Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di tre procedimenti civili promossi contro
l'I.N.P.S. da Casolari Giovanni, Marzocchini Gina e Alessi Alba,
volti ad ottenere, con decorrenza rispettivamente dal 1 novembre
1988, 1 agosto 1983 e 1 aprile 1990, la riliquidazione della pensione
di riversibilità già concessa loro dal cennato Istituto a seguito
della morte dei rispettivi coniugi, il Pretore di Modena, con tre
distinte ordinanze di identico contenuto emesse in data 22 gennaio
1993, sollevava d'ufficio questione di legittimità costituzionale,
in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 22 della
legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento
dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), nella parte in
cui non prevede, in conformità ed in corrispondenza di quanto invece
disposto dall'art. 2, secondo comma, lettera a), della legge 12
agosto 1962, n. 1338 (quale risultante a seguito della sentenza n. 34
del 1981 della Corte costituzionale), che la pensione di
riversibilità sia calcolata in proporzione alla pensione diretta
integrata al minimo già liquidata al pensionato o che l'assicurato
avrebbe avuto comunque diritto di percepire.
Nei giudizi a quo gli attori sostenevano che l'aliquota di
riversibilità (60%) avrebbe dovuto applicarsi sull'ammontare della
pensione diretta integrata al minimo che il loro dante causa già
godeva e non sull'ammontare della pensione "teorica" che sarebbe
spettata a quest'ultimo in relazione alla sua posizione contributiva.
Fondavano la loro pretesa sulla parte del dispositivo di cui alla
sentenza n. 34 del 1981 di questa Corte, con la quale si è
dichiarata l'illegittimità, per violazione dell'art. 3 della
Costituzione, dell'art. 2, secondo comma, lettera a), della legge 12
agosto 1962, n. 1338, "nella parte in cui preclude il calcolo della
pensione di riversibilità I.N.P.S. calcolata in proporzione alla
pensione diretta I.N.P.S. integrata al minimo che il titolare defunto
avrebbe diritto di percepire ..".
L'I.N.P.S., costituitosi in quei giudizi, aveva chiesto il rigetto
delle domande attrici, in quanto la statuizione della Corte
costituzionale era inapplicabile ai casi di specie, non avendo avuto
ad oggetto le norme disciplinanti il criterio di calcolo della
pensione di riversibilità, previsto dagli artt. 22 della legge 21
luglio 1965, n. 903, e 12 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636
(convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272), come sostituito
dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218.
Il giudice remittente, condividendo la tesi dell'I.N.P.S., e
ritenuto che l'art. 22 della legge n. 903 del 1965, nel prevedere che
le pensione di riversibilità fosse calcolata in proporzione a quella
spettante al de cuius sulla base della sua posizione contributiva e
prescindendo dall'integrazione al minimo, fissasse un criterio di
liquidazione già riconosciuto contrastante con l'art. 3 della
Costituzione da questa Corte, seppure in relazione all'art. 2 della
legge n. 1338 del 1962, concernente la problematica relativa
all'integrazione al minimo della pensione I.N.P.S. in caso di cumulo
con altri trattamenti pensionistici, riteneva rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
nei termini sopra indicati. Evidenziava che sulla questione relativa
al parametro-base cui rapportare l'aliquota della pensione di
riversibilità non si era formato diritto vivente, sebbene fosse
prevalente l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il
trattamento di riversibilità dovesse essere calcolato sulla pensione
diretta del dante causa comprensiva del trattamento minimo.
2. - Nei giudizi davanti a questa Corte si sono costituiti
Marzocchini Gina (ord. 119/93) e Alessi Alba (ord. 120/93), chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile ovvero fondata. A
sostegno di tali conclusioni, le parti ritengono che la pronuncia n.
34 del 1981 di questa Corte ha introdotto nell'ordinamento un
principio applicabile anche a fattispecie analoghe a quella relativa
alla norma impugnata e che la Corte di Cassazione con indirizzo
costante (sentenze n. 2915 del 1987, 3507 del 1988, 150 del 1989 e
7100 del 1991), ha fornito ampia argomentazione interpretativa
dell'art. 22 della legge n. 903 del 1965, disponendo che la pensione
di reversibilità debba essere calcolata in rapporto alla pensione
già liquidata o che sarebbe spettata all'assicurato. Concludono,
quindi, per l'inammissibilità della questione proposta e solo in
linea gradata, qualora non fosse condivisa l'interpretazione
corrente, come formulata dalla Cassazione, perché sia dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 22 della legge n. 903 del
1965, nella parte in cui esclude dal calcolo della pensione di
reversibilità la porzione di integrazione al minimo goduta dal de
cuius o che sarebbe allo stesso spettata.
3. - Nel giudizio di cui all'ordinanza n. 118 ha presentato atto
di costituzione l'I.N.P.S. in data 4 giugno 1993, chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile.
Considerato in diritto
1. - Con tre ordinanze di identico contenuto, il Pretore di Modena
dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in riferimento
all'art. 3, primo comma, della Costituzione - la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965,
n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento del trattamento di
pensione della previdenza sociale) nella parte in cui non prevede che
la pensione di riversibilità sia calcolata in proporzione alla
pensione diretta integrata al trattamento minimo già liquidata al
pensionato o che l'assicurato avrebbe comunque diritto di percepire.
2. - I tre giudizi prospettano questioni identiche e possono
pertanto essere riuniti e decisi con unica sentenza.
3. Va preliminarmente dichiarato inammissibile l'atto di
costituzione dell'I.N.P.S. in quanto depositato oltre il termine
previsto dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dall'art. 3
delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
4. - Come fa notare l'ordinanza di rimessione, in riferimento alla
disposizione oggetto del presente giudizio si è venuto determinando,
nella giurisprudenza di merito ed in quella della Cassazione, un
contrastante orientamento. Secondo la tesi interpretativa
minoritaria, che fa soprattutto leva sulla dizione letterale
dell'art. 22 sopra richiamato, una volta soppressa la compatibilità
di più integrazioni al minimo in capo ad un titolare di una
pluralità di pensioni, non può il superstite godere, neppure in
percentuale, di una integrazione strettamente legata alle condizioni
economiche del defunto, quando poi la legge stessa riconosce ai
superstiti l'integrazione al minimo in base alle loro condizioni
economiche personali. L'altra tesi esegetica, che trae conseguenze da
alcuni passi contenuti nella sentenza n. 34 del 1981 di questa Corte,
perviene alla conclusione che il trattamento di riversibilità deve
essere calcolato sulla pensione diretta del dante causa, comprensiva
del trattamento minimo, sia stato questo da lui domandato oppure no.
Il giudice a quo - atteso che quest'ultimo orientamento non può
essere considerato "diritto vivente", e che comunque la richiamata
pronuncia di questa Corte non ha inciso sull'art. 22 sopra citato,
secondo cui la pensione di riversibilità deve essere calcolata su
quella spettante al de cuius sulla base della sua posizione
contributiva, prescindendo dalla sua integrazione al minimo - dubita
della costituzionalità di questa norma, che è ancora vigente ed
applicabile nel giudizio in corso.
5. - La questione va esaminata anzitutto in ordine alla sua
ammissibilità.
Il giudice remittente non si limita a prospettare a questa Corte
il contrasto nella interpretazione della giurisprudenza ordinaria,
ma, propendendo per una delle due tesi, sospetta di
incostituzionalità la norma che, così interpretata, dovrebbe
applicare.
Non può, quindi, ravvisarsi l'inammissibilità della questione
per non aver scelto il giudice rimettente, tra due interpretazioni
possibili, quella conforme a Costituzione.
6. - Nel merito la questione è fondata, ravvisandosi un contrasto
dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, con l'art. 3 della
Costituzione, sia sotto il profilo della irragionevolezza che della
disparità di trattamento.
Il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori, istituito con
la legge 4 aprile 1952, n. 218, ha dato luogo, com'è noto, ad una
serie di problemi esaminati in sede interpretativa e presi in
considerazione da successivi interventi del legislatore; e tale
quadro normativo è stato anche rettificato da diverse pronunce di
questa Corte.
Nei limiti che possono in qualche modo rilevare nella presente
questione, va ricordata la più volte richiamata sentenza n. 34 del
1981 in cui si è dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 2, lett.
a), della legge 12 agosto 1962, n. 1338, anche nella parte in cui
impediva "che il calcolo della pensione di riversibilità I.N.P.S.,
in caso di cumulo con altro trattamento di riversibilità, (fosse)
rapportato all'importo integrato al minimo della pensione diretta
I.N.P.S. che il defunto avrebbe dovuto percepire se avesse chiesto
l'integrazione".
La questione allora decisa non è identica a quella presente,
poiché riguardava una ipotesi di cumulo di due pensioni, in
relazione alla legittimità della diversa norma dell'art. 2 della
legge 12 agosto 1962, n. 1338, e nel quadro della disciplina vigente
nel 1981.
Nel presente caso, invece, le ipotesi del cumulo risultano
disciplinate dal sopravvenuto decreto-legge 12 settembre 1983, n.
463, e - per quanto riguarda l'ipotesi del calcolo dell'unica
pensione di riversibilità - occorre far riferimento all'art. 22
della legge 21 luglio 1965, n. 903; il quale, nel secondo comma,
prevede che "tale pensione è stabilita nelle seguenti aliquote della
pensione già liquidata o che sarebbe spettata all'assicurato a norma
dell'art. 12 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 639, convertito in legge 6
luglio 1939, n. 1272".
Ora, da una parte, si sostiene che quest'ultima norma (così come
modificata dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218) determini
la pensione in ragione della posizione contributiva non integrata al
minimo, per cui il superstite non potrebbe godere, neppure in
percentuale, di quella integrazione, strettamente legata alle
condizioni economiche del defunto.
Senonché, va anzitutto rilevata l'irragionevolezza di un tale
ordine di idee, dal momento che il rinvio che l'art. 22 della legge
n. 903 del 1965 fa all'art. 12 sopra richiamato può ritenersi
corretto solo nel senso che la pensione di riversibilità a favore
del superstite sia calcolata in una percentuale della intera pensione
diretta spettante al de cuius, una volta che il dante causa aveva
diritto ad una determinata pensione unitariamente considerata nelle
sue componenti (base contributiva più l'integrazione al minimo a lui
dovuta).
Invero, come già affermato da questa Corte, (v., da ultimo,
sentenza n. 926 del 1988), la pensione di riversibilità attua, per
il coniuge superstite, una specie di proiezione oltre la morte della
funzione di sostentamento assolta in vita dal reddito del de cuius,
perseguendo lo scopo di porre il superstite al riparo dallo stato di
bisogno che potrebbe derivargli dalla morte del coniuge. Ora, dette
finalità, non verrebbero integralmente realizzate se si ammettesse
che il calcolo della percentuale spettante al coniuge superstite si
operasse sulla pensione c.d. contributiva e non già sull'importo
effettivamente percepito dal coniuge defunto, comprensivo
dell'integrazione al minimo.
Inoltre la tesi limitativa, riferita alla sola base contributiva,
determinerebbe l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto a
quanto già riconosciuto da precedenti sentenze di questa Corte (n.
34 del 1981; n. 314 del 1985; n. 184 del 1988 ed altre) intese a
garantire un rapporto equilibrato fra le diverse pensioni.
Tale prospettiva, costituzionalmente legittima, non appare
ostacolata dall'asserita incompatibilità del cumulo tra la c.d.
"percentualizzazione" dell'integrazione al minimo della pensione
diretta spettante al de cuius e l'"autonomo diritto"
dell'integrazione al minimo della pensione di riversibilità, poiché
trattasi in realtà di distinti momenti e di diverse pensioni cui
hanno diritto i rispettivi titolari: quella dell'assicurato defunto,
comprensiva del minimo che ne costituisce parte integrante, e quella
del superstite, calcolata sia nella percentuale di quella spettante
al suo dante causa, sia nella sua autonoma integrazione al minimo.