Ritenuto in fatto
1. - In fattispecie nella quale l'I.N.P.S. non aveva concesso al
lavoratore assicurato l'intero indennizzo per malattia, in quanto
taluni certificati erano pervenuti in ritardo rispetto al termine (di
due giorni dal rilascio) stabilito dall'art. 2 del d.l. n. 663/1979,
come successivamente modificato, la Corte di cassazione ha sollevato
la questione di legittimità costituzionale di tale norma, sul
rilievo preliminare che, una volta ritenuto dalle Sezioni Unite
(sent. n. 4854/87) che il diritto all'indennità di malattia è
condizionato dal tempestivo inoltro del certificato, l'impossibilità
di addurre il giustificato motivo sia coerente con l'istituto
dell'"onere", la cui inosservanza produce effetti pregiudizievoli
indipendentemente da un contegno colposo.
Da qui il dubbio di incostituzionalità (con riferimento al caso
in cui il lavoratore sarebbe in grado di comprovare il giustificato
motivo), sia sulla scorta del raffronto con la diversa disciplina
nell'ambito del lavoro subordinato (dove l'omessa tempestiva
comunicazione non comporta conseguenze irreparabili), sia in
considerazione della circostanza che, nei casi nei quali identica è
la ratio legis (quella di rendere possibili i controlli sullo stato
di malattia del lavoratore assente dal lavoro), la legge ammette il
correttivo del giustificato motivo. Così, ad esempio, quanto
all'obbligo del lavoratore di farsi trovare alla visita di controllo,
sancito a pena di decadenza, ma non operativo in caso di ricovero
ospedaliero, ovvero di malattia già in precedenza accertata (art. 5,
quattordicesimo comma, del d.l. n. 463/1983, conv. in legge n.
638/1983).
2. - Si sono costituite in giudizio le parti Cianci Giuseppe - che
ha ribadito gli argomenti svolti nell'ordinanza di rinvio, instando
per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma
denunciata - e l'I.N.P.S., che ha posto in rilievo come il
legislatore non abbia voluto negare al lavoratore mezzi adeguati in
caso di malattia, ma solo predisporre i dovuti e tempestivi
controlli, effettuabili soltanto al momento della denuncia del morbo
e non in un periodo successivo; che la stessa Corte costituzionale,
in occasione dell'esame della costituzionalità dell'art. 5,
quattordicesimo comma, del citato d.l. n. 463/1983, ha affermato, con
sentenza n. 78/1988, che non risulta violato il precetto dell'art. 38
allorché, con apposita normativa, siano posti condizioni, requisiti
ed oneri per l'insorgenza e l'esercizio del diritto dalla stessa
norma garantito; che, infine, non è possibile alcuna assimilazione
concettuale - operata, invece, dal giudice a quo - tra le due
fattispecie normative.
3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in
giudizio tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la
questione venga dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
L'Avvocatura nega, in particolare, che la norma integri
un'eccessiva compressione della sfera giuridica del lavoratore in
relazione allo scopo perseguito che è quello, segnatamente in caso
di degenza di breve durata, di rendere possibile un tempestivo
controllo, al fine di ridurre l'assenteismo e di evitare
un'ingiustificata erogazione di pubblico denaro. Esigenza, questa, di
natura prettamente pubblicistica e non assimilabile a quella
correlata all'invio del certificato al datore di lavoro.
Si osserva, infine, nell'atto di intervento, che il ritardato
adempimento dell'onere in questione non determina decadenza totale
dal diritto all'indennità ma la sola perdita corrispondente alla
durata del ritardo. Conseguenza non certo eccessiva in relazione alla
mancata osservanza di un onere ed all'estrema semplicità
dell'attività richiesta nella generalità dei casi, irrilevante
essendo che il caso di specie presentasse caratteri assolutamente
eccezionali.
In conclusione, l'Avvocatura osserva che il rigore della
regolamentazione va giudicato anche in relazione all'interesse che si
è inteso perseguire, segnalando come sia, ad esempio, certo che il
mancato rispetto del termine imposto per l'impugnazione di una
sentenza, anche se del tutto incolpevole, non può non determinare il
passaggio in giudicato della sentenza pregiudizievole, senza che ciò
possa in alcun modo riguardarsi come violazione dell'art. 24 Cost..
Nell'imminenza dell'udienza pubblica ha depositato una memoria la
parte privata Cianci Giuseppe. In tale atto la difesa di detta parte,
dopo avere riepilogato le vicende normative e giurisprudenziali della
disciplina concernente la documentazione e la giustificazione delle
assenze dal lavoro per malattia, critica il presupposto ermeneutico
da cui muove la censura di illegittimità costituzionale proposta
dalla Corte di cassazione.
Osserva, infatti, che la trasmissione della documentazione
suddetta non può considerarsi oggetto di un onere in senso tecnico,
a carico dell'assicurato, difettando un'esplicita qualificazione
normativa in tal senso e mal conciliandosi la figura dell'"onere" con
una prestazione previdenziale come l'indennità di malattia, a
carattere giornaliero.
Rileva, infine, che, ove si dovesse ritenere indeclinabile il
menzionato presupposto, apparirebbe fondata la questione di
legittimità costituzionale nei sensi esposti nell'ordinanza di
rimessione, secondo quanto ribadito dalla stessa Corte di cassazione
che, con successiva ordinanza (R.O. n. 728/88), ha riproposto la
medesima questione, nonché dal Tribunale di Siena (con ordinanza in
data 7 settembre 1988, ancora non pervenuta a questa Corte).
Considerato in diritto
1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità dell'art. 2,
secondo comma, del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con
modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, nel testo
sostituito dall'art. 15 della legge 23 aprile 1981, n. 155, nella
parte in cui non consente al lavoratore assicurato, colpito da
malattia ed avente diritto alla relativa indennità, la possibilità
di provare che la omessa trasmissione all'I.N.P.S., entro due giorni
dalla visita medica, del certificato di malattia sia dipesa da un
giustificato motivo.
Sarebbero violati gli artt. 38, secondo comma, e 3 Cost.:
a) per la situazione di privilegio attribuita al momento
strumentale dell'accertamento (invio del certificato medico) rispetto
alla reale esistenza della malattia, come evento da tutelare, con la
grave sanzione della perdita del diritto, costituzionalmente
garantito, all'indennità di malattia;
b) per la irrazionalità della norma censurata che esclude la
possibilità di far valere una causa di impedimento dell'invio del
certificato medico solo per quanto riguarda il rapporto tra il
lavoratore assicurato e l'I.N.P.S., mentre nessuna sanzione è
prevista per quanto attiene al rapporto tra le due parti del
contratto di lavoro, sicché il datore di lavoro è tenuto al
pagamento della indennità integrativa, mentre, invece, l'I.N.P.S.
non deve l'indennità di malattia;
c) per l'eguale irrazionalità rispetto ad altra norma (art. 5,
quattordicesimo comma, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463,
convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638),
ispirata alla stessa ratio (repressione dell'assenteismo) che,
regolando l'ipotesi dell'assenza del lavoratore in malattia alla
visita domiciliare di controllo, non prevede alcuna sanzione nel caso
che la mancata presenza sia dovuta a giustificato motivo.
2. - La questione è fondata.
Il d.l. 30 dicembre 1979, n. 633, convertito, con modificazioni,
nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, e ulteriormente la legge 23
aprile 1981, n. 155, operanti nell'ambito della riforma sanitaria di
cui alla legge n. 833 del 1978, hanno innovato il sistema precedente
di regolamentazione dell'erogazione dell'indennità di malattia al
lavoratore colpito da detto evento. Questo risultava dalla legge
istitutiva dell'I.N.A.M. 11 gennaio 1943, n. 138, e dagli artt. 1913
e 1915 cod. civ., stante il disposto dell'art. 1886 cod. civ. e,
successivamente, dal Regolamento delle prestazioni economiche
approvato dal Ministro del Lavoro verso la fine degli anni cinquanta,
che agli artt. 6 e 7 recepiva le norme del codice civile.
L'attuale sistema, invece, per la parte che interessa, stabilisce
che il lavoratore deve inviare, a mezzo raccomandata con avviso di
ricevimento, o consegnare il certificato di malattia, rilasciatogli
dal medico curante, rispettivamente all'I.N.P.S. o alla struttura
sanitaria pubblica, da esso indicata d'intesa con la Regione, e al
datore di lavoro nel termine di due giorni: sullo stato di salute del
lavoratore possono essere eseguiti controlli con i medici dei servizi
sanitari indicati dalle Regioni (art. 2, terzo comma, d.l. cit. e
art. 1, legge di conversione).
La disciplina dello svolgimento dei controlli è dettata da
convenzioni tra l'I.N.P.S. e le UU.SS.LL., da stipularsi sulla scorta
di appositi schemi predisposti d'intesa tra l'I.N.P.S. e le Regioni
ed approvati dal Ministro della Sanità (d.l. n. 168/1981, art. 8
bis, introdotto con la legge di conversione n. 331/1981) entro un
certo tempo, decorso il quale, provvede direttamente il Ministro
della Sanità di concerto col Ministro del Lavoro e della Previdenza
Sociale (artt. 8 bis e 10, ottavo comma, d.l. cit.).
Successivamente, il sistema è stato modificato dal protocollo di
intesa 22 gennaio 1983, conv. con modifiche in legge n. 638 del 1983,
che ha apprestato misure urgenti in materia di previdenza e sanità
nonché per il contenimento della spesa pubblica in vari settori
della pubblica amministrazione.
È stata prevista, tra l'altro, una visita medica di controllo da
effettuarsi al domicilio del lavoratore da parte di medici o delle
UU.SS.LL. o dell'I.N.P.S., iscritti in apposite liste, in fasce
orarie predeterminate.
Al lavoratore assente senza giustificato motivo alla visita medica
di controllo è inflitta la perdita per intero del trattamento
economico di malattia per i primi dieci giorni.
Per quanto interessa la questione, si rileva che la norma
censurata, così come le precedenti, non prevede alcuna sanzione a
carico del lavoratore che non inoltra, entro due giorni, il
certificato medico di malattia che costituisce il primo atto del
procedimento di erogazione dell'indennità relativa, nel corso del
quale è prevista la visita medica di controllo sulla sussistenza
della denunciata malattia.
L'individuazione della sanzione è opera dell'elaborazione
giurisprudenziale.
Nella vigenza della disciplina normativa precedente al 1° gennaio
1980 si riteneva prevalentemente (più in applicazione degli artt.
1913 e 1915 cod. civ. che del sopra citato Regolamento delle
prestazioni economiche, atteso il suo carattere di disciplina interna
dell'Ente) che, al lavoratore il quale avesse omesso o ritardato
l'invio del certificato medico, rendendo così impossibile il
controllo sulla effettiva esistenza della malattia, accertamento,
questo, utile solo se svolto con immediatezza, perdeva l'indennità
per intero se vi era dolo o in misura ridotta se vi era colpa, in
ragione del pregiudizio derivatone all'I.N.A.M.: pregiudizio che, o
era in re ipsa o doveva essere provato dall'I.N.A.M. e consisteva nel
danno patrimoniale che era derivato all'Istituto a causa di detta
impossibilità.
Intervenute le nuove leggi (n. 433 del 1980, n. 155 del 1981), in
giurisprudenza si sono formati tre indirizzi: uno che ha continuato a
ritenere applicabili gli artt. 1913 e 1915 cod. civ., essendo quello
all'indennità un diritto già sorto per effetto della malattia; un
secondo, invece, secondo cui, essendo la nuova disciplina
completamente esaustiva, l'invio del certificato medico, finalizzato
all'attuazione del tempestivo controllo da parte dell'I.N.P.S., si
configura come un onere il cui assolvimento è condizione essenziale
per avere diritto alla indennità: atteso, cioè, il carattere
perentorio del termine, il ritardato invio della certificazione non
farebbe sorgere il diritto, limitatamente ai giorni del ritardo; il
terzo, infine, che, pur ritenendo che l'invio del certificato
costituisce un onere a carico del lavoratore e che al ritardato invio
consegue la perdita della indennità per i giorni del ritardo,
ammette la possibilità della prova, da parte dell'onerato,
dell'esistenza di giustificati motivi di ritardo nell'invio suddetto.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, chiamate a risolvere
il contrasto di giurisprudenza, hanno statuito:
a) che il diritto alla prestazione previdenziale nasce dalla
legge e la prestazione viene erogata dall'I.N.P.S. nell'esercizio
della funzione pubblica, secondo il precetto costituzionale (art. 38,
secondo comma, Cost.), a seguito di un atto di certazione che incide
sulla situazione soggettiva dell'assicurato rendendo concretamente
operante il suo diritto alla prestazione;
b) l'atto di impulso si configura come un onere a carico del
lavoratore;
c) spetta all'Istituto disporre gli opportuni controlli nelle
forme previste dalla legge;
d) l'assicurato per l'invio del certificato deve osservare il
termine di due giorni che è perentorio, avuto riguardo alla funzione
commessagli dalla norma;
e) il ritardo nell'invio fa perdere all'assicurato l'indennità
corrispondente ai giorni del ritardo.
La Corte non ha precisato se l'assicurato potesse o meno addurre
giustificato motivo del ritardo, ma il giudice a quo, che è la
Sezione Lavoro della stessa Corte di cassazione, ha interpretato
l'indirizzo giurisprudenziale instaurato nel senso che, trattandosi
di onere, debba escludersi la rilevanza del giustificato motivo ed ha
sollevato la questione di legittimità costituzionale in esame.
Ora, indubbiamente non sussiste la dedotta violazione dell'art. 3
Cost. per la pretesa irrazionalità del diverso trattamento riservato
all'Istituto, non tenuto all'erogazione dell'indennità per i giorni
del ritardo nell'invio del certificato medico ed al datore di lavoro
rispetto al quale, pur dovendogli essere trasmessa copia di tale
certificato, continuano ad avere rilievo le ragioni che possono avere
impedito la comunicazione nel termine dell'esistenza della malattia
con la relativa documentazione. Trattasi di situazioni diverse non
essendo la funzione dell'I.N.P.S. assimilabile agli obblighi
derivanti al datore di lavoro dal rapporto di lavoro e dalla
contrattazione collettiva. Mentre, certamente sussiste
un'assimilazione tra la situazione in esame e quella che si verifica
a seguito dell'assenza del lavoratore in malattia alla visita medica
domiciliare di controllo, per cui è ammessa, secondo la previsione
normativa, l'adduzione di un giustificato motivo dell'assenza (art.
5, comma quattordicesimo, d.l. n. 463 del 1983, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 638 del 1983).
Invero, sia il tempestivo invio del certificato medico che la
visita di controllo domiciliare realizzano la stessa finalità della
repressione dell'assenteismo, mentre, anche secondo l'indirizzo
giurisprudenziale prevalente, il diritto al trattamento economico di
malattia deriva dalla legge e non dal certificato medico, sicché
entrambe le situazioni in comparazione presuppongono un diritto già
sorto e sono dirette a soddisfare le esigenze del buon andamento
dell'amministrazione che eroga denaro pubblico, sebbene il
certificato medico costituisca l'atto iniziale del procedimento nel
quale è inserito il controllo, onde la necessità del suo tempestivo
inoltro entro un termine breve.
Ma anzitutto si osserva che una delle due modalità di inoltro
previste dalla norma censurata, la spedizione cioè della
raccomandata con avviso di ricevimento, attesa la notoria lentezza
del servizio postale, non è certamente idonea ad assicurare la
tempestività della recezione e, quindi, il sollecito controllo.
Inoltre, vale considerare che, al suddetto fine, ha anche rilevanza
la natura della malattia. Vi sono, infatti, malattie che possono
essere accertate egualmente nonostante il ritardato invio del
certificato e malattie, invece, di cui il più tempestivo inoltro del
certificato non assicura il controllo effettivo perché è idoneo
solo quello fatto in concomitanza dell'evento morboso.
A parte le suddette considerazioni, non può dubitarsi che
l'imposizione di un onere legato ad un termine perentorio molto breve
importa violazione dell'altro precetto costituzionale (art. 38,
secondo comma, Cost.) invocato, se non sia consentita all'onerato la
deduzione dell'eventuale giustificato motivo del ritardo
dell'inoltro, sia pure con il conseguente carico della relativa
prova.
Rileva che, per la stessa natura dell'onere, la sua inosservanza
dipende dalla volontà dell'onerato e, quindi, anche la conseguenza,
cioè la perdita totale o parziale del diritto e che manca una fonte
normativa specifica di previsione della sanzione.
Comunque, l'interpretazione giurisprudenziale che prevede un onere
nella materia di cui trattasi, per quanto finalizzato al
conseguimento di un interesse pubblico, quale è la repressione
dell'assenteismo, sia pure nella sfera del precetto costituzionale
del buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), non deve
importare violazione di altri precetti costituzionali, quali la
tutela della salute (art. 32 Cost.) e il diritto del lavoratore ad
avere, in caso di malattia, i mezzi adeguati alle sue esigenze di
vita (art. 38, secondo comma, Cost.), onde la necessità quanto meno
di un bilanciamento degli interessi.
Per quanto riguarda il precetto di cui all'art. 38, secondo comma,
Cost., si è affermato più volte che, pur essendo rimessa alla
discrezionalità del legislatore la regolamentazione delle modalità
di erogazione della prestazione previdenziale (nella specie,
l'indennità di malattia) non si possono porre condizioni, requisiti
ed oneri vessatori ed eccessivamente gravosi, tali da rendere nulla
la detta erogazione alla quale, invece, il lavoratore ha diritto.
E nella specie è eccessivamente gravoso e vessatorio l'onere
dell'invio del certificato medico relativo, entro il termine di due
giorni, classificato come perentorio, all'I.N.P.S. o alla struttura
pubblica indicata dallo stesso Istituto, d'intesa con la Regione,
senza consentire al lavoratore ammalato di addurre, a giustificazione
dell'eventuale ritardo dell'inoltro, un serio e apprezzabile motivo,
da provarsi dallo stesso lavoratore, sia pure rigorosamente, perché
importa indiscriminatamente la perdita, sia pure parziale,
dell'indennità quale mezzo diretto a soddisfare essenziali esigenze
di vita, onde la violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost..
Pertanto, va dichiarata l'illegittimità costituzionale della
norma censurata, interpretata nel senso che non consente al
lavoratore assicurato di addurre e provare un giustificato motivo del
ritardato invio del certificato medico attestante la malattia che lo
ha colpito.