Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di
referendum popolare presentata il 28 settembre 1995 da dodici
cittadini elettori, concernente la disciplina dell'interruzione
volontaria di gravidanza e avente ad oggetto alcuni articoli e parti
di articoli della legge 22 maggio 1978, n. 194.
Verificata la regolarità della richiesta, l'Ufficio centrale ne ha
dichiarato la legittimità con ordinanza in data 11-13 dicembre 1996
nella quale, dopo aver modificato il testo del quesito in due parti
(relative rispettivamente agli artt. 10, comma 3, e 15, comma 2,
della legge n. 194 del 1978), ha disposto l'integrale riformulazione
del quesito stesso nel seguente modo:
"Volete voi l'abrogazione degli artt. 1, 4, 5 e 6, lettera b),
limitatamente alle parole: "tra cui quelli relativi a rilevanti
anomalie o malformazioni del nascituro"; 7, comma primo,
limitatamente alle parole: "del servizio ostetrico-ginecologico
dell'ente ospedaliero in cui deve praticarsi l'intervento, che ne
certifica l'esistenza. Il medico può avvalersi della collaborazione
di specialisti. Il medico è tenuto a fornire la documentazione sul
caso e a comunicare la sua certificazione al direttore sanitario
dell'ospedale per l'intervento da praticarsi immediatamente", e
comma secondo ("Qualora l'interruzione della gravidanza si renda
necessaria per imminente pericolo per la vita della donna,
l'intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle
procedure previste dal comma precedente e al di fuori delle sedi di
cui all'art. 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne
comunicazione al medico provinciale."); 8; 9, comma primo,
limitatamente alle parole: "alle procedure di cui agli artt. 5 e 7
ed", e comma quarto, limitatamente alle parole: "l'espletamento
delle procedure previste dall'articolo 7 e", nonché alle parole:
"secondo le modalità previste dagli artt. 5, 7 e 8"; 10, comma
primo, limitatamente alle parole: "nelle circostanze previste dagli
artt. 4 e 6", nonché alle parole: "di cui all'art. 8", e comma
terzo, limitatamente alle parole: "dal secondo comma dell'art. 5
e"; 11, comma primo ("L'ente ospedaliero, la casa di cura o il
poliambulatorio nei quali l'intervento è stato effettuato sono
tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una
dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia
dell'intervento stesso e della documentazione sulla base della quale
è avvenuto, senza fare menzione dell'identità della donna."); 12;
13; 14; 15, comma secondo, limitatamente alle parole: "e 5"; 19,
comma primo ("Chiunque cagiona l'interruzione volontaria della
gravidanza senza l'osservanza delle modalità indicate negli artt. 5
o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni."), comma secondo
("La donna è punita con la multa fino a lire 100.000."), comma
terzo, limitatamente alle parole: "o comunque senza l'osservanza
delle modalità previste dall'art. 7", comma quinto ("Quando
l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore
degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza
l'osservanza delle modalità previste dagli artt. 12 e 13, chi la
cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi
precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.") e
comma settimo ("Le pene stabilite dal comma precedente sono
aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti
previsti dal quinto comma"); 22, comma terzo ("Salvo che sia stata
pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il
reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il
fatto prima dell'entrata in vigore della presente legge, se il
giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli artt. 4
e 6.") della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante "Norme per la
tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della
gravidanza"?".
2. - Con la citata ordinanza 11-13 dicembre 1996, relativa alla
presente e ad altre diciannove richieste di referendum di iniziativa
popolare, l'Ufficio centrale per il referendum ha provveduto
altresì, in osservanza a quanto disposto dall'art. 32, ultimo comma,
della legge n. 352 del 1970, introdotto con l'art. 1 della legge 17
maggio 1995, n. 173, a denominare la richiesta stessa "Aborto:
Abolizione dei limiti all'interruzione della gravidanza nei primi
novanta giorni, e del ricorso esclusivo alle strutture pubbliche" e a
contrassegnarla con la sigla A/12, disponendo le conseguenti
comunicazioni di legge.
3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale,
il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 8 gennaio 1997 per
la conseguente deliberazione, dandone a sua volta comunicazione ai
presentatori della richiesta e al Presidente del Consiglio dei
Ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio
1970, n. 352.
