ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 73 del d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) e
dell'art. 75 dello stesso d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come
modificato a seguito del d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 (Abrogazione
parziale, a seguito di referendum popolare, del testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), promossi con le seguenti
ordinanze: 1) ordinanza emessa il 24 novembre 1994 dal Tribunale di
Camerino nel procedimento penale a carico di Leocata Agatino iscritta
al n. 104 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno
1995; 2) ordinanza emessa il 10 febbraio 1995 dalla Corte d'appello
di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Pellegrino
Donatella, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1995 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima
serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1995 il Giudice
relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento penale in grado d'appello nei
confronti di Pellegrino Donatella - che il Tribunale di Cosenza con
sentenza del 23 dicembre 1993 aveva giudicata responsabile del
delitto di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309 perché senza la prescritta autorizzazione aveva coltivato dieci
piantine di canapa indiana contenenti un principio tossicologico
attivo nella misura dello 0,64%, pari ad una dose media di sostanza
stupefacente - la Corte d'appello di Catanzaro ha sollevato d'ufficio
(con ordinanza del 10 febbraio 1995) questione incidentale di
legittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, come modificato a
seguito del d.P.R. n. 171 del 1993, nella parte in cui non prevede
che anche la coltivazione di piante da cui si estraggono sostanze
stupefacenti - oltre che l'importazione, l'acquisto o la detenzione -
venga punita soltanto con sanzioni amministrative se finalizzata
all'uso personale della sostanza.
La Corte rimettente - dopo aver escluso l'interpretazione
adeguatrice perché contrastata dall'orientamento della
giurisprudenza della Corte di cassazione - ritiene la violazione del
principio di eguaglianza sotto il profilo che per condotte ugualmente
caratterizzate dalla destinazione della sostanza all'uso personale
(coltivazione da un lato e acquisto, importazione e detenzione
dall'altro) sarebbe previsto un trattamento sanzionatorio
diversificato.
Argomenta in particolare la Corte che l'esito del referendum
abrogativo cancella il principio del divieto dell'uso personale di
sostanze stupefacenti sancito al comma 1 dell'art. 72 e - eliminando
il parametro quantitativo della dose media giornaliera - pone la
finalità dell'uso personale quale unico discrimine tra l'illecito
penale e quello amministrativo, a prescindere dal tipo di condotta e
dalla natura e quantità della sostanza stupefacente. Quindi il
rilievo depenalizzante assunto dall'uso personale della droga nella
nuova disciplina, indipendentemente da parametri quantitativi non
più esistenti, dovrebbe equiparare la coltivazione alle altre
condotte previste dall'art. 75 ai fini degli effetti sanzionatori
indicati nella medesima norma.
2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
che la questione sia dichiarata infondata.
3. - Nel procedimento penale a carico di Leocata Agatino, imputato
del delitto previsto dall'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 cit. per
aver coltivato, senza autorizzazione, una piantina di canapa indiana
contenente il principio attivo della cannabis indica nella misura di
4,4 mg., il Tribunale di Camerino ha sollevato (con ordinanza del 24
novembre 1994) questione incidentale di tale disposizione con
riferimento agli artt. 13, 25 e 27 della Costituzione.
Premesso che non può essere condivisa la prospettazione, secondo
la quale il referendum abrogativo, rendendo penalmente irrilevante la
condotta di detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale,
avrebbe prodotto l'effetto sistematico di considerare la condotta di
coltivazione penalmente sanzionabile solo in quanto vi sia la prova
dell'essere tale condotta preordinata all'attività di spaccio, il
Tribunale rimettente, richiamando la sentenza n. 333 del 1991 di
questa Corte quanto al principio della necessaria offensività della
fattispecie penale, sottolinea in particolare che non ogni previsione
di anticipazione della tutela è, di per sé, in quanto tipica,
compatibile con valori espressi dalla Costituzione in materia di
offensività del reato (artt. 25 e 27 Cost.), ma lo è nella misura
in cui non risulti, rispetto alle esigenze di tutela, manifestamente
arbitraria o irragionevole; tale è invece proprio l'incriminazione
della condotta di coltivazione (penalmente rilevante
indipendentemente dalla percentuale di principio attivo contenuta nel
prodotto della coltivazione stessa) nelle ipotesi in cui essa dia
luogo a quantità (o qualità) di infiorescenze dalle quali non sia
ricavabile il principio attivo in misura sufficiente a produrre
l'effetto che costituisce lesione (nel caso di assunzione) ovvero
messa in pericolo del bene tutelato (nel caso di sola produzione
della sostanza a seguito di coltivazione).
4. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile atteso che il Tribunale
rimettente pretende in realtà di trasferire alla Corte un problema
di interpretazione della norma ordinaria che, considerata la
fattispecie e l'orientamento della giurisprudenza, può pienamente
risolversi nel senso della avvenuta depenalizzazione della condotta
in esame per effetto della abrogazione referendaria.
5. - In prossimità della camera di consiglio l'Avvocatura dello
Stato ha depositato una memoria insistendo per la pronuncia di non
fondatezza della questione di costituzionalità sollevata dalla Corte
d'appello di Catanzaro in ragione della sostanziale diversità delle
condotte poste in comparazione (da una parte "coltivazione" di piante
da cui si estraggono sostanze stupefacenti e dall'altra
"importazione", "acquisto" o "detenzione" delle stesse).
Considerato in diritto
1. - Sono state sollevate questioni incidentali di legittimità
costituzionale: a) dell'art. 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza), come modificato a seguito del
d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, nella parte in cui non prevede che
anche la coltivazione di piante da cui si estraggono sostanze
stupefacenti - oltre che l'importazione, l'acquisto o la detenzione -
venga punita soltanto con sanzioni amministrative se finalizzata
all'uso personale della sostanza, per sospetta violazione dei
principi di ragionevolezza e di parità di trattamento (art. 3 Cost.)
rispetto alla condotta, non più penalmente perseguibile, di chi
illecitamente importa, acquista, o comunque detiene sostanze
stupefacenti o psicotrope per farne uso personale; b) dell'art. 73
del medesimo d.P.R. n. 309 del 1990 cit. - in riferimento agli artt.
13, 25 e 27 Cost. - nella parte in cui prevede la illiceità penale
della condotta di coltivazione di piante indicate dall'art. 26 del
d.P.R. n. 309 del 1990, da cui si estraggono sostanze stupefacenti o
psicotrope univocamente destinate all'uso personale,
indipendentemente dalla percentuale di principio attivo contenuta nel
prodotto della coltivazione stessa per sospetta violazione del
principio della necessaria offensività della fattispecie penale
nell'ipotesi in cui la coltivazione dia luogo a quantità (o
qualità) di infiorescenze dalle quali non sia ricavabile il
principio attivo in misura sufficiente a produrre l'effetto
(stupefacente) potenzialmente lesivo nel caso di successiva
assunzione.
2. - Preliminarmente i due giudizi vanno riuniti per connessione
oggettiva delle questioni di costituzionalità, in quanto, ancorché
diversi siano i profili e le prospettive delle due censure, entrambi
sono comunque attinenti al reato di coltivazione di piante, da cui si
estraggono sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73 del d.P.R. n.
309 del 1990 cit.).
3. - Va esaminata innanzi tutto la censura mossa all'art. 75 del
d.P.R. n. 309 del 1990 cit. dalla Corte d'appello di Catanzaro
perché di portata più ampia di quella sollevata dal Tribunale di
Camerino e quindi in rapporto di continenza rispetto a quest'ultima.
4. - In via pregiudiziale - quanto all'ammissibilità della
questione - deve considerarsi che la Corte rimettente parte dal
presupposto esegetico della perdurante irrilevanza dell'(eventuale)
fine perseguito dall'agente di destinare ad uso personale le sostanze
stupefacenti estratte dalle piante, indicate nell'art. 26 del d.P.R.
n. 309 del 1990 cit., coltivate senza autorizzazione, fine che il
successivo art. 75 - come emendato dopo l'esito referendario sancito
dal d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 - prevede (ma soltanto con
riferimento alle condotte di importazione, acquisto o detenzione di
sostanze stupefacenti) quale linea di confine tra l'illecito penale e
quello amministrativo. In particolare, operando la ricognizione di
quello che assume essere allo stato il "diritto vivente", la Corte
rimettente esclude che sia possibile, in via di interpretazione
adeguatrice, far rifluire anche la condotta della coltivazione per
"uso personale" in quelle previste dall'art. 75 cit. e quindi
ritenerla depenalizzata. Tanto è sufficiente - prescindendo
dall'identificabilità, o meno, di un "diritto vivente" già
formatosi e tenendo conto comunque dell'evoluzione giurisprudenziale
in materia - per poter passare ad esaminare nel merito la questione
di costituzionalità, atteso che si appalesa come plausibile
l'esegesi operata dalla Corte d'appello rimettente. Ed infatti la
giurisprudenza della Corte di cassazione, dopo un'iniziale pronuncia
favorevole all'interpretazione adeguatrice (Cass., sez. VI, 3 maggio
1994, n. 6347), della quale questa Corte ha tenuto conto per
dichiarare l'inammissibilità di analoga questione di
costituzionalità (sentenza n. 443 del 1994), ha successivamente
optato per un'interpretazione stretta che limita la rilevanza del
fine dell'"uso personale" alle sole condotte tassativamente indicate
nell'art. 75, disposizione questa che non contempla - come già
rilevato - la condotta della "coltivazione" (Cass., sez. IV, 29
settembre 1994 n. 12621; Cass., sez. VI, 12 luglio 1994 n. 3353);
esegesi quest'ultima che, a prescindere dagli eventuali sviluppi
ulteriori del così insorto contrasto di giurisprudenza, è
sufficiente a giustificare l'esame nel merito della questione alla
stregua del presupposto interpretativo dal quale muove la Corte
rimettente.
5. - Nel merito la questione non è fondata in ragione della non
comparabilità della condotta delittuosa, prevista dall'art. 73
citato, con alcuna di quelle allegate come tertia comparationis
sicché non sussiste la denunciata disparità di trattamento.
Si ha infatti da una parte che la detenzione, l'acquisto e
l'importazione di sostanze stupefacenti per uso personale
rappresentano condotte collegate immediatamente e direttamente
all'uso stesso, e ciò rende non irragionevole un atteggiamento meno
rigoroso del legislatore nei confronti di chi, ponendo in essere una
condotta direttamente antecedente al consumo, ha già operato una
scelta che, ancorché valutata sempre in termini di illiceità,
l'ordinamento non intende contrastare nella più rigida forma della
sanzione penale, venendo in rilievo, in un contesto emergenziale di
contingente aggravamento delle conseguenze delle tossicodipendenze,
il rischio alla salute dell'assuntore ove ogni condotta
immediatamente antecedente al consumo fosse assoggettata a sanzione
penale. Invece nel caso della coltivazione manca questo nesso di
immediatezza con l'uso personale e ciò giustifica un possibile
atteggiamento di maggior rigore, rientrando nella discrezionalità
del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti
propedeutici all'approvigionamento di sostanze stupefacenti per uso
personale.
Per altro verso la scelta della non criminalizzazione del consumo
in sé (che rappresenta una nota costante di tale disciplina di
settore, pur nelle alterne formulazioni ispirate a maggiore o minor
rigore) implica necessariamente anche, in qualche misura, la non
rilevanza penale di comportamenti immediatamente precedenti essendo
di norma la detenzione (spesso l'acquisto, talvolta l'importazione)
l'antecedente ultimo dell'assunzione. La linea di confine di queste
condotte che, per il fatto di approssimarsi all'area di non
illiceità penale (quella del consumo), si giovano di riflesso di una
valutazione di maggiore tolleranza, è stata segnata prima dalla
"modica quantità", poi dalla "dose media giornaliera", infine
dall'"uso personale"; ma si tratta pur sempre di una sorta di cintura
protettiva del nucleo centrale
(id est il consumo) per evitare il rischio che l'assunzione di
sostanze stupefacenti - che il legislatore ha ritenuto da ultimo di
contrastare appunto con la comminatoria di sanzioni solo
amministrative per le condotte ritenute più immediatamente
antecedenti - possa indirettamente risultare di fatto assoggettata a
sanzione penale. La coltivazione invece è esterna a quest'area
contigua al consumo e ciò già di per sé rende ragione sufficiente
di una disciplina differenziata.
6. - Né va taciuto che la stessa destinazione ad uso personale si
presta ad essere apprezzata in termini diversi nelle situazioni qui
comparate. Infatti nella detenzione, acquisto ed importazione il
quantitativo di sostanza stupefacente è certo e determinato e
consente, unitamente ad altri elementi attinenti alle circostanze
soggettive ed oggettive della condotta, la valutazione prognostica
della destinazione della sostanza. Invece nel caso della coltivazione
non è apprezzabile ex ante con sufficiente grado di certezza la
quantità di prodotto ricavabile dal ciclo più o meno ampio della
coltivazione in atto, sicché anche la previsione circa il
quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle
piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della
sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano
maggiormente ipotetiche e meno affidabili; e ciò ridonda in maggiore
pericolosità della condotta stessa, anche perché - come ha rilevato
la stessa giurisprudenza della Corte di cassazione - l'attività
produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i
quantitativi coltivabili e quindi ha una maggiore potenzialità
diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili.
Pertanto, anche nel diverso contesto normativo rappresentato dal
d.P.R. n. 309 del 1990, deve pervenirsi ad una pronuncia di non
fondatezza della questione di costituzionalità, non dissimilmente da
quanto in precedenza già ritenuto da questa Corte con riferimento
agli artt. 26, 28, 71, 72 e 80 della legge 22 dicembre 1975, n. 685
(ordinanza n. 231 del 1982).
7. - Neppure fondata è la seconda questione.
La verifica del rispetto del principio dell'offensività come
limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore
ordinario nel perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio
di disvalore implica la ricognizione della astratta fattispecie
penale, depurata dalla variabilità del suo concreto atteggiarsi nei
singoli comportamenti in essa sussumibili. Operata questa astrazione
degli elementi essenziali del delitto in esame, risulta una condotta
(quella di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi
attivi di sostanze stupefacenti) che ben può valutarsi come
"pericolosa", ossia idonea ad attentare al bene della salute dei
singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di
materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di
spaccio di droga; tanto più che - come già rilevato - l'attività
produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i
quantitativi coltivabili. Si tratta quindi di un tipico reato di
pericolo, connotato dalla necessaria offensività proprio perché non
è irragionevole la valutazione prognostica - sottesa alla astratta
fattispecie criminosa - di attentato al bene giuridico protetto. E -
come già questa Corte ha avuto occasione di rilevare (sentenze n.
133 del 1992 e n. 333 del 1991; ma cfr. anche sentenza n. 62 del
1986) - non è incompatibile con il principio di offensività la
configurazione di reati di pericolo presunto; né nella specie è
irragionevole od arbitraria la valutazione, operata dal legislatore
nella sua discrezionalità, della pericolosità connessa alla
condotta di coltivazione.
8. - Diverso profilo è quello dell'offensività specifica della
singola condotta in concreto accertata; ove questa sia assolutamente
inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato (come nel
caso - prospettato dal giudice rimettente - della coltivazione in
atto, e senza previsione di ulteriori sviluppi, di un'unica pianta da
cui possa estrarsi il principio attivo della sostanza stupefacente in
misura talmente esigua da essere insufficiente, ove assunto, a
determinare un apprezzabile stato stupefacente), viene meno la
riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta,
proprio perché la indispensabile connotazione di offensività in
generale di quest'ultima implica di riflesso la necessità che anche
in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo,
nella singola condotta dell'agente, in difetto di ciò venendo la
fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (art. 49
cod. pen.). La mancanza dell'offensività in concreto della condotta
dell'agente non radica però alcuna questione di costituzionalità,
ma implica soltanto un giudizio di merito devoluto al giudice
ordinario (sentenze n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991 già citate).
Costituisce poi questione meramente interpretativa, rimessa
altresì al giudice ordinario, la identificazione, in termini più o
meno restrittivi, della nozione di "coltivazione" che, sotto altro
profilo, incide anch'essa sulla linea di confine del penalmente
illecito.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza), come modificato a seguito del d.P.R. 5 giugno
1993, n. 171, sollevata, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, dalla Corte d'appello di Catanzaro con l'ordinanza
indicata in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza), sollevata, in riferimento agli artt. 13, 25 e 27
della Costituzione, dal Tribunale di Camerino con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.
Il Presidente: BALDASSARRE
Il redattore: GRANATA
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1995.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA