N. 42
SENTENZA 25 MARZO 1980
Deposito in cancelleria: 26 marzo 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 92 del 2 aprile 1980.
Pres. AMADEI - Rel. PALADIN
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Dott.
GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI -
Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA
- Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN -
Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 (Istituzione e disciplina dell'imposta
locale sui redditi) e dell'art. 4, n. 1, del d.P.R. 9 ottobre 1971, n.
825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma
tributaria) promosso con ordinanze emesse dalle Commissioni tributarie
di 1 grado di Lecco il 13 aprile 1977, di Grosseto il 4 giugno 1977, di
Pordenone il 29 marzo 1977, di Lucca il 1 dicembre 1977, di Pinerolo il
7 novembre 1977 (due ordinanze), di Milano il 17 giugno 1977, di
Bassano del Grappa il 10 aprile 1978, di Palermo il 24 giugno 1977, di
Torino il 5 maggio 1978 (due ordinanze), di Cuneo il 3 maggio 1978 e di
Bassano del Grappa il 12 aprile 1979, rispettivamente iscritte ai nn.
458, 464 e 541 del registro ordinanze 1977; 150, 159, 160, 209, 442 e
464 del registro ordinanze 1978, e 256, 257, 333 e 456 del registro
ordinanze 1979, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 327 e 334 del 1977; nn. 39, 154, 158, 179 e 347 del 1978 e nn.
3,147,175 e 210 del 1979.
Visto l'atto di costituzione di Romano Fabio e Studio Verna, di
Bianchi Luigi e Chiesa Gabriele;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1979 il Giudice relatore
Livio Paladin;
uditi gli avvocati Victor Uckmar e Paolo Barile, per Bianchi e
Chiesa, ed Emanuele Granelli, per Romano e Studio Verna, e il sostituto
avvocato generale dello Stato Giuseppe Cipparrone, per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Sulla base di un'eccezione proposta da Peter Guggi, avverso
l'iscrizione a ruolo dell'ILOR relativa ai redditi professionali
percepiti dal ricorrente nel 1974, la Commissione tributaria di 1 grado
di Lecco ha sollevato - con ordinanza emessa il 13 aprile 1977 -
questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 599, per pretesa violazione degli artt. 3, 35 e 53 Cost., nella
parte in cui tale atto legislativo prevede l'applicazione dell'ILOR
"solo a carico dei lavoratori autonomi".
L'ordinanza di rimessione assume che alle pur indubbie diversità
riscontrabili fra lavoro autonomo e lavoro dipendente non
corrisponderebbe una diversa capacità contributiva: né in linea di
fatto, dal momento che non tutti i redditi di lavoro autonomo sarebbero
qualificabili come redditi misti di capitale e lavoro; né sul piano
costituzionale, dal momento che l'art. 35 Cost., tutelando il lavoro
in tutte le sue forme ed applicazioni, non consentirebbe trattamenti
privilegiati dell'una o dell'altra attività lavorativa. D'altra
parte, nemmeno si potrebbe sostenere che l'imposta in esame abbia la
funzione di sanare l'evasione fiscale nella quale incorrono certi
professionisti: poiché l'effetto di essa consisterebbe, al contrario,
nel costituire "un ulteriore incentivo ad altre evasioni".
2. - Nel corso di un analogo giudizio, accogliendo le eccezioni
proposte dal ricorrente Rossano Egisti, la Commissione tributaria di 1
grado di Grosseto ha sollevato a sua volta - con ordinanza emessa il 4
giugno 1977 - le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
1, primo comma, lett. a), e 7, primo, secondo e quarto comma, del
d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3,35, primo comma, e
53, primo comma, della Costituzione.
Premessa una sintetica motivazione sulla rilevanza delle questioni
in esame, l'ordinanza di rimessione osserva, da un lato, che l'art. 1
del d.P.R. n. 599 "comporta una voluta disparità di trattamento fra
redditi di lavoro autonomo e redditi di lavoro subordinato": disparità
che sarebbe però ingiustificata, non basandosi sopra una diversa
capacità contributiva, bensì sul solo motivo delle "maggiori
possibilità di evasione" dei lavoratori autonomi, vale a dire "sulla
dichiarata incapacità dello Stato a garantire il corretto
funzionamento del sistema tributario". D'altro lato, l'art. 7 del
predetto decreto sarebbe viziato - per converso - da una irragionevole
parificazione di situazioni differenziate, quali i redditi di lavoro ed
i redditi misti, operata senza comunque tener conto dell'apporto dato
dal lavoro nel concorrere alla produzione del reddito. In effetti, la
forfettaria determinazione delle deduzioni condurrebbe "ad un sistema
impositivo basato su una capacità presunta, anziché effettiva e
reale": in chiaro contrasto con il principio sancito dall'art. 53 della
Costituzione.
3. - L'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973 è stato impugnato, previa
eccezione del ricorrente Alberico Garlatti, per pretesa lesione degli
artt. 3 e 53 Cost., anche da parte della Commissione tributaria di 1
grado di Pordenone, con ordinanza emessa il 29 marzo 1977.
Il giudice a quo torna ad insistere sulla discriminazione fra i
redditi di lavoro autonomo e quelli di lavoro dipendente, risultante
dalla circostanza che solo i primi siano assoggettati all'ILOR,
indipendentemente dal loro ammontare. Con ciò il legislatore avrebbe
violato l'esigenza, costituzionalmente garantita, che a pari capacità
contributiva sia ricollegato un pari carico tributario, quale che sia
la provenienza dei redditi colpiti.
4. - Su eccezione del ricorrente Luigi Pelizzari, la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, lett. a), e 7,
primo, secondo e quarto comma, del d.P.R. n. 599 del 1973, è stata
inoltre proposta - con ordinanza del 1 dicembre 1977 - dalla
Commissione tributaria di 1 grado di Lucca, in riferimento agli artt.
3, 35, primo comma, e 53, primo comma, Cost.
Si assume qui pure che la prima norma impugnata concreterebbe
un'incostituzionale "sperequazione di trattamento tra il lavoro
autonomo ed il lavoro subordinato": con effetti particolarmente iniqui
"quando si tratti dello stesso tipo di lavoro svolto nell'un caso
nell'ambito di una impresa, con le garanzie e le certezze che offre un
rapporto di dipendenza; nell'altro caso nell'ambito strettamente
individuale ... con un minimo irrilevante impiego di capitale". Per
ciò stesso - si aggiunge - sarebbe incostituzionale anche il ricordato
art. 7, "nella parte in cui disciplina in modo uniforme il regime di
applicazione dell'imposta ILOR", quanto ai redditi agrari, di impresa e
di lavoro autonomo.
5. - Con due conformi ordinanze del 7 novembre 1977, facendo in
parte propri i motivi dedotti dai ricorrenti Maddalena Vigliani e
Oreste Mensitieri, la Commissione tributaria di 1 grado di Pinerolo ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del
d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
Pur non contestando le notevoli e molteplici diversità che
separano sul piano giuridico il lavoro dipendente dal lavoro autonomo,
il giudice a quo non ritiene "razionalmente giustificabile" il diverso
trattamento tributario che ad essi ha riservato il legislatore, a
fronte di redditi d'eguale importo. Corrispondentemente, lesivo
dell'art. 3 (nonché dell'art. 53 Cost.) sarebbe anche l'eguale
trattamento del reddito di lavoro autonomo rispetto al reddito
d'impresa. "In quest'ultimo" - osserva infatti l'ordinanza di
rimessione - "la componente patrimoniale è fondamentale ..., mentre,
in ordine al reddito derivante da lavoro autonomo, la presenza di
capitale è di regola assai modesta, ed in taluni casi può essere
addirittura trascurabile e nulla": con la conseguenza che per esso
l'ILOR realizzerebbe - illegittimamente - una "ipercontribuzione".
Quanto invece all'art. 35 Cost., la Commissione ritiene che non sia
corretto invocarlo a parametro, trattandosi di una norma estranea alla
materia tributaria. D'altronde, non sarebbe comunque pertinente la
denuncia dell'art. 7 del d.P.R. n. 599, poiché detta norma potrebbe -
in ipotesi - risultare "affetta da incostituzionalità derivata" e non
incostituzionale per se stessa, là dove prevede una certa deduzione,
sia pure parificando ingiustamente il lavoro autonomo all'impresa.
6. - In tutti questi giudizi si è costituito il solo Presidente
del Consiglio dei ministri, chiedendo che la Corte dichiari infondate
le predette eccezioni di legittimità costituzionale.
Con motivazioni comuni a tutti gli atti di intervento, l'Avvocatura
dello Stato considera pienamente legittimo che, nell'ambito
dell'imposizione reale in cui rientra l'ILOR, la legge ordinaria possa
(ed anzi debba), a parità di redditi, "variare il carico tributario in
ragione della qualità oggettiva delle fonti produttive". Già prima
della riforma tributaria si distinguevano, a questi effetti, redditi
fondiari, di capitale, di impresa, di lavoro autonomo, di lavoro
subordinato; e ciò sarebbe tuttora indispensabile, a meno di intendere
la capacità contributiva come principio che imponga di ragguagliare la
contribuzione per tutti indistintamente i tipi di reddito. Nel caso in
esame, del resto, la fonte produttiva del reddito non sarebbe soltanto
il lavoro, poiché concorrerebbero "un impiego di capitale e di
organizzazione". E si tratterebbe inoltre, da una parte, d'un lavoro
caratterizzato da una "redditività maggiore"; d'altra parte, di
redditi "per loro natura meno suscettibili di completo ed integrale
accertamento", diversamente dai redditi di lavoro subordinato.
Partendo da queste medesime premesse, l'Avvocatura dello Stato nega
che possa ritenersi irragionevole "l'assimilazione del reddito di
lavoro autonomo al reddito agrario e al reddito di impresa individuale
nel caso che il soggetto passivo presti la propria opera nell'impresa e
tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente". E nega,
altresì, l'irragionevolezza della detrazione del 50% fino al tetto di
12 milioni, trattandosi in sostanza della "determinazione di una
diversa aliquota", operata in via generale "per tutta una categoria di
redditi".
7. - Nel giudizio sui ricorsi riuniti proposti da Fabio Romano,
Giuseppe Verna, Luigi Romolo Bianchi e Gabriele Chiesa (quali
contribuenti assoggettati all'ILOR per i redditi di lavoro autonomo da
essi conseguiti nel 1974), la Commissione tributaria di 1 grado di
Milano ha sollevato - su eccezioni dei ricorrenti - questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 del d.P.R. n. 599 del
1973, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione.
L'ordinanza di rimessione - datata 17 giugno 1977 - premette che
"la distinzione del lavoro autonomo da quello subordinato non appare
suscettibile di incidere", come invece si verifica agli effetti
dell'ILOR, "sulla qualificazione del reddito in ragione delle diverse
modalità con cui si esplica l'attività lavorativa del percipiente":
sia perché "gli oneri connessi allo svolgimento dei due tipi di
attività" risulterebbero, oggi, quanto meno livellati; sia perché,
dato l'art. 35 Cost., il lavoro dipendente non sarebbe di per sé
meritevole di maggior tutela. E d'altra parte - si aggiunge - la
diversa disciplina tributaria introdotta dall'ILOR non verrebbe nemmeno
giustificata dalla componente patrimoniale riscontrabile nella
produzione del reddito di lavoro autonomo: poiché in linea di massima
tale componente si presenterebbe "in una percentuale del tutto
irrisoria", né varrebbe comunque a far considerare come "misto" il
reddito stesso.
Quanto poi all'art. 7 del predetto decreto presidenziale, anch'esso
sarebbe costituzionalmente censurabile: in quanto verrebbe "ad
unificare il trattamento del lavoro autonomo, cui gli artt. 1 e 35
Cost. riconoscono dignità pari a quella del lavoro subordinato, con
il regime fiscale dell'investimento capitalistico, anche per il caso
(di gran lunga il più frequente) in cui la componente patrimoniale
risulti ... minima e del tutto trascurabile".
8. - È intervenuto dinanzi a questa Corte il Presidente del
Consiglio dei ministri, insistendo nelle argomentazioni e nelle
conclusioni già ricordate. Si sono inoltre costituiti, chiedendo per
contro l'annullamento delle norme impugnate, tutti i ricorrenti nel
giudizio a quo.
In particolar modo, mediante una memoria successiva all'atto di
costituzione, la difesa di Giuseppe Verna ha sostenuto: primo, che
"l'affinarsi delle procedure impositive" renderebbe attualmente assai
minori le possibilità di evasione tributaria per i lavoratori autonomi
(pur dato, e non concesso, che in ciò possa consistere la ratio del
denunciato regime fiscale); secondo, che la discriminazione qualitativa
dei redditi, genericamente invocata dall'Avvocatura dello Stato,
sarebbe comunque illegittima se attuata in modo arbitrario, ignorando
la reale capacità contributiva dei soggetti incisi, nella quale anche
la discrezionalità legislativa incontrerebbe "un limite invalicabile";
terzo, che nel lavoro autonomo (e specie professionale) l'eventuale
elemento patrimoniale non assumerebbe mai una "autonoma funzionalità,
che lo renda fruibile indipendentemente dall'opera professionale del
lavoratore"; quarto, che sarebbe dunque irrazionale (e non certo sanata
dalla detrazione del 50% fino a 12 milioni) l'equiparazione dei redditi
di lavoro a quelli d'impresa.
Del pari, negli atti di costituzione e nelle conseguenti memorie,
la difesa di Luigi Bianchi e di Gabriele Chiesa ha ricordato che, in
vista delle incongruenze della discriminazione qualitativa dei redditi
operata nel precedente sistema, sia la Commissione per lo studio della
riforma tributaria sia il Consiglio nazionale dell'economia e del
lavoro sia lo stesso Governo nei due consecutivi disegni di legge -
delega avevano avvertito di dover mantenere distinti dai redditi
patrimoniali tutti i redditi di lavoro, in quanto "guadagnati" ed in
quanto temporanei anziché permanenti come quelli di capitale. Su
questo punto, invece, la Commissione finanze e tesoro della Camera
avrebbe effettuato un colpo di mano, configurando l'ILOR come "tributo
reale a carattere generale gravante su tutti i redditi, ad - eccezione
di quelli derivanti da lavoro subordinato": ma ciò, senza che vi fosse
un adeguato fondamento giustificativo ed anzi incorrendo in diffuse
obiezioni dottrinali (largamente riportate in appendice ad una delle
memorie in questione).
Effettivamente, si osserva in tali memorie che gli argomenti
addotti dal legislatore a sostegno della maggiore imposizione sui
redditi di lavoro autonomo risulterebbero inconsistenti. Quanto
all'integrale deducibilità delle spese di produzione, a fronte della
detrazione fissa, prevista per il lavoro dipendente, si tratterebbe di
un rimedio pienamente congruo, dato l'enorme divario intercorrente fra
le une e le altre spese e data, comunque, l'esigenza di colpire un
reddito netto e non un reddito lordo. Quanto alla pretesa elevatezza
dei redditi professionali, a compensarla varrebbe - in ogni caso - la
progressività dell'IRPEF; ed anzi i redditi di lavoro autonomo si
dimostrerebbero oggi svantaggiati rispetto ai redditi di lavoro
dipendente, data l'aleatorietà di essi, cui corrisponderebbero invece
sistemi di sicurezza sociale e la stabilità del posto di lavoro,
previsti a beneficio dei lavoratori subordinati. Quanto poi alle
maggiori possibilità di evasione delle quali godrebbero i
professionisti - anche a tacere delle ritenute cui vengono assoggettati
i loro compensi - l'ILOR comporterebbe in questo senso una "sorta di
responsabilità collettiva", colpendo chi paga per chi si sottrae ai
suoi obblighi, in chiara violazione dell'art. 53 Cost. E quanto,
infine, alla componente patrimoniale dei redditi dei lavoratori
autonomi, essa formerebbe l'oggetto di una indimostrata presunzione del
legislatore, frutto di un'irragionevole equiparazione dei lavoratori
autonomi agli imprenditori.
9. - Con motivazioni conformi a quelle già ricordate, identiche od
analoghe questioni di legittimità costituzionale sono state quindi
sollevate da altre Commissioni tributarie.
Mediante un'ordinanza emessa il 10 aprile 1978, la Commissione
tributaria di 1 grado di Bassano del Grappa ha infatti impugnato - su
eccezione del ricorrente Giovanni Battista Menegotto - gli artt. 1,
secondo comma, lett. a), e 7, primo, secondo e quarto comma, del d.P.R.
n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 53,
primo comma, della Costituzione.
A sua volta, la Commissione tributaria di 1 grado di Palermo, con
ordinanza emessa - sempre su eccezione di parte - il 24 giugno 1977 (ma
pervenuta alla Corte il 24 luglio 1978), ha dichiarato non
manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 4, n.
1, del d.P.R. 9 ottobre 1971, n. 825, e dell'art. 1, lett. a), del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, per pretesa violazione dell'art. 53
della Costituzione.
Ancora, con due identiche ordinanze del 5 maggio 1978, accogliendo
le eccezioni avanzate dai ricorrenti, la Commissione tributaria di 1
grado di Torino ha nuovamente impugnato gli artt. 1 e 7, primo, secondo
e quarto comma, del d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt.
3, 35 e 53 Cost. Premessa l'analisi dei lavori preparatori della
riforma tributaria, il giudice a quo rileva in tal senso che, "invece
di realizzare uno strumento di discriminazione fra redditi fondati (di
natura patrimoniale) e redditi non fondati (di lavoro), si è pervenuti
ad una discriminazione tra redditi di lavoro autonomo e redditi di
lavoro subordinato in più equivocando, almeno parzialmente,
nell'ambito dei redditi misti, tra lavoro autonomo e redditi di impresa
delle persone fisiche". Non varrebbe in contrasto l'argomento
dell'integrale detrazione delle spese, di cui beneficiano i redditi da
lavoro autonomo: poiché, se ciò alterasse l'eguaglianza di
trattamento, basterebbe disporre un corrispondente beneficio anche per
i redditi da lavoro subordinato. Nemmeno gioverebbe invocare le
maggiori possibilità di evasione dei redditi del primo tipo: giacché
si tratterebbe di un "invito indiretto" alla evasione stessa, nonché
di un modo per far ricadere indiscriminatamente sui contribuenti le
insufficienze dell'amministrazione finanziaria. Né si potrebbe trarre
giustificazione dalla maggiore "quantità" dei proventi del lavoro
autonomo, dal momento che l'ILOR sarebbe stata istituita per colpire e
discriminare la "qualità" dei redditi in questione.
10. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7
del d.P.R. n. 599 del 1973 è stata finalmente sollevata - in
riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost. - dalle Commissioni tributarie
di Cuneo e di Bassano del Grappa, con ordinanze rispettivamente emesse
il 3 maggio 1978 ed il 12 aprile 1979.
Per altro, quest'ultimo giudice ha impugnato l'art. 7, anche "nella
parte in cui non prevede la concessione del beneficio di abbattimento
della base imponibile ai redditi di lavoro autonomo occasionale"; e
ciò in riferimento all'art. 76 Cost., per pretesa violazione delle
norme deleganti contenute nell'art. 4, n. 5, della legge 9 ottobre
1971, n. 825.
11. - In tutti questi giudizi si è costituito il solo Presidente
del Consiglio dei ministri, per ribadire le tesi già illustrate.
In una successiva memoria, l'Avvocatura dello Stato ha inoltre
sostenuto che l'istituzione dell'ILOR sarebbe seguita "ad approfondite
e motivate scelte del legislatore": il quale avrebbe scartato l'idea di
creare un'imposta patrimoniale pura (come anche un'imposta reale su
redditi patrimoniali specifici), per disporre invece "una forma
generalizzata di prelievo tributario su qualsiasi specie di reddito
patrimoniale, comprendendo anche quei redditi per i quali l'elemento
patrimonialistico, pur non essendo assoluto, concorresse con
l'esercizio di attività personali - lato sensu, lavorative - del
reddituario".
A torto, pertanto, le ordinanze di rimessione assumerebbero "la
piena ed assoluta equiparazione qualitativa tra i redditi di lavoro
autonomo ed i redditi di lavoro subordinato": in primo luogo, perché
su di un piano generale rimarrebbe ferma, fra i due tipi di lavoro in
esame, "una tradizionale e sempre recepita distinzione"; in secondo
luogo, perché le libere professioni tenderebbero, nella società
contemporanea, ad industrializzarsi; in terzo luogo, perché una piena
omogeneità dei redditi posti a confronto dovrebbe coincidere - il che
non si verifica - "con una piena uniformità dei sistemi di
accertamento e di riscossione" dei relativi tributi.
Su questa base, la memoria dell'Avvocatura dello Stato contesta
anche le censure più specifiche, mosse dai giudici a quibus contro
l'ordinamento dell'ILOR: negando in particolar modo che il legislatore
sia incorso in eccessi di delega; difendendo il ricorso a presunzioni,
quali forme più idonee per conseguire certezze giuridiche;
giustificando l'equiparazione fra redditi d'impresa e redditi di lavoro
autonomo, là dove sussistano situazioni promiscue ed intermedie.
12. - Nella pubblica udienza del 5 dicembre 1979, tutte le parti
costituite hanno ampiamente riproposto le rispettive deduzioni.
Considerato in diritto:
1. - Le tredici ordinanze di rimessione contestano tutte la
legittimità costituzionale delle norme concernenti l'istituzione e la
disciplina dell'imposta locale sui redditi, in quanto prevedono (o in
quanto non escludono) l'applicazione del l'imposta a carico dei
lavoratori autonomi.
Precisamente, la Commissione tributaria di 1 grado di Lecco impugna
in questo senso l'intero d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599. Le altre
Commissioni prendono invece di mira l'art. 1 del decreto stesso, ora
assumendolo nel suo complesso, ora mettendo in questione il solo
capoverso, ora censurando la mancata esclusione dei lavoratori autonomi
e dei professionisti, per disparità di trattamento rispetto ai
lavoratori dipendenti, di cui all'art. 1, primo comma, lett. a) (ma
trattasi - in tal caso - di un evidente errore materiale, dal momento
che la lettera a, relativa all'esenzione dei redditi di lavoro
dipendente e assimilati, è contenuta nel secondo e non nel primo comma
dell'articolo impugnato). E varie ordinanze estendono l'impugnativa
all'art. 7 del predetto decreto, con particolare riguardo al primo,
secondo e quarto comma, in quanto non consentono un differenziato
trattamento tributario del lavoro autonomo, ai fini delle deduzioni dai
rispettivi redditi; mentre la Commissione tributaria di 1 grado di
Palermo, oltre all'art. 1, lett. a), del d.P.R. n. 599 del 1973,
coinvolge nella sua denuncia l'art. 4, n. 1, della legge - delega per
la riforma tributaria (sia pure indicata attraverso il riferimento,
anch'esso manifestamente erroneo e quindi suscettibile di venire
corretto, ad un insussistente d.P.R. 9 ottobre 1971, n. 825).
Quali parametri, tutte le ordinanze (con l'unica eccezione di
quella emessa il 24 giugno 1977 dalla Commissione tributaria di 10
grado di Palermo, che fa richiamo al solo principio di capacità
contributiva) invocano congiuntamente gli artt. 3 e 53 della
Costituzione. Ma varie Commissioni prospettano altresì la violazione
dell'art. 35, là dove esso dichiara che "la Repubblica tutela il
lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". E la Commissione
tributaria di 1 grado di Bassano del Grappa - mediante l'ordinanza
datata 12 aprile 1979 - sostiene a sua volta che l'art. 7 del d.P.R. n.
599 del 1973 si porrebbe in contrasto con l'art. 76 Cost., violando il
principio direttivo stabilito dall'art. 4, n. 5, della legge - delega
n. 825 del 1971, per la mancata concessione delle relative deduzioni a
favore dei redditi di lavoro autonomo occasionale.
Ma l'apparente varietà delle prospettazioni non toglie che la
questione di legittimità costituzionale, così sollevata dalle tredici
ordinanze di rimessione, si presenti pur sempre in termini
fondamentalmente comuni; sicché i relativi giudizi si prestano ad
essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - All'origine del problema che la Corte è chiamata a risolvere,
stanno le profonde modifiche introdotte quanto all'ambito di
applicazione dell'imposta in esame, a partire dai progetti governativi
di riforma tributaria sino all'entrata in vigore della legge - delega
n. 825 del 1971 e della conseguente legge - delegata n. 599 del 1973.
Concepito e denominato - inizialmente - come "imposta locale sui
redditi patrimoniali", questo tributo avrebbe dovuto colpire i redditi
di capitale, i redditi di terreni e di fabbricati, i redditi agrari e
quelli derivanti dall'esercizio di imprese commerciali: realizzando con
ciò una discriminazione qualitativa dei redditi stessi, che era
destinata per definizione - come chiariva espressamente la relazione
all'art. 4 del disegno di legge n. 1639, presentato dal Governo alla
Camera dei deputati il 1 luglio 1969 - a lasciare esenti redditi di
lavoro, qualunque fosse la loro fonte e la loro natura. L'originaria
configurazione del tributo venne invece abbandonata - per motivi che
non sono mai stati ufficialmente esposti in modo organico - nel seguito
dei lavori preparatori, a cominciare dal testo alternativo, elaborato
in seno alla sesta Commissione permanente della Camera. In un primo
tempo, la denominazione prescelta dal progetto governativo fu dunque
ampliata, nel senso di prevedere un'"imposta locale sui redditi
patrimoniali, d'impresa e professionali", estesa anche a carico dei
liberi professionisti, sia pure con le stesse deduzioni già
predisposte a beneficio degli imprenditori che prestassero
continuativamente la propria opera nelle imprese in questione. In un
secondo tempo, si preferì trattare - sinteticamente - di "imposta
locale sui redditi", in quanto applicabile alla generalità dei
"singoli redditi prodotti nel territorio dello Stato, esclusi quelli di
lavoro subordinato" (secondo il definitivo disposto dell'art. 4, n. 1,
della legge - delega n. 825 del 1971).
A conclusione di tali sviluppi, potrebbe parere che l'imposta abbia
completamente smarrito l'iniziale ragion d'essere. Non a caso, nella
relazione ministeriale allo schema di decreto delegato per
l'istituzione dell'ILOR si afferma appunto che essa "viene ad assumere
... la prevalente funzione di fattore discriminante il trattamento
tributario dei redditi diversi da quelli di lavoro subordinato". Ed
anche in dottrina vari autori ragionano dell'imposta medesima - a costo
di una certa imprecisione di linguaggio - come d'una sorta di
addizionale o come d'una rinnovata imposta complementare; o, più
semplicemente, ne mettono in rilievo il carattere accessorio rispetto
all'IRPEF e all'IRPEG, fatta salva l'esclusione del lavoro dipendente
(nonché degli altri redditi specificamente riguardati dalle lettere b)
e c) dell'art. 1, secondo comma, del decreto istitutivo).
Senonché, a ben vedere, nel vigente ordinamento dell'ILOR
continuano a riflettersi i motivi ispiratori dell'originaria
concezione. Da un lato, nell'ambito del presupposto identificato
dall'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973, tutti i redditi diversi da
quelli di lavoro autonomo sono pur sempre redditi fondati o
contraddistinti, in ogni caso, da una significativa componente di
capitale; sicché sembra lecito desumerne che lo stesso lavoro autonomo
sia stato inquadrato dal legislatore tributario fra le attività
produttive di redditi misti, di capitale e non solo di lavoro. D'altro
lato, una tale ipotesi interpretativa è largamente confermata
dall'art. 7 del decreto istitutivo: poiché l'aver previsto una comune
deduzione, sia per i redditi di lavoro autonomo sia per i redditi
agrari o d'impresa quando le prestazioni personali del soggetto passivo
del tributo costituiscano "la sua occupazione prevalente", sembra
fornire la riprova che anche per i lavoratori autonomi sia stato così
perseguito l'intento di "eliminare dall'imponibile la parte che si può
considerare formata dal lavoro del soggetto " (come precisava la citata
relazione al disegno governativo n. 1639 del 1969). E, coerentemente,
l'Avvocatura dello Stato non esita, nella sua memoria, a dare per
scontata la premessa che l'ILOR si configuri tuttora "come imposta
reale proporzionale finalizzata alla tassazione oggettiva di tutti i
redditi caratterizzati, totalmente o anche solo parzialmente, da
elementi di patrimonialità".
3. - E precisamente da queste ambiguità del disegno legislativo,
che traggono lo spunto le ordinanze di rimessione, in riferimento al
combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost.: denunciando in sostanza la
violazione di quel principio di eguaglianza tributaria, per cui la
Corte ha affermato - nella sentenza n. 120 del 1972 - "che a situazioni
uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e,
correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario
disuguale", attuando in tal modo l'"esigenza che ogni prelievo
tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente
rivelatori di ricchezza".
Vero è che i profili evidenziati in questo senso, nelle
motivazioni e nei dispositivi delle varie ordinanze, si presentano
duplici e di segno apparentemente opposto. Per un primo verso, infatti,
alcune Commissioni tributarie sottolineano l'irragionevolezza della
discriminazione stabilita dalla disciplina concernente l'ILOR, secondo
che si tratti di lavoro autonomo oppure dipendente; per un secondo
verso, altre Commissioni danno piuttosto rilievo all'ingiustificatezza
dell'assimilazione fra redditi di lavoro autonomo, i redditi agrari ed
i redditi di impresa (per non dire degli stessi redditi puramente
patrimoniali), derivante dall'art. 1 prima ancora che dall'art. 7 del
decreto istitutivo.
Ma le due prospettive si risolvono, in realtà, nei diversi aspetti
di un'unica questione di legittimità costituzionale. Le norme relative
all'ILOR sono cioè censurate, in quanto distraggono i redditi di
lavoro autonomo dalla disciplina tributaria del lavoro dipendente, al
solo scopo di attrarre i redditi stessi - corrispondentemente -
nell'ambito della disciplina dei redditi misti o fondati: senza che le
conseguenti classificazioni legislative si ricolleghino ad una
specifica e congrua capacità contributiva dei lavoratori sottoposti al
tributo.
Così ricostruita, l'impugnativa dev'essere accolta. E ne risulta
assorbita l'ulteriore questione riguardante la legittimità dell'art. 1
del d.P.R. n. 599 del 1973, sollevata in vista dell'art. 35 della
Costituzione.
4. - Nello sforzo di sostenere la costituzionalità
dell'assoggettamento del lavoro autonomo all'imposta locale sui
redditi, l'Avvocatura dello Stato ha svolto due ordini di
considerazioni, pertinenti entrambe alla sistemazione concettuale delle
attività così colpite. In primo luogo, tanto in sede giuridica
quanto in sede economica, il lavoro autonomo rappresenterebbe un
fenomeno ben differenziato dal lavoro dipendente. In secondo luogo,
sussisterebbe invece una strettissima "contiguità" fra i redditi di
lavoro autonomo e i redditi d'impresa, tale che non sarebbe ragionevole
la contrapposizione dei lavoratori autonomi (e dei liberi
professionisti, in particolar modo) ai piccoli imprenditori ed agli
stessi commercianti.
Né l'uno né l'altro assunto valgono però a giustificare la
scelta legislativa in questione. I marcati tratti distintivi del lavoro
autonomo nei confronti del lavoro dipendente sono certo incontestabili,
sul piano del diritto tributario come già sul piano del diritto
civile. Ma la discriminazione qualitativa dei redditi non implica
soltanto che le rispettive fonti di produzione siano diverse; bensì
richiede - per dimostrarsi costituzionalmente legittima - che a questa
diversità corrisponda una peculiare e differenziata capacità
contributiva, propria dei redditi incisi rispetto ai redditi esclusi
dal tributo, a parità di ammontare della base imponibile. E nulla
consente di desumere, né dai lavori preparatori né dal testo delle
norme riguardanti l'imposta in esame, che la capacità posta a base
dell'ILOR possa farsi consistere nelle caratteristiche differenziali
delle varie forme di lavoro, per sé considerato.
D'altra parte, per dare la prova di una maggiore attitudine' dei
lavoratori autonomi alla contribuzione, non giova postulare l'esistenza
di un inscindibile continuum, comprensivo dei redditi di lavoro
autonomo (e specialmente dei redditi professionali) unitamente ai
redditi d'impresa: la cui discriminazione qualitativa, rispetto ai
redditi esclusi dall'ILOR, non viene contestata - per lo meno di
massima - sul piano della legittimità costituzionale.
Indiscutibilmente, può essere arduo stabilire - al limite - se singole
specie di attività lavorative appartengano all'area imprenditoriale
oppure al lavoro autonomo strettamente inteso. Così pure, sono sempre
controversi in dottrina gli stessi criteri di definizione dei concetti
d'impresa e d'imprenditore; e le difficoltà si accentuano nel campo
tributario, poiché le nozioni adottate dall'art. 51 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 597, differiscono in parte dalle configurazioni
civilistiche, sia nel senso di riguardare soggetti passivi che non sono
veri e propri imprenditori commerciali, sia nel senso di colpire
attività diverse da quelle considerate nell'art. 2195 cod. civ. Ma la
presenza di una zona grigia, intermedia fra i redditi sicuramente
imprenditoriali e quelli sicuramente lavorativi, non toglie che - sul
piano normativo - altro siano il lavoro autonomo in genere e le libere
professioni in specie, altro le attività peculiari delle imprese
commerciali (o giuridicamente assimilate od assimilabili ad esse).
Le realtà del lavoro e dell'impresa sono bensì interferenti:
tanto è vero che l'art. 2238 cod. civ. prevede che l'esercizio della
professione possa costituire "elemento di un'attività organizzata in
forma d'impresa"; e che la stessa Corte ha ipotizzato - nella sentenza
n. 17 del 1976 - "che determinate attività professionali ...
richiedano oggi un'organizzazione a base imprenditoriale". Precisamente
dall'art. 2238 cod. civ. si ricava però, con certezza, che il libero
professionista come tale non è un imprenditore. E ne danno larghissima
conferma il carattere personale delle prestazioni ex articolo 2232 cod.
civ., le caratteristiche forme e misure di compenso che in proposito
impone l'art. 2233, il diverso rischio che grava sull'imprenditore,
rispetto al prestatore di opera intellettuale.
Del resto, se anche si restringe l'indagine all'ordinamento
tributario immediatamente anteriore alla riforma del 1971, è vero che
i redditi d'impresa ne venivano considerati di categoria C1, quando si
trattasse di attività "organizzate prevalentemente con il lavoro
proprio del contribuente e dei componenti della famiglia" (secondo
l'art. 85 del d.P.R. n. 645 del 1958); ma non è meno vero che la
relativa aliquota dell'imposta di ricchezza mobile risultava allora
identica a quella stabilita per la categoria C2, ossia per i redditi di
lavoro subordinato (anche se - da ultimo - le rispettive quote esenti
erano state diversificate dall'art. 1 della legge n. 801 del 1970).
Sicché i precedenti non sorreggono affatto la tesi dell'Avvocatura
dello Stato; ma, tutt'al più, offrono argomenti - non certo decisivi
in un giudizio di legittimità costituzionale che riguarda il solo
ordinamento successivo alla riforma - adducibili a sostegno di entrambe
le tesi in contrasto.
In ogni caso, di fronte alla soluzione accolta dall'art. 4, n. 1,
della legge n. 825 del 1971 e dall'art. 1 del d.P.R. numero 599 del
1973 - che sottopongono all'ILOR tanto i redditi di lavoro autonomo
quanto i redditi d'impresa, come pure i redditi agrari e di terreni in
genere, i redditi di fabbricati, i redditi di capitale - non si può
non concludere che il legislatore ha adottato in sostanza (quali che
fossero le intenzioni degli autori della riforma tributaria) una scelta
di comodo, utile per superare le difficoltà operative inerenti
all'esatta determinazione di una categoria così composita come quella
costituita dai redditi patrimoniali. Sotto il profilo in esame, però,
soluzioni del genere non risultano compatibili con i principi
costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva. Come questa
Corte ha più volte chiarito (cfr. le sentt. n. 103 e n. 109 del 1967,
n. 99 del 1968, n. 200 del 1976), le presunzioni tributarie non sono di
per sé illegittime, ma debbono fondarsi su "indici concretamente
rivelatori di ricchezza" ovvero su "fatti reali", quand'anche
difficilmente accertabili, affinché l'imposizione non abbia una "base
fittizia". Viceversa, la presunzione su cui dovrebbe reggersi
l'assoggettamento del lavoro autonomo all'ILOR si dimostra così
incontrollabile ed indiscriminata, da rivelarsi per ciò solo
irragionevole e dunque lesiva dell'eguaglianza tributaria.
5. - Analoghi motivi inducono ad escludere che la giustificazione
delle norme impugnate possa farsi consistere - secondo le insistite
argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato - nella circostanza che a
formare i redditi di lavoro autonomo concorrerebbe "una componente
produttiva patrimoniale (anche se in misura ridotta o minima)"; sicché
l'imposta tenderebbe appunto a colpire la "generica patrimonialità"
dei redditi stessi, non diversamente dagli altri redditi misti.
In realtà, anche questa configurazione del lavoro autonomo risulta
postulata assai più che dimostrata. Non a caso, l'Avvocatura dello
Stato è costretta a riconoscere che la regola da essa affermata
subisce, quanto meno, alcune eccezioni: dal momento che "non sempre" -
come precisa la memoria depositata il 22 novembre 1979 - "il reddito di
lavoro professionale può essere riferito, anche per parte modesta", ad
una "base genericamente patrimonialistica". Ma, una volta fatta questa
necessaria ammissione, la pretesa giustificazione rimane senz'altro
privata del suo fondamento. Ed effettivamente non è in tali termini,
così generalizzati ed approssimativi, che si può salvare una
presunzione tributaria come quella in esame: non incidente sul quantum
ma sull'an dell'obbligazione tributaria, cioè sulla stessa esistenza e
non sulla sola consistenza del presupposto del tributo.
D'altronde, la comune esperienza dimostra che una significativa
componente patrimoniale, nonché difettare in alcune eccezionali
ipotesi, manca addirittura per ciò che riguarda una maggior parte dei
redditi da lavoro autonomo. È infatti ben noto che i beni strumentali
generalmente necessari per produrre i redditi stessi non hanno, di
massima, natura e dimensioni economiche tali che il legislatore
tributario ne possa ragionevolmente tener conto, ai fini di un'imposta
sul tipo dell'ILOR. Ed è ancor più conclusiva la considerazione che,
nei confronti di intere categorie di lavoratori autonomi, la
patrimonialità del reddito non può essere neppure ipotizzata o
postulata: in linea di fatto, per attività lavorative come quelle
degli autori di opere letterarie e scientifiche o dei titolari di
redditi "derivanti dalla collaborazione a giornali, riviste ed
enciclopedie" (di cui all'art. 49, terzo comma, lett. a, del d.P.R. n.
597 del 1973); in linea di diritto, circa "redditi derivanti dalla
partecipazione ad associazioni in partecipazione in qualità di
associato quando l'apporto è costituito esclusivamente dalla
prestazione di lavoro" (secondo l'espressa previsione dell'art. 49,
terzo comma, lett. c); per non dire dei redditi di lavoro autonomo
occasionale, assoggettati integralmente all'ILOR senza che i modelli
per la dichiarazione annuale dei redditi consentano nemmeno di
effettuare le deduzioni disposte dall'art. 7 del d.P.R. n. 599 del
1973.
Né si dimostra producente addurre il carattere sostanzialmente
patrimoniale della clientela, dalla quale i liberi professionisti (come
pure altri lavoratori autonomi) ricavano il loro reddito. Sotto questo
stesso aspetto, non possono venir confuse e ridotte ad un'artificiosa
unità fattispecie che si presentano assai diversificate: in quanto è
ben diverso il caso delle società di professionisti, ai fini delle
quali la clientela di uno dei soci può anche venir equiparata ad un
apporto di capitale, dal caso del professionista isolato, che non
disponga - intuitu personae - se non di clienti acquisiti mediante le
sue proprie prestazioni. Ed è appunto quest'ultima la situazione che
il legislatore dimostra di considerare normale: come si desume -
indirettamente - dall'art. 35 della legge n. 392 del 1978, che non
attribuisce al conduttore il diritto ad una indennità per la perdita
dell'avviamento qualora si tratti di immobili "destinati all'esercizio
di attività professionali", diversamente da ciò che si verifica - di
regola - per le attività industriali, commerciali e artigianali.
Se a tutto ciò si aggiunge che i finanziamenti agevolati e gli
altri contributi della mano pubblica, in conto interessi od anche in
conto capitale, sono sistematicamente concessi alle grandi ed alle
piccole imprese, mentre non vanno quasi mai a beneficio del lavoro
autonomo strettamente inteso (e, in particolar modo, delle libere
professioni), se ne ricava una ulteriore conferma dell'impossibilità
di inquadrare indiscriminatamente i redditi di lavoro autonomo fra i
redditi misti, in ragione della loro asserita patrimonialità.
6. - A compensare gli squilibri derivanti dall'art. 1, non basta la
deduzione prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 599 del 1973, nella misura
del cinquanta per cento del reddito annuo di lavoro autonomo, da un
minimo di due milioni e cinquecentomila fino a un massimo di sette
milioni e cinquecentomila lire (rispettivamente elevati a sei milioni e
dodici milioni, per effetto dell'art. 11 della legge 2 dicembre 1975,
n. 576). Malgrado si tratti di un notevole abbattimento alla base,
questo beneficio non fa che ribadire - sul piano giuridico -
l'illegittima presunzione che i redditi in esame ricadano fra i redditi
misti e siano pertanto equiparabili ai redditi d'impresa: dal momento
che la deduzione non spetta ai soli lavoratori autonomi, ma si applica
- secondo il capoverso dell'art. 7 - agli stessi redditi agrari ed
imprenditoriali, "a condizione che il soggetto presti la propria opera
nell'impresa e tale prestazione costituisca la sua occupazione
prevalente".
Ciò che è più grave, la discriminazione qualitativa dei redditi
si degrada in tal senso a discriminazione quantitativa; e l'imposta
locale sui redditi, quasi concepita come un duplicato dell'imposta
personale, si trasforma corrispondentemente - secondo certe
impostazioni dottrinali - da proporzionale in progressiva. In base alla
ratio originaria della deduzione, essa mirava e verosimilmente mira,
come si è già ricordato, a lasciare esente quella parte dei redditi
misti che si presume imputabile al lavoro dei soggetti passivi del
tributo. Senonché, mentre operazioni del genere si addicono ai
redditi d'impresa, esse deformano le caratteristiche del lavoro
autonomo, in ordine al quale non è certo sostenibile che l'elevatezza
del reddito valga da sola a mutare - sopra una determinata soglia - la
stessa natura dell'attività colpita dall'imposta.
Per i lavoratori autonomi, in altre parole, l'avere stabilito in
modo meccanico che fino a due milioni e cinquecentomila lire (ora
elevati a sei milioni) loro redditi siano qualificabili di puro lavoro,
che da questa cifra fino a quindici milioni (ora elevati a
ventiquattro) si tratti di redditi misti, che oltre un tale tetto essi
debbano invece venire imputati ad una componente di puro capitale,
rappresenta il frutto d'una presunzione tributaria basata sopra
un'altra presunzione: cioè sulla premessa, già di per sé
irragionevole, che i redditi di lavoro autonomo siano tutti
assimilabili ai redditi d'impresa, dalla quale in sostanza procede
l'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973.
7. - A questo punto, per superare le censure mosse alla
legittimità costituzionale dell'ILOR, nella parte concernente il
lavoro autonomo, non resterebbe che cercare giustificazioni estrinseche
rispetto ai presupposti del tributo. Ma anche un siffatto tentativo,
variamente operato già nel corso dei lavori preparatori della legge -
delega per la riforma tributaria, appare destinato all'insuccesso.
In primo luogo, non giova addurre - come si legge negli atti
d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri - "la
considerazione, non ignorata dal legislatore, che i redditi di lavoro
autonomo, indipendentemente dall'efficienza degli apparati
amministrativi preposti, sono per loro natura meno suscettibili di
completo ed integrale accertamento capace di eliminare in modo assoluto
sottrazioni alla imposizione". Di fatto, può ben darsi che l'intento
di reagire all'evasione tributaria dei lavoratori autonomi (e, in
particolar modo, dei liberi professionisti), abbia pesato sulle scelte
poste a fondamento dell'ILOR, nella sua versione conclusiva.
Ufficialmente, però, l'argomento dell'evasione è stato più volte
contestato, non senza una certa indignazione, durante i lavori
preparatori della legge n. 825 del 1971: a partire dalla relazione di
maggioranza della quinta Commissione permanente della Camera, là dove
si precisa che "un trattamento fiscale commisurato, anche solo
parzialmente, ad una presunzione di evasione sarebbe in stridente
contraddizione con i motivi ispiratori della riforma, che mirano
all'acquisizione di dichiarazioni veritiere", risolvendosi quindi in
"un invito indiretto" all'evasione stessa. E d'altra parte, se questa
ne fosse la giustificazione, l'ILOR non ristabilirebbe affatto una
superiore eguaglianza fra i contribuenti, bensì aggraverebbe le
sperequazioni già in atto fra coloro che dichiarano i propri redditi
in termini assolutamente o almeno relativamente esatti e quanti invece
presentano dichiarazioni incomplete o infedeli (o addirittura omettono
di presentarle): poiché la circostanza che dichiarazioni, accertamenti
e rettifiche siano comuni all'IRPEF e all'ILOR, verrebbe ancora una
volta a premiare chi sfugge del tutto od in parte all'imposta
personale, evadendo in tal modo - parallelamente - anche l'imposta
locale sui redditi.
In secondo luogo, ai fini dell'attuale decisione non è probante
osservare - come già riferiva la quinta Commissione permanente del
Senato - che i redditi di lavoro autonomo sono preventivamente depurati
da tutte le spese di produzione; diversamente dai redditi di lavoro
dipendente, che in tal senso non beneficiano altro che di una
detrazione fissa. Da un lato, la deduzione delle "spese inerenti
all'esercizio dell'arte o professione effettivamente sostenute" nel
periodo d'imposta, nonché delle "spese per l'acquisto di beni
strumentali" (di cui al primo ed al secondo comma dell'art. 50 del
d.P.R. n. 597 del 1973), persegue l'ovvia esigenza di considerare un
reddito netto anziché un reddito lordo. D'altro lato, se ciò
comportasse una irragionevole disparità di trattamento fra lavoratori
autonomi e subordinati, il rimedio dovrebbe consistere in una diversa
regolamentazione della base imponibile dell'imposta personale e non
certo nell'introduzione di una nuova ed apposita imposta, come quella
locale sui redditi.
In terzo luogo, non regge nemmeno il rilievo - proposto
dall'Avvocatura dello Stato - che non sussisterebbe "una piena
uniformità dei sistemi di accertamento e di riscossione" delle somme
rispettivamente dovute dai lavoratori autonomi e dai lavoratori
dipendenti, quanto all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Per
meglio dire, il rilievo è incontestabile di per se stesso,
specialmente per chi abbia riguardo agli anni antecedenti la cosiddetta
autotassazione introdotta dall'art. 17 della legge n. 576 del 1975. In
quel primo biennio di applicazione della riforma tributaria, cui si
riferiscono tutte le ordinanze di rimessione, era infatti normale che
l'imposta personale fosse pagata dai lavoratori autonomi a due - tre
anni di distanza dalla produzione del reddito così colpito; tanto è
vero che l'art. 16, secondo comma, della ricordata legge n. 576
prevedeva che l'IRPEF e l'ILOR dovute per il 1974 potessero "essere
iscritte nei ruoli entro il 31 dicembre 1976", in vista della
successiva riscossione "in quattro rate consecutive" (ed analogamente
disponevano l'art. 1 della legge n. 160 e l'articolo 3 del d.P.R. n.
920 del 1976). Qui pure, tuttavia, il rimedio andava naturalmente
escogitato all'interno della disciplina dell'IRPEF: per esempio,
maggiorando l'ammontare dell'imposta medesima in ragione del tempo
trascorso fra la dichiarazione (o la percezione) del reddito ed il
versamento del relativo tributo, anziché istituire un'imposta
specifica. Ciò che più conta, fin d'allora vari redditi di lavoro
autonomo venivano - in parte - colpiti alla fonte, mediante le ritenute
previste dall'art. 25 del d.P.R. numero 600 del 1973, senza che il
decreto istitutivo dell'ILOR tenesse il minimo conto di ciò, al fine
di ridurre correlativamente l'incidenza dell'imposta locale: il che
rappresenta la riprova che la giustificazione dell'imposta stessa non
può farsi consistere - neanche in relazione agli anni 1974 e 1975 -
nel ritardato pagamento dell'IRPEF da parte dei titolari di redditi non
derivanti da lavoro dipendente.
8. - Da nessun punto di vista, l'indiscriminata sottoposizione dei
redditi di lavoro autonomo all'ILOR si presenta, dunque,
costituzionalmente difendibile. Tuttavia, ciò non significa che tali
redditi vadano comunque sottratti all'imposta locale, pur dove
sussistano valide ragioni per assimilarli ai redditi d'impresa e, più
in generale, per iscriverli fra i redditi misti. Allo stato attuale
dell'ordinamento tributario, che non può essere diversamente
articolato dalla Corte stessa, la distinzione fra i redditi di lavoro e
i redditi d'impresa dovrà essere operata alla stregua dell'art. 51 del
d.P.R. n. 597 del 1973: dal quale già risulta un ampliamento della
nozione d'impresa, rispetto ai criteri adottati nel codice civile. Ma
il legislatore potrà bene stabilire - nei limiti della ragionevolezza
- ulteriori criteri, specificativi di quelli dettati dall'articolo 51.
L'illegittimità costituzionale dell'art. 4, n. 1, della legge n.
825 del 1971 e dell'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973 va pertanto
dichiarata nella parte in cui tali norme non escludono i redditi di
lavoro autonomo, che non possano venire assimilati ai redditi
d'impresa.
Quanto invece all'art. 7 del predetto decreto non occorre che,
negli stessi termini, ne venga pronunciato l'annullamento: poiché la
disciplina delle deduzioni a favore dei lavoratori autonomi è resa a
sua volta inoperante, circa i rapporti ai quali non possa più essere
applicato l'art. 1, già in forza della dichiarazione d'illegittimità
parziale della disciplina riguardante il presupposto dell'imposta
locale sui redditi. Ciò considerato, rimane assorbita anche la
questione riguardante il preteso contrasto fra l'art. 7 e l'art. 76
Cost., per la mancata concessione del relativo beneficio a favore dei
redditi di lavoro autonomo occasionale: questione che il giudice a quo
ha sollevato congiuntamente, ed anzi subordinatamente, rispetto
all'impugnativa dell'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, n. 1, della
legge 9 ottobre 1971, n. 825, e dell'art. 1, secondo comma, del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 599, in quanto non escludono i redditi di lavoro
autonomo, che non siano assimilabili ai redditi d'impresa, dall'imposta
locale sui redditi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO
GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO
ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO
DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA -
GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE -
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO
MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO
MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA -
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere