. E non vi è dubbio che, come ammette la stessa
ricorrente, i due provvedimenti legislativi siano volti proprio a
procurare incrementi di entrate da destinare allo scopo di
risanamento del bilancio statale. Da siffatte clausole non si desume
affatto che il legislatore statale abbia considerato come "nuove
entrate tributarie", derivanti dalle stesse leggi, entrate cui invece
non si possa riconoscere tale carattere. Esse, d'altra parte, non
potrebbero che essere applicate in senso conforme a ciò che prevede
la normativa di attuazione statutaria. Ove poi, in sede applicativa,
sorgesse controversia circa il carattere di "nuova entrata
tributaria" attribuibile a questo o a quel gettito, sarà in quella
sede, e con gli strumenti ad essa appropriati - ivi compreso, se del
caso, il conflitto di attribuzioni - che la regione potrà difendere
la propria autonomia finanziaria da eventuali illegittime lesioni.
4. - Sotto il secondo dei profili indicati, concernente il rinvio
operato dalle disposizioni denunciate, per la definizione delle
modalità della loro attuazione, ad un decreto interministeriale, la
questione è invece fondata, nei limiti e nei termini di seguito
specificati.
Le norme denunciate non possono intendersi - come vorrebbe la
ricorrente - nel senso che esse attribuiscano ai Ministri la potestà
di stabilire con discrezionalità quali fra le entrate derivanti dai
provvedimenti legislativi vengono riservate all'erario: quasi che il
legislatore avesse affidato al provvedimento amministrativo il
compito di determinare l'ambito delle entrate riservate all'erario,
ciò che invece solo la legge, secondo l'espressa previsione
dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, può fare, destinando il
gettito di tali entrate alle finalità specificate nella legge
medesima.
In realtà il rinvio ad un decreto ministeriale concerne solo la
definizione delle "modalità di attuazione" della clausola di
riserva: cioè la statuizione dei criteri tecnici da adottare per
determinare il gettito aggiuntivo derivante dalle altre disposizioni
della legge, per definirne l'entità in ciascun esercizio
finanziario, e per dividere operativamente il gettito riservato allo
Stato da quello che resta attribuito alla Regione. Non a caso, le
stesse norme impugnate rinviano al decreto per stabilire tali
modalità solo "ove necessarie": cioè in quanto il gettito
aggiuntivo e riservato allo Stato non risulti già in base alle
ordinarie emergenze contabili dei bilanci dello Stato e della
Regione.
La determinazione del gettito riservato e l'applicazione della
clausola di riserva sono agevoli quando si tratti di un tributo di
nuova istituzione; e possono essere relativamente agevoli anche nel
caso di semplici aumenti di aliquota di un tributo esistente, almeno
quando l'aliquota prevista sia di tipo proporzionale. Quando invece
le nuove entrate derivino da più complesse manovre sulle aliquote
tributarie (per esempio, attraverso aumenti di alcune e contestuali
diminuzioni di altre aliquote, o attraverso la ridefinizione della
"curva" di aliquote di tipo progressivo, come avviene per l'IRPEF),
ovvero da modifiche legislative incidenti, anziché sulle aliquote,
sulla estensione della base imponibile dei tributi, la determinazione
in concreto del gettito derivante dalle nuove norme, in ciascuno
degli esercizi finanziari interessati, può non essere affatto
agevole, e richiedere operazioni tecnicamente complesse di stima e di
valutazione della provenienza del gettito medesimo.
La complessità tecnica di tali operazioni risulta confermata
dalle relazioni dell'amministrazione finanziaria statale acquisite in
via istruttoria, e dalla relativa documentazione allegata, nonché
dalla analitica trattazione contenuta nello "Studio preliminare alla
definizione dei pregressi rapporti finanziari tra lo Stato e la
Regione Siciliana", redatto dal presidente dell'apposito gruppo di
lavoro costituito dal Governo, e pure acquisito agli atti a seguito
dell'istruttoria. Essa risulta accresciuta quando le misure
produttive di nuovo gettito siano previste da una molteplicità di
provvedimenti legislativi e da una molteplicità di disposizioni
contenute nella stessa legge che dispone la riserva delle entrate
all'erario, incidenti su vari aspetti della normativa tributaria,
secondo la tecnica, non priva di inconvenienti, delle leggi
finanziarie o collegate che riuniscono in uno stesso testo
legislativo un gran numero di norme unificate solo dalla finalità
della "manovra" finanziaria attraverso di esse perseguita.
Non è in discussione la possibilità di ricorrere - in via
generale, e salve le specificità delle singole fattispecie - a
criteri presuntivi ragionevoli, fondati su stime attendibili, per
l'attuazione pratica di siffatte previsioni (cfr. sentenza n. 253 del
1996). Ma proprio la necessità di operare complesse valutazioni
tecnico-finanziarie per la corretta applicazione della riserva pone,
dal punto di vista costituzionale, l'esigenza di un procedimento che
non escluda la partecipazione della Regione, in forme adeguate al
caso.
