Titolo
SENT. 166/73. REATI E PENE - OMICIDIO COLPOSO - COD. PEN., ARTT. 589 E 42 - CONSENTONO CHE NELLA COLPA PROFESSIONALE IL GIUDICE ATTRIBUISCA RILEVANZA PENALE SOLTANTO A GRADI DI COLPA DI TIPO PARTICOLARE - NON E' VIOLATO IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
Non e' fondata in relazione all'art 3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 589 e 42 del cod. pen. nella parte in cui consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare. Infatti, il differente trattamento giuridico riservato al professionista la cui prestazione d'opera implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta', e ad ogni altro agente che non si trovi nella stessa situazione, non puo' dirsi collegato puramente e semplicemente a condizioni (del soggetto) personali o sociali. La deroga alla regola generale della responsabilita' penale per colpa ha in se' una sua adeguata ragione di essere e poi risulta ben contenuta, in quanto e' operante, ed in modo restrittivo, in tema di perizia e questa presenta contenuto e limiti circoscritti.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 42
co. 0
codice penale
n. 0
art. 589
co. 0
N. 166
SENTENZA 22 NOVEMBRE 1973
Deposito in cancelleria: 28 novembre 1973.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 314 del 5 dicembre 1973.
Pres. BONIFACIO - Rel. TRIMARCHI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Presidente -
Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Dott.
LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof.
ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO
CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI - Avv. LEONETTO
AMADEI - Prof. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO
ASTUTI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42
del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1971 dal
tribunale di Varese nel procedimento penale a carico di Gambacci Walter
Urano e Gianni Edgardo, iscritta al n. 380 del registro ordinanze 1971
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 297 del 24
novembre 1971.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1973 il Giudice relatore
Vincenzo Michele Trimarchi.
Ritenuto in fatto:
1. - Nel procedimento penale a carico di Walter Urano Gambacci e di
Edgardo Gianni rinviati a giudizio per avere, nella rispettiva qualità
di diplomato in odontotecnica e protesi dentaria e di medico chirurgo,
causato con le loro condotte colpose la morte di Caterina Pace, il
tribunale di Varese, in sede dibattimentale, con ordinanza del 12
luglio 1971, sollevava, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 del
codice penale "i quali consentono che nella valutazione della colpa
professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi
di colpa di tipo particolare".
Il giudice a quo ricordava che la difesa del Gambacci aveva
prospettato l'esistenza di un possibile contrasto con il principio di
eguaglianza del combinato disposto dei detti articoli in relazione
all'art. 2236 del codice civile; e che il pubblico ministero aveva
concluso per la non manifesta infondatezza della questione. Osservava
che, secondo il costante insegnamento della dottrina e della
giurisprudenza, "la penale rilevanza della colpa professionale non
possa configurarsi altrimenti che nel quadro della colpa grave
richiamata dall'articolo 2236 c.c. e nel carattere di
inescusabilità"; che in tale situazione normativa, dal disposto dei
citati articoli del codice penale risultava una disciplina differente a
seconda che il soggetto attivo del reato fosse o no un professionista
in possesso di titolo accademico; e che il giudizio di rimprovero della
condotta umana (di contenuto essenzialmente normativo) veniva in
concreto condizionato dal tipo di attività esercitato dal detto
soggetto attivo del reato.
Nella specie il contrasto con il principio di eguaglianza, ad
avviso del giudice a quo, sarebbe particolarmente evidente perché il
"grado della colpa" di due condotte, che secondo l'accusa avrebbero
concorso alla produzione di un unico evento lesivo, dovrebbe essere
preso in esame come "elemento di discriminazione per la formulazione
del giudizio di colpevolezza degli imputati" e perché a parità di
grado di colpa sarebbero ricollegate conseguenze diverse sul piano
dell'applicazione della legge penale con esclusivo riguardo alla
professione esercitata dagli imputati.
2. - L'ordinanza veniva ritualmente comunicata, notificata e
pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 24 novembre 1971).
Davanti a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti.
Spiegava invece intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
L'Avvocatura generale dello Stato premetteva che nessun contrasto
era dato ravvisare tra gli articoli 589 e 42 del codice penale e l'art.
3 della Costituzione. Aggiungeva che probabilmente le argomentazioni
del tribunale si riferivano all'art. 43, comma terzo, dello stesso
codice, ma escludeva che anche in tal caso la questione potesse dirsi
fondata. Infatti che al giudice sia lasciato di apprezzare se in una
determinata fattispecie vi sia stata colpa, rientra nel naturale ambito
di valutazione a lui commesso dalla legge; e nel compiere tale
valutazione è palese che il giudice debba riferirsi al comportamento
specifico posto in essere dal soggetto o a questo riferibile, tenendo
presenti le caratteristiche della concreta fattispecie sottoposta al
suo esame.
Quanto poi al richiamo contenuto nell'ordinanza all'articolo 2236
del codice civile, l'Avvocatura rilevava che rispetto a detta norma non
era sollevata alcuna questione di costituzionalità e che al riguardo,
comunque, potevano valere in contrario le precedenti considerazioni.
Considerato in diritto:
1. - Secondo il tribunale di Varese gli artt. 589 e 42 del codice
penale, per cui è penalmente responsabile chi cagiona per colpa la
morte di una o più persone (omicidio colposo) o di chi commette altro
delitto colposo, sarebbero in contrasto con il principio di eguaglianza
nella parte in cui "consentono che nella valutazione della colpa
professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi
di colpa di tipo particolare".
Tali norme, considerato che "la penale rilevanza della colpa
professionale non possa configurarsi altrimenti che nel quadro della
colpa grave richiamata dall'art. 2236 c.c. e nel carattere di
inescusabilità", vengono infatti ad assumere una struttura elastica,
suscettibile, in quanto tale, di contenuti diversi, a seconda che il
soggetto nei cui confronti deve trovare applicazione, sia o no un
"professionista" in possesso di titolo accademico.
E per l'ipotesi - che secondo la tesi accusatoria si sarebbe
verificata nella specie - in cui due condotte concorrano alla
produzione dell'unico evento lesivo, da un canto "il grado della colpa"
gioca "come elemento di discriminazione per la formulazione del
giudizio di colpevolezza degli imputati" e dall'altro, a parità di
grado di colpa sono collegate conseguenze diverse sul piano
dell'applicazione della legge penale, con esclusivo riguardo alla
professione esercitata dagli imputati.
2. - La particolare disciplina in tema di responsabilità penale,
desumibile dagli artt. 589 e 42 (e meglio, 43) del codice penale, in
relazione all'art. 2236 del codice civile, per l'esercente una
professione intellettuale quando la prestazione implichi la soluzione
di problemi tecnici di speciale difficoltà, è il riflesso di una
normativa dettata (come si legge nella relazione del Guardasigilli al
codice civile n. 917) "di fronte a due opposte esigenze, quella di non
mortificare la iniziativa del professionista col timore di ingiuste
rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella
inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli
inerzie del professionista" stesso.
Ne consegue che solo la colpa grave e cioè quella derivante da
errore inescusabile, dalla ignoranza dei principi elementari attinenti
all'esercizio di una determinata attività professionale o propri di
una data specializzazione, possa nella indicata ipotesi rilevare ai
fini della responsabilità penale.
Siffatta esenzione o limitazione di responsabilità, d'altra parte,
secondo la giurisprudenza e dottrina, non conduce a dover ammettere
che, accanto al minimo di perizia richiesta, basti pure un minimo di
prudenza o di diligenza. Anzi, c'è da riconoscere che, mentre nella
prima l'indulgenza del giudizio del magistrato è direttamente
proporzionata alle difficoltà del compito, per le altre due forme di
colpa ogni giudizio non può che essere improntato a criteri di normale
severità.
3. - Stante ciò, se si passa alla considerazione dell'intera
normativa denunciata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, è
agevole constatare che la questione non è fondata.
Il differente trattamento giuridico riservato al professionista la
cui prestazione d'opera implichi la soluzione di problemi tecnici di
speciale difficoltà, e ad ogni altro agente che non si trovi nella
stessa situazione, non può dirsi collegato puramente e semplicemente a
condizioni (del soggetto) personali o sociali. La deroga alla regola
generale della responsabilità penale per colpa ha in sé una sua
adeguata ragione di essere e poi risulta ben contenuta, in quanto è
operante, ed in modo restrittivo, in tema di perizia e questa presenta
contenuto e limiti circoscritti.
D'altra parte, l'asserita disparità di trattamento non può essere
individuata nel fatto che per la formulazione del giudizio di
colpevolezza degli imputati il "grado della colpa" operi come elemento
di discriminazione, o che sul piano dell'applicazione della legge
penale a parità di grado di colpa siano ricondotte conseguenze
diverse, perché codesti due profili hanno il loro logico e sufficiente
riscontro nella premessa già esaminata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 589 e 42 del codice penale, nella parte in cui consentono
che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca
rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare,
questione sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione dal
tribunale di Varese con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 novembre 1973.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - GIUSEPPE
VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
- LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO -
ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA -
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO
CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO
ROSSI - LEONETTO AMADEI - GIULIO
GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO
ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere