Sentenza 1008/1988 (ECLI:IT:COST:1988:1008)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: SAJA - Redattore:
Udienza Pubblica del 11/10/1988;    Decisione  del 26/10/1988
Deposito del 03/11/1988;   Pubblicazione in G. U. 09/11/1988  n. 45
Norme impugnate:
Massime:  12245  12246 
Massime:  12245  12246 
Atti decisi:

Massima n. 12245 Massima successiva
Titolo
SENT. 1008/88 A. AVVOCATO E PROCURATORE - PREVIDENZA - AVVOCATI CHE SVOLGONO ESERCIZIO PROFESSIONALE NEL QUINQUENNIO SUCCESSIVO ALLA MATURAZIONE DEL DIRITTO A PENSIONE - SUPPLEMENTO DI PENSIONE - DETERMINAZIONE - CALCOLO BASATO SULLA META' DELLE PERCENTUALI RIFERITE ALLA MEDIA DEI REDDITI PROFESSIONALI, ANZICHE' SULLE PERCENTUALI INTERE - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE "IN PARTE QUA".

Testo
Nel sistema della previdenza forense - riformato dalla legge n. 576 del 1980 e dalla legge n. 175 del 1983 - il criterio di corrispettivita' della pensione ai contributi personali versati non esclude ma concorre con il principio solidaristico; per cui l'applicazione di esso limitata a taluni soggetti (avvocati ultrasettantenni) con esclusione di coloro (avvocati infrasettantenni) che proseguono l'attivita' nel quinquennio successivo alla maturazione del diritto a pensione, determina una irrazionale disparita' di trattamento con lesione dell'art. 3 Cost.. Pertanto, e' costituzionalmente illegittimo, l'art. 2, ottavo comma, della legge 20 settembre 1980 n. 576 nella parte in cui dispone che il supplemento della pensione, spettante a coloro che dopo la maturazione del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della professione, "e' pari, per ognuno di tali anni, alla meta' delle percentuali di cui al primo e al quinto comma, riferite alla media dei redditi professionali risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del pensionamento", anziche' alle percentuali intere. - O. n. 669/1988.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 3

Riferimenti normativi
legge  20/09/1980  n. 576  art. 2  co. 8

Massima n. 12246 Massima precedente
Titolo
SENT. 1008/88 B. AVVOCATO E PROCURATORE - PREVIDENZA - PENSIONE DI VECCHIAIA - RIDUZIONE PER I TITOLARI CHE RESTANO ISCRITTI AGLI ALBI - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.

Testo
Non appare ragionevole la decurtazione di un terzo della pensione - operata dall'art. 2 della legge n. 576 del 1980 - nei confronti di tutti gli avvocati che restano iscritti agli albi, in quanto il principio di eguaglianza esige che un apporto ulteriore di solidarieta' - ammesso che sia necessario in funzione dell'accesso dei giovani alla professione o al fine di assicurare un certo livello della pensione minima - gravi proporzionalmente su tutti i membri della categoria e non soltanto, sotto specie di decurtazione della pensione, sui pensionati che conservano l'iscrizione all'albo. Pertanto e' costituzionalmente illegittimo l'art. 2, sesto comma della stessa legge 20 settembre 1980 n. 576. - S. 132/1984; 62/1977.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 3

Riferimenti normativi
legge  20/09/1980  n. 576  art. 2  co. 6


Pronuncia

N. 1008

SENTENZA 26 OTTOBRE-3 NOVEMBRE 1988


LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, sesto e ottavo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 "Riforma del sistema previdenziale forense" promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1987 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Soldani Benzi Paolo e la Cassa Nazionale di Previdenza degli Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 105 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1988;

Visti gli atti di costituzione di Soldani Benzi Paolo e della Cassa Nazionale di Previdenza degli Avvocati e Procuratori nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

Uditi gli avvocati Pier Luigi Santoro, Alberto Di Mauro e Paolo Soldani per Soldani Paolo, l'avv. Annibale Marini per la Cassa Nazionale di Previdenza degli Avvocati e Procuratori e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

Nel corso di un giudizio civile promosso dall'avvocato Paolo Soldani Benzi contro la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore degli Avvocati e Procuratori, il Pretore di Firenze, in qualità di giudice del lavoro, ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale in ordine all'art. 2, ottavo comma, e all'art. 2, sesto comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 Cost.

1. - La prima delle norme impugnate prevede che il calcolo del supplemento della pensione, spettante a coloro che continuano l'esercizio della professione per cinque anni dopo la maturazione del diritto a pensione, debba essere effettuato con coefficienti pari alla metà di quelli di cui al primo e al quinto comma, anziché con gli stessi coefficienti, fermo restando, ai sensi dell'art. 10, terzo comma, l'obbligo di corrispondere il contributo soggettivo in misura piena. A parere del giudice remittente, la norma è irragionevole e contraddittoria, sia considerata in se stessa, sia paragonata col trattamento previdenziale di altre categorie professionali (geometri, ostetriche, ingegneri e architetti, dottori commercialisti). Quando poi si esamini il lungo e tortuoso iter parlamentare da cui è scaturita, appare molto probabile l'ipotesi che si tratti di una svista del legislatore.

Del resto, proprio da una delle relazioni prodotte dalla parte convenuta risulta che il Comitato dei delegati della Cassa, in un parere espresso al Ministero competente in merito al disegno di legge n. 2010/C dell'on. Sarti ed altri, sollevò dubbi sulla costituzionalità della norma in questione, rilevando che il dimezzamento dei coefficienti di calcolo del supplemento della pensione, giustificato nel disegno di legge originario, dove la contribuzione personale a carico dei pensionati era ridotta a metà, non ha più ragion d'essere nel momento in cui anche il pensionato viene assoggettato al pagamento del contributo soggettivo in misura integrale. Così modificata, la disciplina si pone in contrasto col principio che "a uguale misura di contribuzione deve corrispondere uguale criterio di determinazione della pensione".

Tale prospettazione dell'eccezione di costituzionalità dell'art. 2, ottavo comma, è del tutto diversa, ad avviso del giudice remittente, da quella già sottoposta a questa Corte e dichiarata non fondata con sentenza n. 132 del 1984. Invero, oggetto di censura, nel presente giudizio, non è tanto, come nel precedente, l'imposizione contributiva piena anche ai pensionati, quanto l'incoerenza con questa imposizione della norma che dimezza le percentuali di calcolo del supplemento di pensione.

2.- In ordine alla seconda questione, afferente all'art. 2, sesto comma, della legge n. 576 del 1980, il quale dispone la riduzione di un terzo della pensione quando il titolare resti iscritto all'albo professionale, il giudice a quo non ignora che essa è già stata esaminata e decisa dalla medesima sentenza n. 132 del 1980 sopra richiamata. Tuttavia, poiché la norma è identica a quella precedentemente prevista dalla tabella F della legge 22 luglio 1975, n. 319, dichiarata costituzionalmente illegittima, insieme con gli artt. 4 e 9, dalla sentenza n. 62 del 1977, egli "ritiene che l'innegabile apparente contrasto tra le due decisioni comporti la necessità di rimettere la questione a una nuova valutazione della Corte". A sostegno dell'istanza di riesame sono addotte specificamente due considerazioni.

Anzitutto non può essere trascurato il rilievo che una norma del genere non è prevista in nessuna delle leggi sulla previdenza sociale per le altre categorie professionali, tranne soltanto la legge per gli ingegneri e architetti n. 6 del 1981. Questo rilievo, mentre non potrebbe essere addotto sotto il profilo del principio di eguaglianza, "dovendo ogni sistema essere considerato separatamente", è invece rilevante come parametro "per approfondire, all'interno di ogni sistema pensionistico, la ragionevolezza e la coerenza tra l'una e l'altra disposizione di legge". A questa stregua non sembra dubbio il contrasto della norma impugnata col principio di ragionevolezza.

In secondo luogo il giudice a quo osserva che, se astrattamente la continuazione dell'esercizio professionale può essere considerata, secondo la sentenza n. 132 del 1984, sintomo di attenuazione dello stato di bisogno, in concreto la norma, per non violare l'art. 38 Cost., dovrebbe contenere l'indicazione di un criterio di verifica che la prosecuzione dell'attività professionale non sia invece dovuta al bisogno.

3. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituite entrambe le parti del giudizio principale, l'attore avv. Paolo Soldani Benzi e la convenuta Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza degli Avvocati e Procuratori, ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato.

Nell'atto di costituzione il ricorrente aderisce alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione, che ha poi sviluppato in un'ampia memoria difensiva, della quale si riferirà più avanti.

La Cassa, in due memorie, dopo avere fatto presente che le questioni sollevate dal Pretore di Firenze sono già state giudicate non fondate da questa Corte, quanto alla prima contesta che l'errore ipotizzato dal giudice a quo, in cui sarebbe caduto il legislatore nel formulare la disciplina del supplemento della pensione, possa avere una qualsiasi rilevanza ai fini del decidere.

Con riferimento a entrambe le questioni osserva in primo luogo che, non essendo revocabile in dubbio la legittimità costituzionale di una autonoma e, perciò stesso, differenziata disciplina previdenziale per le singole categorie di liberi professionisti, l'unico esame possibile ai fini della valutazione di costituzionalità dell'art. 2, sesto e ottavo comma, appare quello in merito alla ragionevolezza e alla logicità delle due norme all'interno del sistema in cui sono inserite, e tale esame non potrebbe non avere esito positivo, come già riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 132 del 1984.

In secondo luogo la Cassa nega l'esistenza del principio di correlazione tra misura della contribuzione e misura della pensione, affermato dal giudice a quo. Tale principio sarebbe escluso dall'impostazione di tipo solidaristico della previdenza forense, in ragione della quale sarebbe irrilevante la proporzione tra contributi e prestazioni previdenziali.

Infine, per quanto concerne la seconda questione, la Cassa obietta che il criterio di verifica dello stato di bisogno, postulato dal giudice remittente per accordare il sesto comma dell'art. 2 con l'art. 38 Cost., a parte la genericità della sua formulazione, potrebbe comportare delle disparità di trattamento nell'ipotesi di due avvocati ugualmente bisognosi, uno solo dei quali sia in grado di proseguire l'attività professionale.

4. - Nell'atto di intervento dell'Avvocatura dello Stato si eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della prima questione per difetto di motivazione circa la legittimazione del ricorrente in riferimento alla condizione dell'interesse ad agire.

Nel merito l'Avvocatura sostiene l'infondatezza di entrambe le questioni richiamandosi ai principi enunciati nelle sentenze della Corte nn. 132 e 133 del 1984.

5. - Nell'imminenza dell'udienza di discussione il ricorrente ha depositato una memoria difensiva, i cui punti essenziali sono i seguenti:

a) quanto all'eccezione di inammissibilità della prima questione, fa osservare che al momento dell'udienza si sono verificati tutti i requisiti, compreso il compimento del 70° anno di età, del diritto al supplemento della pensione, così che egli ha un interesse attuale all'accertamento giudiziale dei criteri di determinazione del supplemento, previa pronuncia della Corte sulla legittimità costituzionale dell'art. 2, comma ottavo, della legge n. 576 del 1980;

b) nel merito, in ordine alla prima questione, fa rilevare che lo stesso Presidente della Cassa, come risulta dalla documentazione allegata, ha riconosciuto l'"incongruenza della legge del 1980, là dove inspiegabilmente dimezza le modalità di calcolo del supplemento della pensione";

c) in ordine alla seconda questione, obietta che, stante l'esiguità delle pensioni erogate dalla Cassa, spesso inferiori al minimo vitale, "è ben difficile sostenere che la continuazione dell'esercizio professionale costituisca un indizio di attenuazione del bisogno";

d) in relazione a entrambe le questioni, il ricorrente sostiene, in polemica con la tesi caldeggiata dalla difesa della Cassa, che nella legge n. 576 del 1980 il principio solidaristico non esclude il criterio di correlazione tra contribuzione e prestazione previdenziale, ma soltanto ne costituisce un temperamento, le cui applicazioni sono legittime solo se hanno un'incidenza generale, mentre le norme censurate impongono misure di solidarietà esclusivamente a carico degli avvocati pensionati.


Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Firenze giudica non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 2, ottavo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, nella parte in cui prevede che il supplemento, spettante a coloro che continuano l'attività professionale per almeno cinque anni dopo la maturazione del diritto a pensione, sia calcolato mediante coefficienti pari alla metà di quelli di cui al primo e al quinto comma;

b) dell'art. 2, sesto comma, in quanto dispone la riduzione a due terzi della pensione di vecchiaia quando il titolare resti iscritto agli albi di avvocato e/o di procuratore.

L'eccezione di inammissibilità della prima questione per "difetto di motivazione sulla rilevanza", opposta dall'Avvocatura dello Stato, non può essere accolta. Sia pure in termini succinti, espressi in forma parentetica, l'ordinanza di rimessione non manca di rispondere adeguatamente all'eccezione di carenza di interesse ad agire dell'attore, sollevata nel giudizio principale dalla convenuta Cassa di previdenza per gli avvocati e procuratori.

2. - La questione è fondata.

Come chiarisce la relazione al disegno di legge n. 117 sulla riforma della previdenza forense, presentato alla Camera dei deputati il 20 giugno 1979, nel sistema riformato dalla legge n. 576 del 1980 il principio solidaristico non esclude, ma concorre col "principio di proporzionalità della pensione ai contributi personali versati" (a loro volta proporzionali al reddito professionale netto), introducendo un "correttivo" destinato a operare nella misura necessaria, secondo le circostanze, a garantire a tutti i membri della categoria professionale una pensione minima adeguata alle esigenze di una vita dignitosa.

La correlazione tra contribuzione e prestazione previdenziale, affermata in linea di massima dalla legge del 1980 (che alla pensione uguale per tutti, di contro a una contribuzione progressiva, prevista dal sistema precedente della legge n. 315 del 1975, ha sostituito una pensione indirettamente ragguagliata alla misura della contribuzione, salva la pensione minima), è stata accentuata dalla modifica introdotta dalla legge 2 maggio 1983 n. 175 nell'art. 10, terzo comma. Considerato che l'art. 2, ottavo comma, concede un solo supplemento di pensione, rapportato al quinquennio di attività professionale successivo alla maturazione del diritto a pensione, la legge del 1983 ha soppresso per i pensionati ultrasettantenni, che proseguano l'esercizio professionale, l'obbligo del contributo soggettivo (da essi precedentemente versato "a fondo perduto"), e li ha assoggettati soltanto al contributo di solidarietà del 3%.

La medesima ratio sottostante alla correzione dell'art. 10, terzo comma, apportata dalla legge del 1983, impone che inversamente, in favore dei pensionati infrasettantenni, sia modificato l'art. 2, ottavo comma, nel senso di riportare alla misura piena i coefficienti di calcolo del supplemento della pensione: per essi, invero, è stato tenuto fermo l'obbligo di contribuzione personale in misura intera (cfr. Corte cost., ord. n. 669 del 1988). L'applicazione nell'una ipotesi, e non anche nell'altra, del criterio di corrispettività crea una irrazionale disparità di trattamento, che offende il principio dell'art. 3 Cost.

3. - La seconda questione, concernente il sesto comma dell'art. 2, già dichiarata infondata da questa Corte con la sentenza n. 132 del 1984, viene nuovamente sollevata dal medesimo giudice allegando un "apparente contrasto" con la sentenza n. 62 del 1977, che aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la tabella F annessa alla legge n. 319 del 1979, nella parte in cui decurtava la pensione di anzianità agli avvocati ultrasettantenni non cancellati dall'albo.

In verità, nessuna contraddizione vi è tra le due pronunce. La tabella F fu dichiarata illegittima perché nell'ipotesi di conservazione dell'iscrizione all'albo discriminava ingiustificatamente il trattamento dei pensionati ultrasettantenni da quello dei pensionati infrasettantenni, mentre una simile discriminazione è estranea all'art. 2, sesto comma, della legge del 1980, dove è prevista una decurtazione della pensione a carico di tutti i pensionati che restano iscritti all'albo. D'altra parte, un giudizio di contrarietà di questa norma al principio di ragionevolezza non può essere argomentato sulla base di un raffronto con le soluzioni adottate dalle leggi previdenziali per le altre categorie di professionisti. Questo argomento, riproposto nell'ordinanza di rimessione, è stato più volte respinto dalla giurisprudenza della Corte sul riflesso che l'autonomia e l'"irripetibile individualità" dei vari sistemi previdenziali nell'ambito delle libere professioni non consentono che la soluzione di un dato problema accolta da uno di essi sia valutata mettendola a confronto con la soluzione accolta da altri.

4. - Tuttavia, senza indulgere a parametri di valutazione esterni alla categoria di riferimento della previdenza forense, sussistono motivi sufficienti per indurre la Corte a ritenere fondata anche la seconda questione.

La ragione giustificativa della norma in esame deve essere apprezzata alla stregua del principio di solidarietà, considerato o in funzione di tutela dell'"interesse di entrata" dei giovani oppure in funzione di tutela di un certo livello della pensione minima, che il sistema deve garantire a tutti i membri della categoria.

Nei lavori preparatori della riforma del 1980 la ratio legis è individuata sotto il primo profilo. Secondo il relatore per la Commissione giustizia (IV) della Camera dei deputati (VIII legislatura, Commissioni riunite Giustizia-Lavoro, seduta del 26 giugno 1980), la norma in esame si propone di "disincentivare la prosecuzione del servizio professionale da parte di quei professionisti che già sono in pensione". Ma una ratio di questo tipo sarebbe plausibile solo se concorressero due condizioni:

a) che le pensioni corrisposte dalla Cassa attingano mediamente un livello idoneo a consentire al pensionato una vita dignitosa;

b) che la domanda di servizi nel campo dell'assistenza legale sia rimasta stazionaria.

Nessuna delle due condizioni si è verificata: le pensioni corrisposte dalla Cassa sono ancor oggi mediamente di esiguo ammontare (nella specie, il ricorrente, se fosse cancellato dall'albo, percepirebbe una pensione di lire 750.000 mensili); la domanda di assistenza legale, in una società sempre più avviluppata in una fitta rete di giuridicità, è sensibilmente aumentata, così che la continuazione dell'attività di lavoro da parte degli avvocati pensionati (con un grado di intensità decrescente a misura del progredire dell'età) non può essere ritenuta un ostacolo all'accesso dei giovani (capaci) alla professione.

La decurtazione di un terzo della pensione non appare ragionevole nemmeno sotto l'altro dei due possibili profili operativi, sopra distinti, del principio di solidarietà. Anzitutto, che la categoria degli avvocati e dei procuratori versi in condizioni particolari tali da imporre uno sforzo ulteriore di solidarietà - oltre al contributo soggettivo a fondo perduto del 3% previsto dall'art. 10 della legge e al contributo integrativo previsto dall'art. 11 -, al fine di assicurare un certo livello della pensione minima, è smentito dall'andamento finanziario della Cassa, che (secondo i dati riferiti nella memoria difensiva del ricorrente e non contestati dalla difesa della Cassa) negli anni 1983-1987 ha registrato crescenti avanzi di gestione per un ammontare complessivo di oltre 569 miliardi di lire. In secondo luogo, ammesso che un apporto ulteriore di solidarietà sia necessario, il principio di eguaglianza esige che esso gravi proporzionalmente su tutti i membri della categoria, e non soltanto - sotto specie di decurtazione della pensione - sui pensionati che conservano l'iscrizione all'albo.

5. - Gli altri motivi di incostituzionalità addotti nell'ordinanza di rimessione, in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost., restano assorbiti.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, ottavo comma, della legge 20 settembre 1980 n. 576 ("Riforma del sistema previdenziale forense"), nella parte in cui dispone che il supplemento della pensione, spettante a coloro che dopo la maturazione del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della professione, "è pari, per ognuno di tali anni, alla metà delle percentuali di cui al primo e al quinto comma, riferite alla media dei redditi professionali risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del pensionamento", anziché alle percentuali intere;

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, sesto comma, della stessa legge 20 settembre 1980 n. 576.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1988.

Il Presidente: SAJA

Il redattore: MENGONI

Il cancelliere: MINELLI

Depositata in cancelleria il 3 novembre 1988.

Il direttore della cancelleria: MINELLI