4. - Il Comitato promotore del referendum ha depositato una memoria
nella quale, dopo avere sinteticamente esposto i vari contenuti della
richiesta referendaria, ha sostenuto la ammissibilità della
richiesta stessa perché dotata dei requisiti di omogeneità,
chiarezza e non contraddittorietà già rinvenuti da questa Corte
nella "analoga" richiesta referendaria c.d. radicale, esaminata nella
sentenza n. 26 del 1981. Così come la precedente richiesta, anche
la presente si concentra verso il prioritario obiettivo di
liberalizzare il ricorso all'interruzione volontaria della
gravidanza, facendo cadere i procedimenti e i controlli
amministrativi e giurisdizionali attualmente previsti nonché le
connesse fattispecie incriminatrici.
In particolare, "forte della oramai acquisita legittimità
costituzionale di un assetto normativo che non pretenda di realizzare
la tutela del concepito nella forma della persecuzione penale
dell'aborto", l'iniziativa referendaria mira "al nuovo principio
unitario ispirato alla più ampia liberalizzazione della interruzione
della gravidanza" e, mentre per l'aborto nei primi novanta giorni
prevede "l'eliminazione della indicazione delle circostanze in
presenza delle quali l'attuale legge lo consente", nonché delle
corrispondenti procedure e modalità previste nella legge stessa, per
il successivo periodo di gravidanza "semplifica" il ricorso
all'interruzione snellendo le procedure e le modalità.
Considerato in diritto
1. - La richiesta di referendum abrogativo, dichiarata legittima
dall'Ufficio centrale per il referendum con ordinanza 11-13 dicembre
1996 e ora sottoposta al giudizio di ammissibilità devoluto a questa
Corte, investe la legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela
sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della
gravidanza) in numerose disposizioni.
Viene anzitutto sottoposto a richiesta referendaria di abrogazione
l'intero art. 1, contenente l'assicurazione della garanzia del
diritto alla procreazione cosciente e responsabile, il riconoscimento
del valore sociale della maternità, l'affermazione della tutela da
parte dello Stato della vita umana sino dal suo inizio. L'articolo
stesso afferma inoltre che l'interruzione volontaria della
gravidanza, di cui alla legge, non è mezzo per il controllo delle
nascite e impegna lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito
delle proprie funzioni e competenze, a promuovere e sviluppare i
servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per
evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle
nascite.
Parimenti sono oggetto della richiesta abrogazione nella loro
interezza, gli artt. 4 e 5, concernenti l'interruzione volontaria
della gravidanza entro i primi novanta giorni e la disciplina dettata
per la valutazione, da parte dei consultori familiari pubblici o di
strutture socio-sanitarie abilitate o di un medico di fiducia, delle
condizioni della donna e delle altre circostanze per le quali la
stessa sia portata ad affrontare l'interruzione volontaria della
gravidanza.
Nell'art. 6 della legge, relativo ai casi in cui è ammessa
l'interruzione volontaria della gravidanza dopo i novanta giorni, la
richiesta referendaria ritaglia, per sottoporlo ad abrogazione,
l'inciso contenuto nella lettera b) di detto articolo, che include
tra i processi patologici atti a determinare un grave pericolo per la
salute fisica o psichica della donna quelli relativi a rilevanti
anomalie o malformazioni del nascituro.
Quanto all'art. 7 viene chiesta la sottoposizione a referendum
dell'abrogazione delle disposizioni relative al ricorso al servizio
ostetrico-ginecologico dell'ente ospedaliero in cui deve praticarsi
l'intervento interruttivo, nonché delle disposizioni connesse. Viene
invece lasciato indenne (diversamente da quanto era avvenuto con la
richiesta referendaria n. 22 del 26 giugno 1980 presa in esame dalla
sentenza di questa Corte n. 26 del 1981: cosiddetta "richiesta
radicale" secondo la terminologia adottata in detta sentenza) il
comma terzo dell'art. 7, relativo alla praticabilità
dell'interruzione della gravidanza per grave pericolo di vita della
madre quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto.
È oggetto di richiesta di integrale abrogazione l'art. 8,
contenente l'indicazione delle sedi nelle quali va praticata, nei
casi in cui è ammessa, l'interruzione della gravidanza, previa
verifica della inesistenza di controindicazioni sanitarie: servizio
ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale, ospedali pubblici
specializzati, altri istituti ed enti, case di cura autorizzate e
fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi
ostetrico-ginecologici.
Nell'art. 9 vengono ritagliati i riferimenti alle procedure
previste negli artt. 5 e 7, che sono le procedure relative,
rispettivamente, all'opera valutativa e di assistenza dei consultori
e delle strutture socio-sanitarie nei casi di gravidanza
infratrimestrale e agli accertamenti sui processi patologici di cui
all'art. 6 per i casi di gravidanza ultratrimestrale. Ed analoghe
operazioni di ritaglio vengono proposte in seno agli artt. 10, 11 e
15, secondo comma, della legge n. 194 del 1978.
Vengono poi sottoposti a richiesta di integrale abrogazione gli
artt. 12, 13 e 14 della legge, relativi, rispettivamente, l'art. 12,
secondo, terzo e quarto comma, alle condizioni per l'interruzione
della gravidanza della donna di età inferiore agli anni diciotto,
l'art. 13 alla donna interdetta per infermità di mente e l'art. 14
ai particolari doveri del medico che esegue l'interruzione della
gravidanza nei confronti della donna che affronta l'interruzione
stessa.
Infine viene proposta l'abrogazione referendaria dell'art. 19 nelle
parti in cui prevede sanzioni penali per l'interruzione di gravidanza
di donna consenziente non autorizzata ai sensi dei precedenti
articoli della legge e della disposizione transitoria contenuta
nell'ultimo comma dell'art. 22.
2. - La disciplina dell'interruzione volontaria della gravidanza è
stata più volte presa in considerazione dalla Corte, sia in giudizi
incidentali di legittimità costituzionale, sia nell'esame
sull'ammissibilità di referendum abrogativi, sia nell'esame di
conflitti di attribuzione insorti in connessione con richieste
referendarie.
Basilare resta fra tutte la sentenza n. 27 del 1975, con la quale
la Corte, nel dichiarare la illegittimità costituzionale parziale
dell'art. 546 del codice penale del 1930, ebbe modo di affermare i
principi di ordine costituzionale in materia.
Disse la Corte:
che ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui
situazione giuridica si colloca, sia pure con le particolari
caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell'uomo
riconosciuti e garantiti dall'art. 2 della Costituzione, denominando
tale diritto come diritto alla vita, oggetto di specifica
salvaguardia costituzionale;
che del pari ha fondamento costituzionale la protezione della
maternità (art. 31, secondo comma, della Costituzione), che sono
diritti fondamentali anche quelli relativi alla vita e alla salute
della donna gestante;
che il bilanciamento tra detti diritti fondamentali, quando siano
entrambi esposti a pericolo, si trova nella salvaguardia della vita e
della salute della madre, dovendosi peraltro operare in modo che sia
salvata, quando ciò sia possibile, la vita del feto;
che al fine di realizzare in modo legittimo questo bilanciamento,
è "obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per
impedire che l'aborto venga praticato senza serii accertamenti sulla
realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla
madre dal proseguire nella gestazione" e che "perciò la liceità
dell'aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione della
sussistenza delle condizioni atte a giustificarla".
Queste affermazioni, tutte relative al riconoscimento di diritti
costituzionalmente garantiti e pertanto non inficiabili ad opera di
leggi ordinarie, vanno collegate, quando si tratti della valutazione
dei requisiti di ammissibilità dei referendum abrogativi di leggi
ordinarie, alle altrettanto basilari enunciazioni formulate in via
generale in materia di referendum da questa Corte sin dal 1978.
Con la sentenza n. 16 del 1978 la Corte ha affermato che al di là
dei casi di inammissibilità del referendum enunciati espressamente
dall'art. 75, secondo comma, sono presenti nella Costituzione valori
riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie,
valori che debbono essere tutelati escludendo i relativi referendum.
Di qui l'elaborazione e la formale enunciazione, sempre in detta
sentenza, di precise ragioni costituzionali di inammissibilità, tra
le quali si iscrive la non abrogabilità delle "disposizioni
legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato".
Con successive messe a punto la Corte ha mantenuto questa
giurisprudenza sulle leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente
vincolato, tra esse individuando anche la categoria delle leggi
ordinarie la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una
tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la
Costituzione.
È da ricordare che il criterio della tutela necessaria minima
richiesta da determinate situazioni secondo Costituzione è
menzionato anche nella sentenza n. 26 del 1981, che tuttavia ebbe a
dichiarare ammissibili due richieste referendarie contrapposte aventi
ad oggetto la legge n. 194 del 1978, una delle quali analoga a quella
oggi riproposta. La sentenza stessa non dimenticò peraltro il
carattere fondamentale del diritto della donna alla salute, con la
conseguenza di dichiarare inammissibile un referendum con il quale
veniva intaccato l'art. 6 della legge, che si ritenne rappresentare
"nel suo contenuto essenziale una norma costituzionalmente imposta
dall'art. 32".
3. - La legge 22 maggio 1978, n. 194, derivante da progetti coevi e
susseguenti alla sentenza n. 27 del 1975 già ricordata (così come
è del 1975 la legge 29 luglio, n. 405, istitutiva dei consultori
familiari a cui poi la legge n. 194 del 1978 avrebbe devoluto
fondamentali attribuzioni anche nel campo della interruzione
volontaria della gravidanza) ha cercato di realizzare, contemperando
diverse esigenze e proposte, proprio quei criteri di tutela minima di
interessi ritenuti fondamentali dalla Costituzione che la ripetuta
sentenza n. 27 del 1975 aveva additato al legislatore, facendone anzi
l'oggetto di un vero e proprio obbligo dello stesso.
A prescindere da ogni valutazione sui contenuti specifici di quelle
scelte, la legge in questione ha enunciato come proprio criterio
ispiratore e direttivo esattamente quei beni della maternità e della
tutela della vita umana dal suo inizio, a cui la Corte aveva fatto
richiamo, ed ha dettato disposizioni dirette a salvaguardare sia la
salute e la vita della gestante sia "le cautele necessarie - per
citare testualmente le proposizioni della sentenza più volte qui
menzionata - per impedire che l'aborto venga procurato senza serii
accertamenti sulla realtà e la gravità del danno o pericolo che
potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione" ed
ancorando la liceità dell'aborto "ad una previa valutazione delle
condizioni atte a giustificarla".
Alcune delle disposizioni oggi nuovamente sottoposte a richiesta di
abrogazione referendaria, dopo l'esito negativo del referendum del
1981, si ispirano ai principi costituzionali indicati dalla Corte:
così, per quanto riguarda i presupposti della interruzione
volontaria della gravidanza infratrimestrale, quando vincolano la
stessa ad una previa valutazione del serio pericolo per la salute
fisica o psichica della madre promuovendo, oltre che "i necessari
accertamenti medici", ogni opportuno "intervento atto a sostenere la
donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza
sia dopo il parto" (artt. 4 e 5), e così, per quanto riguarda
l'interruzione della gravidanza dopo il primo trimestre, quando
limitano l'interruzione stessa ai casi in cui la gravidanza o il
parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o in cui
siano accertati processi patologici (ivi includendo anche le
rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro) che determinino un
grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna (art. 6).
E in relazione a quei presupposti la legge n. 194 del 1978 ha
ritenuto che l'accertamento dei processi patologici suddetti dovesse
essere affidato a un servizio ostetrico-ginecologico ospedaliero, con
l'eventuale collaborazione di specialisti, ammettendo che siano
esentati da ogni particolare procedura e da ogni vincolo di sede i
casi di imminente pericolo per la vita della donna (art. 7, commi
primo e secondo). Parimenti, sulla base di una analoga scelta, ha
ritenuto che gli interventi diretti alla interruzione volontaria
della gravidanza debbano essere praticati in apposite strutture
pubbliche o autorizzate (art. 8).
Di più, la legge n. 194 del 1978 ha tenuto conto anche di altri
interessi costituzionalmente protetti, che non avevano avuto
occasione di essere richiamati dalla ricordata sentenza n. 27 del
1975 perché non coinvolti nelle fattispecie allora in esame: in
particolare quelli dell'infanzia e della gioventù (art. 31, secondo
comma, della Costituzione). Così, nell'art. 12, la legge ha
disciplinato il caso particolare della donna minore degli anni
diciotto, la quale può trovarsi in determinati frangenti del tutto
sprovveduta di tutela, come quando vi siano "seri motivi che
impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la
potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro
assenso o esprimano pareri tra loro difformi". Per queste ipotesi
l'art. 12 ha previsto, dopo l'intervento del consultorio o della
struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia, l'autorizzazione
del giudice tutelare. Ed analogamente la legge ha ritenuto di
provvedere nell'ipotesi dell'interruzione di gravidanza di donna
interdetta per infermità di mente (art. 13). Si può qui ricordare,
per inciso, che questo intervento del giudice tutelare nelle
situazioni in questione è stato più di una volta ritenuto da questa
Corte, in occasione di giudizi di legittimità, costituzionalmente
non illegittimo (cfr. sentenza n. 196 del 1987, ordinanza n. 463 del
1988 e da ultimo ordinanza n. 76 del 1996).
4. - Alla stregua dei principi elaborati dalla Corte in materia di
referendum con riguardo alle leggi ordinarie dal contenuto
costituzionalmente vincolato, la richiesta referendaria in oggetto
non può essere ammessa.
Di ciò rende convinti un esame anche sommario delle disposizioni
direttamente coinvolte nella richiesta: anzitutto dell'art. 1.
Detto articolo, oltre a ribadire - come si è visto - i principi
costituzionali del diritto alla procreazione cosciente e responsabile
e del valore sociale della maternità, stabilisce che la vita umana
debba essere tutelata sin dal suo inizio.
Questo principio, già affermato in modo non equivocabile dalla
sentenza n. 27 del 1975 di questa Corte, ha conseguito nel corso
degli anni sempre maggiore riconoscimento, anche sul piano
internazionale e mondiale.
Va in particolare ricordata, a questo riguardo, la Dichiarazione
sui diritti del fanciullo approvata dall'assemblea generale delle
Nazioni Unite nel 1959 a New York, nel cui preambolo è scritto che
"il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed
intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi
compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la
nascita".
Così pure si è rafforzata la concezione, insita nella
Costituzione italiana, in particolare nell'art. 2, secondo la quale
il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da
iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che
occupano nell'ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata,
in quanto appartengono - per usare l'espressione della sentenza n.
1146 del 1988 - "all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la
Costituzione italiana".
Di più, l'art. 1 della legge n. 194 del 1978 afferma un principio
di contenuto più specificamente normativo, quale è quello per cui
l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il
controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali sono
impegnati, dall'art. 1, terzo comma, a sviluppare i servizi
socio-sanitari e ad adottare altre iniziative necessarie "per evitare
che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite". In
dette proposizioni non solo è contenuta la base dell'impegno delle
strutture pubbliche a sostegno della valutazione dei presupposti per
una lecita interruzione volontaria della gravidanza, ma è ribadito
il diritto del concepito alla vita. La limitazione programmata delle
nascite è infatti proprio l'antitesi di tale diritto, che può
essere sacrificato solo nel confronto con quello, pure
costituzionalmente tutelato e da iscriversi tra i diritti
inviolabili, della madre alla salute e alla vita.
Non è pertanto ammissibile un referendum diretto all'abrogazione
dell'art.1.
Analoghe considerazioni valgono per le altre disposizioni investite
dalla richiesta referendaria.
Già si è visto che gli artt. 4 e 5 sono diretta espressione non
solo del diritto del concepito alla vita, ma di quella tutela della
maternità che è pure iscritta tra gli impegni fondamentali dello
Stato (art. 31, secondo comma, della Costituzione).
Posti poi in relazione con l'art. 12 della legge, che si riferisce
alla situazione della donna in età minore, e particolarmente con i
commi secondo e terzo di tale articolo, che si riferiscono ai primi
novanta giorni della gravidanza, tali disposizioni rappresentano la
forma di protezione che la legge ordinaria intende assicurare
all'infanzia e alla gioventù, pure indicate tra i valori
costituzionali fondamentali dal secondo comma dell'art. 31. Anche qui
soccorrono, per corroborare questa interpretazione, le norme
internazionali intese ad assicurare al minore la protezione e
l'assistenza più ampie in ogni momento della sua esistenza. La
Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20
novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991,
n. 176, che considera "fanciullo" ai sensi della Convenzione stessa
"ogni essere umano avente un'età inferiore a diciotto anni, salvo se
abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione
applicabile", stabilisce che "in tutte le decisioni relative ai
fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche e private di
assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o
degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve
essere una considerazione preminente" (art. 3, comma 1); "che gli
Stati parti vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una
informazione e ai materiali provenienti da fonti varie, soprattutto
se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale nonché la sua
salute fisica e mentale" (art. 17, comma 1); e che "gli Stati parti
adottano ogni provvedimento adeguato per garantire alle madri
adeguate cure prenatali e postnatali". Né si può mancare di
osservare che attraverso l'abrogazione degli artt. 4 e 5, con la
quale i promotori del referendum dichiaratamente mirano alla totale
liberalizzazione dell'aborto nei primi novanta giorni di gravidanza,
verrebbero a scomparire del tutto anche l'assistenza e la consulenza
di un medico, ovviamente prevista dalla legge a tutela minima della
salute della gestante.
L'abrogazione degli artt. 4, 5, 12 e 13 della legge n. 194 del 1978
travolgerebbe pertanto disposizioni a contenuto normativo
costituzionalmente vincolato sotto più aspetti, in quanto renderebbe
nullo il livello minimo di tutela necessaria dei diritti
costituzionali inviolabili alla vita, alla salute, nonché di tutela
necessaria della maternità, dell'infanzia e della gioventù.
Quanto poi all'operazione di ritaglio operata con la richiesta di
parziale abrogazione dell'art. 7, non può non osservarsi che la
proposta di mantenere una certa tutela per il solo feto di cui sia
accertata la possibilità di vita autonoma sottolinea l'abbandono di
ogni tutela per gli altri nascituri, il cui diritto alla vita è
consacrato - secondo la ricordata sentenza n. 27 del 1975 - dall'art.
2 della Costituzione.
L'assistenza e la presenza del medico sono eliminate pure, secondo
la richiesta referendaria, attraverso la progettata integrale
abrogazione dell'art. 8.
A questo punto non occorre soffermarsi sugli altri articoli
investiti in tutto o in parte dalla richiesta referendaria, essendo
questa unitaria ed inscindibile, sì che un suo accoglimento parziale
non sarebbe in alcun modo profilabile. In particolare, per quanto
riguarda il ricorso alle istituzioni pubbliche per l'effettuazione
degli interventi diretti alla interruzione della gravidanza, deve
osservarsi che le relative disposizioni rappresentano nella visione
del legislatore e nel sistema della legge uno dei mezzi ritenuti
essenziali per assicurare il livello minimo di tutela dei diritti
inviolabili più volte indicati.
In definitiva la richiesta è formulata, attraverso un ritaglio del
testo vigente, in modo tale da dare all'abrogazione il senso palese
di una pura e semplice soppressione di ogni regolamentazione legale -
e non solo di una irrilevanza penale - dell'interruzione volontaria
della gravidanza nei primi novanta giorni, riconducendo tale vicenda
ad un regime di totale libera disponibilità da parte della singola
gestante, anche in ordine alla sorte degli interessi
costituzionalmente rilevanti in essa coinvolti. Ora, ciò è appunto
quanto è precluso al legislatore, e conseguentemente anche alla
deliberazione abrogativa del corpo elettorale.
5. - Una sola osservazione è ancora necessaria per quanto attiene
alle disposizioni di carattere penale. Esse non entrano in giuoco
nella presente decisione della Corte. Forse l'insistenza eccessiva
sul tema della "depenalizzazione dell'aborto", portato in primo piano
nella richiesta referendaria del 1981, ha avuto un ruolo
nell'influenzare la diversa decisione contenuta nella sentenza n. 26
del 1981, mentre nella presente sentenza il tema della
depenalizzazione è assolutamente estraneo. Già è dubbio in via
generale se la Costituzione, al di là di imperativi specifici,
contenga o possa contenere obblighi di incriminazione, che è quanto
dire obblighi di protezione mediante sanzione penale, di determinati
interessi costituzionalmente protetti. Ciò che la Costituzione non
consente di toccare mediante l'abrogazione, sia pure parziale, della
legge 23 maggio 1978, n. 194, è quel nucleo di disposizioni che
attengono alla protezione della vita del concepito quando non siano
presenti esigenze di salute o di vita della madre, nonché quel
complesso di disposizioni che attengono alla protezione della donna
gestante: della donna adulta come della donna minore di età, della
donna in condizioni di gravidanza infratrimestrale come della donna
in condizioni di gravidanza più avanzata.
Tutto ciò basta ad includere la richiesta di referendum abrogativo
tra quelle la cui ammissibilità è preclusa in quanto diretta contro
leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato.