Considerato in diritto:
1. - I procedimenti proposti con le ordinanze in epigrafe, simili
nel petitum e parzialmente coincidenti in ordine ai parametri di
riferimento (entrambe si richiamano all'art. 32, primo comma, Cost.;
l'ordinanza del Tribunale di Genova aggiunge il riferimento all'art. 3,
primo comma, Cost.; l'ordinanza del Tribunale di Salerno invoca anche
gli artt. 2 e 24, primo comma, Cost.) possono essere riuniti e decisi
con unica sentenza.
2. - Poiché le predette ordinanze chiedono la dichiarazione
d'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui
prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla
lesione d'un diritto costituzionalmente tutelato (salute) soltanto in
conseguenza di reato, è doveroso qui esaminare quale nozione di danno
non patrimoniale il diritto vivente trae dall'interpretazione dell'art.
2059 c.c. Soltanto precisando l'ambito di comprensione della predetta
nozione, secondo l'esperienza della sua applicazione, è dato chiarire
se, ed in quali limiti, al danno biologico sia applicabile l'art. 2059
c.c.
L'esame della legislazione e dei relativi lavori preparatori
nonché della giurisprudenza e della dottrina, precedenti e successive
all'emanazione del vigente codice civile, induce a ritenere che nella
nozione di danno non patrimoniale, di cui all'art. 2059 c.c., vadano
compresi soltanto i danni morali subiettivi.
A queste conclusioni si giunge (tenuto conto che il più rilevante
dei "casi determinati dalla legge", ex art. 2059 c.c., è costituito
dall'art. 185, secondo comma, c.p. e che l'espressione "danno non
patrimoniale" è stata impiegata appunto in quest'ultimo articolo,
prima che nell'art. 2059 c.c.) sottolineando anzitutto i "precedenti
legislativi" del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 185
c.p. e la più che esplicita dichiarazione, contenuta nella relazione
ministeriale al codice penale del 1930, in ordine al mutamento della
locuzione "danno morale" in quella di "danno non patrimoniale".
La prima sottolineatura va fatta ricordando che l'immediato
"precedente" legislativo del risarcimento del danno non patrimoniale ex
secondo comma dell'art. 185 c.p. è da rintracciarsi negli artt. 38 del
codice penale del 1889 e 7 del codice di procedura penale del 1913.
Questi ultimi articoli, nel prevedere la riparazione pecuniaria per
alcuni reati, prescindono dalla causazione del danno (da intendersi:
patrimoniale). L'art. 38 del codice penale Zanardelli recita: "Oltre
alle restituzioni e al risarcimento dei danni, il giudice, per ogni
delitto che offenda l'onore della persona e della famiglia, ancorché
non abbia cagionato danno, può assegnare alla parte offesa, che ne
faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione" E l'art.
7 del codice di procedura penale del 1913, allargando l'ambito dei
delitti per i quali è consentita la riparazione pecuniaria a sua volta
recita: "Il reato può produrre azione civile per il risarcimento del
danno e per le restituzioni. I delitti contro la persona e quelli che
offendono la libertà individuale, l'onore della persona o della
famiglia, l'inviolabilità del domicilio o dei segreti, anche se non
abbiano cagionato danno, possono produrre azione civile per riparazione
pecuniaria".
L'art. 185 c.p., al secondo comma, seguendo l'orientamento, già
accolto dal codice di procedura penale del 1913, teso all'allargamento
delle ipotesi di riparazione pecuniaria, estende a tutti i reati (e non
soltanto ad alcuni delitti) la precitata riparazione, includendola
nella generale nozione di risarcimento e definendo "non patrimoniale"
il danno morale subiettivo.
La seconda sottolineatura è relativa, appunto, alle ragioni del
cambiamento dell'espressione "danno morale" con quella di "danno non
patrimoniale": tali ragioni vengono chiarite, in maniera
inequivocabile, dalla stessa relazione ministeriale al progetto
definitivo del codice penale del 1930, ove si fa riferimento,
anzitutto, alla scelta operata in sede di risarcimento di danni morali
("Il carattere generale di tale principio, incompatibile con una
enunciazione di casi tassativi di applicabilità, mi ha indotto a non
limitare la risarcibilità del danno morale a casi particolari, come
taluno aveva suggerito") e si offre, successivamente, la ragione della
nuova locuzione usata per indicare il danno morale subiettivo: "Quanto
alla designazione del concetto, ho creduto che la locuzione "danno non
patrimoniale" sia preferibile a quella di "danno morale", tenuto conto
che spesso nella terminologia corrente la locuzione di "danno morale"
ha un valore equivoco e non riesce a differenziare il danno morale puro
da quei danni che, sebbene abbiano radice in offese alla personalità
morale, direttamente od indirettamente menomano il patrimonio".
Da ciò s'evince che, almeno nelle intenzioni del legislatore
penale del 1930, il danno non patrimoniale, di cui al secondo comma
dell'art. 185 c.p., costituisce l'equivalente del danno morale
subiettivo e che i danni direttamente od indirettamente incidenti sul
patrimonio non possono essere compresi nei danni non patrimoniali ex
art. 185 c.p.
Se a tutto ciò s'aggiunge che già la dottrina precedente al 1930,
contraria alla risarcibilità dei danni morali, era partita da una
nozione ristretta dei medesimi ed aveva sottolineato che l'ansia,
l'angoscia, le sofferenze fisiche o psichiche ecc., appunto perché
effimere e non durature, non sono compensabili con equivalenti monetari
e non possono, pertanto, costituire oggetto di risarcimento; se si
aggiunge ancora che la giurisprudenza precedente al 1930, sensibile
alle già citate critiche di una parte della dottrina, aveva finito con
il ritenere esclusa, in via di principio, la risarcibilità dei danni
morali subiettivi, sempre partendo da una nozione ristretta di questi
ultimi, s'intende appieno l'ambito di comprensione della nozione di
"danno non patrimoniale" ex art. 185 c.p.
I lavori preparatori del vigente codice civile confermano quanto
ora precisato: la relazione della commissione reale al progetto del
libro "Obbligazioni e contratti" definisce il danno morale "quello che
in nessun modo tocca il patrimonio ma arreca solo un dolore morale alla
vittima" e la relazione ministeriale al vigente codice civile così si
esprime: "Circa il risarcimento dei danni cosiddetti morali, ossia
circa la riparazione o compensazione indiretta di quegli effetti
dell'illecito che non hanno natura patrimoniale, si è ritenuto di non
estendere a tutti la risarcibilità o la compensabilità che l'art. 185
del codice penale pone soltanto per i reati". Il legislatore chiarisce,
poi, le ragioni della scelta contraria all'ulteriore (rispetto a quella
già operata dal codice penale del 1930) estensione della
risarcibilità dei danni morali, con queste parole: "La resistenza
della giurisprudenza a tale estensione può considerarsi limpida
espressione della nostra coscienza giuridica. Questa avverte che
soltanto nel caso di reato è più intensa l'offesa all'ordine
giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica
repressione con carattere anche preventivo". Dalle quali dichiarazioni
si detrae che il danno non patrimoniale è un altro effetto
dell'illecito (è, cioè, danno - conseguenza, al pari di quello
patrimoniale) e che il risarcimento dei danni non patrimoniali persegue
scopi di più intensa repressione e prevenzione, certamente estranei al
risarcimento degli altri tipi di danno.
Ed è da ricordare altresì da un canto che la giurisprudenza
successiva all'emanazione del vigente codice civile identifica quasi
sempre il danno morale (o non patrimoniale) con l'ingiusto
perturbamento dello stato d'animo del soggetto offeso e dall'altro che
ancor oggi la prevalente dottrina riduce il danno non patrimoniale alla
sofferenza fisica (sensazione dolorosa) o psichica.
Se, dunque, secondo il diritto vivente, l'art. 2059 c.c., che,
peraltro, pone soltanto una riserva di legge, fa riferimento, con
l'espressione "danno non patrimoniale", al solo danno morale
subiettivo, lo stesso articolo si applica soltanto quando all'illecito
civile, costituente anche reato, consegue un danno morale subiettivo.
3. - La scelta legislativa operata con l'emanazione dell'art. 2059
c.c. (tra le opposte tesi della totale irrisarcibilità del danno
morale subiettivo e della risarcibilità, in ogni caso, del medesimo)
discende dall'opportunità di sanzionare in modo adeguato chi si è
comportato in maniera vietata dalla legge.
Certo, ritenere che la responsabilità civile abbia carattere
esclusivamente o prevalentemente sanzionatorio sarebbe oggi infondato
oltreché antistorico. Ma dopo l'attenta lettura della precitata
relazione ministeriale al codice civile è impossibile negare o
ritenere irrazionale che la responsabilità civile da atto illecito sia
in grado di provvedere non soltanto alla reintegrazione del patrimonio
del danneggiato ma fra l'altro, a volte, anche ed almeno in parte, ad
ulteriormente prevenire e sanzionare l'illecito, come avviene appunto
per la riparazione dei danni non patrimoniali da reato. Accanto alla
responsabilità penale (anzi, forse meglio, insieme ed "ulteriormente"
alla pena pubblica) la responsabilità civile ben può assumere compiti
preventivi e sanzionatori. Né può essere vietato al legislatore
ordinario, ai fini ora indicati, prescrivere, anche a parità di
effetto dannoso (danno morale subiettivo) il risarcimento soltanto in
relazione a fatti illeciti particolarmente qualificati e, più di
altri, da prevenire ed ulteriormente sanzionare.
E per giungere a queste conclusioni non è neppur necessario
aderire alla tesi che sostiene la natura di pena privata del
risarcimento del danno non patrimoniale, essendo sufficiente
sottolineare la non arbitrarietà d'una scelta discrezionalmente
operata, nei casi più gravi, d'un particolare rafforzamento,
attraverso la riparazione dei danni non patrimoniali, del carattere
preventivo e sanzionatorio della responsabilità penale.
4. - Per poter distinguere il danno biologico dai danni morali
subiettivi, come dai danni patrimoniali in senso stretto, occorre
chiarire la struttura del fatto realizzativo della menomazione
dell'integrità bio - psichica del soggetto offeso.
Ed a tal fine va premessa la distinzione tra evento dannoso o
pericoloso, al quale appartiene il danno biologico, e danno -
conseguenza, al quale appartengono il danno morale subiettivo ed il
danno patrimoniale.
Vale, infatti, distinguere da un canto il fatto costitutivo
dell'illecito civile extracontrattuale e dall'altro le conseguenze, in
senso proprio, dannose del fatto stesso. Quest'ultimo si compone,
oltreché del comportamento (l'illecito è, anzitutto, atto) anche
dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento
all'evento. Ogni danno è, in senso ampio, conseguenza: anche l'evento
dannoso o pericoloso è, infatti, conseguenza dell'atto, del
comportamento illecito. Tuttavia, vale distinguere, anche in diritto
privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili
costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento
materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del
comportamento, è momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle
conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo, legate
all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore
nesso di causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo è
momento dinamico ed il secondo momento statico del fatto costitutivo
dell'illecito. Da quest'ultimo vanno nettamente distinte le
conseguenze, in senso proprio, del fatto, dell'intero fatto illecito,
causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di causalità.
Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della
salute mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale)
appartengono alla categoria del danno - conseguenza in senso stretto.
La menomazione dell'integrità psico - fisica dell'offeso, che
trasforma in patologica la stessa fisiologica integrità (e che non è
per nulla equiparabile al momentaneo, tendenzialmente transeunte,
turbamento psicologico del danno morale subiettivo) costituisce
l'evento (da provare in ogni caso) interno al fatto illecito, legato da
un canto all'altra componente interna del fatto, il comportamento, da
un nesso di causalità e dall'altro, alla (eventuale) componente
esterna, danno morale subiettivo (o danno patrimoniale) da altro,
diverso, ulteriore rapporto di causalità materiale. In senso largo,
dunque, anche l'evento - menomazione dell'integrità fisio - psichica
del soggetto offeso, è conseguenza ma tale è rispetto al
comportamento mentre a sua volta è causa (ove in concreto esistano)
delle ulteriori conseguenze, in senso proprio, dell'intero fatto
illecito, conseguenze morali subiettive o patrimoniali.
Il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte
turbamento psicologico del soggetto offeso, è danno - conseguenza, in
senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce,
quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo; il danno
biologico è, invece, l'evento, interno al fatto lesivo della salute,
deve necessariamente esistere ed essere provato, non potendosi avere
rilevanza delle eventuali conseguenze esterne all'intero fatto (morali
o patrimoniali) senza la completa realizzazione di quest'ultimo, ivi
compreso, ovviamente, l'evento della menomazione dell'integrità psico
- fisica del soggetto offeso.
Il danno - biologico (o fisiologico) è danno specifico, è un tipo
di danno, identificandosi con un tipo di evento. Il danno morale
subiettivo è, invece, un genere di danno - conseguenza, che può
derivare da una serie numerosa di tipi di evento; così come genere di
danno - conseguenza, condizione obiettiva di risarcibilità, è il
danno patrimoniale, che, a sua volta, può derivare da diversi eventi
tipici.
5. - Nel distinguere il danno biologico dal danno morale subiettivo
sono state poste anche le premesse per un'individuazione precisa dei
contenuti semantici delle varie espressioni usate in materia dalla
giurisprudenza e dalla dottrina.
Per la precisione: possono essere indifferentemente usate (come fa
la giurisprudenza) le espressioni "danno biologico" e "danno
fisiologico", giacché entrambe pongono l'accento sull'evento,
naturalistico, interno alla struttura del fatto lesivo della salute.
Certo, ove s'intenda anche quest'ultima come naturalistica condizione
d'integrità psico - fisica del soggetto offeso, la locuzione "danno
alla salute" è equivalente alle precedenti espressioni.
Senonché, come è stato già osservato, il termine salute evoca,
in questa sede, primieramente il bene giuridico, costituzionalmente
tutelato dall'art. 32 Cost., ed offeso dal fatto realizzativo della
menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto passivo. In
questo senso, la lesione della salute, del bene - giuridico salute, è
l'intrinseca antigiuridicità obiettiva del danno biologico o
fisiologico: essa appartiene ad una dimensione valutativa, distinta da
quella naturalistica, alla quale invece fanno riferimento le locuzioni
"danno biologico" e "danno fisiologico". D'altra parte, la menomazione
dell'integrità psico - fisica del soggetto è, come si è innanzi
precisato, evento, naturalistico, effettivo, da provare in ogni caso;
la lesione giuridica al bene salute si concreta, invece, nel momento
stesso in cui si realizza, in interezza, il fatto costitutivo
dell'illecito; e non va provato, come la giurisprudenza insegna, che la
menomazione bio - psichica del soggetto offeso in concreto abbia
impedito le manifestazioni, le attività extralavorative non
retribuite, ordinarie che, accanto alle attività lavorative
retribuite, esprimono, realizzandola, la salute in senso fisio -
psichico.
L, pertanto, innanzi tutto, più corretto parlare di "lesione della
salute" (e cioè del bene giuridico - salute, costituzionalmente
garantito) e non di "danno alla salute", lasciando al termine "danno"
l'accezione naturalistica che di regola, assume in sede privatistica.
Tale lesione, come si è detto, è l'essenza antigiuridica dell'intero
fatto realizzativo del danno biologico. Se, peraltro, si desideri
continuare a parlare di "danno alla salute" occorre, per evitare
equivoci, precisare che, con tale locuzione, o si usa il termine salute
nel significato naturalistico d'integrità fisio - psichica del
soggetto offeso (ed in questo caso danno alla salute è il perfetto
equivalente di "danno biologico" o di "danno fisiologico") oppure si
usa il termine salute nella dimensione giuridico - costituzionale
innanzi indicata, di bene giuridico, ed in tal caso il "danno alla
salute" è un danno giuridicamente valutato, costituente l'essenza
antigiuridica dell'intero fatto illecito, danno presunto, se è vero
che non va provato alcun effettivo impedimento delle attività
realizzative del soggetto offeso.
6. - Tenuto conto di quanto ora precisato, mentre il danno
biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subiettivo, ben
può applicarsi l'art. 2059 c.c., ove dal primo (e cioè dalla lesione
alla salute) derivi, come conseguenza ulteriore (rispetto all'evento
della menomazione delle condizioni psico - fisiche del soggetto offeso)
un danno morale subiettivo.
Ciò sempreché il fatto realizzativo del danno biologico
costituisca anche reato.
7. - Se nell'ordinamento non esistessero altre norme o non fossero
rinvenibili altri principi relativi al danno biologico e, pertanto,
quest'ultimo fosse risarcibile solo ai sensi dell'art. 2059 c.c. e
cioè, salve pochissime altre ipotesi, soltanto nel caso che il fatto
costituisca (anche) reato e relativamente ai soli (conseguenti) danni
morali subiettivi, si porrebbe certamente il problema della
costituzionalità dell'art. 2059 c.c. Come lo stesso problema si
porrebbe ove, allargando l'ambito di comprensione della nozione di
danno non patrimoniale, fino ad includere nella medesima ogni tipo di
lesione d'un bene non patrimoniale, si ritenesse che il risarcimento
del danno alla salute fosse riconducibile esclusivamente al combinato
disposto degli artt. 2059 c.c. e 185, secondo comma, c.p. L'art.32
Cost., come si preciserà meglio oltre, verrebbe vanificato da una
normativa ordinaria che riconducesse il danno alla salute ai soli artt.
2059 c.c. e 185 c.p.
8. - Esiste, tuttavia, certamente, altra strada per adeguatamente
soddisfare le esigenze poste dalla giurisprudenza in ordine al danno
biologico.
Va, tuttavia, in particolare, rilevato che gravi problemi nascono,
nel momento in cui le prevalenti giurisprudenza e dottrina riconducono
il danno biologico all'art. 2043 c.c. La scelta legislativa di cui
all'art. 2059 c.c. getta luce (od ombre) sull'art. 2043 c.c.: non ci si
può, infatti, senza necessari approfondimenti, sbarazzare della scelta
legislativa chiaramente espressa dall'art. 2059 c.c. e ricondurre
senz'altro all'art. 2043 c.c. il risarcimento del danno biologico.
9. - Il problema dei rapporti, in tema di responsabilità civile
extracontrattuale, tra una norma generale ed una particolare, relativa
(quest'ultima) al danno morale subiettivo, si pose, in tempi anteriori
al vigente codice civile e, pertanto, prima dell'emanazione dell'art.
2059 c.c., tra l'art. 1151 dell'abrogato codice civile e la riparazione
pecuniaria, di cui ai già citati artt. 38 del codice penale del 1889 e
7 del codice di procedura penale del 1913. Si pose, dopo il 1930 e
prima del 1942, il quesito se l'obbligo di risarcire i danni morali (e
non patrimoniali) trovasse la sua ragion d'essere nel principio
generale stabilito dall'art. 1151 dell'allora vigente codice civile o
soltanto nell'art. 185, secondo comma, c.p. Si chiarì, da autorevole
dottrina, che, essendo il principio generale del risarcimento del danno
sancito dal precitato art. 1151 c.c. e, comprendendo concettualmente
tale danno sia il danno patrimoniale sia quello non patrimoniale, il
risarcimento di quest'ultimo discendeva appunto dall'art. 1151 c.c. Si
aggiunse essere stata la riparazione pecuniaria (immediato precedente
dell'art. 2059 c.c.) di cui agli artt. 38 del codice penale del 1889 e
7 del codice di procedura penale del 1913 (provvedendo essa alla
riparazione dei danni morali) a sottrarre questi ultimi dalla
comprensione dell'art. 1151 c.c. e, pertanto, a ridurre
l'applicabilità dello stesso articolo al solo risarcimento del danno
patrimoniale; con l'emanazione del vigente codice penale, riferendosi
l'art. 185 c.p. a tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed
essendo stata abrogata la riparazione pecuniaria, il più volte citato
art. 1151 c.c., secondo la ricordata dottrina, aveva ripreso
l'estensibilità di cui era capace, riferendosi a tutte le specie di
danni.
Certo, anche il vigente art. 2043 c.c. (che corrisponde all'art.
1151 dell'abrogato c.c.) ove non esistesse altra disposizione relativa
ai danni non patrimoniali (a parte, per un momento, il sistema di cui
al titolo IX del libro IV del c.c.) potrebbe ritenersi estensibile a
tutte le specie di danni: ma l'art. 2059 c.c., operando una precisa
scelta, sancendo che i danni non patrimoniali, corrispondenti ai soli
danni morali subiettivi, vanno risarciti in ben precisati limiti e
cioè solo nei casi determinati dalla legge, non soltanto esclude,
almeno nelle intenzioni del legislatore del 1942, la risarcibilità di
altri danni non patrimoniali ma sottrae questi ultimi alla comprensione
dell'art. 2043 c.c. Se a ciò s'aggiunge il sistema del titolo IX del
libro IV del codice civile, s'intende appieno che l'interpretazione
letterale del solo art. 2043 c.c. non può, senza approfondite
considerazioni, tranquillizzare in ordine al riferimento al danno
biologico, che lede pur sempre un bene immateriale, dell'articolo in
discussione.
10. - Gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza, ai fini
d'inquadramento sistematico del danno biologico, si sono infatti,
coerentemente orientati verso una lettura dell'art. 2043 c.c. diversa
da quella tradizionale: il problema del danno biologico si è, in
definitiva, risolto nel problema d'una particolare lettura dell'art.
2043 c.c. Soltanto la tesi (oggi, peraltro, quasi del tutto respinta)
secondo la quale, poiché l'integrità psico - fisica dell'uomo è
sempre impiegata per realizzare attività volte all'acquisizione od
alla conservazione di beni patrimoniali, la stessa integrità
costituisce bene patrimoniale e, conseguentemente, ogni riduzione della
medesima realizza un deficit patrimoniale, lascia inalterata la lettura
tradizionale dell'art. 2043 c.c. Allorché, invece, si è sostenuto
rientrare il danno biologico nella categoria dei danni economici
(questi sarebbero caratterizzati dall'obiettiva e diretta valutabilità
in danaro) ed allorché si è assunto che lo stesso danno consiste
nell'effetto dannoso della lesione dell'integrità psico - fisica del
soggetto offeso, che rende il medesimo incapace, anche solo in parte,
di ricevere utilità dalla propria attività o dal mondo esterno, si è
offerta, in definitiva, nel sottoporre a revisione la nozione di danno,
una lettura dell'art. 2043 c.c. diversa da quella tradizionale.
11. - Sennonché, soltanto il collegamento tra l'art. 32 Cost. e
l'art. 2043 c.c., come si dirà meglio oltre, imponendo una lettura
"costituzionale" di quest'ultimo articolo, consente di interpretarlo
come comprendente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico:
è la lettura "costituzionale" dello stesso articolo, correlato con
l'art. 32 Cost., che soddisfa le esigenze sottostanti a tutte le tesi
proposte in materia.
Va, intanto, precisato che in questo giudizio è stato invocato
l'art. 32, primo comma, Cost., quale parametro di riferimento delle
questioni di costituzionalità relative all'art. 2059 c.c.
(nell'ordinanza del Tribunale di Padova, promotrice del procedimento
concluso con sentenza di questa Corte n. 87 del 26 luglio 1979, erano
stati invocati, invece, quale fondamento della richiesta dichiarazione
d'incostituzionalità dello stesso art. 2059 c.c., gli artt. 3 e 24
Cost.) e che, conseguentemente, soltanto in questo giudizio, e non in
quello concluso con la predetta sentenza, è consentito (e doveroso)
rivolgere particolare attenzione all'art. 32, primo comma, Cost.
D'altra parte, da un canto la sentenza ora citata, nel dichiarare
rientrante nella discrezionalità del legislatore adottare trattamenti
differenziati in relazione alle differenti situazioni, per presupposti
e gravità, del fatto costituente reato e del fatto dannoso integrante
esclusivamente illecito civile, esclude dalla predetta discrezionalità
le "situazioni soggettive costituzionalmente garantite", dall'altro, la
sentenza di questa Corte n. 88 del 1979, nel riaffermare che il bene
afferente alla salute è tutelato, come diritto fondamentale della
persona, direttamente dalla Costituzione, dichiara che la violazione di
tal diritto, nel costituire illecito civile, determina, per sé, il
sorgere dell'obbligazione riparatoria.
La lettera del primo comma dell'art. 32 Cost., che non a caso fa
precedere il fondamentale diritto della persona umana alla salute
all'interesse della collettività alla medesima, ed i precedenti
giurisprudenziali, inducono a ritenere sicuramente superata
l'originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato
costituzionale in materia.
12. - Il riconoscimento del diritto alla salute come diritto
pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato, non è senza
conseguenza in ordine ai collegamenti tra lo stesso art. 32, primo
comma, Cost. e l'art. 2043 c.c.
L'art. 2043 c.c. è una sorta di "norma in bianco": mentre nello
stesso articolo è espressamente e chiaramente indicata l'obbligazione
risarcitoria, che consegue al fatto doloso o colposo, non sono
individuati i beni giuridici la cui lesione è vietata: l'illiceità
oggettiva del fatto, che condiziona il sorgere dell'obbligazione
risarcitoria, viene indicata unicamente attraverso l'"ingiustizia" del
danno prodotto dall'illecito. È stato affermato, quasi all'inizio di
questo secolo (l'osservazione era riferita all'art. 1151 dell'abrogato
codice civile ma vale, ovviamente, anche per il vigente art. 2043 c.c.)
che l'articolo in esame "contiene una norma giuridica secondaria, la
cui applicazione suppone l'esistenza d'una norma giuridica primaria,
perché non fa che statuire le conseguenze dell'iniuria, dell'atto
contra ius, cioè della violazione della norma di diritto obiettivo".
Il riconoscimento del diritto alla salute, come fondamentale
diritto della persona umana, comporta il riconoscimento che l'art. 32
Cost. integra l'art. 2043 c.c., completandone il precetto primario.
È il collegamento tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. che ha
permesso a questa Corte d'affermare che, dovendosi il diritto alla
salute certamente ricomprendere tra le posizioni subiettive tutelate
dalla Costituzione, "non sembra dubbia la sussistenza dell'illecito,
con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del
diritto stesso". L'ingiustizia del danno biologico e la conseguente
sua risarcibilità discendono direttamente dal collegamento tra gli
artt. 32, primo comma, Cost. e 2043 c.c.; più precisamente
dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima.
13. - Senonché, leggendo l'art. 2043 c.c. nel sistema dell'intero
titolo IX del libro IV del codice civile, il danno biologico dovrebbe
ritenersi risarcibile soltanto quando il medesimo produca danni
patrimoniali, comunque intesi.
È ben vero che l'interpretazione letterale del solo art. 2043
c.c., che non menziona la patrimonialità delle conseguenze dannose
risarcibili ma fa espresso riferimento esclusivamente all'ingiustizia
del danno, potrebbe condurre, come ha sostenuto una parte della
giurisprudenza, a ritenere il danno biologico rientrante, quale
species, nel genus "danno ingiusto": l'interpretazione letterale del
solo art. 2043 c.c. non può, tuttavia, prevalere sull'interpretazione
sistematica dello stesso articolo, nel quadro dell'intero titolo IX del
libro IV del codice civile.
Ed è per queste ragioni che ad altra parte della dottrina e della
giurisprudenza non è restato che allargare la nozione di danno ex art.
2043 c.c., fino a comprendere tutte le menomazioni direttamente ed
obiettivamente valutabili in danaro (e quindi anche il danno biologico)
oppure assumere quest'ultimo come comprensivo di tutti i pregiudizi che
riducono la capacità del soggetto a produrre e ricevere utilità
derivanti dalla sua attività o dal mondo esterno.
Tuttavia, il danno biologico, come s'è già avvertito, è, in ogni
caso, un tipo di fatto (menomazione dell'integrità psico - fisica del
soggetto) ed un tipo di lesione della salute, sempre presente, nel
doloso o colposo illecito realizzativo della predetta menomazione. Tale
tipo di fatto e di lesione non vanno in alcun modo confusi con
l'eventuale presenza, in concreto, di danni patrimoniali od economici,
conseguenti al fatto ed alla lesione ora specificati. Basterebbe,
ancora una volta, ribadire che uno speciale tipo di danno ed uno
specifico bene tutelato, leso da un fatto tipico (la predetta
menomazione) non possono confondersi con una categoria generale di
danni che conseguono, eventualmente (ed in ogni caso devono esser
provati) al danno biologico, sempre presente, invece, nella predetta
menomazione e sempre lesivo, senza bisogno di alcuna prova, del bene -
giuridico salute.
Certo, la lesione della salute non coincide con la lesione di un
arto o, in generale, dell'integrità fisio - psichica, per sé
considerata (si è già avvertito che tale lesione è l'evento
naturalistico del fatto offensivo del bene giuridicamente tutelato -
salute: e l'evento naturalistico, per sé, avulso dal significato
giuridico dell'intero fatto, del quale è elemento, non ha
significato). Ma non è neppur vero che la lesione dell'arto o della
generale integrità bio - psichica venga perseguita, attraverso il
risarcimento ex art. 2043 c.c., solo se e nei limiti in cui rende, in
concreto, il soggetto passivo dell'illecito incapace, in tutto od in
parte, di produrre o ricevere le utilità derivanti dal mondo esterno o
dalla sua attività. E l'ingiustizia (lesione del diritto alla salute)
insita nel fatto menomativo dell'integrità bio - psichica, il
fondamento giuridico del risarcimento del danno biologico ed
eventualmente, ove esistano, anche di altre conseguenze dannose. Non
è, l'esistenza, in concreto, di conseguenze dannose (quali che siano)
a costituire il fondamento dell'ingiustizia del fatto illecito e,
pertanto, anche della menomazione bio - psichica. In tanto le ulteriori
(oltre l'evento) conseguenze dannose sono rilevanti e risarcibili in
quanto, prima, già esiste un'ingiustizia dell'illecito (determinata
dalla violazione della norma primaria desunta dal combinato disposto
degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) ed una lesione, presunta, del bene -
giuridico salute.
14. - Né vale sostenere che, allorché s'identifichi il danno con
l'illecito, il risarcimento perde la sua funzione risarcitoria per
assumere la natura di pena privata. Anzitutto, il danno non
s'identifica con l'illecito; questo (che, peraltro naturalisticamente
considerato, non ha il benché minimo significato) intanto sostanzia e
concreta la lesione al bene giuridico - salute in quanto è
oggettivamente antigiuridico, è in contrasto con il divieto primario
(di cui al combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) che lo
investe d'un autonomo disvalore giuridico.
Precipuo compito della norma di diritto privato è, appunto, la
tutela di tipici beni, di specifici interessi, costituenti l'oggetto
garantito dal predetto divieto primario. Si osservi: antiche,
consolidate indagini di teoria generale, nel distinguere l'illecito
civile extracontrattuale dagli illeciti di diritto pubblico, hanno
sostenuto che, violando sempre il fatto antigiuridico un duplice ordine
di interessi, immediati (diretti) e mediati (indiretti), l'illecito
civile extracontrattuale viene considerato dall'ordinamento soprattutto
in funzione della lesione di interessi immediati (oggetto sostanziale
specifico: ad esempio, nel nostro caso, la salute, come bene del
privato) a differenza dell'illecito di diritto pubblico, riguardato
dallo stesso ordinamento precipuamente in funzione della lesione di
interessi mediati (danno o pericolo sociali ecc.). Ed allorché il
fatto oggettivamente antigiuridico costituisce anche reato, la doppia
conseguenza giuridica è il più evidente segno del diverso profilo dal
quale viene considerato il medesimo illecito: come precipuamente lesivo
dell'interesse specifico immediato o come principalmente lesivo di
interessi sociali indiretti. Il risarcimento del danno, sanzione
riparatoria (appartenente alla categoria delle sanzioni esecutive del
precetto primario) tendendo a ripristinare l'equilibrio tra gli
interessi privati in gioco, segue alla violazione della norma di
diritto privato e, pertanto, soprattutto alla lesione dell'oggetto
specifico, immediatamente garantito dalla stessa norma; la pena
(appartenente alla categoria delle sanzioni punitive, nettamente
distinte dalle esecutive), tendendo, invece, a principalmente rieducare
il reo od a riaffermare l'autorità statale ed a prevenire i pericoli
sociali indiretti (recidiva, vendetta privata ecc.) consegue alla
violazione della norma di diritto penale e, pertanto, soprattutto, alla
lesione degli oggetti giuridici mediati, garantiti precipuamente dalla
norma penale.
È si ripete, prevalente scopo del divieto primario, in sede di
responsabilità civile extracontrattuale, garantire i beni immediati,
specifici, tipicamente individuati dal medesimo: nella specie, la
salute come bene individuale del privato, a parte i conseguenti,
eventuali danni patrimoniali.
Certo, la strada per rileggere tutto il sistema del codice civile
alla luce della Costituzione e per ricondurre l'illecito civile, pur
nelle innegabili specificità, ai principi generali dell'illecito
giuridico è, forse, ancora lunga: le teorie e la giurisprudenza che
allargano l'ambito di operatività dell'art. 2043 c.c. ai danni
economici (misurabili direttamente ed obiettivamente in moneta) che
comprendono ma non esauriscono i danni patrimoniali in senso stretto o
che si riferiscono all'incidenza del danno biologico sulle attività
extralavorative non retributive, meritano, nella previsione di tale
strada, particolare attenzione.
15. - Va, infatti, riconosciuto che, pur essendo, come s'è detto,
il danno biologico nettamente distinto dal danno patrimoniale od
economico; pur assumendo un ruolo autonomo sia in relazione al lucro
cessante da invalidità lavorativa (temporanea o permanente) in
concreto incidente sulla capacità di guadagno del danneggiato sia nei
confronti del danno morale in senso stretto; pur essendo sempre
presente nell'avvenuta menomazione psico - fisica, e sempre risarcito,
a differenza delle due voci (eventuali) del (predetto) lucro cessante e
del danno morale subiettivo; da una parte il risarcimento del danno
biologico costituisce un primo, essenziale, prioritario risarcimento,
che ne condiziona ogni altro e, pertanto, anche quello del preindicato
lucro cessante (non vi può esser risarcimento di danni patrimoniali
derivanti da fatto illecito lesivo della salute senza il
necessariamente preliminare risarcimento del danno biologico); e
dall'altra parte, la ragione per la quale è vietato causare
menomazioni dell'integrità psico - fisica (ossia la tutela delle
manifestazioni della vita ordinaria, del soggetto passivo del fatto,
sia lavorativa che extralavorativa) è quella stessa che fonda la
risarcibilità del danno patrimoniale Una sola è, invero, la ratio del
combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.
16. - Va a questo punto, tuttavia, sottolineato che l'attenzione al
solo art. 2043 c.c., anche in una lettura aggiornata, secondo nuove
nozioni di danno economico e di patrimonio, non sembra sufficiente a
rendere piena efficacia all'art. 32 Cost. ed ai nuovi valori
prospettati dalla Costituzione. Il combinato disposto degli artt. 32
Cost. e 2043 c.c. importa una rilettura costituzionale di tutto il
sistema codicistico dell'illecito civile.
L'interpretazione giudiziaria ha già iniziato la revisione di
alcune nozioni tradizionali; dall'esperienza giudiziaria sono nati il
danno alla vita di relazione, il danno alla sfera sessuale, il danno
estetico non concretamente incidente sulla capacità di guadagno, ecc.
e sono state prese in considerazione, ad esempio, le ipotesi di piccole
invalidità permanenti non influenti sul reddito del soggetto nonché
quelle relative a periodi di malattia temporanea durante la quale il
lavoratore ha continuato a percepire l'intera retribuzione. Tutto ciò
ha costituito l'immediato "precedente" giurisprudenziale del danno
biologico.
Il fatto che le esigenze innovatrici siano partite dall'esperienza,
ispirata ai valori, personali, esplicitamente garantiti dalla Carta
costituzionale, è garanzia di verità delle medesime, anche se
lasciano ancora la dottrina incerta in ordine alla strada da
intraprendere per raggiungere l'esatta risposta alle stesse esigenze.
17. - Ed è appunto il clima creato dalla Costituzione che rende
necessario ricondurre l'illecito civile ai principi ed alle regole
della teoria generale dell'illecito.
In tempi nei quali non erano prospettate ipotesi di specifici
interessi garantiti anche nei rapporti tra privati, ritenendosi il
danno ex art. 2043 c.c. limitato al danno emergente ed al lucro
cessante (e cioè alla lesione direttamente od indirettamente incidente
sul patrimonio del danneggiato) si è individuato un principio, valido
in sede di responsabilità extracontrattuale, secondo il quale il danno
si sostanzia esclusivamente nelle conseguenze patrimoniali (e non)
dell'illecito. Gli interessi sostanziali, a tutela dei quali s'impone
l'obbligazione risarcitoria, passavano in secondo piano: nessuno
avvertiva il bisogno d'esplicitarli; e, data, da un canto, la
conclamata atipicità dell'illecito civile e dall'altro la facilità
della prova del danno emergente e del lucro cessante, ogni indagine
s'incentrava sull'obbligazione risarcitoria d'un danno patrimoniale (o
non) comunque da provare, di volta in volta, conseguente all'illecito.
Venute, invece, in rilievo esigenze di tutela, anche in sede di
diritto privato, di specifici valori, determinati soprattutto dalla
vigente Costituzione, valori personali, prioritari, non tutelabili,
neppure in sede di diritto privato, soltanto in funzione dei danni
patrimoniali (e non) conseguenti all'illecito, occorre fare un passo
ulteriore, rompere lo schema dell'esistenza, in tema di responsabilità
civile extracontrattuale, soltanto di danni - conseguenze, in senso
stretto, e incentrando l'attenzione sul divieto primario violato
dall'illecito extracontrattuale (e in particolare sui valori tutelati,
lesi da quest'ultimo) chiarire gli effetti che il bene tutelato dal
divieto primario opera sul precetto secondario del risarcimento del
danno. È la natura (il valore, il significato giuridico) del bene
garantito che, riverberandosi sul precetto secondario, lo condiziona,
sottraendolo, ove del caso, ad arbitrarie determinazioni del
legislatore ordinario.
18. - Va dato atto ad una parte autorevole della dottrina d'aver
intuito che, anche se l'art. 32 Cost. non contempla espressamente il
risarcimento, in ogni caso, del danno biologico, è dallo stesso
articolo che può desumersi, in considerazione dell'importanza
dell'enunciazione costituzionale del diritto alla salute come diritto
fondamentale del privato, la difesa giuridica che tuteli nella forma
risarcitoria il bene della salute personale.
Ciò non è, tuttavia, riferibile alla norma di cui all'art. 2059
c.c. (stante l'interpretazione limitativa che, come si è ricordato, il
diritto vivente dà di quest'ultimo articolo) ma va ricondotto alla
norma risultante dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043
c.c., giacché lo stesso diritto vivente quest'ultimo articolo ritiene,
direttamente od indirettamente, applicabile al risarcimento del danno
biologico.
V'è da sottolineare che, mentre chi ritiene direttamente
applicabile al danno biologico l'art. 2043 c.c., non affronta la
problematica relativa all'interpretazione dello stesso articolo alla
luce del sistema di cui al titolo IX del libro IV del codice civile, e,
fermandosi, alla sola interpretazione letterale dell'articolo in esame,
riconduce, come s'è rilevato, al genere "danno ingiusto" anche la
specie "danno biologico", chi, invece, è dell'avviso che né l'art.
2059 c.c. né l'art. 2043 c.c. siano direttamente applicabili al
risarcimento del danno biologico, ravvisa nel sistema della
legislazione civile un principio generale costituito dalla previsione
d'una sanzione risarcitoria come conseguenza della lesione d'una
situazione giuridica subiettiva e, pertanto, applica l'art. 2043 c.c.,
espressione anch'esso di tal principio, al danno biologico per analogia
iuris.
Va qui, a parte ogni altra considerazione, in ogni caso rimarcato
che è l'art. 32 Cost. che, collegato all'art. 2043 c.c., fa sì che
quest'ultimo non possa essere interpretato come applicantesi
esclusivamente al danno patrimoniale od al danno economico derivanti
dalla menomazione psico - fisica: questi danni, come si è notato, sono
soltanto ulteriori ed eventuali conseguenze della lesione del bene -
giuridico salute, prodotta dall'intero fatto lesivo, compreso,
ovviamente, l'evento della menomazione bio - psichica.
Poiché, come si è già notato, l'art. 2043 c.c., a parte
l'indicazione della iniuria, attiene a conseguenze sanzionatorie di un
illecito e poiché la sanzione deve esser adeguata a quest'ultimo ed
idonea a validamente compensare l'offesa al bene tutelato, realizzata
dall'illecito stesso, l'articolo in esame va correlato alla
disposizione che prevede il bene giuridico tutelato attraverso la
posizione del divieto primario.
L'art. 2043 c.c., correlato ad articoli che garantiscono beni
patrimoniali, non può che esser letto come tendente a disporre il solo
risarcimento dei danni patrimoniali (in senso stretto): è per questi
motivi che, essendo il diritto privato orientato per il passato, almeno
prevalentemente, alla tutela di beni patrimoniali, lo stesso articolo
è stato dal legislatore volto alla tutela di soli beni patrimoniali e
dalla dottrina letto nel senso voluto dal legislatore del 1942.
La vigente Costituzione, garantendo principalmente valori
personali, svela che l'art. 2043 c.c. va posto soprattutto in
correlazione agli articoli dalla Carta fondamentale (che tutelano i
predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a
compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa
dell'illecito. L'art. 2043 c.c., correlato all'art. 32 Cost., va,
necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei
danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi, per le ragioni già
indicate, i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno
potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona
umana. Ed è questo il profondo significato innovativo della richiesta
di autonomo risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: tale
richiesta contiene un implicito, ma ineludibile, invito ad una
particolare attenzione alla norma primaria, la cui violazione fonda il
risarcimento ex art. 2043 c.c., al contenuto dell'iniuria, di cui allo
stesso articolo, ed alla comprensione (non più limitata, quindi, alla
garanzia di soli beni patrimoniali) del risarcimento della lesione di
beni e valori personali.
19. - Se è vero che l'art. 32 Cost. tutela la salute come diritto
fondamentale del privato, e se è vero che tale diritto è primario e
pienamente operante anche nei rapporti tra privati, allo stesso modo
come non sono configurabili limiti alla risarcibilità del danno
biologico, quali quelli posti dall'art. 2059 c.c., non è ipotizzabile
limite alla risarcibilità dello stesso danno, per sé considerato, ex
art. 2043 c.c.
Il risarcimento del danno ex art. 2043 è sanzione esecutiva del
precetto primario: ed è la minima (a parte il risarcimento ex art.
2058 c.c.) delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela d'un
interesse
Quand'anche si sostenesse che il riconoscimento, in un determinato
ramo dell'ordinamento, d'un diritto subiettivo non esclude che siano
posti limiti alla sua tutela risarcitoria (disponendosi ad esempio che
non la lesione di quel diritto, per sé, sia risarcibile ma la medesima
purché conseguano danni di un certo genere) va energicamente
sottolineato che ciò, in ogni caso, non può accadere per i diritti e
gli interessi dalla Costituzione dichiarati fondamentali. Il
legislatore ordinario, rifiutando la tutela risarcitoria (minima) a
seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato
fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi dalla
predetta tutela. La solenne dichiarazione della Costituzione si
ridurrebbe ad una lustra, nelle ipotesi escluse dalla tutela
risarcitoria: il legislatore ordinario rimarrebbe arbitro
dell'effettività della predetta dichiarazione costituzionale. Con
l'aggravante che, mentre il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e
2043 c.c. porrebbe il divieto primario, generale, di ledere la salute,
il fatto lesivo della medesima, per il quale non è previsto dalla
legge ordinaria il risarcimento del danno, o, assurdamente, impedirebbe
al precetto primario d'applicarsi (il risarcimento del danno rientra,
infatti, nelle sanzioni che la dottrina definisce esecutive) o dovrebbe
ritenersi giuridicamente del tutto irrilevante.
Dalla correlazione tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., è posta,
dunque, una norma che, per volontà della Costituzione, non può
limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico.
20. - Un'ultima osservazione: alle conclusioni ora indicate si può
opporre il timore d'un'eccessiva uniformità di determinazione e
liquidazione del danno biologico.
Va precisato che non si è inteso qui proporre un'assolutamente
indifferenziata, per identiche lesioni, determinazione e liquidazione
di danni: ed in proposito è da ricordare la recente giurisprudenza di
merito che assume il predetto criterio liquidativo dover risultare
rispondente da un lato ad un'uniformità pecuniaria di base (lo stesso
tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa
da soggetto a soggetto: è, infatti, la lesione, in sé e per sé
considerata, che rileva, in quanto pregna del disvalore giuridico
attribuito alla medesima dal divieto primario ex artt. 32 Cost. e 2043
c.c.) e dall'altro ad elasticità e flessibilità, per adeguare la
liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata
menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali,
in concreto, si manifesta l'efficienza psico - fisica del soggetto
danneggiato.
21. - La precedente disamina conduce a ribadire conclusivamente
che, oltre alla voce relativa al risarcimento, per sé, del danno
biologico, ove si verifichino, a seguito del fatto lesivo della salute,
anche danni - conseguenze di carattere patrimoniale (esempio lucro
cessante) anch'essi vanno risarciti, con altra autonoma voce, ex artt.
32 Cost. e 2043 c.c. Così, ove dal fatto in discussione derivino danni
morali, subiettivi, i medesimi, in presenza, nel fatto, anche dei
caratteri del reato, vanno risarciti ex art. 2059 c.c.
Il cumulo tra le tre voci di danno, pur generando pericoli di
sperequazioni (i soggetti che percepiscono un attuale reddito
lavorativo hanno diritto a richiedere una voce di danno in più)
dovrebbe consigliare cautela nella liquidazione dei danni in esame,
onde evitare da un canto duplicazioni risarcitorie e dall'altro gravi
sperequazioni nei casi concreti.
22. - Tutto quanto innanzi rilevato chiarisce, che, pur partendo da
diverse interpretazioni dell'art. 2043 c.c., la giurisprudenza e la
dottrina, nella assoluta maggioranza, non soltanto ritengono il danno
biologico compreso e disciplinato dal predetto articolo ma indicano in
quest'ultimo la disposizione, di carattere generale, che consente la
risarcibilità, senza alcuna limitazione, del precitato danno. Non v'è
dubbio, pertanto, che i risultati ai quali pervengono le prevalenti
giurisprudenza e dottrina, dalle pur diverse interpretazioni dell'art.
2043 c.c., coincidono; e non v'è dubbio, pertanto, che esiste, in
materia, un diritto vivente al quale questa Corte si richiama.
Le precisazioni qui offerte in ordine alle norme, primaria e
secondaria, che si ricavano, nel vigente sistema desunto anche dalle
disposizioni costituzionali, dal combinato disposto degli artt. 32
Cost. e 2043 c.c. conducono agli stessi risultati.
Poiché le ordinanze di rimessione chiedono la dichiarazione
d'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui
prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla
lesione del diritto alla salute soltanto in conseguenza di reato;
poiché qui si è preso atto del diritto vivente, per il quale l'art.
2059 c.c. attiene esclusivamente ai danni morali subiettivi e non
esclude che altre disposizioni prevedano la risarcibilità, in ogni
caso, del danno biologico, per sé considerato; poiché lo stesso
diritto vivente individua nell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32
Cost., la disposizione che disciplina la risarcibilità, per sé, in
ogni caso, del danno biologico; mentre va dichiarata infondata la
questione di legittimità costituzionale, così come prospettata,
dell'art. 2059 c.c., va dato atto che il combinato disposto degli
artt. 32 Cost. e 2043 c.c., consente la risarcibilità, in ogni caso,
del danno biologico.