Ritenuto in fatto:
Con ordinanza del 20 gennaio 1965, emessa nel procedimento penale
contro Marchi Baraldi Zeffirino, la Corte d'assise di Modena -
accogliendo l'istanza della difesa - ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 272 del Codice penale in
riferimento agli artt. 2 e 21 della Costituzione.
L'ordinanza rileva che l'art. 2 della Costituzione, che riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, viene invocato
soltanto come premessa per l'applicazione dell'art. 21. E, dopo avere
affermato che il solo limite al diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero è quello della tutela del buon costume, ritiene che
siano in contrasto con tale diritto le norme dell'art. 272 del Codice
penale.
L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 109 del 30
aprile 1965.
Nel giudizio innanzi questa Corte è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello
Stato, la quale, con atto del 19 maggio 1965, osserva che la prima
parte dell'art. 272 del Codice penale - prevedendo non la pura e
semplice propaganda diretta alla instaurazione di diversi ordinamenti
sociali, politici ed economici, bensì l'incitamento alla sopraffazione
ed alla rivolta - appare diretta a prevenire ogni tentativo di
sovvertimento violento dell'ordinamento giuridico. Intesa in tali
sensi, la norma impugnata è compatibile col vigente sistema
costituzionale, sotto due profili: in riferimento all'art. 49 della
Costituzione (diritto dei cittadini di associarsi in partiti per
concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale)
ed in riferimento all'esigenza di tutelare l'ordine pubblico, inteso
nel senso di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale.
Siffatta compatibilità è da riconoscersi anche per la norma contenuta
nel secondo comma dell'art. 272 del Codice penale, perché il
sentimento nazionale costituisce il presupposto dell'unità dello Stato
(l'art. 5 della Costituzione definisce la Repubblica una ed
indivisibile) ed il presupposto del sacro dovere del cittadino di
difendere la patria (art. 52, primo comma, della Costituzione).
Le stesse considerazioni varrebbero altresì a fare ritenere
infondata la questione di legittimità costituzionale anche per quanto
riguarda l'apologia prevista dal terzo comma dell'articolo 272.
Considerato in diritto:
1. - L'art. 272 del Codice penale, denunziato per contrasto col
principio costituzionale della libera manifestazione del pensiero,
configura la condotta criminosa in tre distinte ipotesi, le quali vanno
esaminate separatamente perché ciascuna di esse presenta particolari
profili di ordine costituzionale. Esso infatti punisce: 1) la
propaganda per la instaurazione violenta della dittatura, o per la
soppressione violenta di una classe sociale, o per il sovvertimento
violento degli ordinamenti sociali ed economici costituiti nello Stato,
o per la distruzione di ogni ordinamento politico e giuridico della
società; 2) la propaganda per distruggere o deprimere il sentimento
nazionale; 3) l'apologia dei fatti sopraindicati.
L'ordinanza di rimessione non fa alcuna distinzione, ma accenna
soltanto alle prime due ipotesi di propaganda, le quali peraltro sono
quelle che hanno rilevanza ai fini della decisione del procedimento
principale, formando oggetto del capo di imputazione. La Corte ritiene
pertanto che la questione di legittimità viene proposta soltanto in
relazione alla propaganda, con esclusione di quanto possa avere
attinenza alla apologia, prevista nell'ultimo comma dello stesso
articolo.
2. - Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, si ritenne in
dottrina ed in giurisprudenza che la norma impugnata fosse in contrasto
con i nuovi principi, cui si è ispirato l'ordinamento. In seguito
però si è dubitato della esattezza di ciò ed è prevalso, anche
nelle pronunce della Cassazione, il concetto che detta norma esprime,
non peculiari finalità del passato regime, ma obiettive esigenze dello
Stato, a tutela della personalità di esso contro le azioni dirette al
sovvertimento violento degli ordinamenti economici, sociali e politici.
Per altro, in un giudizio di costituzionalità, l'origine e la
ratio iniziale di una disposizione non possono considerarsi decisive
per una esatta interpretazione nell'ambito del sistema, dal momento
che, quali che siano il tempo e la occasione che le hanno dato vita, la
norma va esaminata nella sua obiettiva struttura ed interpretata nella
sua reale portata, per essere posta a confronto col precetto
costituzionale, che si assume violato (sentenze n. 5 del 1962 e n. 9
del 1965 di questa Corte). E, se così è, deve riconoscersi che
l'art. 272 punisce non soltanto gli appartenenti ad un partito, ma
chiunque - da qualsiasi parte - attenti all'ordinamento costituito con
una propaganda non consentita, perché ritenuta pericolosa per la vita
stessa dello Stato.
3. - Contrariamente a quanto ritiene la Corte di assise di Modena,
è ormai principio certo, generalmente accolto, affermato con diverse
sentenze di questa Corte, che la tutela del buon costume, espressamente
richiamata dall'art. 21 della Costituzione, non costituisce il solo
limite alla libertà di manifestazione del pensiero, sussistendo invece
altri limiti dipendenti dalla necessità di tutelare beni diversi, che
siano parimenti garantiti dalla Costituzione. Di guisa che, nel caso
in esame, l'indagine va rivolta alla individuazione del bene protetto
dalla norma impugnata ed all'accertamento se esso sia o meno protetto
dalla Costituzione in modo tale da giustificare la compressione di una
fondamentale libertà.
La propaganda non si identifica perfettamente con la manifestazione
del pensiero; essa è indubbiamente manifestazione, ma non di un
pensiero puro ed astratto, quale può essere quello scientifico,
didattico, artistico o religioso, che tende a far sorgere una
conoscenza oppure a sollecitare un sentimento in altre persone. Nella
propaganda, la manifestazione è rivolta e strettamente collegata al
raggiungimento di uno scopo diverso, che la qualifica e la pone su un
altro piano.
4. - Il primo comma dell'art. 272 punisce la propaganda in quanto
diretta al ricorso alla violenza come mezzo per conseguire un mutamento
nell'ordinamento vigente. Tutti i casi previsti da questa norma hanno
come finalità di suscitare reazioni violente, compresa l'ipotesi della
"distruzione di ogni ordinamento politico e giuridico della società",
così come inserita nel contesto del comma in esame. Siffatta
propaganda appare dunque in rapporto diretto ed immediato con una
azione; e, pur non raggiungendo il grado di aperta istigazione, risulta
idonea a determinare le suddette reazioni che sono pericolose per la
conservazione di quei valori, che ogni Stato, per necessità di vita,
deve pur garantire.
Pertanto, il diritto di libertà della manifestazione del pensiero
non può ritenersi leso da una limitazione posta a tutela del metodo
democratico. Gli artt. 1 e 49 della Costituzione proclamano tale
metodo come il solo che possa determinare la politica sociale e
nazionale. Ed esso non consente l'usurpazione violenta dei poteri, ma
richiede e il rispetto della sovranità popolare affidata alle
maggioranze legalmente costituite, e la tutela dei diritti delle
minoranze, e l'osservanza delle libertà stabilite dalla Costituzione.
Vietando la propaganda come mezzo tendente alla instaurazione
violenta di un diverso ordinamento, la norma impugnata tutela altresì
l'ordine economico, rispetto al diritto al lavoro, alla organizzazione
sindacale, alla iniziativa economica privata, alla proprietà, ecc. E
tutela infine il mantenimento dell'ordine pubblico considerato come
ordine legale costituito.
5. - A diverse conclusioni, la Corte deve pervenire in merito al
secondo comma dell'art. 272, che punisce chiunque fa propaganda per
distruggere o deprimere il sentimento nazionale. Questo sentimento,
che non va confuso col nazionalismo politico, corrisponde al modo di
sentire della maggioranza della Nazione e contribuisce al senso di
unità etnica e sociale dello Stato. Ma è pur tuttavia soltanto un
sentimento, che sorgendo e sviluppandosi nell'intimo della coscienza di
ciascuno, fa parte esclusivamente del mondo del pensiero e delle
idealità. La relativa propaganda non è indirizzata a suscitare
violente reazioni, come nel caso precedentemente esaminato, né è
rivolta a vilipendere la Nazione od a compromettere i doveri che il
cittadino ha verso la patria od a menomare altri beni
costituzionalmente garantiti. Non trattasi quindi di propaganda che ha
finalità illecite, e pertanto qualsiasi limitazione di essa contrasta
con la libertà garantita dall'art. 21 della Costituzione.