N. 1008
SENTENZA 26 OTTOBRE-3 NOVEMBRE 1988
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, sesto e
ottavo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 "Riforma del
sistema previdenziale forense" promosso con ordinanza emessa il 10
novembre 1987 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente
tra Soldani Benzi Paolo e la Cassa Nazionale di Previdenza degli
Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 105 del registro ordinanze
1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14,
prima serie speciale, dell'anno 1988;
Visti gli atti di costituzione di Soldani Benzi Paolo e della
Cassa Nazionale di Previdenza degli Avvocati e Procuratori nonché
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1988 il Giudice
relatore Luigi Mengoni;
Uditi gli avvocati Pier Luigi Santoro, Alberto Di Mauro e Paolo
Soldani per Soldani Paolo, l'avv. Annibale Marini per la Cassa
Nazionale di Previdenza degli Avvocati e Procuratori e l'Avvocato
dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un giudizio civile promosso dall'avvocato Paolo
Soldani Benzi contro la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a
favore degli Avvocati e Procuratori, il Pretore di Firenze, in
qualità di giudice del lavoro, ha sollevato due questioni di
legittimità costituzionale in ordine all'art. 2, ottavo comma, e
all'art. 2, sesto comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, per
contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 Cost.
1. - La prima delle norme impugnate prevede che il calcolo del
supplemento della pensione, spettante a coloro che continuano
l'esercizio della professione per cinque anni dopo la maturazione del
diritto a pensione, debba essere effettuato con coefficienti pari
alla metà di quelli di cui al primo e al quinto comma, anziché con
gli stessi coefficienti, fermo restando, ai sensi dell'art. 10, terzo
comma, l'obbligo di corrispondere il contributo soggettivo in misura
piena. A parere del giudice remittente, la norma è irragionevole e
contraddittoria, sia considerata in se stessa, sia paragonata col
trattamento previdenziale di altre categorie professionali (geometri,
ostetriche, ingegneri e architetti, dottori commercialisti). Quando
poi si esamini il lungo e tortuoso iter parlamentare da cui è
scaturita, appare molto probabile l'ipotesi che si tratti di una
svista del legislatore.
Del resto, proprio da una delle relazioni prodotte dalla parte
convenuta risulta che il Comitato dei delegati della Cassa, in un
parere espresso al Ministero competente in merito al disegno di legge
n. 2010/C dell'on. Sarti ed altri, sollevò dubbi sulla
costituzionalità della norma in questione, rilevando che il
dimezzamento dei coefficienti di calcolo del supplemento della
pensione, giustificato nel disegno di legge originario, dove la
contribuzione personale a carico dei pensionati era ridotta a metà,
non ha più ragion d'essere nel momento in cui anche il pensionato
viene assoggettato al pagamento del contributo soggettivo in misura
integrale. Così modificata, la disciplina si pone in contrasto col
principio che "a uguale misura di contribuzione deve corrispondere
uguale criterio di determinazione della pensione".
Tale prospettazione dell'eccezione di costituzionalità dell'art.
2, ottavo comma, è del tutto diversa, ad avviso del giudice
remittente, da quella già sottoposta a questa Corte e dichiarata non
fondata con sentenza n. 132 del 1984. Invero, oggetto di censura, nel
presente giudizio, non è tanto, come nel precedente, l'imposizione
contributiva piena anche ai pensionati, quanto l'incoerenza con
questa imposizione della norma che dimezza le percentuali di calcolo
del supplemento di pensione.
2.- In ordine alla seconda questione, afferente all'art. 2, sesto
comma, della legge n. 576 del 1980, il quale dispone la riduzione di
un terzo della pensione quando il titolare resti iscritto all'albo
professionale, il giudice a quo non ignora che essa è già stata
esaminata e decisa dalla medesima sentenza n. 132 del 1980 sopra
richiamata. Tuttavia, poiché la norma è identica a quella
precedentemente prevista dalla tabella F della legge 22 luglio 1975,
n. 319, dichiarata costituzionalmente illegittima, insieme con gli
artt. 4 e 9, dalla sentenza n. 62 del 1977, egli "ritiene che
l'innegabile apparente contrasto tra le due decisioni comporti la
necessità di rimettere la questione a una nuova valutazione della
Corte". A sostegno dell'istanza di riesame sono addotte
specificamente due considerazioni.
Anzitutto non può essere trascurato il rilievo che una norma del
genere non è prevista in nessuna delle leggi sulla previdenza
sociale per le altre categorie professionali, tranne soltanto la
legge per gli ingegneri e architetti n. 6 del 1981. Questo rilievo,
mentre non potrebbe essere addotto sotto il profilo del principio di
eguaglianza, "dovendo ogni sistema essere considerato separatamente",
è invece rilevante come parametro "per approfondire, all'interno di
ogni sistema pensionistico, la ragionevolezza e la coerenza tra l'una
e l'altra disposizione di legge". A questa stregua non sembra dubbio
il contrasto della norma impugnata col principio di ragionevolezza.
In secondo luogo il giudice a quo osserva che, se astrattamente la
continuazione dell'esercizio professionale può essere considerata,
secondo la sentenza n. 132 del 1984, sintomo di attenuazione dello
stato di bisogno, in concreto la norma, per non violare l'art. 38
Cost., dovrebbe contenere l'indicazione di un criterio di verifica
che la prosecuzione dell'attività professionale non sia invece
dovuta al bisogno.
3. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituite entrambe
le parti del giudizio principale, l'attore avv. Paolo Soldani Benzi e
la convenuta Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza degli Avvocati e
Procuratori, ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato.
Nell'atto di costituzione il ricorrente aderisce alle
argomentazioni dell'ordinanza di rimessione, che ha poi sviluppato in
un'ampia memoria difensiva, della quale si riferirà più avanti.
La Cassa, in due memorie, dopo avere fatto presente che le
questioni sollevate dal Pretore di Firenze sono già state giudicate
non fondate da questa Corte, quanto alla prima contesta che l'errore
ipotizzato dal giudice a quo, in cui sarebbe caduto il legislatore
nel formulare la disciplina del supplemento della pensione, possa
avere una qualsiasi rilevanza ai fini del decidere.
Con riferimento a entrambe le questioni osserva in primo luogo
che, non essendo revocabile in dubbio la legittimità costituzionale
di una autonoma e, perciò stesso, differenziata disciplina
previdenziale per le singole categorie di liberi professionisti,
l'unico esame possibile ai fini della valutazione di
costituzionalità dell'art. 2, sesto e ottavo comma, appare quello in
merito alla ragionevolezza e alla logicità delle due norme
all'interno del sistema in cui sono inserite, e tale esame non
potrebbe non avere esito positivo, come già riconosciuto da questa
Corte nella sentenza n. 132 del 1984.
In secondo luogo la Cassa nega l'esistenza del principio di
correlazione tra misura della contribuzione e misura della pensione,
affermato dal giudice a quo. Tale principio sarebbe escluso
dall'impostazione di tipo solidaristico della previdenza forense, in
ragione della quale sarebbe irrilevante la proporzione tra contributi
e prestazioni previdenziali.
Infine, per quanto concerne la seconda questione, la Cassa obietta
che il criterio di verifica dello stato di bisogno, postulato dal
giudice remittente per accordare il sesto comma dell'art. 2 con
l'art. 38 Cost., a parte la genericità della sua formulazione,
potrebbe comportare delle disparità di trattamento nell'ipotesi di
due avvocati ugualmente bisognosi, uno solo dei quali sia in grado di
proseguire l'attività professionale.
4. - Nell'atto di intervento dell'Avvocatura dello Stato si
eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della prima questione
per difetto di motivazione circa la legittimazione del ricorrente in
riferimento alla condizione dell'interesse ad agire.
Nel merito l'Avvocatura sostiene l'infondatezza di entrambe le
questioni richiamandosi ai principi enunciati nelle sentenze della
Corte nn. 132 e 133 del 1984.
5. - Nell'imminenza dell'udienza di discussione il ricorrente ha
depositato una memoria difensiva, i cui punti essenziali sono i
seguenti:
a) quanto all'eccezione di inammissibilità della prima
questione, fa osservare che al momento dell'udienza si sono
verificati tutti i requisiti, compreso il compimento del 70° anno di
età, del diritto al supplemento della pensione, così che egli ha un
interesse attuale all'accertamento giudiziale dei criteri di
determinazione del supplemento, previa pronuncia della Corte sulla
legittimità costituzionale dell'art. 2, comma ottavo, della legge n.
576 del 1980;
b) nel merito, in ordine alla prima questione, fa rilevare che
lo stesso Presidente della Cassa, come risulta dalla documentazione
allegata, ha riconosciuto l'"incongruenza della legge del 1980, là
dove inspiegabilmente dimezza le modalità di calcolo del supplemento
della pensione";
c) in ordine alla seconda questione, obietta che, stante
l'esiguità delle pensioni erogate dalla Cassa, spesso inferiori al
minimo vitale, "è ben difficile sostenere che la continuazione
dell'esercizio professionale costituisca un indizio di attenuazione
del bisogno";
d) in relazione a entrambe le questioni, il ricorrente
sostiene, in polemica con la tesi caldeggiata dalla difesa della
Cassa, che nella legge n. 576 del 1980 il principio solidaristico non
esclude il criterio di correlazione tra contribuzione e prestazione
previdenziale, ma soltanto ne costituisce un temperamento, le cui
applicazioni sono legittime solo se hanno un'incidenza generale,
mentre le norme censurate impongono misure di solidarietà
esclusivamente a carico degli avvocati pensionati.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Firenze giudica non manifestamente infondate le
questioni di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 2, ottavo comma, della legge 20 settembre 1980, n.
576, nella parte in cui prevede che il supplemento, spettante a
coloro che continuano l'attività professionale per almeno cinque
anni dopo la maturazione del diritto a pensione, sia calcolato
mediante coefficienti pari alla metà di quelli di cui al primo e al
quinto comma;
b) dell'art. 2, sesto comma, in quanto dispone la riduzione a
due terzi della pensione di vecchiaia quando il titolare resti
iscritto agli albi di avvocato e/o di procuratore.
L'eccezione di inammissibilità della prima questione per "difetto
di motivazione sulla rilevanza", opposta dall'Avvocatura dello Stato,
non può essere accolta. Sia pure in termini succinti, espressi in
forma parentetica, l'ordinanza di rimessione non manca di rispondere
adeguatamente all'eccezione di carenza di interesse ad agire
dell'attore, sollevata nel giudizio principale dalla convenuta Cassa
di previdenza per gli avvocati e procuratori.
2. - La questione è fondata.
Come chiarisce la relazione al disegno di legge n. 117 sulla
riforma della previdenza forense, presentato alla Camera dei deputati
il 20 giugno 1979, nel sistema riformato dalla legge n. 576 del 1980
il principio solidaristico non esclude, ma concorre col "principio di
proporzionalità della pensione ai contributi personali versati" (a
loro volta proporzionali al reddito professionale netto),
introducendo un "correttivo" destinato a operare nella misura
necessaria, secondo le circostanze, a garantire a tutti i membri
della categoria professionale una pensione minima adeguata alle
esigenze di una vita dignitosa.
La correlazione tra contribuzione e prestazione previdenziale,
affermata in linea di massima dalla legge del 1980 (che alla pensione
uguale per tutti, di contro a una contribuzione progressiva, prevista
dal sistema precedente della legge n. 315 del 1975, ha sostituito una
pensione indirettamente ragguagliata alla misura della contribuzione,
salva la pensione minima), è stata accentuata dalla modifica
introdotta dalla legge 2 maggio 1983 n. 175 nell'art. 10, terzo
comma. Considerato che l'art. 2, ottavo comma, concede un solo
supplemento di pensione, rapportato al quinquennio di attività
professionale successivo alla maturazione del diritto a pensione, la
legge del 1983 ha soppresso per i pensionati ultrasettantenni, che
proseguano l'esercizio professionale, l'obbligo del contributo
soggettivo (da essi precedentemente versato "a fondo perduto"), e li
ha assoggettati soltanto al contributo di solidarietà del 3%.
La medesima ratio sottostante alla correzione dell'art. 10, terzo
comma, apportata dalla legge del 1983, impone che inversamente, in
favore dei pensionati infrasettantenni, sia modificato l'art. 2,
ottavo comma, nel senso di riportare alla misura piena i coefficienti
di calcolo del supplemento della pensione: per essi, invero, è stato
tenuto fermo l'obbligo di contribuzione personale in misura intera
(cfr. Corte cost., ord. n. 669 del 1988). L'applicazione nell'una
ipotesi, e non anche nell'altra, del criterio di corrispettività
crea una irrazionale disparità di trattamento, che offende il
principio dell'art. 3 Cost.
3. - La seconda questione, concernente il sesto comma dell'art. 2,
già dichiarata infondata da questa Corte con la sentenza n. 132 del
1984, viene nuovamente sollevata dal medesimo giudice allegando un
"apparente contrasto" con la sentenza n. 62 del 1977, che aveva
dichiarato costituzionalmente illegittima la tabella F annessa alla
legge n. 319 del 1979, nella parte in cui decurtava la pensione di
anzianità agli avvocati ultrasettantenni non cancellati dall'albo.
In verità, nessuna contraddizione vi è tra le due pronunce. La
tabella F fu dichiarata illegittima perché nell'ipotesi di
conservazione dell'iscrizione all'albo discriminava
ingiustificatamente il trattamento dei pensionati ultrasettantenni da
quello dei pensionati infrasettantenni, mentre una simile
discriminazione è estranea all'art. 2, sesto comma, della legge del
1980, dove è prevista una decurtazione della pensione a carico di
tutti i pensionati che restano iscritti all'albo. D'altra parte, un
giudizio di contrarietà di questa norma al principio di
ragionevolezza non può essere argomentato sulla base di un raffronto
con le soluzioni adottate dalle leggi previdenziali per le altre
categorie di professionisti. Questo argomento, riproposto
nell'ordinanza di rimessione, è stato più volte respinto dalla
giurisprudenza della Corte sul riflesso che l'autonomia e
l'"irripetibile individualità" dei vari sistemi previdenziali
nell'ambito delle libere professioni non consentono che la soluzione
di un dato problema accolta da uno di essi sia valutata mettendola a
confronto con la soluzione accolta da altri.
4. - Tuttavia, senza indulgere a parametri di valutazione esterni
alla categoria di riferimento della previdenza forense, sussistono
motivi sufficienti per indurre la Corte a ritenere fondata anche la
seconda questione.
La ragione giustificativa della norma in esame deve essere
apprezzata alla stregua del principio di solidarietà, considerato o
in funzione di tutela dell'"interesse di entrata" dei giovani oppure
in funzione di tutela di un certo livello della pensione minima, che
il sistema deve garantire a tutti i membri della categoria.
Nei lavori preparatori della riforma del 1980 la ratio legis è
individuata sotto il primo profilo. Secondo il relatore per la
Commissione giustizia (IV) della Camera dei deputati (VIII
legislatura, Commissioni riunite Giustizia-Lavoro, seduta del 26
giugno 1980), la norma in esame si propone di "disincentivare la
prosecuzione del servizio professionale da parte di quei
professionisti che già sono in pensione". Ma una ratio di questo
tipo sarebbe plausibile solo se concorressero due condizioni:
a) che le pensioni corrisposte dalla Cassa attingano mediamente
un livello idoneo a consentire al pensionato una vita dignitosa;
b) che la domanda di servizi nel campo dell'assistenza legale
sia rimasta stazionaria.
Nessuna delle due condizioni si è verificata: le pensioni
corrisposte dalla Cassa sono ancor oggi mediamente di esiguo
ammontare (nella specie, il ricorrente, se fosse cancellato
dall'albo, percepirebbe una pensione di lire 750.000 mensili); la
domanda di assistenza legale, in una società sempre più avviluppata
in una fitta rete di giuridicità, è sensibilmente aumentata, così
che la continuazione dell'attività di lavoro da parte degli avvocati
pensionati (con un grado di intensità decrescente a misura del
progredire dell'età) non può essere ritenuta un ostacolo
all'accesso dei giovani (capaci) alla professione.
La decurtazione di un terzo della pensione non appare ragionevole
nemmeno sotto l'altro dei due possibili profili operativi, sopra
distinti, del principio di solidarietà. Anzitutto, che la categoria
degli avvocati e dei procuratori versi in condizioni particolari tali
da imporre uno sforzo ulteriore di solidarietà - oltre al contributo
soggettivo a fondo perduto del 3% previsto dall'art. 10 della legge e
al contributo integrativo previsto dall'art. 11 -, al fine di
assicurare un certo livello della pensione minima, è smentito
dall'andamento finanziario della Cassa, che (secondo i dati riferiti
nella memoria difensiva del ricorrente e non contestati dalla difesa
della Cassa) negli anni 1983-1987 ha registrato crescenti avanzi di
gestione per un ammontare complessivo di oltre 569 miliardi di lire.
In secondo luogo, ammesso che un apporto ulteriore di solidarietà
sia necessario, il principio di eguaglianza esige che esso gravi
proporzionalmente su tutti i membri della categoria, e non soltanto -
sotto specie di decurtazione della pensione - sui pensionati che
conservano l'iscrizione all'albo.
5. - Gli altri motivi di incostituzionalità addotti
nell'ordinanza di rimessione, in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost.,
restano assorbiti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, ottavo comma,
della legge 20 settembre 1980 n. 576 ("Riforma del sistema
previdenziale forense"), nella parte in cui dispone che il
supplemento della pensione, spettante a coloro che dopo la
maturazione del diritto a pensione continuano per cinque anni
l'esercizio della professione, "è pari, per ognuno di tali anni,
alla metà delle percentuali di cui al primo e al quinto comma,
riferite alla media dei redditi professionali risultanti dalle
dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del
pensionamento", anziché alle percentuali intere;
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, sesto comma,
della stessa legge 20 settembre 1980 n. 576.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 3 novembre 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI