Ritenuto in fatto
1. - La Regione Emilia-Romagna ha proposto ricorso per conflitto
di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri in
relazione all'ordinanza adottata dal Ministro dell'ambiente, di
concerto con il Ministro dell'agricoltura e foreste, il 5 gennaio
1993 e avente ad oggetto "Divieto dell'attività venatoria su tutto
il territorio nazionale per un periodo di otto giorni", al fine di
sentir dichiarare che non spetta al Ministro dell'ambiente il potere
di vietare l'attività venatoria in tutto il territorio nazionale e
di ottenere conseguentemente l'annullamento dell'ordinanza stessa per
violazione degli artt. 117, primo comma, e 118, primo comma, della
Costituzione.
Nel ricorso si ricorda che la materia della caccia è assegnata
alla potestà legislativa ed amministrativa delle Regioni dall'art.
117, primo comma, e dall'art. 118, primo comma, della Costituzione e
che l'art. 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente la
disciplina quadro della materia, affida alle Regioni il potere di
"vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate
specie di fauna selvatica .. per importanti e motivate ragioni
connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari
condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre
calamità".
Sulla base di tali richiami, l'ordinanza impugnata, ad avviso
della Regione, sarebbe innanzitutto priva di qualunque base
giuridica.
Risulterebbe, infatti, incongruo il richiamo, contenuto nella
stessa ordinanza, all'art. 19 della legge n. 157 del 1992, dal
momento che tale norma attribuisce in via esclusiva alle Regioni il
potere di divieto e di riduzione della caccia senza prevedere
interventi statali né in via ordinaria né in via sostitutiva,
riferendo tale potere a situazioni che si manifestano e si valutano
sul piano locale. Incoferente sarebbe poi il riferimento all'art. 21
della legge n. 157, in quanto tale norma non prevede poteri
amministrativi, ma stabilisce direttamente alcuni divieti in
riferimento a particolari condizioni (neve e ghiaccio), senza
richiedere atti di applicazione. Inappropriato sarebbe, infine, il
richiamo all'art. 8 della legge n. 59 del 1987, norma che regola il
potere ministeriale di emettere ordinanze contingibili ed urgenti
collegandolo a due presupposti ("grave pericolo di danno ambientale"
e "impossibilità di provvedere altrimenti") che, ad avviso della
Regione, non ricorrerebbero nel caso di specie.
In termini più generali, secondo la Regione Emilia-Romagna, il
sistema generale di tutela dell'ambiente ed il sistema di tutela
della fauna dovrebbero ritenersi giuridicamente distinti - pur
essendovi alcune connessioni previste dalla legge - con la
conseguenza che gli strumenti generali di tutela ambientale non
potrebbero esser tout court impiegati per il settore faunistico-venatorio.
In via subordinata, la Regione ricorrente afferma poi che
l'ordinanza impugnata risulterebbe invasiva della sfera di competenza
regionale anche ove si sostenesse che il potere del Ministro
dell'ambiente è stato esercitato in via sostitutiva di fronte ad una
inerzia regionale. Una tale tesi, oltre che infondata, condurrebbe
anche alla constatazione di ulteriori illegittimità giacché i
poteri sostitutivi del Ministero dell'ambiente nei riguardi delle
Regioni - regolati dall'art. 8, terzo comma, della legge 8 luglio
1986, n. 349 - riguardano ipotesi di inosservanza, da parte delle
Regioni, di disposizioni di legge relative alla tutela dell'ambiente
e possono essere esercitati solo nel rispetto di una procedura che
contempla, tra l'altro, la diffida ad adempiere entro un termine,
l'adozione in via cautelare di misure provvisorie di salvaguardia, la
comunicazione alle amministrazioni competenti, tutte ipotesi non
ricorrenti nel caso di specie.
La Regione rileva, infine, che l'ordinanza, oltre che
insufficientemente motivata, si presenta contraddittoria,
sproporzionata e arbitraria, anche per la totale mancanza di
riscontri fattuali riferibili alle singole situazioni locali.
La Regione chiede, pertanto, a questa Corte di dichiarare che non
spetta al Ministro dell'ambiente il potere di vietare, con propria
ordinanza, l'attività venatoria su tutto il territorio nazionale e,
conseguentemente, di annullare l'ordinanza impugnata.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o infondato.
L'amministrazione resistente - dopo aver rilevato che il
provvedimento oggetto di conflitto ha esaurito la sua efficacia prima
della proposizione del ricorso - contesta che la materia della caccia
possa ritenersi estranea alla nozione di ambiente, dal momento che,
al contrario, la fauna selvatica - dichiarata patrimonio
indisponibile dello Stato dall'art. 1 della legge n. 157 del 1992 -
si presenta come risorsa naturalistica e quindi componente
dell'ambiente come sistema biofisico.
Pertanto, un danno alla fauna sarebbe da considerare come danno
ambientale per la cui prevenzione ben può essere attivata,
ricorrendone i presupposti, la misura cautelare di cui all'art. 8
della legge n. 59 del 1987. Quest'ultima disposizione prevede,
infatti, un intervento di "estrema salvaguardia" posto a garanzia di
tutti i valori ambientali come "strumento di prevenzione di un danno
all'ambiente utilizzabile in funzione integrativa delle discipline
settoriali quando queste, nella situazione contingente, non offrono
misure appropriate allo scopo".
Inoltre - sempre a giudizio della Presidenza del Consiglio -
l'ordinanza in questione sarebbe stata emanata proprio nell'ipotesi -
menzionata dall'art. 8 della legge n. 59 del 1987 - di impossibilità
di "altrimenti provvedere", in quanto il divieto generale e
temporaneo dell'attività venatoria in tutto il territorio nazionale
- ritenuto necessario per impedire un grave danno al patrimonio
faunistico nelle condizioni meteo-climatiche esistenti nel periodo
considerato - si presenta come misura non contemplata dalla legge
settoriale n. 157 del 1992. Per un verso, infatti, l'art. 19, primo
comma, della legge n. 157 prevede che le Regioni possano vietare o
ridurre per periodi prestabiliti la caccia, ma solo relativamente a
determinate specie di fauna selvatica; per l'altro, l'art. 20, lett.
m) ed n), dispone un divieto generale di caccia a tutte le specie
solo in presenza di specifiche ipotesi di condizioni climatiche
obbiettivamente verificabili dal cacciatore (terreni coperti di neve
o specchi d'acqua coperti da ghiaccio). L'impossibilità per le
Regioni di intervenire con effetti protettivi equivalenti a quelli
assicurati dall'ordinanza impugnata giustificherebbe, pertanto,
l'intervento del Ministro dell'ambiente, con una misura che non è
sostitutiva di una inerzia regionale.
Infine, i rilievi svolti dalla Regione sulla insufficienza della
motivazione nonché sulla contraddittorietà e sul difetto di
proporzionalità del provvedimento impugnato risulterebbero
irrilevanti ai fini della decisione sulla spettanza al Ministro
dell'ambiente del potere contestato con il conflitto.
3. - Contro la stessa ordinanza del Ministro dell'ambiente ha
sollevato conflitto di attribuzione anche la Regione Autonoma della
Valle D'Aosta, per sentir dichiarare che rientra nelle sue
attribuzioni il potere di porre divieti anche temporanei
all'esercizio della caccia nel territorio regionale e,
conseguentemente, annullare l'ordinanza in questione per violazione
dello Statuto di autonomia speciale della Valle d'Aosta (Legge cost.
26 febbraio 1948, n. 4), ed, in particolare, dei suoi artt. 2, lett.
d) ed l), e 4. Espone la Regione ricorrente che il suo Statuto
prevede la potestà legislativa regionale primaria in materia di
caccia e pesca (art. 2, primo comma, lett. l) nonché in materia di
flora e fauna (art. 2, lett. d) e stabilisce anche (art. 4) che la
Regione ha competenza amministrativa su tutte le materie su cui ha
competenza legislativa. Competenze in materia venatoria sono inoltre
attribuite a tutte le Regioni dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157.
Con l'ordinanza impugnata, il Ministro dell'ambiente avrebbe
determinato una illegittima compressione della sfera di autonomia
spettante alla Regione nell'esercizio delle proprie potestà
amministrative. A questo proposito, la Regione ricorrente sottolinea
che tale compressione non può essere giustificata con il richiamo
all'esercizio della funzione statale di indirizzo e coordinamento,
dal momento che il provvedimento impugnato non può essere
considerato estrinsecazione di tale funzione in ragione della
specificità del suo contenuto e del suo limitato ambito temporale di
efficacia.
La Regione pone altresì in evidenza che gli artt. 19 e 21 della
legge n. 157 del 1992 - menzionati nelle premesse dell'ordinanza del
Ministro dell'ambiente - affermano una competenza amministrativa
regionale in materia venatoria, rendendo così palese che
l'amministrazione statale ha esercitato una competenza che le norme
invocate riconoscono soltanto alle Regioni.
Infine, sempre secondo la Regione, non può essere invocata a
sostegno dell'ordinanza impugnata né una competenza attuativa del
Ministero dell'ambiente in materia di convenzioni internazionali (non
essendo possibile individuare una convenzione internazionale di cui
il provvedimento possa esser considerato attuazione), né il potere
del Ministro di emanare ordinanze contingibili ed urgenti regolato
dall'art 8 della legge n. 59 del 1987, che ha altre finalità e
presupposti.
Nella parte conclusiva del suo ricorso la Regione Valle d'Aosta
sottolinea anche che l'interesse a ricorrere permane nonostante che
l'ordinanza impugnata abbia esaurito la sua efficacia, dal momento
che il thema decidendum del conflitto risulta rappresentato dalla
dichiarazione della competenza ed il regolamento del conflitto è
destinato ad assumere rilevanza anche per quelle ipotesi in cui sia
possibile la reiterazione del provvedimento invasivo delle
attribuzioni.
4. - Anche la Regione autonoma della Sardegna ha proposto ricorso
per conflitto di attribuzione in relazione alla stessa ordinanza del
Ministro dell'ambiente del 5 gennaio 1993 per sentir dichiarare che
non spetta allo Stato adottare, con decreto del Ministro
dell'ambiente, divieti di esercizio dell'attività venatoria estesi
al territorio della Regione Sardegna e per l'effetto annullare
l'ordinanza in questione.
Dopo aver premesso che lo Statuto speciale di autonomia (Legge
cost. 26 febbraio 1948, n. 3) attribuisce alla Regione autonoma della
Sardegna potestà legislativa e amministrativa di tipo esclusivo in
materia di caccia (artt. 3, lett. i), e 6) e che la legge regionale
28 aprile 1978, n. 32, ha dettato una organica disciplina della
caccia, la ricorrente sostiene che spetta agli organi regionali di
disporre eventuali divieti temporanei di caccia anche ove ciò sia
reso necessario da particolari avversità atmosferiche che colpiscano
il territorio dell'isola. Il Ministro dell'ambiente, invece, non
sarebbe legittimato all'emanazione di tali provvedimenti non
esistendo nell'ordinamento alcuna norma che gli attribuisca il
relativo potere. L'art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, infatti,
conferisce al Ministro il potere di adottare ordinanze contingibili
ed urgenti al solo fine di tutelare l'ambiente; e per quanti
collegamenti vi siano tra la fauna e l'ambiente le due materie non
sarebbero identiche, come confermato dalla legge 8 luglio 1986, n.
349, istitutiva del Ministero dell'ambiente, che assegna
all'amministrazione centrale competenze relative al "patrimonio
naturale" (art 1, secondo e quinto comma), non identificabile con il
"patrimonio faunistico". Aggiunge poi la Regione che il potere di
ordinanza esercitato dal Ministero non troverebbe fondamento né
nell'art. 19 della legge n. 157 del 1992 - che riconosce alle
Regioni e non allo Stato la facoltà di vietare o di ridurre la
caccia per periodi prestabiliti - né nell'art. 21 della stessa legge
che, alle lettere m) ed n) del primo comma, istituisce divieti
immediatamente operativi di cacciare su terreni innevati oppure su
specchi d'acqua ghiacciati o su terreni allagati. Da queste
considerazioni la ricorrente trae la conclusione che l'ordinanza
impugnata sarebbe lesiva delle attribuzioni costituzionali della
Regione Sardegna perché con essa il Ministro ha preteso di
esercitare un potere spettante agli organi regionali e perché in
contrasto con il principio di legalità.
Sarebbe inoltre da escludere anche ogni giustificazione del
provvedimento fondata sulla tutela di un interesse nazionale o
sull'adempimento di un obbligo internazionale giacché di tali
motivazioni non vi è adeguata dimostrazione nell'ordinanza. Questa,
al contrario, contiene solo un generico riferimento alle condizioni
meteo-climatiche esistenti al momento della sua adozione, inidoneo a
spiegare la necessità di un divieto di caccia esteso anche ad una
regione dal clima tipicamente mediterraneo come la Sardegna, toccata
in misura irrilevante dal freddo e dalle nevicate del gennaio 1993.
5. - Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per
chiedere l'inammissibilità del ricorso sulla base delle stesse
argomentazioni già svolte con l'atto di costituzione in giudizio
promosso contro la stessa ordinanza del Ministro dell'ambiente dalla
Regione Emilia-Romagna.
6. - In prossimità dell'udienza di discussione sia la Regione
Emilia-Romagna che la Regione autonoma della Sardegna hanno
presentato memorie per replicare agli argomenti svolti dalla difesa
dello Stato ed insistere nelle rispettive conclusioni.
In particolare, la Regione Emilia-Romagna sottolinea che, se è
vero che un divieto generale e temporaneo dell'attività venatoria in
tutto il territorio nazionale è misura non prevista dalla legge,
ciò si verifica perché il potere di vietare la caccia può e deve
essere esercitato esclusivamente in ambiti regionali trattandosi di
situazioni apprezzabili solo localmente ed insuscettibili di
frazionamento. Per questa via un divieto di caccia operante
sull'intero territorio resta pur sempre possibile come somma di
misure regionali tanto più ove si consideri che le Regioni non sono
tenute ad adottare limitazioni della caccia circoscritte solo a determinate specie, ma ben possono estendere il divieto a tutte le spe-
cie cacciabili nel loro territorio. La Regione Sardegna, a sua
volta, rileva che ogni Regione dispone del potere - in base all'art.
19, primo comma, della legge n. 157 del 1992 - di stabilire divieti
temporanei per tutte le specie cacciabili nel proprio territorio,
poiché il riferimento contenuto in detta norma a divieti regionali
di caccia concernenti "determinate specie di fauna selvatica", da un
lato, non esclude l'adozione di provvedimenti riguardanti "tutte" le
specie esistenti nel territorio regionale e, dall'altro, tiene conto
del fatto che in nessuna regione esistono tutte le specie cacciabili
di cui all'elenco dell'art. 18 della legge n. 157. Non sussisterebbe,
quindi, la situazione di "non potersi altrimenti provvedere" prevista
dall'art. 8 della legge n. 59 del 1987 ed invocata dall'Avvocatura a
fondamento dell'ordinanza ministeriale impugnata.
Considerato in diritto
1. - I conflitti sollevati dalla Regione Emilia-Romagna, dalla
Regione autonoma della Valle d'Aosta e dalla Regione autonoma della
Sardegna trovano il loro presupposto nello stesso provvedimento
ministeriale (ordinanza del Ministro dell'ambiente del 5 gennaio
1993, recante "Divieto dell'attività venatoria su tutto il
territorio nazionale per un periodo di giorni otto") e svolgono
motivi in gran parte analoghi. I ricorsi relativi possono essere,
pertanto, riuniti al fine di essere decisi con un'unica pronuncia.
2. - Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità
prospettata dalla difesa dello Stato con riferimento all'avvenuto
esaurimento dell'efficacia del provvedimento che ha dato origine ai
conflitti. Se è vero, infatti, che l'ordinanza del Ministro
dell'ambiente del 5 gennaio 1993 aveva un'efficacia interdittiva
limitata ad otto giorni dalla data della sua pubblicazione, è anche
vero che, in sede di conflitto, l'interesse della Regione alla
pronuncia di questa Corte si è protratto e permane anche al di là
del termine di efficacia del provvedimento impugnato (v. sent. n. 3
del 1962, par. 4): e questo tanto al fine del riconoscimento della
spettanza del potere esercitato che dell'annullamento dell'atto che
ha dato luogo al conflitto, i cui effetti indiretti (come nel caso di
sanzioni applicate durante il periodo di vigenza del provvedimento)
possono prolungarsi oltre il termine di scadenza dello stesso.
3. - Nel merito i ricorsi si presentano fondati.
L'ordinanza del 5 gennaio 1993, che ha determinato i conflitti in
esame, è stata adottata dal Ministro dell'ambiente, di concerto con
il Ministro dell'agricoltura e foreste, ai sensi dell'art. 8 della
legge 3 marzo 1987, n. 59, dove si attribuisce al Ministro
dell'ambiente, di concerto con i Ministri eventualmente competenti,
il potere di emanare "ordinanze contingibili ed urgenti per la tutela
dell'ambiente" nei casi in cui ricorrano "situazioni di grave
pericolo di danno ambientale e non si possa altrimenti provvedere".
Nella specie, l'esercizio di tale potere è stato motivato, nelle
premesse del provvedimento, con riferimento alle condizioni meteo-climatiche che si sono manifestate nel territorio italiano all'inizio
del gennaio 1993, condizioni suscettibili di configurare, ad avviso
del Ministro, "uno stato di grave pericolo di danno ambientale" per
la minaccia alla fauna selvatica, "in quanto per tali condizioni la
fauna selvatica stessa risulta essere in condizioni di maggiore
vulnerabilità". Sempre secondo la motivazione espressa
nell'ordinanza, l'"unico strumento" per prevenire tale pericolo
poteva, nella specie, attuarsi mediante la sospensione di ogni
attività venatoria su tutto il territorio nazionale per un periodo
di giorni otto.
Ora - diversamente da quanto ritengono le Regioni ricorrenti - non
si può certo escludere che il Ministro dell'ambiente, nello
svolgimento dei suoi compiti di "conservazione e valorizzazione del
patrimonio naturale nazionale" (art. 1, secondo comma, legge 8 luglio
1986, n. 349), possa intervenire a difesa della risorsa ambientale
espressa dalla fauna selvatica, adottando, in situazioni eccezionali,
lo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente di cui all'art. 8
della legge n. 59 del 1987 e stabilendo, attraverso il ricorso a tale
strumento, provvedimenti suscettibili di incidere, quale conseguenza
della tutela adottata, anche sull'esercizio dell'attività venatoria,
così come regolata, in generale, dalla legge 11 febbraio 1992, n.
157: ma questo dovrà pur sempre avvenire nel rispetto delle due
condizioni previste dalla stessa norma per l'esercizio di tale
potere, condizioni rappresentate tanto nell'esistenza di una
situazione di "grave pericolo di danno ambientale" quanto
nell'impossibilità di "altrimenti provvedere".
In particolare, questa seconda condizione viene a configurare il
potere di ordinanza di cui all'art. 8 della legge n. 59 del 1987 -
secondo l'espressione usata nella memoria dall'Avvocatura - come
"estrema salvaguardia", cui risulta consentito ricorrere soltanto ove
non sussistano altri strumenti ovvero ove gli strumenti ordinari, pur
esistenti, non possano, in concreto, essere utilizzati.
Per quanto concerne il caso in esame (sospensione dell'attività
venatoria per motivi meteo-climatici), lo strumento ordinario di
intervento andava individuato nella disciplina posta dall'art. 19
della nuova legge-quadro sulla caccia (legge 11 febbraio 1992, n.
157), dove si affida alle Regioni il potere di "vietare o ridurre per
periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna
selvatica .. per sopravvenute particolari condizioni ambientali,
stagionali o climatiche o per malattie od altre calamità". E sempre
tra gli strumenti ordinari può inquadrarsi anche il potere
d'intervento sostitutivo che l'art. 8, terzo comma, della legge n.
349 del 1986 affida al Ministro dell'ambiente "in caso di mancata
attuazione o di inosservanza da parte delle Regioni .. delle
disposizioni di legge relative alla tutela dell'ambiente, qualora
possa derivarne un grave danno ecologico": potere che lo stesso
Ministro è legittimato a esercitare, previa diffida alle
amministrazioni inadempienti, mediante "misure provvisorie di
salvaguardia, anche a carattere inibitorio .. di attività
antropiche", di cui deve essere data preventiva comunicazione alle
amministrazioni competenti.
4. - Con l'ordinanza che ha dato origine ai conflitti in esame
tale disciplina ordinaria è stata trascurata, senza che di contro il
Ministero abbia preventivamente provveduto a compiere accertamenti
adeguati in ordine alla sussistenza delle condizioni idonee a
giustificare l'adozione della misura straordinaria di cui all'art. 8
della legge n. 59 del 1987.
Dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato risulta,
infatti, che il richiamo alla eccezionalità delle condizioni
climatiche è stato operato senza tener conto della possibile
diversità delle singole situazioni locali (tant'è che la Regione
Sardegna ha contestato, con riferimento al proprio territorio,
l'esistenza, nel periodo di cui è causa, di una situazione rischiosa
per la fauna selvatica conseguente alla presenza di neve o gelo),
mentre la gravità del pericolo per la fauna selvatica è stata
giustificata soltanto con un richiamo alle cause di cui all'art. 21,
lettere m) e n), della legge n. 157 (terreni innevati o allagati e
specchi d'acqua ghiacciati), cause, peraltro, già di per sé idonee
a determinare immediatamente un divieto assoluto di esercizio della
caccia, senza la necessità di ulteriori interventi amministrativi di
carattere generale.
Ma anche per quanto concerne il secondo requisito richiesto
dall'art. 8 della legge n. 59, non appare fondato sostenere che
l'impossibilità di provvedere "altrimenti" si veniva nella specie a
configurare in relazione al fatto che nella legge-quadro sulla caccia
non compare una misura di divieto generale dell'attività venatoria
per tutto il territorio nazionale, dal momento che il potere
interdittivo delle Regioni di cui all'art. 19 della legge n. 157 del
1992 risulta limitato a "determinate specie di fauna selvatica". In
realtà, il riferimento contenuto in questa norma, se correttamente
interpretato, può ricomprendere, per ciascuna Regione, tutte le specie cacciabili di cui all'art. 18 della stessa legge, mentre un
divieto esteso a tutto il territorio nazionale, ove non sia la
risultante di provvedimenti adottati contestualmente dalle singole
Regioni, potrà, in concreto, essere adottato dallo Stato soltanto
una volta accertata l'impossibilità da parte delle stesse Regioni di
intervenire efficacemente con gli strumenti ordinari.
Tale accertamento, nel caso di specie, pur nell'urgenza della
decisione, avrebbe dovuto comportare da parte del Ministro un'esame
differenziato delle condizioni meteo-climatiche riscontrabili nelle
diverse aree territoriali e - nel rispetto del principio di leale
collaborazione - contatti, quanto meno informali, con le singole
Regioni al fine di valutare la disponibilità delle stesse ad
adottare i provvedimenti più adeguati rispetto alle varie realtà
locali. Il che non è avvenuto, con conseguenze tali da incidere
negativamente nell'esercizio del potere utilizzato dal Ministro e da
determinare, di conseguenza, la lesione lamentata dalle Regioni
ricorrenti.