Ritenuto in fatto:
1. - Con ordinanza in data 1 giugno 1978 la Sezione di sorveglianza
della Corte d'appello di Palermo ha sollevato, d'ufficio, in
riferimento agli artt. 3 e 27, comma terzo, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 54
della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), nella parte in cui non prevede che la "riduzione di
pena" (di venti giorni per ciascun semestre di pena detentiva scontata)
nell'articolo stesso contemplata, sotto il titolo di "liberazione
anticipata" (in favore del "condannato a pena detentiva che abbia dato
prova di partecipazione all'opera di rieducazione"), possa essere
accordata al condannato all'ergastolo, sia pure al solo fine di
abbreviare il periodo minimo di detenzione necessario perché possa
aspirare alla liberazione condizionale (agli effetti della quale, in
base allo stesso art. 54, comma quarto, della legge n. 354 del 1975,
"la parte di pena detratta si considera come scontata").
L'ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento di
sorveglianza promosso da Di Girolamo Antonino, detenuto in espiazione
di ergastolo. Avendo egli richiesto, ai fini della liberazione
condizionale, che fosse disposta a suo favore la "riduzione di pena"
prevista dall'art. 54, comma quarto, della legge n. 354 del 1975, la
Sezione obiettava che tale beneficio non poteva, allo stato, essergli
accordato. Secondo il giudice a quo, infatti, (considerate anche, e
particolarmente, le pronunce della Corte costituzionale - di cui
nell'ordinanza di rinvio vengono citate, "per tutte", le sentenze n. 95
del 1976 e n. 34 del 1977 - sulla giurisprudenza applicativa delle
leggi ordinarie come "diritto vivente") la "norma reale "che, in forza
della interpretazione ormai costantemente data dalla Corte di
cassazione all'art. 54 della legge penitenziaria, doveva ritenersi
posta da tale articolo, e secondo la quale la "riduzione di pena che
esso prevede non può essere accordata ai condannati all'ergastolo",
non permetteva, nel caso, la concessione del beneficio. Tuttavia,
dubitando della legittimità costituzionale della norma stessa, sospeso
il procedimento, disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte.
Premesso che, sotto la denominazione di pena detentiva, l'art. 18 del
codice penale annovera anche l'ergastolo, e che a norma dell'art. 27,
terzo comma, della Costituzione, tutte le pene, senza distinzione,
"debbono tendere alla rieducazione del condannato", e rilevato altresì
che l'istituto della "liberazione anticipata "è preordinato
essenzialmente (come è detto nello stesso art. 54, primo comma, della
legge penitenziaria) ad "un più efficace reinserimento del soggetto
nella società", nell'ordinanza di rinvio si osserva che la
possibilità di tale reinserimento non può più ritenersi preclusa, in
via di principio, nell'attuale ordinamento, al condannato
all'ergastolo. Anche il condannato all'ergastolo, invero, è
sottoposto come qualsiasi altro detenuto in espiazione di pena (art. 1,
sesto comma, della citata legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento
penitenziario) ad un trattamento rieducativo. Inoltre, a norma
dell'art. 176 del codice penale, nel testo sostituito dall'art. 2 della
legge 25 novembre 1962, n. 1634, scontati 28 anni di reclusione, egli
può venire ammesso alla liberazione condizionale. Liberazione
condizionale, rispetto alla quale nell'ordinanza di rinvio si
sottolinea particolarmente come, ravvisandovi, in ogni caso, un
peculiare aspetto del trattamento penale, la Corte costituzionale
(sentenze n. 204 del 1974 e n. 192 del 1976) significativamente
affermò che "il condannato ha diritto a che, verificandosi le
condizioni poste dalla norma sostanziale, venga riesaminata la sua
situazione in ordine alla prosecuzione dell'esecuzione della pena, al
fine di accertare se quella già scontata abbia o meno assolto il suo
fine rieducativo". E si ricorda altresì che proprio in considerazione
della possibilità, per il condannato all'ergastolo, di vedersi, con la
liberazione condizionale, aperta la via ad un possibile suo
reinserimento nel consorzio civile, la Corte escluse, nella sentenza n.
264 del 1974, che la pena dell'ergastolo fosse contraria a
Costituzione. Se ne conclude, perciò, che, escludendo il condannato
all'ergastolo - sia pure ai soli fini della possibilità di una meno
remota ammissione alla liberazione condizionale - dal beneficio in
questione della "riduzione di pena", che esso contempla, l'art. 54
della legge sull'ordinamento penitenziario venga a frustrare i fini di
rieducazione di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
Secondo il giudice a quo, tuttavia, oltre che con l'art. 27 terzo
comma, la norma impugnata si pone in contrasto con il principio di
eguaglianza. A suo avviso, infatti, la disparità di trattamento che
per effetto di essa verrebbe a verificarsi tra il detenuto ergastolano
e quello condannato ad una pena detentiva temporanea, anche fissata nel
massimo dalla legge, non trova alcuna ragionevole giustificazione.
Entrambi i soggetti hanno, infatti, manifestato un elevato grado di
pericolosità sociale e capacità a delinquere.
In punto di rilevanza, infine, la Sezione osserva "che il presente
giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della questione di legittimità costituzionale, in quanto, aderendosi
alla suddetta costante interpretazione giurisprudenziale, il chiesto
beneficio dovrebbe essere negato".
2. - Notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza di rinvio, con
atto depositato il 19 febbraio 1979 è intervenuta innanzi alla Corte,
per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato,
chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata priva di
fondamento.
Ricordata la giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la
quale l'art. 54 della legge n. 354 del 1975 va interpretato nel senso
che l'istituto della liberazione anticipata non è applicabile ai
condannati all'ergastolo, e le critiche di cui tale orientamento è
stato oggetto in dottrina, l'Avvocatura contesta anzitutto che l'art. 3
della Costituzione possa ritenersi, nel caso, offeso. Le categorie di
soggetti diversamente trattati - essa osserva - non sono coincidenti:
essi versano in situazioni diverse e ciò sembra giustificare il
diverso trattamento. Trattamento che, peraltro, rappresenta una scelta
precisa di politica criminale, rispondente a garanzie di stabilità, e
- come è stato appunto rilevato dalla Corte di cassazione - trova
razionale giustificazione nella condizione del condannato
all'ergastolo, atteso l'elevato grado di pericolosità sociale e
capacità a delinquere dimostrato dal medesimo col rendersi
responsabile dei crimini, ovviamente di particolare gravità, per cui
la pena perpetua gli è stata inflitta.
Parimenti non offeso sembra all'Avvocatura il terzo comma dell'art.
27 della Costituzione. È da escludere, infatti, a suo avviso, che la
non applicabilità dell'art. 54 della legge penitenziaria al condannato
all'ergastolo impedisca la rieducazione del medesimo. L'istituto della
"liberazione anticipata" persegue il fine del più efficace
reinserimento del liberando nella società, e non si vede come la non
applicazione dell'art. 54 al condannato all'ergastolo sia di ostacolo
alla rieducazione, che non è assicurata solo dalla speranza di
un'anticipata liberazione. La perpetuità della privazione della
libertà personale, conseguente a delitti gravissimi - prosegue l'atto
di intervento - ha già trovato una forte attenuazione nella estensione
anche ai condannati all'ergastolo dell'istituto della liberazione
condizionale. Il legislatore ordinario non ha ravvisato l'opportunità
di andare oltre.
3. - Questione sostanzialmente analoga, ma formulata in riferimento
al solo art. 3 della Costituzione, e nei confronti del combinato
disposto degli artt. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e 176,
terzo comma, del codice penale, è stata altresì proposta con
ordinanza 17 giugno 1982 dalla Sezione di sorveglianza della Corte
d'appello di Bologna. L'ordinanza è stata emessa nel corso di un
procedimento promosso, con una istanza presentata (con sub ordinata
eccezione di illegittimità costituzionale) per la concessione della
riduzione di pena ai fini della liberazione condizionale, da Miscioscia
Domenico (anch'egli detenuto in espiazione di ergastolo). Ritenendo di
dover anch'essa adeguarsi, abbandonando il diverso orientamento in più
occasioni seguito in passato, alla interpretazione adottata dalla Corte
di cassazione, nel senso che il combinato disposto degli artt. 54 della
legge n. 354 del 1975 e 176, terzo comma, del codice penale, non
consenta, anche al limitato fine della abbreviazione del termine minimo
di 28 anni (fissato agli effetti della liberazione condizionale),
l'applicazione della "riduzione di pena" in questione in favore del
condannato all'ergastolo, la Sezione di sorveglianza di Bologna osserva
tuttavia che, così interpretati, i suddetti articoli determinano tra
il condannato all'ergastolo e il condannato ad altra pena detentiva,
che si trovino nella identica posizione soggettiva, una disparità di
trattamento lesiva del precetto costituzionale. Se ovviamente - si
argomenta nell'ordinanza - appare giustificato, in rapporto alla
diversa entità e natura dell'ergastolo e della reclusione temporanea,
che la durata minima della "pena scontata", come requisito per
l'ammissione alla liberazione condizionale, sia determinata con
criterio differenziato, per il condannato a pena detentiva temporanea
(nel primo e secondo comma) e per il condannato all'ergastolo (nel
terzo comma dell'art. 176 codice penale), non altrettanto può dirsi
riguardo alla esclusione dal beneficio della riduzione della pena
medesima, di cui all'art. 54, quarto comma, della legge penitenziaria,
nei confronti del solo condannato all'ergastolo. Secondo il giudice a
quo, infatti, il condannato a pena detentiva temporanea e il condannato
all'ergastolo che "abbiano dato prova di sicuro ravvedimento"
(requisito per la liberazione condizionale) e, insieme, di
"partecipazione all'opera di rieducazione" (requisito per la
liberazione anticipata), debbono esser posti in condizione identica
rispetto alla legge, con accesso ai medesimi benefici. Né a questo
proposito varrebbe obiettare che diversa è la natura delle pene
(detentive temporanee ed ergastolo). La "riduzione di pena" viene,
infatti, negata dalle norme impugnate al condannato all'ergastolo,
anche in funzione - è questo che si contesta - dell'applicazione della
liberazione condizionale, sotto un aspetto, cioè, in relazione al
quale le due specie di pena (con la sostanziale commutazione
dell'ergastolo da pena perpetua a temporanea) finiscono con
l'assimilarsi. Cosicché, se si considera che la liberazione
condizionale, per il condannato all'ergastolo, non rappresenta uno
sviluppo eccezionale di quella specie di pena, ma ne costituisce un
connotato intrinseco essenziale, l'esclusione dei condannati
all'ergastolo dal beneficio della "riduzione di pena " - beneficio che
è invece concedibile, allo stato della vigente normativa, a tutti i
condannati a pena detentiva temporanea indipendentemente dal titolo del
reato - non trova giustificazione.
4. - Eseguite le notifiche, comunicazioni e pubblicazione di rito,
innanzi alla Corte costituzionale, con atto depositato in cancelleria
il 14 dicembre 1982, è intervenuta, per il Presidente del Consiglio
dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata priva di fondamento.
Dopo aver ricordato che la Corte costituzionale ebbe ad affermare,
nella sentenza n. 12 del 1966, che con l'art. 27 della Costituzione "si
volle che il principio della rieducazione del condannato, per il suo
alto significato sociale e morale, fosse elevato al rango di precetto
costituzionale, ma senza con ciò negare l'esistenza e la legittimità
della pena là dove essa non contenga, o contenga minimamente, le
condizioni idonee a realizzare tale finalità, e ciò evidentemente in
considerazione delle altre funzioni della pena che al di là della
prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei
cittadini e dell'ordine contro la delinquenza"; e, in altra decisione,
che l'art. 27 della Costituzione, usando la formula "le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato", "non ha proscritto la
pena dell'ergastolo (come avrebbe potuto fare), quando essa sembri al
legislatore ordinario, nell'esercizio del suo potere discrezionale,
indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a
comminatorie meno gravi, o mezzo per isolare a tempo indeterminato
criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e l'efferatezza della
loro indole", l'Avvocatura sostiene che la diversità di previsioni
delle norme della legge penitenziaria del 1975 in materia di ergastolo
rispetto ad altre pene, oltre a corrispondere ad apprezzabili
valutazioni razionali in funzione della severità della pena,
proporzionatamente alla gravità dei reati - sicché non ricorre
certamente una violazione dell'art. 3 della Costituzione - non è
tuttavia tale da escludere strumenti di valutazione dell'efficacia di
emenda della pena stessa previsti da norme ordinarie, come quelle degli
artt. 22,176,184,230 del codice penale. Appare poi pienamente corretto
- prosegue l'atto di intervento - che il legislatore ordinario, in
considerazione del carattere perpetuo della pena dell'ergastolo, non
solo l'abbia esclusa dall'applicabilità dell'art. 54 dell'ordinamento
penitenziario, ma non abbia nemmeno ritenuto di elencarla fra le cause
espresse di esclusione previste dall'art. 47, che si riferiscono tutte
a ipotesi di sanzioni temporanee e quindi meno gravi.
5. - Con ordinanza emessa il 26 novembre 1980 la Sezione di
sorveglianza della Corte d'appello di Firenze ha sottoposto all'esame
della Corte costituzionale, in riferimento al "secondo comma" (rectius,
terzo comma) dell'art. 27 della Costituzione, "la questione di
illegittimità costituzionale dell'art. 50, secondo comma, della legge
26 luglio 1975, n. 354, in quanto non prevede l'applicabilità del
beneficio della semilibertà ai condannati alla pena dell'ergastolo".
La questione è stata sollevata, d'ufficio, nel corso di un
procedimento promosso dall'ergastolano Lutzu Francesco, con una istanza
diretta ad ottenere, ai sensi degli artt. 48 e 50 della legge n. 354
del 1975, la concessione della semilibertà. Sulla opposizione
dell'interessato contro un suo precedente decreto di inammissibilità,
la Sezione rilevava che essendovi, fra le condizioni richieste per la
concessione della semilibertà, quella (unica, ma non superabile
difficoltà) della espiazione di almeno metà della pena, non
configurabile nei confronti dei condannati ad una pena di durata
indefinita come l'ergastolo, il beneficio richiesto non potesse essere
nel caso accordato. Tuttavia, ponendosi, e ritenendolo non
manifestamente infondato, il dubbio se tale esclusione dei condannati
all'ergastolo dal beneficio della semilibertà fosse conforme alla
normativa costituzionale, sospesa la procedura, disponeva la
trasmissione degli atti a questa Corte.
La motivazione dell'ordinanza di rinvio si fonda, essenzialmente,
sulla ricordata sentenza di questa Corte, in materia di liberazione
condizionale, n. 204 del 1974. Ad avviso del giudice a quo, i diritti
del condannato in espiazione di pena (ai quali corrispondono precisi
doveri della pubblica amministrazione), riassumibili nel diritto del
condannato di vedere attuata la pena con il costante perseguimento dei
fini che l'art. 27 della Costituzione prevede, comprendono,
implicitamente, "il diritto (indubbiamente anche con aspetti di dovere
da parte dello stesso detenuto) ad avere l'osservazione e il
trattamento dalla legge previsti", "il diritto ad utilizzare gli
strumenti che la legge prevede per lo svilupparsi e della osservazione
e del trattamento", e, quindi, necessariamente, il diritto" ad una sede
(al cui accesso ovviamente è la legge ordinaria a stabilire i tempi
opportuni) in cui si può svolgere il riesame degli effetti prodotti
dal processo di rieducazione svolto nei confronti del soggetto".
È vero poi - prosegue l'ordinanza - che la stessa Corte
costituzionale ha ritenuto che il legislatore ordinario possa limitare
l'accesso dei condannati alla utilizzazione dei mezzi previsti dalla
legge per il raggiungimento delle finalità rieducative della pena, ma
ciò non potrebbe dirsi avvenuto, rispetto alla semilibertà, nei
confronti dei condannati all'ergastolo. L'esclusione di questi ultimi
dal beneficio suddetto è, infatti, solo indiretta, in quanto deriva
dal sistema di condizioni posto dai primi due commi dell'art. 50 della
legge penitenziaria. Questa, in sostanza, nel secondo comma, avrebbe
fatto una scelta cosciente, individuando una serie di fattispecie
criminose (rapine, estorsioni, ecc.), che non appariva opportuno
ammettere ai nuovi benefici. Ma questa scelta sarebbe del tutto mancata
per il condannato all'ergastolo, il quale, pertanto - conclude la
Sezione - deve essere ammesso ai benefici in parola (ed essenzialmente
alla semilibertà) "con l'inserimento di condizioni temporali
particolari ovviamente diverse da quelle previste dalla legge ed
applicabili alle sole pene temporanee". L'ammissione del condannato
all'ergastolo alla semilibertà, attraverso tale integrazione della
legge, anticiperebbe e preparerebbe, in modo graduale e progressivo,
l'ammissione alla liberazione condizionale, cui oggi l'ergastolano
arriva senza alcun momento di sperimentazione e responsabilizzazione.
Inoltre, l'ammissione alla semilibertà risponderebbe a criteri di
giustizia, in quanto un notevole limite della legge penitenziaria
(dovuto forse alla circostanza che, al momento della sua approvazione,
appariva prossima la conclusione dell'iter legislativo per
l'abrogazione dell'ergastolo) è quello di avere escluso i condannati
all'ergastolo dai vantaggi più incisivi apportati dalla legge
medesima.
Notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza, nelle forme di rito,
non si sono avuti, davanti alla Corte, né costituzione di parte, né
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
6. - Con un'altra ordinanza, in data 20 ottobre 1981, la stessa
Sezione di sorveglianza della Corte d'appello di Firenze ha dichiarato
non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 27 della
Costituzione, "la questione di incostituzionalità dell'art. 54 della
legge n. 354 del 1975, in quanto non prevede - ai fini di cui al quarto
comma dello stesso articolo - l'applicabilità del beneficio della
liberazione anticipata ai condannati alla pena dell'ergastolo".
L'ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento promosso dal
condannato all'ergastolo Riggi Giuseppe. Avendo costui chiesto (al fine
dell'abbreviazione della pena da scontare per l'ammissione alla
liberazione condizionale) la concessione della "riduzione di pena"
prevista dall'art. 54 della legge n. 354 del 1975, ed avendo anche la
Sezione di Firenze ritenuto di doversi uniformare alla su ricordata
costante giurisprudenza della Corte di cassazione, preclusiva del
beneficio in casi del genere la Sezione stessa decideva tuttavia, in
accoglimento di altra istanza avanzata in subordine dall'interessato di
promuovere in proposito, nei termini suddetti, il giudizio di
legittimità costituzionale.
Ad avviso del giudice a quo, le ragioni dalla stessa Sezione di
sorveglianza già esposte nella precedente ricordata ordinanza riguardo
alla dubbia legittimità della contestata esclusione ex art. 50 della
legge penitenziaria del condannato all'ergastolo dal beneficio della
semilibertà, valgono anche per l'esclusione degli stessi condannati
dall'ammissione alla "liberazione anticipata". Analogamente alla
semilibertà - si osserva nell'ordinanza - anche "la liberazione
anticipata" postula la valutazione della partecipazione del soggetto
all'opera di rieducazione e al perseguimento del fine del suo più
efficace reinserimento sociale. Ed anche per la "liberazione
anticipata" vale il rilievo che l'esclusione del condannato
all'ergastolo non è stata esplicitamente dichiarata dal legislatore
ordinario (tanto da far sorgere al riguardo, la nota controversia
interpretativa).
Adempiute le formalità di rito, con atto depositato il 12 ottobre
1982, è intervenuta innanzi alla Corte, per il Presidente del
Consiglio dei ministri l'Avvocatura dello Stato chiedendo che
l'eccezione di incostituzionalità sia respinta. Le deduzioni
dell'Avvocatura (a parte il rilievo che in questo giudizio non è stata
denunciata alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione) sono in
tutto identiche a quelle da essa svolte nel su riferito atto di
intervento nel giudizio promosso dalla Sezione di sorveglianza di
Bologna.
7. - All'udienza pubblica dell'11 gennaio 1983 il Giudice Antonino
De Stefano ha svolto la relazione, e l'avvocato dello Stato Franco
Chiarotti ha insistito per la dichiarazione di non fondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 54 della legge n.
354 del 1975 e 176, comma terzo del codice penale oggetto dei giudizi
nei quali è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto:
1. - L'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento
penitenziario, nella parte in cui non prevede che il beneficio della
riduzione di pena possa venir concesso anche al condannato alla pena
dell'ergastolo al fine di abbreviare il periodo minimo di detenzione,
richiesto per l'ammissione alla liberazione condizionale , è
denunciato, come esposto in narrativa, dalla Sezione di sorveglianza
presso la Corte d'appello di Palermo per contrasto con gli artt. 3 e
27, comma terzo della Costituzione; e dalla Sezione di sorveglianza
presso la Corte d'appello di Firenze per contrasto con il solo art. 27.
Lo stesso art. 54, in parte qua, nel combinato disposto con l'art. 176,
comma terzo, del codice penale, è denunciato dalla Sezione di
sorveglianza presso la Corte d'appello di Bologna per contrasto con
l'art. 3 della Costituzione.
Tutti i giudici a quibus prendono le mosse dalla consolidata
giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale la riduzione
di pena (di venti giorni per ciascun semestre di pena detentiva
scontata), prevista dall'art. 54, non può essere accordata al
condannato all'ergastolo, neppure al limitato fine della riduzione del
periodo (almeno ventotto anni di pena effettivamente scontata),
richiesto dal terzo comma dell'art. 176 del codice penale per
l'ammissione alla liberazione condizionale.
Premesso che la riduzione di pena prevista dall'art. 54 della legge
n. 354 del 1975 presuppone la partecipazione del condannato a pena
detentiva all'opera di rieducazione, ai fini del suo più efficace
reinserimento nella società, l'esclusione del condannato all'ergastolo
da tale beneficio violerebbe, secondo le ordinanze di rimessione, la
finalità della "rieducazione" prevista dal terzo comma dell'art. 27
della Costituzione per tutti i condannati, e quindi anche per i
condannati all'ergastolo, ai quali non è precluso il possibile
reinserimento nel consorzio civile per effetto della liberazione
condizionale, come sottolineato da questa Corte nella sentenza n. 264
del 1974. L'esclusione violerebbe altresì il principio di eguaglianza,
comportando una irrazionale ed ingiustificata disparità di trattamento
tra il condannato all'ergastolo ed il condannato ad una pena detentiva
temporanea, specie se inflitta in misura particolarmente elevata.
2. - Anche l'art. 50, comma secondo, della stessa legge n. 354 del
1975, nella parte in cui non prevede l'ammissione del condannato
all'ergastolo al regime di semilibertà, è denunciato con altra
ordinanza della Sezione di sorveglianza presso la Corte d'appello di
Firenze, per contrasto con l'art. 27 della Costituzione.
Il giudice a quo premette che il condannato all'ergastolo non può
essere ammesso al regime di semilibertà, in quanto, fra le condizioni
necessarie per la concessione di tale beneficio, vi è anche
l'espiazione di almeno metà della pena: condizione che non può
realizzarsi nei confronti dell'ergastolo, attesa la sua perpetuità.
Va, peraltro, riconosciuto a qualsiasi condannato, alla luce della
sentenza di questa Corte n. 204 del 1974, il diritto a che la pena
inflittagli sia espiata con il costante perseguimento dei fini previsti
dall'art. 27 della Costituzione, mediante l'osservazione e il
trattamento del detenuto ed il riesame degli effetti prodotti dal
processo di rieducazione svolto nei suoi confronti. Ben vero - si
osserva ancora nell'ordinanza - che il legislatore può limitare
l'accesso dei condannati alla utilizzazione dei mezzi previsti dalla
legge per il raggiungimento delle finalità rieducative della pena. Ma
tale scelta limitatrice, esplicitamente operata per una serie di
fattispecie criminose, per le quali la semilibertà non può venir
concessa, in base al combinato disposto degli artt. 47, comma secondo,
e 48, ultimo comma, della legge n. 354 del 1975, non è stata
espressamente riferita anche al condannato all'ergastolo. Ragioni di
giustizia e di funzionalità postulerebbero invece l'ammissione di
quest'ultimo al beneficio della semilibertà, integrando all'uopo la
denunciata norma, mediante l'inserimento di peculiari condizioni
temporali, ovviamente diverse da quelle previste dalla legge per le
sole pene temporanee.
3. - Le ordinanze di rimessione sottopongono alla Corte questioni
identiche o connesse; pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per
essere decisi con unica sentenza.
4. - La questione relativa all'art. 54 della legge n. 354 del 1975,
puntualizzata nei termini esposti al paragrafo 1, è fondata.
La denunciata norma, come si è già precisato, è univocamente
interpretata dalla Corte di cassazione nel senso che la riduzione di
pena ivi prevista non possa venir concessa ai condannati all'ergastolo
(esclusi dalla liberazione anticipata) nemmeno ai soli fini
dell'ammissione alla liberazione condizionale, conteggiando, cioè, il
relativo abbuono nel quantum di pena scontata, all'uopo prescritto dal
terzo comma dell'art. 176 del codice penale, nel testo sostituito
dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634. A sostegno
dell'accolta interpretazione vien fatto riferimento all'espressione
adoperata in quest'ultima disposizione, che per tale ipotesi - a
differenza dalle altre previste nello stesso art. 176 - richiede che il
condannato all'ergastolo abbia "effettivamente" scontato almeno
ventotto anni. Trattasi dunque - se ne conclude - di una norma
speciale, che deroga, per precisa scelta di politica criminale, alla
norma generale dettata dal quarto comma dell'impugnato art. 54.
Ma le scelte del legislatore non si sottraggono al sindacato di
questa Corte, inteso a verificarne la compatibilità con i precetti
della Costituzione. In proposito occorre ricordare che la legge n. 354
del 1975 sull'ordinamento penitenziario, enunciando i principi
direttivi ai quali deve ispirarsi il "trattamento penitenziario",
afferma, in armonia con il dettato del terzo comma dell'art. 27 della
Costituzione, che nei confronti dei condannati ed internati dev'essere
attuato, secondo un criterio d'individualizzazione in rapporto alle
specifiche condizioni dei soggetti, un trattamento rieducativo che
tenda al "reinserimento sociale" degli stessi (art. 1); e nel
disciplinare la "individualizzazione del trattamento", la stessa legge
promuove la "collaborazione dei condannati e degl'internati alle
attività di osservazione e di trattamento" (art. 13). In siffatta
prospettiva il primo comma del denunciato art. 54 della legge medesima,
prevede che possa venir concessa "al condannato a pena detentiva che
abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione", una
"riduzione di pena" (di venti giorni per ciascun semestre di pena
detentiva scontata) "ai fini del suo più efficace reinserimento nella
società". Il conseguito beneficio può operare per il condannato su
due distinti piani, non necessariamente connessi: e cioè, sia ai fini
della sua "liberazione anticipata", allorché l'ammontare della pena
irrogata venga a coincidere con la somma degli abbuoni e del periodo
scontato; sia ai fini della sua ammissione alla "liberazione
condizionale", in quanto, considerando la pena detratta come pena
scontata, si attingano più presto i periodi minimi richiesti dai primi
due commi dell'art. 176 del codice penale.
In questa seconda ipotesi - fermo il presupposto della liberazione
condizionale, concedibile solo al condannato che abbia tenuto, durante
il tempo di esecuzione della pena, un comportamento tale da far
ritenere sicuro il suo "ravvedimento" - la possibilità di acquisire
una riduzione della pena incentiva e stimola nello stesso soggetto la
sua attiva collaborazione all'"opera di rieducazione". Così, nel
premiare il comportamento del condannato, che è invogliato a
partecipare all'opera della sua rieducazione e ad assecondarla
rendendola meno difficile e più efficace, la riduzione della pena si
raccorda sul piano teleologico con il presupposto della liberazione
condizionale, e cioè con il risultato della rieducazione medesima,
sollecitando e corroborando il ravvedimento del condannato ed il
conseguente suo reinserimento nel corpo sociale.
Finalità questa, che il vigente ordinamento penitenziario, in
attuazione del precetto del terzo comma dell'art. 27 della
Costituzione, persegue per tutti i condannati a pena detentiva, ivi
compresi gli ergastolani. Il che è fatto palese dalla estensione in
loro favore dell'istituto della liberazione condizionale, operata dalla
citata legge n. 1634 del 1962: a proposito della quale fu enunciato,
nella relazione governativa che accompagnava la presentazione alla
Camera dei deputati del disegno di legge, il proposito di "completare
ed integrare, con speciale riferimento all'ergastolo, la progressiva
umanizzazione della pena, rendendo più concreta e funzionale anche
nell'ergastolo l'azione intesa alla rieducazione del condannato". La
recuperabilità sociale del condannato all'ergastolo, mediante la
possibilità della sua liberazione condizionale, segnava perciò nella
nostra legislazione penale una svolta di evidente rilievo: che fu
sottolineata anche da questa Corte, la quale, nel dichiarare, con la
sentenza n. 264 del 1974, non fondata la questione di legittimità
costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 27, comma terzo,
della Costituzione, dell'art. 22 del codice penale, che prevede appunto
la pena dell'ergastolo, faceva perno, tra l'altro, proprio
sull'ammissibilità alla liberazione condizionale, in quanto essa
"consente l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel
consorzio civile".
Venuti meno, d'altro canto, per effetto dell'abrogazione dell'ultimo
comma dell'art. 54, disposta dall'art. 5 della legge 12 gennaio 1977,
n. 1, i casi in cui, per determinati delitti di particolare gravità
(rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di
estorsione), non poteva venir concesso il beneficio della riduzione
della pena, il raccordo tra questo istituto e quello della liberazione
condizionale opera con carattere di generalità per tutti i condannati
a pena detentiva temporanea. Rispetto ai quali, pertanto, appare
ingiustificata ed arbitraria l'esclusione dal vantaggio derivante dal
raccordo medesimo - in ragione dei comuni presupposti e delle comuni
finalità attuative del comma terzo dell'art. 27 della Costituzione -
dei condannati all'ergastolo. I quali, dunque, pur non potendo venire
ammessi alla liberazione anticipata (essendo l'ergastolo per
definizione una pena senza una scadenza che sia possibile anticipare),
devono poter egualmente fruire, verificandosene ovviamente i
presupposti, della riduzione della pena prevista dall'art. 54, ai soli
fini dell'applicazione del terzo comma dell'art. 176 del codice penale.
Va, conclusivamente, dichiarata la illegittimità costituzionale, per
contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, del denunciato art.
54, nella parte in cui non prevede la possibilità di concedere anche
al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del
computo della quantità di pena così detratta nella quantità
scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale.
5. - Per quanto concerne l'altra questione, puntualizzata nei termini
esposti al paragrafo 2, va rilevato che essa investe l'art. 50, comma
secondo, della legge n. 354 del 1975, "in quanto non prevede
l'applicabilità del beneficio della semilibertà ai condannati alla
pena dell'ergastolo", in riferimento all'art. 27 della Costituzione
(sia pure attraverso l'erroneo richiamo fatto dall'ordinanza di
rimessione al secondo anziché al terzo comma).
La norma denunciata dispone che il condannato può essere ammesso al
regime di semilibertà soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della
pena. Secondo il giudice a quo l'uso di tale espressione esclude
"indirettamente" dal beneficio il condannato all'ergastolo, in quanto
la prescritta condizione della espiazione di "almeno metà della pena"
non può ovviamente ricorrere là dove la pena, essendo "perpetua"
(art. 22 del codice penale), adegua la sua durata alla stessa
imprevedibile durata della vita del condannato, e perciò non si
estende in un predeterminato arco temporale, del quale possa esser
calcolata la "metà".
Nel ravvisare in tale esclusione una violazione della finalità
rieducativa della pena, sancita dall'invocato precetto costituzionale,
il giudice a quo sostanzialmente chiede che la dichiarazione della
illegittimità costituzionale si concreti in una "integrazione" della
norma, ammettendo il condannato all'ergastolo al regime di semilibertà
"con l'inserimento di condizioni temporali particolari ovviamente
diverse da quelle previste dalla legge ed applicabili alle sole pene
temporanee".
Prospettata nei cennati termini, la questione si appalesa
inammissibile. Si chiede, invero, a questa Corte di apprestare una
particolare disciplina, determinando quanta parte della pena dovrebbe
essere stata già espiata dal condannato all'ergastolo perché possa
esser presa in considerazione la sua ammissione al regime di
semilibertà. Ma provvedere su una siffatta domanda implicherebbe una
scelta discrezionale che eccede i poteri di questa Corte. Va, dunque,
dichiarata - alla stregua della pronuncia resa in analoga occasione con
la sentenza n. 137 del 1981 - la inammissibilità della proposta
questione.