Ritenuto in fatto:
Con ordinanza emessa il 3 maggio 1973 il giudice di sorveglianza
presso il tribunale di Firenze, chiamato a pronunziarsi, ai sensi
dell'art. 148 del codice penale, sulla richiesta di sospensione della
pena della reclusione inflitta a tale Negozio Antonio, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, comma primo, 24, comma secondo, e 27, comma
terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del
predetto articolo 148 c.p., nella parte in cui dispone che, se durante
l'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale
sopravviene al condannato un'infermità psichica, il giudice, qualora
ritenga che l'infermità sia tale di impedire l'esecuzione della pena,
ordina che questa sia sospesa e che il condannato sia ricoverato in un
manicomio giudiziario, ovvero in una casa di cura o di custodia.
Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza ed
instaurato il giudizio innanzi a questa Corte, è in questo intervenuto
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso nel senso di una
declaratoria di infondatezza di tutte le questioni sollevate.
Considerato in diritto:
1. - Per l'art. 148 del codice penale, se prima o durante
l'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale
sopravviene al condannato un'infermità psichica, il giudice, qualora
ritenga che l'infermità sia tale da impedire l'esecuzione della pena,
ordina che questa sia differita o sospesa e che il condannato sia
ricoverato in un manicomio giudiziario o in una casa di cura o di
custodia. Se la pena inflitta è inferiore a tre anni, e non si tratti
di delinquente abituale, professionale o per tendenza, il giudice può
disporre che il condannato sia ricoverato, anziché in un manicomio
giudiziario, in un manicomio comune.
Il giudice a quo, chiamato a pronunciarsi sulla sospensione di una
pena restrittiva della libertà personale (reclusione) di durata
superiore a tre anni, già in corso di esecuzione, ha sollevato
questioni di legittimità costituzionale della norma in oggetto
concernenti sia gli aspetti processuali che quelli sostanziali
dell'istituto.
2. - Sotto il primo aspetto questa Corte è chiamata a decidere se
la norma impugnata, non prevedendo formalità d'intervento e di difesa
dell'interessato prima della pronunzia del provvedimento da parte del
giudice, contrasti con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione,
che garantisce l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e
grado del procedimento.
La questione, nei termini prospettati, non appare fondata.
L'art. 148 c.p. attribuisce al giudice il potere di sospendere
l'esecuzione della pena ma nulla dispone in ordine alla procedura e,
d'altro canto, non ricorrono, nell'ordinanza, dati o profili che
consentano di ritenere, in sede di decisione della questione, che le
censure mosse dal giudice a quo abbiano riferimento anche ad altre
norme, quali potrebbero essere, in ipotesi l'art. 585 c.p.p. o le
disposizioni sugli incidenti di esecuzione. Il che non dispensa
dall'osservare che, comunque, la disciplina degli incidenti di
esecuzione, (nel cui ambito ben potrebbe essere inquadrato il
procedimento in questione), nel contenuto risultante dalla sentenza n.
69 del 1970 di questa Corte, garantisce ormai pienamente l'intervento e
l'assistenza dell'imputato.
3. - Sotto il secondo profilo, l'illegittimità costituzionale
dell'art. 148 c.p. è prospettata con riferimento agli artt. 3 e 27,
terzo comma, della Costituzione.
La questione appare fondata sotto l'assorbente motivo della
violazione del principio di uguaglianza.
Si assume a tale riguardo nell'ordinanza che la situazione del
condannato in caso di infermità psichica sopravvenuta sarebbe, senza
alcun valido motivo, deteriore rispetto a quella dell'imputato che nel
corso del processo venga a trovarsi in analoga situazione. Ciò in
quanto, mentre nel primo caso detta infermità determina la sospensione
della pena (con la conseguenza che il periodo di tempo trascorso quale
degente in manicomio giudiziario non va computato ai fini
dell'espiazione), nel secondo caso, invece, pur essendo motivo di
sospensione del processo, non sospende anche il corso della custodia
preventiva.
Orbene, è indubbio che custodia preventiva e pena, ancorché
producano entrambe l'effetto di privare l'individuo della sua libertà
personale, hanno scopi diversi. Infatti - come questa Corte ha già
affermato in altre occasioni - la prima prescinde completamente da
quelle finalità di carattere rieducativo che caratterizzano la seconda
e può essere predisposta solo in vista della soddisfazione di esigenze
di carattere cautelare e strettamente inerenti al processo (sentenze n.
64 del 1970 e 147 del 1973). Il che spiega - tra l'altro - perché in
alcuni casi (come ad esempio in quelli previsti dagli artt. 247, 257,
258 c.p.p.) la custodia preventiva possa avvenire anche al di fuori del
carcere, e cioè del luogo istituzionalmente previsto per l'esecuzione
delle pene.
Va tuttavia considerato che l'art. 137 c.p., introducendo un
temperamento equitativo al rigore dei principi, stabilisce che la
durata della carcerazione sofferta prima che la sentenza sia divenuta
irrevocabile si detrae da quella della pena detentiva che venga
successivamente inflitta, purché non si tratti dell'ergastolo.
La norma non fa eccezioni o riserve di sorta, sicché non par
dubbio che, anche agli effetti da essa previsti, per carcerazione
preventiva debba intendersi ogni privazione della libertà comunque e
dovunque sofferta prima del passaggio in giudicato della sentenza.
Ciò comporta che il periodo trascorso in manicomio giudiziario
dall'imputato in attesa di giudizio non solo va computato ai fini della
custodia preventiva ma vale come espiazione di pena e deve essere
quindi detratto dalla durata di questa mentre - dato il tenore della
norma impugnata - se l'infermità psichica sopravviene dopo la
condanna, il periodo trascorso in manicomio giudiziario non può essere
in alcun caso, come già si è detto, computato sulla durata della
pena.
La disparità di trattamento appare evidente dal momento che in
entrambi i casi il ricovero in manicomio giudiziario ha finalità e
caratteristiche identiche e non è determinato da alcuna causa
imputabile al reo. E ciò è sufficiente, secondo i principi
costantemente enunciati da questa Corte, per far ritenere violato
l'art. 3 della Costituzione.
Pertanto, senza che sia necessario esaminare anche la sussistenza
della denunciata violazione dell'art. 27, terzo comma, della
Costituzione, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.
148 del codice penale, nella parte in cui prevede che il giudice, nel
disporre il ricovero in manicomio giudiziario del condannato caduto in
stato d'infermità psichica, ordini che la pena sia sospesa con le
conseguenze superiormente rilevate.
La parziale illegittimità dell'art. 148 c.p., in tali sensi
dichiarata, va, in forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
estesa - per necessaria conseguenzialità - anche all'altra parte dello
stesso articolo che prevede la sospensione della pena in caso di
ricovero in una casa di cura e di custodia ovvero in un manicomio
comune (attualmente denominato ospedale psichiatrico), che sono misure
anche esse importanti restrizioni della libertà personale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 148 del
codice penale, nella parte in cui prevede che il giudice, nel disporre
il ricovero in manicomio giudiziario del condannato caduto in stato
d'infermità psichica durante l'esecuzione di pena restrittiva della
libertà personale, ordini che la pena medesima sia sospesa;
2) in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
dichiara altresì l'illegittimità costituzionale dello stesso art. 148
del codice penale, nella parte in cui prevede che il giudice ordini la
sospensione della pena anche nel caso in cui il condannato sia
ricoverato in una casa di cura e di custodia ovvero in un manicomio
comune (ospedale psichiatrico);
3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, in
riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, la
questione di legittimità costituzionale del predetto art. 148 del
codice penale, sollevata dal giudice di sorveglianza presso il
tribunale di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1975.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
- NICOLA REALE - PAOLO ROSSI -
LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA -
EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI -
MICHELE ROSSANO.
ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere