Titolo
SENT. 218/98. MAFIA - MISURE DI PREVENZIONE DI CARATTERE PATRIMONIALE - FACOLTA' DEL TRIBUNALE DI IMPORRE AL PREVENUTO, A GARANZIA DELLA LORO ESECUZIONE, L'OBBLIGO DI DEPOSITARE UNA DETERMINATA SOMMA A TITOLO DI CAUZIONE - SANZIONE DELL'ARRESTO IN CASO DI INADEMPIMENTO - RITENUTA POSSIBILITA' CHE LA CAUZIONE SIA IMPOSTA SENZA TENER CONTO DELLE EFFETTIVE CONDIZIONI ECONOMICHE DELL'INTERESSATO, CON CONSEGUENTE CONFIGURABILITA' DEL REATO ANCHE A CARICO DI PERSONE NON IN GRADO DI PRESTARLA - PROSPETTATA INGIUSTIFICATA EQUIPARAZIONE DI SITUAZIONI DIVERSE CON INCIDENZA, OLTRE CHE SUL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA, SUI PRINCIPI DELLA PERSONALITA' DELLA RESPONSABILITA' PENALE E DELLA FINALITA' RIEDUCATIVA DELLE PENE - QUESTIONE FORMULATA IN BASE A ERRONEO PRESUPPOSTO INTERPRETATIVO - NON FONDATEZZA.
Testo
Non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3-bis, quarto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) introdotto dall'art. 15 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale), in forza del quale il mancato adempimento, da parte del sottoposto ad una misura di prevenzione personale a norma della legge n. 575 del 1965, dell'obbligo, impostogli dal Tribunale contestualmente all'applicazione della misura di prevenzione, a garanzia del rispetto del divieto e delle prescrizioni che ne derivano, di depositare una somma a titolo di cauzione o di offrire garanzie sostitutive, e' punito con l'arresto da sei mesi a due anni. Le censure avanzate al riguardo dal giudice 'a quo', in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., in quanto le sanzioni comminate per la mancata prestazione della cauzione colpirebbero - con ingiustificata equiparazione di situazioni diverse - oltre ai soggetti abbienti, in grado di ottemperarvi, anche soggetti non abbienti, impossibilitati ad eseguirla, a carico dei quali verrebbe in tal modo a configurarsi una inammissibile responsabilita' oggettiva, con conseguente inidoneita' della pena - perche' irrogata per una omissione sostanzialmente incolpevole - ad assolvere la necessaria funzione rieducativa, si basano sul comune presupposto che in base alla norma impugnata la cauzione potrebbe essere imposta dal Tribunale senza tener conto della effettiva possibilita' del prevenuto di farvi fronte. Il che pero' e' smentito dalle altre disposizioni (primo ed ultimo comma) dello stesso art. 3-bis, e da quelle dell'art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (sulle misure di prevenzione) secondo le quali condizione di validita' del provvedimento del Tribunale e' appunto la valutazione delle diverse condizioni economiche dei soggetti interessati - valutazione soggetta oltretutto a verifica nelle previste procedure di ricorso in appello e in cassazione - ed e' altresi' consentito che per comprovate necessita' personali o familiari - che per corrente interpretazione giurisprudenziale includono l'ipotesi della incapacita' economica - anche la imposizione della cauzione venga, in ogni momento, in tutto o in parte, revocata. red.: S. Pomodoro
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 27
co. 1
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
31/05/1965
n. 575
art. 3
bis
co. 4
legge
13/09/1982
n. 646
art. 15
co. 0
N. 218
SENTENZA 1-19 GIUGNO 1998
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY,
prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI,
prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof.
Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3-bis, quarto
comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la
mafia), introdotto dall'art. 15 della legge 13 settembre 1982, n.
646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere
patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10
febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una
commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), promosso con
ordinanza emessa il 5 giugno 1997 dal pretore di Bari nel
procedimento penale a carico di Turturro Nicola, iscritta al n. 591
del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 7 aprile 1998 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del dibattimento di un processo a carico di persona
imputata del reato previsto dall'art. 3-bis, quarto comma, della
legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia),
introdotto dall'art. 15 della legge 13 settembre 1982, n. 646
(Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere
patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10
febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una
commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), il pretore di
Bari solleva, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma,
della Costituzione, questione di costituzionalità della citata
disposizione, che sanziona con l'arresto da sei mesi a due anni il
sottoposto a una misura di prevenzione ai sensi della legge n. 575
del 1965 che non ottemperi, nel termine fissato dal Tribunale, alla
prescrizione, adottata a norma del primo comma dell'art. 3-bis, di
depositare una somma a titolo di cauzione, né offra garanzie
sostitutive.
Nel caso di specie, all'imputato è contestato il reato de quo per
non avere adempiuto al versamento di una cauzione di trenta milioni
di lire, imposta dal Tribunale all'esito del procedimento di
prevenzione. Lo stesso imputato, nel dibattimento celebrato dinanzi
al pretore rimettente, si è difeso osservando che all'epoca
dell'imposizione della cauzione egli non disponeva della somma
necessaria, e che si era dichiarato disponibile a offrire, quali
garanzie sostitutive, la propria autovettura e dei monili; tale
richiesta era stata respinta, per intempestività, dal Tribunale, con
apposito provvedimento.
Ad avviso del pretore, l'incriminazione dell'inottemperanza
all'ordine di deposito della cauzione è censurabile sul piano
costituzionale, secondo un triplice ordine di argomenti.
In primo luogo, la sanzione penale per l'omissione del versamento
della cauzione o per la mancata prestazione delle garanzie
sostitutive risulta discriminatoria in danno di chi non dispone di
mezzi economici adeguati; tale disparità appare iniqua e
irragionevole e perciò lesiva dell'art. 3 della Costituzione, tenuto
conto - osserva il giudice a quo - della mancanza di previsioni
collaterali che permettano all'autorità giudiziaria di verificare le
effettive disponibilità e i redditi dell'interessato.
In secondo luogo, la norma appare in contrasto anche con l'art.
27, primo comma, della Costituzione, perché essa fa conseguire
l'applicazione di una sanzione penale dalla inosservanza di un
obbligo di dare, il cui adempimento - secondo il pretore rimettente -
non è interamente riconducibile alla determinazione e alla volontà
del soggetto; la punizione della mancata prestazione della cauzione
per scarse disponibilità economiche finisce quindi per violare il
principio di personalità della responsabilità penale, giacché
rende oggettivamente responsabile la persona di una omissione non
riconducibile al suo agire.
Per un terzo e ultimo profilo, la previsione incriminatrice
contrasterebbe con il finalismo rieducativo della pena (art. 27,
terzo comma, della Costituzione): la funzione rieducativa postula che
il soggetto percepisca il disvalore del reato commesso, e viene meno
se la sanzione risulta irrazionale e incomprensibile. Se il soggetto
non versa la cauzione non per colpevole e volontaria decisione, ma
per oggettiva impossibilità, si delinea appunto la vanificazione
della portata rieducativa della sanzione penale.
2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato.
Ad avviso dell'Avvocatura, la questione sembra evocare, a prima
vista, gli argomenti che condussero alla dichiarazione di
incostituzionalità del vecchio testo dell'art. 136 cod. pen., che
prevedeva, in caso di insolvenza del condannato, la conversione della
pena pecuniaria in quella detentiva. La Corte costituzionale
(sentenza n. 131 del 1979) osservò allora che la conversione
assumeva quale motivo esclusivo dell'aggravamento qualitativo della
pena le condizioni economiche e sociali del condannato, e si poneva
perciò in contrasto con il principio di uguaglianza.
Ma la questione ora sollevata è del tutto diversa: la norma
impugnata non istituisce un'automatica conversione di un obbligo a
contenuto patrimoniale in una pena restrittiva della libertà
personale, ma delinea semplicemente un'ipotesi di reato
contravvenzionale che soggiace a tutti i princi'pi generali del
diritto penale.
Non è quindi esatto quanto assume il rimettente, che individua
nella norma un caso di responsabilità oggettiva. L'inottemperanza
all'ordine di deposito deve essere infatti dolosa o, perlomeno,
colposa, trattandosi di reato contravvenzionale, cosicché colui che
si trovi nell'impossibilità di ottemperare per mancanza di mezzi
economici e per causa a lui non imputabile verserà in una situazione
di "inesigibilità", tale da escludere la colpevolezza, ovvero potrà
invocare la forza maggiore, tale da far venire meno il fatto-reato
tipico. Verso tale interpretazione conforme a Costituzione e ai
principi generali orienta del resto la stessa formulazione
complessiva dell'art. 3-bis, che, al primo comma, nel dettare i
criteri che il tribunale deve osservare all'atto di determinare la
cauzione, prescrive di tener conto delle condizioni economiche del
sottoposto alla misura preventiva.
Escluso, per quanto detto, che si possa prescrivere una cauzione a
persona in stato di totale indigenza, e rispettato da parte del
tribunale il criterio di commisurazione dell'importo alle reali
capacità economiche del soggetto, l'alternativa possibile si riduce:
a) all'inottemperanza preordinata e volontaria, nel qual caso
sussisteranno gli estremi del reato, ovvero;
b) all'inosservanza per difficoltà economica non preordinata e
non imputabile a fatto del soggetto, che andrà pertanto liberato
dall'addebito penale, o sul piano della sussistenza del fatto o su
quello dell'elemento soggettivo.
Se non è violato il principio di personalità della
responsabilità penale, l'Avvocatura osserva che anche la censura
riferita alla finalità rieducativa della pena viene conseguentemente
meno: tale finalità non è un elemento della colpevolezza, ma ha
rappresentato un principio-base cui la Corte costituzionale ha fatto
riferimento nella ricostruzione della colpevolezza come
"rimproverabilità" (sentenza n. 364 del 1988). Il rimettente ha
invertito l'ordine logico della sequenza, desumendo la violazione
della finalità rieducativa dall'assunto che la norma preveda
un'ipotesi di responsabilità oggettiva: ma se così non è, come si
è detto, e se dunque la contravvenzione non è configurabile in caso
di non imputabilità dell'incapacità economica che determina
l'inosservanza, viene meno anche il profilo di censura in esame.
L'Avvocatura conclude quindi per una declaratoria di
inammissibilità o di infondatezza della questione.
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Bari dubita della legittimità costituzionale
dell'art. 3-bis, quarto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575
(Disposizioni contro la mafia), introdotto dall'art. 15 della legge
13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di
prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27
dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n.
575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della
mafia), che prevede che colui il quale sia sottoposto a una misura di
prevenzione personale a norma della legge n. 575 del 1965 e non
ottemperi, nel termine fissato dal tribunale, alla prescrizione di
depositare una somma a titolo di cauzione o non offra garanzie
sostitutive, sia sottoposto alla sanzione dell'arresto da sei mesi a
due anni.
La norma - introdotta nel sistema della legislazione antimafia
dalla richiamata legge n. 646 del 1982 unitamente alle disposizioni
rivolte a prevenire e sanzionare le accumulazioni patrimoniali di
origine illegale - vale a garanzia dell'obbligo di versare la
cauzione imposta contestualmente all'applicazione della misura di
prevenzione personale (art. 3-bis, primo comma), in funzione del
rispetto dei divieti e delle prescrizioni che derivano da
quest'ultima. Conformemente a tale suo carattere strumentale e
"cautelare" (art. 3-bis, ottavo comma), la somma versata è
restituita all'interessato al termine dell'esecuzione della misura
(quinto comma), ovvero è confiscata in caso di trasgressione ai
divieti e agli obblighi posti con il decreto (sesto comma).
Ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denunciata è in
contrasto:
a) con l'art. 3 della Costituzione, poiché essa determinerebbe
un ingiustificato uguale trattamento di soggetti che, a causa delle
loro disponibilità economiche, sono o non sono in condizione di
adempiere all'obbligo di deposito della cauzione o di prestazione
della garanzia;
b) con l'art. 27, primo comma, della Costituzione, poiché il
prevenuto il quale versi in condizioni economiche che non gli
consentono di adempiere all'obbligo di cauzione o di garanzia
verrebbe a essere assoggettato a una sanzione penale per una condotta
incolpevole, a lui riferibile solo oggettivamente;
c) con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, poiché la
pena irrogata a un soggetto chiamato a rispondere per una propria
omissione a titolo meramente oggettivo sarebbe inidonea a perseguire
la sua necessaria funzione rieducativa.
2. - La questione è infondata in riferimento a tutti i parametri
costituzionali invocati.
2.1. - Quanto alla violazione del principio di uguaglianza, sotto
il profilo dell'uguale trattamento di situazioni in fatto diverse, è
sufficiente considerare che, a norma del primo comma del medesimo
art. 3-bis, la determinazione da parte del tribunale della somma da
versare a titolo di cauzione in vista di "un'efficace remora alla
violazione delle prescrizioni imposte" col provvedimento di
prevenzione deve tenere conto - oltre che dei provvedimenti di
sequestro e confisca che siano stati adottati, a norma dell'art.
2-ter della medesima legge, nei confronti del proposto o del
sottoposto a misura di prevenzione relativamente ai suoi beni di
origine illegale - anche delle condizioni economiche del prevenuto.
La corretta considerazione congiunta della finalità della misura,
cioè l'efficace deterrenza rispetto alla violazione delle
prescrizioni di prevenzione, e delle disponibilità economiche su cui
la cauzione viene a incidere consente al tribunale, anzi impone, come
condizione di validità del provvedimento, la valutazione
differenziata delle diverse condizioni economiche dei soggetti
interessati; una valutazione, inoltre, non solo sottoposta a verifica
nelle normali procedure di ricorso in appello e in cassazione
previste dall'art. 4 della legge n. 1423 del 1956, ma anche sempre
rivedibile alla stregua dell'ultimo comma dell'art. 3-bis in esame,
il quale consente in ogni momento la revoca, totale o parziale, della
misura per comprovate gravi necessità personali o familiari, che
includono, secondo la corrente interpretazione della giurisprudenza,
l'ipotesi dell'incapacità economica.
Si deve perciò escludere che la legge operi un cieco livellamento
di situazioni diverse dal punto di vista delle disponibilità
economiche dei prevenuti, essendo invece sempre tenuto il tribunale a
valutare la specificità delle situazioni e la congruità delle
singole misure ai fini della determinazione dell'entità della
cauzione. Ne segue che la fattispecie penale dell'impugnato quarto
comma dell'art. 3-bis, della quale il provvedimento del tribunale
costituisce il presupposto, non comporta quell'equiparazione nello
stesso trattamento penale di situazioni diverse che il giudice
rimettente ha ravvisato nel sollevare la presente questione
d'incostituzionalità.
2.2. - Anche i dubbi sollevati con riguardo al primo comma
dell'art. 27 della Costituzione risultano infondati.
La censura che il pretore rimettente prospetta a tale proposito
muove dall'ipotesi non di applicazione ma di violazione della legge.
Si considera infatti il caso in cui il tribunale, male intendendo il
suo compito, abbia imposto il versamento di una cauzione che il
soggetto non ha la possibilità materiale di effettuare. Tale
soggetto sarebbe posto nelle condizioni di non poter non violare
l'obbligo penalmente sanzionato, indipendentemente dalla sua
volontà. La sanzione penale conseguirebbe in tal modo, in violazione
dell'art. 27, primo comma, della Costituzione, a un comportamento
omissivo incolpevole, la cui responsabilità verrebbe quindi ascritta
obbiettivamente al suo autore.
In tal modo, tuttavia, il giudice rimettente opera arbitrariamente
un rovesciamento argomentativo, ragionando come se la responsabilità
penale, nella specie, fosse il dato di partenza necessario invece che
il punto d'arrivo eventuale del suo giudizio. Egli infatti assume che
vi sia responsabilità penale anche se il comportamento omissivo
previsto dalla disposizione denunciata non è ascrivibile
soggettivamente all'imputato, e da ciò inferisce la lesione
dell'art. 27, primo comma, della Costituzione. Le regole ordinarie
che valgono in tema di colpevolezza in materia penale portano invece
pianamente alla conclusione opposta. In particolare, dalla disciplina
dei criteri di imputazione soggettiva del reato contenuta nell'art.
42 cod. pen. discende che anche il reato contravvenzionale in
questione presuppone quantomeno la colpa. Perciò la materiale
impossibilità di provvedere al versamento della cauzione, causata da
mancanza di disponibilità economiche evidentemente non preordinata o
colposamente determinata, comporta non una forma di responsabilità
oggettiva ma l'esenzione da responsabilità.
2.3. - Le considerazioni che precedono, infine, danno la ragione
dell'infondatezza anche della questione prospettata sotto il profilo
della violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Una
volta esclusa la possibilità di individuare, nella fattispecie
prevista dall'impugnato quarto comma dell'art. 3-bis della legge n.
575 del 1965, un'ipotesi di responsabilità penale oggettiva, viene a
mancare infatti ogni motivo per seguire il ragionamento del giudice
rimettente circa il rapporto tra funzione rieducativa della pena e
volontarietà dell'illecito penale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 3-bis, quarto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575
(Disposizioni contro la mafia), introdotto dall'art. 15 della legge
13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di
prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27
dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n.
575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della
mafia), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, primo e terzo
comma, della Costituzione, dal pretore di Bari con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 19 giugno 1998.
Il cancelliere: Fruscella