Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento penale a carico di persona imputata di
maltrattamenti in famiglia in danno della figlia maggiorenne affetta
da oligofrenia, il pretore di Asti, con ordinanza dell'11 ottobre
1994, pervenuta a questa Corte il 7 dicembre 1996, ha sollevato, su
istanza del pubblico ministero, questione di legittimità
costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
dell'art. 498, comma 4, codice di procedura penale, "nella parte in
cui non riserva al teste maggiorenne incapace per infermità psichica
lo stesso trattamento processuale previsto per il minore".
Il giudice remittente premette che la particolare natura del reato
per il quale si procede e il rapporto che lega la persona offesa
all'imputata postulano l'esigenza di procedere all'esame testimoniale
della prima con peculiari cautele; che la medesima è astrattamente
capace di deporre, ai sensi dell'art. 196 del codice di procedura
penale, e il comma 2 di tale articolo consente, ai fini di verificare
se la teste sia in grado di fornire una testimonianza attendibile, di
disporre una perizia psichiatrica. Ma osserva che il sistema
normativo non prevede, una volta accertata in concreto l'idoneità
del teste a rendere la deposizione, modalità particolari per
l'assunzione della prova, poiché la valutazione dell'attendibilità
del teste, prevista dall'art. 196, comma 2, presuppone che
l'escussione sia già avvenuta.
Il giudice a quo rileva quindi che, relativamente alle modalità di
assunzione della prova testimoniale, l'art. 498, comma 4, del codice
di procedura penale, in attuazione di un'apposita norma della legge
di delega, prevede, per il teste minore di età, che l'esame sia
condotto dal presidente e soprattutto che questi, per condurre
l'esame, possa avvalersi dell'assistenza di un familiare del teste o
di un esperto in psicologia infantile: ciò al fine di garantire un
efficace controllo sull'attendibilità del teste, di scongiurare i
rischi di un suo condizionamento ad opera di una delle parti, e, in
ultima analisi, di tutelare la persona del minore di fronte alla
intrinseca tensione scaturente da ogni dibattimento penale.
Escluso di potere estendere in via interpretativa tali modalità
alla testimonianza del maggiorenne incapace di intendere e di volere,
data la tassativa dizione della norma, sia perché l'art. 189 del
codice di procedura penale, che consente di dare ingresso a prove
atipiche, non si riferisce a modalità atipiche di assunzione di un
mezzo di prova codificato come la testimonianza, sia perché
l'estensione interpretativa ipotizzata potrebbe turbare la parità
fra le parti (tanto che l'art. 567 codice procedura penale consente
bensì al pretore di condurre direttamente l'esame dei testimoni, ma
solo sull'accordo delle parti), il remittente ritiene condivisibile
la censura di incostituzionalità prospettata dal pubblico ministero
in ordine all'art. 498, comma 3 (recte: comma 4), del codice di
procedura penale nella parte in cui non equipara la posizione
dell'incapace per infermità mentale a quella del minore, prevedendo
così un trattamento dissimile per situazioni che sarebbero
sostanzialmente analoghe.
Infatti, secondo il giudice a quo la ratio della disposizione in
esame, da ravvisarsi nella considerazione della fragilità del
minore, il quale perciò abbisogna di particolari cautele quando sia
chiamato a rendere testimonianza nel processo penale, dovrebbe valere
anche per il teste maggiorenne incapace per infermità mentale, che
presenta a sua volta una situazione psicologica di debolezza la quale
ne consiglierebbe l'esame da parte del presidente con l'eventuale
ausilio di un familiare o di un esperto di psicologia: e del resto,
si osserva, in numerosi casi l'ordinamento penale e processuale
penale prevede una simile equiparazione, come in tema di esercizio
del diritto di querela e di remissione della querela (artt. 121 e 153
del codice penale) e in tema di costituzione di parte civile (art. 77
del codice di procedura penale).
Considerato in diritto
1. - La questione sollevata investe l'art. 498, comma 4, del codice
di procedura penale - il quale prescrive che l'esame testimoniale del
minorenne sia condotto, anziché direttamente dalle parti, dal
presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti, potendo
avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in
psicologia infantile, salva la possibilità per lo stesso presidente,
sentite le parti, di disporre che la deposizione prosegua nelle forme
ordinarie, se ritiene che l'esame diretto del minore non possa
nuocere alla serenità del teste - nella parte in cui non riserva al
teste maggiorenne incapace per infermità psichica lo stesso
trattamento processuale previsto per il minore.
Il parametro di legittimità costituzionale espressamente indicato
dal remittente è l'art. 3 della Costituzione, in relazione alla
differenza, ritenuta ingiustificata, fra il trattamento riservato al
minore e quello previsto per l'infermo di mente; ma nella motivazione
dell'ordinanza si fa riferimento all'esigenza di tutela della
personalità del teste affetto da infermità psichica, il che rinvia
altresì all'imperativo costituzionale di rispetto e tutela della
persona, riconducibile al parametro dell'art. 2 della Costituzione.
È secondo questa più ampia prospettazione che la Corte ritiene di
dover esaminare la censura proposta.
2. - La questione, così delineata, è fondata nei limiti di
seguito precisati.
Non può condividersi la meccanica equiparazione che il remittente
vorrebbe effettuare fra la situazione del teste minorenne e quella
del teste maggiorenne infermo di mente. Si tratta infatti di
situazioni non omogenee, anche se in concreto esse possano
manifestare, come si dirà, analoghe esigenze di tutela della
personalità.
Per i minorenni, infatti, il legislatore ha ragionevolmente
presunto - in relazione ad una condizione obiettiva come l'età - una
situazione di difficoltà, in ragione della insufficiente maturità
psicologica, a rispondere ad un interrogatorio condotto dalle parti
in vista dei rispettivi interessi, e dunque eventualmente anche con
intenti e modalità che risultino aggressivi; e perciò ha prescritto
che in via normale l'esame venga condotto attraverso il "filtro" del
presidente, che pone, eventualmente con l'ausilio di un familiare o
di un esperto, le domande e le contestazioni proposte dalle parti,
salvo che lo stesso presidente, sentite le parti, valuti invece, in
concreto, che l'esame diretto non possa nuocere alla serenità del
teste.
Nel caso dell'infermo di mente, le situazioni concrete possono
essere le più varie, in relazione al tipo e alla maggiore o minore
gravità dell'infermità della persona maggiorenne chiamata a
testimoniare: onde è ragionevole che il legislatore non abbia
esteso ad esso le prescrizioni dettate per la testimonianza del
minore. Ciò avrebbe comportato infatti la necessità in ogni caso di
un preventivo accertamento della situazione di infermità psichica,
che avrebbe comportato l'applicazione della disciplina speciale, con
l'attribuzione al teste di una sorta di "connotato" legale
suscettibile esso stesso di tradursi in una lesione della sua
personalità.
3. - La disciplina della testimonianza e delle modalità per
raccoglierla risponde anzitutto all'esigenza di assicurare la
genuinità della prova, ma non può essere insensibile alla
necessità di tutelare la persona del teste nel delicato momento in
cui è chiamato a deporre sui fatti e le circostanze dedotti in
contraddittorio fra le parti. La testimonianza è infatti funzione
resa obbligatoria dalla legge in vista delle esigenze del processo.
Proprio per questo, se esige impegno e può comportare anche
difficoltà per il teste, chiamato ad enunciare con verità davanti
al giudice le informazioni in suo possesso, non deve mai tradursi,
per il modo in cui è condotta, in violazioni della dignità e del
rispetto dovuto alla persona del teste medesimo.
Non mancano, nell'ordinamento processuale, regole intese ed idonee,
in generale, ad evitare quanto più possibile rischi di
compromissione della genuinità della testimonianza dovuti al tipo di
domande proposte o al modo in cui avviene l'esame, nonché rischi di
lesione del rispetto della persona del teste. Valgono, nel primo
senso, i divieti delle domande "che possono nuocere alla sincerità
delle risposte" (art. 499, comma 2, del codice di procedura penale),
nonché delle domande "che tendono a suggerire le risposte",
limitatamente all'esame condotto dalla parte che ha chiesto la
citazione del teste (art. 499, comma 3). Nel secondo senso vale
soprattutto la regola secondo cui "il presidente cura che l'esame del
testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona" (art.
499, comma 4). Alla tutela di siffatte esigenze sono intesi i poteri
che la legge riconosce al presidente del collegio o al giudicante: in
particolare, il potere ad esso attribuito dall'ultimo comma dell'art.
499 del codice di rito, di intervenire, anche d'ufficio, "per
assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte,
la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni".
Nell'applicazione di tali regole e nell'esercizio dei poteri
presidenziali volti a garantirne il rispetto, non è affatto escluso,
ma anzi è implicito, che si debba tenere conto anche delle
particolari caratteristiche della persona del teste, e così di una
sua fragilità psicologica. È esplicitamente previsto che, qualora
sia necessario verificare l'idoneità fisica e mentale del testimone
a rendere testimonianza, il giudice possa disporre "gli accertamenti
opportuni con i mezzi consentiti dalla legge", i cui risultati
tuttavia non precludono l'assunzione della testimonianza (art. 196
codice procedura penale). E nulla esclude che tali accertamenti - i
quali possono consistere anche in una perizia, e ben possono
intervenire anche in via preventiva rispetto all'assunzione della
testimonianza, contrariamente a quanto mostra di ritenere il
remittente - siano volti ad appurare le condizioni in concreto
specificamente richieste per evitare i rischi di un esame lesivo del
rispetto della persona; come nulla esclude che il giudicante possa
avvalersi delle valutazioni del perito al fine di esercitare
efficacemente i poteri a lui spettanti per garantire tale rispetto e
la genuinità della testimonianza.
4. - Resta però il fatto che il vigente ordinamento processuale
non consente in nessun caso, nell'assunzione della testimonianza di
un maggiorenne, di derogare alla regola dell'art. 498 del codice,
secondo cui "le domande sono rivolte direttamente dal pubblico
ministero o dal difensore che ha chiesto l'esame del testimone"
(comma 1), e altre domande possono essere rivolte sempre dalle parti
(commi 2 e 3).
Tale regola assume certo un'importanza fondamentale nell'ambito
dell'ordinamento ispirato ai principi del processo "accusatorio", in
quanto diretta a consentire alle parti di introdurre direttamente nel
processo, attraverso l'esame e il controesame dei testi, gli elementi
probatori dei quali esse intendono avvalersi, senza l'intermediazione
del giudicante, il quale dovrà trarre elementi di convincimento
dall'esame dei testi così come condotto dalle parti. L'applicazione
di tale regola non può però mai tradursi nella lesione di altri
interessi non solo costituzionalmente protetti, ma preminenti, come
quello del rispetto della persona.
Allo scopo, come si è visto, lo stesso legislatore appresta una
deroga alla regola medesima, per quanto concerne la testimonianza dei
minorenni (art. 498, comma 4). Ma la garanzia del diritto
fondamentale al rispetto della personalità esige che la stessa
regola sia derogabile, non già in via generale, bensì in relazione
alla concretezza delle circostanze, nel caso della testimonianza di
persona inferma di mente. Ben può accadere infatti che, nonostante
le norme dettate dall'art. 499 per l'esame testimoniale, e
nonostante l'esercizio dei poteri presidenziali volti a garantirne
l'osservanza, la modalità dell'esame diretto del teste ad opera
delle parti (ancorché condotto da soggetti dotati di specifica
competenza e tenuti alla leale osservanza di dette regole, come sono
il rappresentante della pubblica accusa e i difensori, ai quali è
riservata la facoltà di porre domande e contestazioni al teste) si
traduca, in fatto, in una vicenda suscettibile di pregiudicare la
personalità particolarmente fragile del teste affetto da infermità
mentale.
In questo caso il presidente deve essere abilitato, ove constati in
concreto, in relazione al complessivo contesto processuale, che
l'esame diretto può nuocere alla personalità del teste (e dunque
con una valutazione del caso specifico, speculare rispetto a quella
ad esso attribuita nel caso del teste minorenne al fine di consentire
la prosecuzione dell'esame nelle forme ordinarie), a disporre che la
deposizione abbia luogo attraverso l'esame condotto dal presidente
medesimo su domande e contestazioni proposte dalle parti.
5. - L'art. 498 del codice di procedura penale ignora questa
eventualità, e non prevede alcuna possibilità di derogare alla
modalità dell'esame diretto ad opera delle parti nel caso del teste
maggiorenne infermo di mente. Da ciò deriva l'illegittimità
costituzionale, nei limiti ora precisati, della disposizione
denunciata.