Le clausole di riserva di nuove entrate all'erario costituiscono
infatti un meccanismo derogatorio, consentito al legislatore statale,
rispetto al principio, sancito dalla norma di attuazione dello
statuto, della attribuzione alla Regione dell'intero gettito dei
tributi erariali (eccettuati alcuni) riscossi nell'ambito del
territorio regionale; la loro attuazione incide pertanto direttamente
sulla effettiva garanzia dell'autonomia finanziaria della Regione,
oltre che sugli interessi attinenti alle specifiche finalità
statali, alle quali sono destinate per legge le maggiori entrate. Il
principio, dunque, di leale cooperazione fra Stato e Regione, che
domina le relazioni fra i livelli di governo là dove si verifichino,
come in queste ipotesi accade, interferenze fra le rispettive sfere e
i rispettivi ambiti finanziari, esige che si attui tale meccanismo
mediante procedimenti non unilaterali, ma che contemplino una
partecipazione della Regione direttamente interessata.
Sono espressioni significative di tale esigenza le norme di
attuazione di altri statuti speciali, le quali, a tal proposito,
contemplano procedimenti cui sono chiamate a partecipare le Regioni
(cfr. art. 4, comma 1 e comma 2, lettera a) del d.P.R. 23 gennaio
1965, n. 114, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia, in materia di finanza
regionale", come sostituito dall'art. 2 del d.lgs. 2 gennaio 1997,
n. 8; artt. 9, 10, commi 1, 6 e 7, lettera a 10-bis comma 1, lettera
a del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, recante "Norme di attuazione
dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di
finanza regionale e provinciale", come modificati dagli artt. 4, 5 e
6 del d.lgs. 24 luglio 1996, n. 432; e cfr. pure l'art. 8 della legge
26 novembre 1981, n. 690, recante "Revisione dell'ordinamento
finanziario della Regione Valle d'Aosta").
Né basterebbe, ad escludere siffatta esigenza, riferirsi alla
presenza, nei provvedimenti applicativi adottati dal Governo, di
meccanismi di conguaglio ex post delle entrate attribuite
rispettivamente alla Regione e allo Stato, operanti sulla base dei
dati di consuntivo (come prevede l'art. 4, comma 3, del decreto
23 dicembre 1997, acquisito in via istruttoria, che ha dato
applicazione anche alle norme in questa sede impugnate). Infatti, da
un lato, un conguaglio che intervenga a distanza di anni può non
essere sufficiente a salvaguardare tempestivamente i diritti della
Regione; dall'altro lato, anche la valutazione ex post dei gettiti
che si debbano considerare derivanti da singole modifiche della
normativa tributaria può presentare aspetti di complessità tecnica,
non dissimilmente dalle valutazioni presuntive ex ante.
5. - Sono dunque costituzionalmente illegittime le disposizioni
denunciate, nella parte in cui non prevedono, ai fini della loro
attuazione, un procedimento che contempli la partecipazione della
Regione interessata, la quale deve essere posta in grado di
interloquire sulle scelte tecniche e sulle stime da effettuare, e di
rappresentare il proprio punto di vista. Al termine del procedimento,
com'è naturale, una decisione finale deve comunque intervenire, ad
opera degli organi centrali, anche se vi sia dissenso da parte della
Regione: fermo restando che quest'ultima conserva la facoltà di
avvalersi degli ordinari rimedi giurisdizionali previsti
dall'ordinamento, nel caso essa ritenga che l'attuazione delle norme
di riserva sia avvenuta in violazione della legalità, ovvero di
ricorrere a questa Corte con lo strumento del conflitto di
attribuzioni, ove insorga controversia sull'ambito delle rispettive
sfere presidiate da norme costituzionali o di attuazione dello
statuto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
a) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 2,
comma 154, e 3, comma 216, della legge 23 dicembre 1996, n. 662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e dell'art. 7,
comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni
urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a
completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30,
nella parte in cui dette disposizioni, nello stabilire che le
modalità della loro attuazione siano definite con decreto
ministeriale, non prevedono la partecipazione della Regione Siciliana
al relativo procedimento;
b) dichiara non fondate, per la parte non compresa nel
precedente capo a), le questioni di legittimità costituzionale degli
artt. 2, comma 154, e 3, comma 216, della predetta legge n. 662 del
1996, e dell'art. 7 del predetto decreto legge 31 dicembre 1996,
n. 669, sollevate, in riferimento all'art. 36 dello statuto speciale
della Regione Siciliana e alle relative norme di attuazione in
materia finanziaria, di cui all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965,
n. 1074, dalla Regione Siciliana con i ricorsi in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 13 aprile 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola