Titolo
SENT. 126/95 A. PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO - DISCIPLINA DI CUI ALLA L. N. 241 DEL 1990, ART. 7 - INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE - NECESSITA' CHE L'AVVISO DI PROCEDIMENTO PRECEDA OGNI PROVVEDIMENTO IDONEO AD INCIDERE SULLA POSIZIONE DEL SOGGETTO INTERESSATO - APPLICABILITA' DI TALE NORMATIVA AI PROCEDIMENTI PER LA DISPENSA DEL SOTTUFFICIALE DAL SERVIZIO PERMANENTE, DI CUI ALL'ART. 33, L. N. 599 DEL 1954 - CONDIZIONI E LIMITI, IN BASE AL PRINCIPIO 'TEMPUS REGIT ACTUM ' - ESCLUSIONE DI APPLICABILITA' NEL CASO IN CUI SIA GIA' INTERVENUTO IL PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO - CONSEGUENTE RILEVANZA DELLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITA' SOLLEVATA, NELLA SPECIE, RIGUARDO AL DETTO ART. 33.
Testo
L'art. 7, l. n. 241 del 1990, sulla disciplina del procedimento amministrativo, il quale e' stato interpretato dalla giurisprudenza nel senso che l' avviso di procedimento in esso previsto, atteggiandosi a requisito di legittimita' del provvedimento conclusivo, deve precedere ogni provvedimento idoneo ad incidere sulla posizione del soggetto interessato all'azione della pubblica amministrazione, ha modificato l'art. 33, l. n. 599 del 1954, concernente il procedimento per la dispensa dal servizio permanente del sottufficiale non idoneo a disimpegnare le attribuzioni del proprio grado. Ma la nuova normativa, per il principio 'tempus regit actum', non incide sui procedimenti di cui al detto art. 33, nei quali sia gia' intervenuto il provvedimento conclusivo, con conseguente rilevanza, nella specie, della questione di costituzionalita' riguardante quest'ultimo articolo. red.: A. M. Marini
Riferimenti normativi
legge
31/07/1954
n. 599
art. 33
co. 0
legge
07/08/1990
n. 241
art. 7
co. 0
Titolo
SENT. 126/95 B. IMPIEGO PUBBLICO - DIPENDENTI MILITARI DEL MINISTERO DELLA DIFESA - SOTTUFFICIALI - INIDONEITA' A DISIMPEGNARE LE ATTRIBUZIONI DEL PROPRIO GRADO - PROVVEDIMENTO DI DISPENSA DAL SERVIZIO PERMANENTE - TERMINE PER PRESENTARE LE PROPRIE OSSERVAZIONI E POSSIBILITA' DI ESSERE SENTITO PERSONALMENTE - MANCATA PREVISIONE - LESIONE DEI PRINCIPI DI EGUAGLIANZA E RAGIONEVOLEZZA NONCHE' DEL CANONE DI BUON ANDAMENTO DELLA P.A. - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 'IN PARTE QUA' - ASSORBIMENTO DEL RESTANTE PROFILO DEDOTTO.
Testo
L'art. 33, l. 31 luglio 1954, n. 599, nella parte in cui, in ordine al procedimento per dispensa dal servizio del sottufficiale non idoneo a disimpegnare le attribuzioni del proprio grado, non prevede che a quest'ultimo sia assegnato un termine per presentare, ove creda, la proprie osservazioni e gli sia data la possibilita' di essere sentito personalmente, risulta carente non solo delle garanzie procedimentali poste a presidio della difesa e strumentali al buon andamento della P.A., sotto il profilo della migliore utilizzazione delle risorse professionali dell'amministrazione militare ma costituisce altresi' una discriminazione rispetto al 'genus' degli impiegati civili dello Stato (v. art. 129, d.P.R. n. 3 del 1957), priva di una valida ragione giustificatrice, anche nel peculiare 'status' dei militari. La norma risulta percio' lesiva sia dei principi di eguaglianza e ragionevolezza sia del canone di buon andamento dell'amministrazione e va quindi dichiarata, 'in parte qua', costituzionalmente illegittima, con assorbimento della censura mossa relativamente all'art. 52 Cost.. - V. massima A. red.: A. M. Marini
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 52
Costituzione
art. 97
Riferimenti normativi
legge
31/07/1954
n. 599
art. 33
co. 0
N. 126
SENTENZA 5-14 APRILE 1995
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,
dott. Riccardo CHIEPPA;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 33 della legge
31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della
Marina e dell'Aeronautica), promosso con ordinanza emessa il 13
dicembre 1990 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia,
sezione di Lecce su ricorso proposto da Bleve Francesco contro il
Ministero della Difesa, iscritta al n. 525 del registro ordinanze
1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39,
prima serie speciale, dell'anno 1994;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1995 il Giudice
relatore Francesco Guizzi;
Ritenuto in fatto
1. - Con provvedimento del 20 dicembre 1988, registrato alla Corte
dei conti in data 18 novembre 1989, il Ministero della difesa
dispensava dal servizio permanente, con decorrenza dal 1° febbraio
1989, Bleve Francesco, sottufficiale della marina militare, perché
inidoneo "a disimpegnare le attribuzioni del proprio grado".
Avverso tale provvedimento il Bleve, che in precedenza ne aveva
già ricevuto un altro con una motivazione parzialmente diversa,
comprensiva anche dello "scarso rendimento e mediocre condotta in
servizio" (provvedimento dichiarato giuridicamente inefficace dallo
stesso Tribunale), proponeva ricorso davanti al Tribunale
amministrativo regionale della Puglia, sezione di Lecce, deducendo
vari profili di illegittimità.
2. - Con ordinanza del 13 dicembre 1990 il TAR adito ha sollevato,
in relazione agli artt. 3, 53 (recte: 52), terzo comma e 97 della
Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 33 della legge
31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della
Marina e dell'Aeronautica).
Premette il giudice a quo che la norma impugnata preclude al
militare ogni apporto al procedimento di dispensa dal servizio
permanente e lo relega nel ruolo del mero destinatario passivo con
lesione di vari parametri costituzionali, fra i quali, innanzitutto,
quello di cui all'art. 3 della Costituzione, per la diversità
ingiustificata del trattamento riservato ai militari rispetto agli
impiegati civili dello Stato.
Se è vero che l'ordinamento militare presenta aspetti peculiari,
e differenziati, è altrettanto vero che le disposizioni meno
favorevoli, incidenti sul rapporto di servizio del dipendente
militare, debbono trovare una ragionevole giustificazione e,
comunque, un limite nell'esigenza di salvaguardia dei preminenti
interessi dell'apparato militare. Orbene, il diniego di
partecipazione del dipendente militare al procedimento - in modo da
consentirgli almeno di formulare osservazioni in proposito - non
sarebbe finalizzato ad alcuna esigenza di salvaguardia
dell'ordinamento militare, con la conseguenza di rendere
ingiustamente discriminatorio, e deteriore, il trattamento del
militare rispetto a quello, ben più favorevole, previsto per gli
impiegati civili dello Stato.
La disposizione impugnata, in quanto informata a principi
autoritaristici, contrasterebbe anche con l'art. 52, terzo comma,
della Costituzione e con il principio di buon andamento di cui
all'art. 97. L'azione amministrativa, infatti, potrebbe trovare
migliore esplicazione attraverso l'acquisizione di considerazioni dal
punto di vista dell'interessato; e, così, si appronterebbe uno
strumento di più puntuale conoscenza dei fatti, con maggior garanzia
per il dipendente. L'interesse personale alla conservazione del posto
di lavoro e l'interesse pubblico alla copertura dell'organico
verrebbero a coincidere nell'ipotesi - che non può essere
astrattamente esclusa - in cui l'unità lavorativa fosse, al
contrario di quanto unilateralmente stabilito, idonea alla
prestazione lavorativa.
3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per l'infondatezza della questione.
Ad avviso dell'Avvocatura, il richiamo al terzo comma
dell'articolo 52 sarebbe del tutto inconferente, poiché lo spirito
democratico, cui si debbono informare anche le Forze armate, esula
dalla materia in esame. Né sarebbero invocabili i principi del buon
andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione: la disposizione
impugnata non inciderebbe su situazioni inerenti all'attività
dell'amministrazione (quali sarebbero, ad esempio, le statuizioni che
regolano l'assunzione o l'avanzamento in carriera dei militari),
poiché la normativa concernente la dispensa per incapacità o scarso
rendimento non impingerebbe sull'efficienza e la funzionalità
dell'azione amministrativa.
Potrebbe, è vero, venire in rilievo il principio di uguaglianza o
quello di ragionevolezza, in considerazione della diversità di
trattamento dei militari rispetto agli altri pubblici dipendenti, ma
il loro status - per il peculiare vincolo gerarchico -
giustificherebbe la diversità di disciplina. Nel settore
dell'impiego militare sarebbe indispensabile, infatti, poter contare
su elementi di sicura affidabilità, in ragione dell'assoluta
delicatezza dei compiti da affrontare ove si tratti (come nel nostro
caso) di unità con mansioni di comando.
Considerato in diritto
1. - Viene all'esame della Corte l'art. 33 della legge 31 luglio
1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e
dell'Aeronautica), che consente all'amministrazione la dispensa dal
servizio permanente del sottufficiale non idoneo a disimpegnare le
attribuzioni del proprio grado per insufficienza delle qualità
necessarie o per scarso rendimento, senza procedere alla
contestazione dei fatti e, comunque, all'assegnazione di un termine
per la presentazione delle proprie osservazioni, come avviene per
tutti gli impiegati civili dello Stato, ai sensi dell'art. 129, terzo
e quarto comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle
disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello
Stato). Del citato art. 33 si sospetta il contrasto con i principi di
uguaglianza e ragionevolezza contenuti nell'art. 3, nonché con
quelli di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione di cui
all'art. 97, e con il terzo comma dell'art. 52 della Costituzione, in
base al quale l'ordinamento delle Forze armate si informa allo
spirito democratico della Repubblica.
Poiché il provvedimento impugnato dal sottufficiale contiene
soltanto l'ipotesi della "incapacità", quale formula della dispensa,
non rileva in questo giudizio il secondo comma del citato art. 129,
riguardante la "previa ammonizione" dell'impiegato per lo "scarso
rendimento". Le ulteriori garanzie elencate dai commi terzo e quarto
dell'art. 129 trovano, tuttavia, identica applicazione nelle due diverse ipotesi di dispensa.
L'invocato tertium comparationis, vale a dire la previsione
contenuta nei commi terzo e quarto dell'art. 129 del d.P.R. n. 3 del
1957, - dopo aver conosciuto, in una prima fase, un'interpretazione
riduttiva - ha successivamente visto affermarsi, con una
ricostruzione più corretta e adeguata alla lettera e allo spirito
dello "statuto", una esegesi della norma volta a garantire al
dipendente pubblico, in caso di dispensa, il diritto alla
contestazione degli addebiti, dei fatti ascritti e, finanche, il
diritto di estrarre copia degli atti del procedimento, per
l'affermato collegamento con l'art. 111 dello stesso d.P.R. n. 3 del
1957.
Al contrario, l'art. 33 della legge n. 599 del 1954 - che,
nell'ambito della complessiva disciplina dello Stato giuridico dei
sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, detta
una specifica regola circa la dispensa per inidoneità e per scarso
rendimento - non prevede né comunicazione dei fatti, né difesa,
risolvendosi l'azione amministrativa in un provvedimento unilaterale,
privo di una qualsiasi forma di partecipazione o interlocuzione da
parte dell'interessato.
Certo, in seguito all'emanazione della legge 7 agosto 1990, n.
241, contenente norme in materia di procedimento amministrativo e
diritto di accesso ai documenti, e particolarmente in base all'art.
7, la giurisprudenza ha affermato che l'avviso di procedimento, in
esso previsto, deve precedere ogni provvedimento idoneo a incidere
sulla posizione del soggetto interessato all'azione della pubblica
amministrazione, atteggiandosi a requisito di legittimità del
provvedimento conclusivo. Così che - se il provvedimento impugnato
nel procedimento principale non fosse anteriore all'entrata in vigore
della legge n. 241 - il Tribunale amministrativo rimettente avrebbe
potuto, e dovuto, risolvere il caso utilizzando l'indicato strumento
normativo; ma essendosi verificata la conclusione del procedimento in
una data anteriore all'emanazione della legge n. 241, la questione
sollevata assume rilevanza per il canone tempus regit actum.
2. - Passando al merito, la questione è fondata.
Come si è già visto, la previsione impugnata riservava ai
sottufficiali delle tre armi un trattamento deteriore rispetto al
genus degli impiegati civili dello Stato. Tale discriminazione -
venuta meno, ora, in virtù della già citata legge n. 241 - non
poteva trovare, neanche per il passato, una valida ragione
giustificatrice nel peculiare status dei militari. Infatti, nel caso
in esame non si contesta la legittimità costituzionale dell'istituto
della dispensa, ma la carenza di garanzie procedimentali a presidio
della difesa: che risultano altresì strumentali al buon andamento
dell'amministrazione militare sotto il profilo della migliore
utilizzazione delle risorse professionali. Di qui, la lesione non
soltanto dei principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza
introdotti dall'art. 3, ma anche del canone di buon andamento
dell'amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.
Resta assorbita la censura mossa con riferimento all'art. 52 della
Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 33 della legge
31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della
Marina e dell'Aeronautica), nella parte in cui non prevede che al
sottufficiale proposto per la dispensa dal servizio sia assegnato un
termine per presentare, ove creda, le proprie osservazioni e sia data
la possibilità di essere sentito personalmente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1995.
Il Presidente: BALDASSARRE
Il redattore: GUIZZI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 14 aprile 1995.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA