ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2738, comma 2,
del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 27 aprile 1994
dal tribunale di Pistoia nel procedimento civile vertente tra la
ditta Arredamenti Baccioni e Buscaglia Francesca, iscritta al n. 402
del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1995;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1996 il Giudice
relatore Renato Granata.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del giudizio civile tra la ditta Arredamenti
Baccioni e Buscaglia Francesca il tribunale di Pistoia con ordinanza
del 27 aprile 1994 ha sollevato questione incidentale di legittimità
costituzionale dell'art. 2738, secondo comma, del cod. civ., in
riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione, nella
parte in cui non prevede che il giudice civile possa conoscere del
reato di falso giuramento al solo fine del risarcimento nell'ipotesi
in cui la sentenza di assoluzione pronunciata nel giudizio penale non
abbia efficacia di giudicato nei confronti del danneggiato.
In particolare il giudice rimettente osserva che - una volta
prestato il giuramento deferito o riferito - l'altra parte, la quale
né è ammessa a provare il contrario né può chiedere la
revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato
falso, può tuttavia domandare il risarcimento dei danni nel caso di
condanna penale per falso giuramento. Altrimenti, soltanto se la
condanna penale non può essere pronunciata perché il reato è
estinto, il giudice civile può conoscere del reato al solo fine del
risarcimento. Tale limitazione però - ritiene il giudice rimettente
- si giustificava nel precedente regime degli effetti del giudicato
penale. Ma il principio dell'unità della giurisdizione ha subito una
progressiva erosione ad opera della giurisprudenza costituzionale ed
è stato superato dal nuovo codice di procedura penale. In
particolare l'art. 652 prevede che, affinché la sentenza
irrevocabile di assoluzione (pronunciata a seguito di dibattimento o
all'esito del giudizio abbreviato accettato dalla parte civile
costituita) esplichi efficacia di giudicato (quanto all'accertamento
che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o
nell'esercizio di una facoltà legittima), occorre che il danneggiato
si sia costituito parte civile o sia stato posto in grado di
costituirsi parte civile mediante avviso o notifica del decreto di
citazione nei termini, e che lo stesso non abbia esercitato l'azione
in sede civile a norma dell'art. 75, comma 2, del cod. proc. pen.
Se, dunque, risulta estremamente ridotto l'ambito in cui si esplica
l'efficacia del giudicato penale nei giudizi civili per il
risarcimento del danno e le restituzioni, la norma di cui all'art.
2738 del cod. civ. - che, consentendo al giudice civile di conoscere
incidentalmente del reato ai fini del risarcimento del danno solo
nell'ipotesi in cui in sede penale si sia fatto luogo a declaratoria
di estinzione, esclude e comunque vanifica il diritto del danneggiato
di esercitare l'azione di risarcimento del danno in sede civile in
ogni altra ipotesi e quindi anche quando la sentenza di assoluzione
non esplichi alcuna efficacia nei suoi confronti - risulta
contrastare, secondo il giudice rimettente, col precetto di cui
all'art. 24, primo comma, della Costituzione e rappresenta comunque
una disciplina irragionevole ed ingiustificata (art. 3 della
Costituzione).
2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
che la questione sia dichiarata non fondata sotto il profilo che il
restringimento dell'efficacia extrapenale della sentenza penale e
l'abbandono del primato del processo penale con il conseguente
affermarsi dell'autonomia tra quest'ultimo ed il processo civile,
consentono di pervenire ad una interpretazione adeguatrice della
disposizione censurata. Ed infatti - osserva l'Avvocatura - la
lettera dell'art. 2738 del cod. civ. non esclude, di per sé,
l'interpretazione secondo cui è, in generale, consentito al giudice
civile di valutare incidenter tantum la sussistenza del reato di
falso giuramento (al fine di decidere in ordine alla fondatezza o
meno della domanda di risarcimento danni avanzata dal soccombente nel
giudizio civile deciso all'esito del giuramento decisorio), non solo
quando la condanna penale non può essere pronunciata perché il
reato è estinto, ma anche quando vi sia stata pronuncia di
assoluzione passata in giudicato, allorquando la stessa non faccia
stato nel giudizio civile di danno.
Considerato in diritto
1. - È stata sollevata questione di legittimità costituzionale -
in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione -
dell'art. 2738, secondo comma, del cod. civ., nella parte in cui non
prevede che il giudice civile possa conoscere del reato di falso
giuramento al solo fine del risarcimento nell'ipotesi in cui la
sentenza di assoluzione pronunciata nel giudizio penale non abbia
efficacia di giudicato nei confronti del danneggiato, per sospetta
violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo
comma, della Costituzione) e del principio di ragionevolezza (art. 3
della Costituzione). Ciò sul presupposto interpretativo che il
secondo periodo del secondo comma della disposizione censurata non
solo esprima in positivo il contenuto precettivo reso palese dalla
lettera della norma, ossia essere possibile per il giudice civile la
cognizione incidenter tantum del reato di falso giuramento ove questo
sia estinto e quindi non possa pervenirsi ad un accertamento di
responsabilità in sede penale; ma anche contenga implicitamente una
preclusione derogatoria della generale disciplina dettata dal nuovo
codice di rito circa gli effetti del giudicato penale (nella specie,
assolutorio) nel giudizio civile. Da tale presupposto
interpretativo, che ravvisa la esistenza di una preclusione
all'accertamento incidentale del giudice civile anche in tutti i casi
in cui in generale il giudicato penale assolutorio non fa stato nel
giudizio civile per il risarcimento dei danni patiti dalla parte
offesa in conseguenza della commissione di un qualsiasi altro reato
(art. 652, del cod. proc. pen.), occorre muovere in quanto non
implausibilmente argomentato dal giudice rimettente, oltre che
conforme al dato testuale della disposizione censurata. Vero è che
il secondo comma dell'art. 2738 del cod. civ. esprime, con
riferimento alla fattispecie del reato di falso giuramento, principi
comuni ad ogni altro genere di reato: ed infatti il primo periodo,
nel prevedere una ragione di danno risarcibile per effetto della
falsità del giuramento accertata di norma nella sua sede propria,
che è il processo penale, è espressione del più generale principio
secondo cui ogni reato che abbia cagionato un danno, patrimoniale o
non patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento del danno
(art. 185, secondo comma, del cod. pen.). Però il precetto,
contenuto nel secondo periodo, alla stregua del quale, se la condanna
penale non può essere pronunciata perché il reato è estinto, il
giudice civile può conoscere del reato al solo fine del risarcimento
del danno, ancorché assimilabile al canone generale secondo cui
l'estinzione del reato non comporta l'estinzione delle obbligazioni
civili (art. 198 del cod. pen.), ben può essere interpretato - in
mancanza, per quanto risulta, di una diversa lettura sia in
giurisprudenza che in dottrina - nel senso della statuizione, a
contrario, di una preclusione all'accertamento incidentale del
giudice civile nei casi diversi da quello espressamente previsto.
2.1. - Rispetto alla norma così individuata la questione di
costituzionalità è fondata.
2.2. - La preclusione contenuta nella disposizione censurata, se
all'epoca dell'entrata in vigore del codice civile era coerente con
il primato dell'accertamento del reato in sede penale rispetto
all'accertamento in sede civile delle conseguenze risarcitorie del
medesimo reato e con il principio dell'accessorietà dell'azione
civile rispetto a quella penale, nel quadro del sistema risultante,
prima dei ripetuti interventi di questa Corte (sentenze nn. 165 del
1975, 99 del 1973, 55 del 1971), dagli artt. 24, 25 e 27 del cod.
proc. pen., oggi si presenta invece affatto eccentrica e disamornica
rispetto al ben diverso sistema complessivo dei rapporti tra
giurisdizione penale e giurisdizione civile disegnato dal nuovo
codice di rito (v., soprattutto, gli artt. 651-654 del cod. proc.
pen.), in quanto essa pone in essere - in tema di rilevanza del
giudicato penale assolutorio nel giudizio civile per il risarcimento
del danno - una disciplina del tutto differenziata rispetto a quella
generale dettata dall'art. 652 del cod. proc. pen., sia nel comma 1,
con riguardo al caso della sentenza dibattimentale, sia nel comma 2,
con riguardo al caso della sentenza resa all'esito di giudizio
abbreviato. Nel caso, infatti, di sentenza resa a seguito di
dibattimento, l'efficacia di giudicato in sede civile è esclusa
quando il danneggiato abbia esercitato l'azione in sede civile a
norma dell'art. 75, comma 2 (cfr. art. 652, comma 1, del cod. proc.
pen.); e parimenti tale efficacia di giudicato è esclusa nel caso di
sentenza pronunziata, come nella specie, a norma dell'art. 442 alla
mera condizione che il danneggiato, come è avvenuto nella vicenda
oggetto del giudizio a quo, non abbia accettato il rito abbreviato.
Invece, nel caso particolare in cui la sentenza assolutoria abbia
ad oggetto il reato di falso giuramento, il giudicato penale spiega
un ben più esteso effetto preclusivo della pretesa risarcitoria del
danneggiato, effetto che è escluso soltanto nel caso in cui la
condanna penale non può essere pronunziata perché il reato è
estinto.
2.3. - Tale disciplina differenziata viola il principio di
eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e, allo
stesso tempo, rappresenta un impedimento per la parte offesa
all'esercizio dell'azione diretta al conseguimento del danno
risarcibile, con conseguente vulnerazione del principio della tutela
giurisdizionale (art. 24 della Costituzione).
Da una parte, infatti, va ricordato che la Corte, anche
recentemente (sentenza n. 60 del 1996), ha fatto riferimento al
contesto delineato dal nuovo codice di procedura penale come
archetipo generale rispetto al quale una disciplina differenziata è
ammissibile soltanto se sorretta da ragionevole ed adeguata
giustificazione. Dall'altra, deve escludersi, con riferimento al
problema in esame, che una ragione di specialità di disciplina possa
rinvenirsi nella funzione di prova legale del giuramento, atteso che
il successivo giudizio civile avente ad oggetto il risarcimento del
danno non ha alcuna idoneità ad incidere su tale funzione, non
essendo prevista, né possibile, la revocazione della sentenza che si
fondi su un giuramento di cui successivamente sia accertata la
falsità al solo fine di riconoscere una ragione di danno alla parte
soccombente nel precedente giudizio.
2.4. - Pertanto la disciplina dell'efficacia nel giudizio civile
della sentenza penale di assoluzione dal reato di falso giuramento va
ricondotta a legittimità parificandola a quella ordinaria, e quindi
dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 2738, secondo
comma, del cod. civ., nella parte in cui non prevede che il giudice
civile possa conoscere del reato di falso giuramento al solo fine del
risarcimento anche nel caso in cui la sentenza irrevocabile di
assoluzione pronunciata nel giudizio penale non abbia efficacia di
giudicato nei confronti del danneggiato.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2738, secondo
comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il
giudice civile possa conoscere del reato di falso giuramento al solo
fine del risarcimento anche nel caso in cui la sentenza irrevocabile
di assoluzione pronunziata nel giudizio penale non abbia efficacia di
giudicato nei confronti del danneggiato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Granata
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 4 aprile 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola