Ritenuto in fatto
Nel procedimento penale a carico di Cappelloni Guido, Luzi Marcello
e Amadio Giovanni, imputati del reato di pubblicazione di notizie false
e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, previsto dall'art. 656
del Cod. pen., il Pretore di Ascoli Piceno, in accoglimento di una
eccezione della difesa, con ordinanza del 29 dicembre 1960 ha rimesso a
questa Corte la questione di legittimità costituzionale del citato
articolo, per la parte in cui punisce la pubblicazione e diffusione di
notizie tendenziose, in relazione agli artt. 18, 21 e 49 della
Costituzione.
Premesso che la notizia tendenziosa non è "di per sé falsa", che
la tendenziosità non può essere intesa come finalità di ledere
l'ordine pubblico, e che va considerata come tendenziosa soltanto la
notizia "presentata, attraverso un commento o mediante la stessa
formulazione letterale e le parole usate, in modo tale da essere
sfruttata al fine della propagandazione di determinate correnti di
idee, da essere rapportata alla professione di un dato principio, alla
difesa di un certo interesse", l'ordinanza argomenta la non manifesta
infondatezza della questione sollevata, col rilievo che il divieto di
un siffatto modo di presentare una notizia è inconciliabile con un
ordinamento basato sul riconoscimento della libertà di pensiero e dei
partiti politici.
Nel febbraio 1961 l'ordinanza è stata notificata agli imputati, al
Procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno, al Presidente del
Consiglio dei Ministri, ed è stata comunicata ai Presidenti delle due
Camere; il 1 aprile 1961 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale,
n. 83, edizione speciale.
Innanzi a questa Corte si è costituito soltanto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale
dello Stato, con atto d'intervento depositato il 23 febbraio 1961.
In questo si osserva in primo luogo che l'art. 18 della
Costituzione, che riguarda la libertà di associazione, è malamente
invocato, dovendo considerarsi prevalente su di esso, per ciò che
riguarda l'associazione in partiti politici, l'art. 49, specificamente
dedicato a questa ultima.
Aggiunge l'Avvocatura dello Stato che comunque anche l'articolo 49
è male invocato. Tendenziose sono le notizie "false nel modo", e
cioè quelle che si risolvono "nel creare, attraverso il modo della
rappresentazione, una falsa impressione del vero". Comunque, pur
accogliendosi l'interpretazione del Pretore, non si capisce come l'art.
656 possa incidere sulla libertà di associazione politica. Questa è
riconosciuta dall'art. 49 della Costituzione solo a condizione che si
pratichi il metodo democratico; ed è al di fuori di tale metodo la
divulgazione di quelle notizie tendenziose per le quali possa esser
turbato l'ordine pubblico, essendo "canone principale di ogni condotta
democratica" il "comportarsi in modo che dalle proprie azioni non
derivi un pericolo di turbamento per la collettività".
Osserva, poi, l'Avvocatura che l'insufficiente attenzione dedicata
alla presenza, nella fattispecie legale del reato, della turbativa
dell'ordine pubblico ha provocato anche l'erroneo convincimento del
Pretore circa l'illegittimità costituzionale alla stregua dell'art. 21
della Costituzione. L'ordine pubblico non può esser sacrificato,
infatti, a quelle manifestazioni del pensiero che appaiano idonee a
porlo in pericolo. Né, ciò posto, ha importanza che in base all'art.
656 del Cod. pen. il reato sussista indipendentemente dall'elemento
intenzionale e da ogni convincimento del reo circa l'idoneità della
notizia a turbare l'ordine pubblico.
L'Avvocatura conclude osservando che, se fosse esatta la tesi
enunciata nell'ordinanza, dovrebbe ritenersi illegittimo anche lo art.
265 del Cod. pen., che punisce come delitto la diffusione e
comunicazione in tempo di guerra di notizie tendenziose, le quali
possano "destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o
altrimenti menomare la resistenza della Nazione di fronte al nemico".
Infatti, secondo l'Avvocatura, la diversità del bene tutelato (nell'un
caso l'ordine pubblico, nell'altro la personalità internazionale dello
Stato) non può bastare a differenziare sul piano costituzionale le due
fattispecie.
In una memoria del 25 gennaio 1962 l'Avvocatura aggiunge che la
libertà di manifestare il proprio pensiero senza limiti che non siano
quelli del buon costume, indubbiamente affermata dalla Costituzione
(con preclusione, quindi, della possibilità di limitare
preventivamente la libertà stessa), non importa "l'esonero da
responsabilità se il contenuto del pensiero manifestato sia, dal
legislatore ordinario, ritenuto rilevante ai fini penali", così come
accade, ad esempio, nei casi di incidenza del pensiero manifestato
sull'onore e la reputazione dei privati e - ciò che preme nel caso in
esame - sull'ordine pubblico. Ogni diritto costituzionalmente garantito
non può essere esercitato recando offesa "ad altro diritto parimenti
riconosciuto"; ed è nella "comune opinione" che "il cittadino abbia il
diritto che la collettività giuridicamente organizzata gli assicuri
possibilità di vita operosa in un ambiente in cui l'ordine pubblico
sia assicurato". "Posti nei due piatti della bilancia i due beni
meritevoli di tutela, è del tutto legittimo che il legislatore
ordinario non consenta che l'uno sia offeso dall'altro".
All'udienza di discussione l'Avvocato dello Stato ha insistito
nelle tesi e nelle conclusioni svolte.
Considerato in diritto:
1.- L'art. 656 del Cod. pen. punisce come reato la pubblicazione e
diffusione di "notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali
possa essere turbato l'ordine pubblico". Ma la questione di
legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Ascoli Piceno
investe soltanto quella parte dell'articolo che riguarda le notizie
tendenziose.
Per notizie tendenziose, ai sensi dell'anzidetta disposizione,
bisogna intendere quelle che, pur riferendo cose vere, le presentino
tuttavia (non importa se intenzionalmente o meno) in modo che chi le
apprende possa avere una rappresentazione alterata della realtà. Il
che può avvenire pel fatto che vengano riferiti o posti in evidenza
soltanto una parte degli accadimenti (eventualmente quelli marginali e
meno importanti), sottacendone o minimizzandone altri (eventualmente di
pari o maggiore importanza, o comunque idonei a spiegare o addirittura
a giustificare quelli riferiti); pel fatto che gli accadimenti vengano
esposti in modo da determinare confusione tra notizia e commento; e in
altri simili modi.
Suscitando in chi le apprende una rappresentazione alterata della
realtà, le notizie tendenziose deformano, dunque, la verità; e
appunto sul presupposto di ciò ne viene punita dal Codice penale la
pubblicazione e diffusione, quando questa (indipendentemente
dall'intento dell'agente) sia idonea a porre in pericolo l'ordine
pubblico.
La fattispecie legale della cui legittimità costituzionale il
Pretore di Ascoli Piceno dubita non comprende, dunque - contrariamente
a quanto una certa parte della giurisprudenza ritiene - il caso di chi
divulga interpretazioni, valutazioni, commenti, ideologicamente
qualificati, e persino tendenziosi, relativi a cose vere; ma
semplicemente il caso di chi divulga notizie, falsandole attraverso la
maniera di riferirle, e cioè notizie che, in un modo o nell'altro, non
rappresentano il vero.
In sostanza l'espressione "notizie false, esagerate o tendenziose"
impiegata nell'art. 656 del Cod. pen. è una forma di endiadi, con la
quale il legislatore si è proposto di abbracciare ogni specie di
notizie che, in qualche modo, rappresentino la realtà in modo
alterato. Il problema relativo alla legittimità costituzionale della
disposizione dell'art. 656 riguardante le notizie tendenziose non si
pone, dunque, in termini diversi da quello riguardante le notizie false
od esagerate.
2. - Proseguendo nella disamina, è da rifiutare l'affermazione
dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale il riconoscimento da
parte dell'art. 21 della Costituzione della libertà di manifestazione
del pensiero, se importa, di massima, l'esclusione di interventi
preventivi dei pubblici poteri nei confronti di chi intenda esprimere
il proprio pensiero, non importa tuttavia in alcun caso un "esonero da
responsabilità" per il pensiero ormai manifestato. Nei limiti in cui
opera - segnati dalla necessità di non incidere nel campo degli altri
diritti e interessi costituzionalmente garantiti -, il precetto
dell'art. 21 non può non comportare, infatti, l'impossibilità
giuridica che il soggetto del pensiero manifestato commetta alcun
illecito penale.
3. - Potrebbe, invece, porsi - in tutti i casi, o quanto meno in
quelli in cui l'agente sia consapevole della non rispondenza a verità
- il problema se la pubblicazione e diffusione di notizie non vere o
alterate possa esser configurata come manifestazione del "proprio"
pensiero, in quanto tale protetta dall'art. 21 della Costituzione. Ma
la questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza
che ha promosso il presente giudizio può esser dichiarata infondata
anche senza affrontare tale problema.
4. - È art. 656 del Cod. pen. punisce, infatti, la pubblicazione e
diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, solo in quanto
idonee a turbare l'ordine pubblico. E quest'ultimo - inteso nel senso
di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale (cfr. la sentenza
di questa Corte n. 2 del 1956) - è un bene collettivo, che non è
dammeno della libertà di manifestazione del pensiero.
L'esigenza dell'ordine pubblico, per quanto altrimenti ispirata
rispetto agli ordinamenti autoritari, non è affatto estranea agli
ordinamenti democratici e legalitari, né è incompatibile con essi. In
particolare, al regime democratico e legalitario, consacrato nella
Costituzione vigente, e basato sull'appartenenza della sovranità al
popolo (art. 1), sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero
della legge (artt. 54, 76-79, 97-98, 101, ecc.), è connaturale un
sistema giuridico, in cui gli obbiettivi consentiti ai consociati e
alle formazioni sociali non possono esser realizzati se non con gli
strumenti e attraverso i procedimenti previsti dalle leggi, e non è
dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe
attraverso forme di coazione o addirittura di violenza. Tale sistema
rappresenta l'ordine istituzionale del regime vigente; e appunto in
esso va identificato l'ordine pubblico del regime stesso.
Non potendo dubitarsi che, così inteso, l'ordine pubblico è un
bene inerente al vigente sistema costituzionale, non può del pari
dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di preservazione
delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurate
mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a renderle
inoperanti mediante l'uso o la minaccia illegale della forza - sia
finalità immanente del sistema costituzionale.
Se per turbamento dell'ordine pubblico bisogna intendere
l'insorgere di un concreto ed effettivo stato di minaccia per l'ordine
legale mediante mezzi illegali idonei a scuoterlo - ed è da escludere
che possa intendersi altro -, è perciò chiaro che non possono esser
considerate in contrasto con la Costituzione le disposizioni
legislative che effettivamente, e in modo proporzionato, siano volte a
prevenire e reprimere siffatti turbamenti. Né può costituire
impedimento all'emanazione di disposizioni del genere l'esistenza di
diritti costituzionalmente garantiti. Infatti, la tutela
costituzionale dei diritti ha sempre un limite insuperabile nella
esigenza che attraverso l'esercizio di essi non vengano sacrificati
beni, ugualmente garantiti dalla Costituzione. Il che tanto più vale,
quando si tratti di beni che - come l'ordine pubblico - sono patrimonio
dell'intera collettività.
Occorre perciò concludere che anche la libertà di manifestazione
del pensiero (come del resto questa Corte già ha avuto occasione di
affermare nelle sentenze n. 1 del 1956, e nn. 33, 120 e 121 del 1957)
incontra un limite nell'esigenza di prevenire o far cessare turbamenti
dell'ordine pubblico.
E da escludere, quindi, che, in alcuna delle sue parti, contrasti
con l'art. 21 della Costituzione il precetto dell'art. 656 del Cod.
pen., il quale prevede come reato la pubblicazione e la diffusione di
notizie, che, comunque alterando la verità, si rivelino idonee a
turbare l'ordine pubblico. La mancanza di contrasto è, poi, tanto più
chiara, in quanto la valutazione circa l'idoneità alla turbativa
dell'ordine pubblico è rimessa al giudice, il quale - come è proprio
di ogni valutazione giudiziaria - la esegue secondo criteri obbiettivi
e rigorosi, tenendo presente l'effettiva realtà del momento.
5. - Il richiamo che l'ordinanza di rimessione fa agli artt. 18 e
49 della Costituzione - i quali garantiscono rispettivamente la
libertà di associazione in generale e quella di associazione in
partiti politici in particolare - ha evidentemente carattere
rafforzativo rispetto alla tesi, già confutata, secondo la quale
l'art. 656 del Cod. pen. contrasterebbe con la libertà di
manifestazione del pensiero. Dal fatto che l'ordinamento costituzionale
italiano è un ordinamento democratico, basato, tra l'altro, sulla
libera possibilità di associazione e sulla libera organizzazione di
partiti politici al fine di concorrere a determinare la politica
nazionale, l'ordinanza vorrebbe trarre ulteriori argomenti in favore
della tesi della illegittimità costituzionale della norma penale che
punisce come reato la pubblicazione e diffusione delle notizie
tendenziose. A meno di intendere in maniera del tutto deformata il
concetto della lotta politica in uno Stato democratico pluripartitico,
non si vede però come la libertà di associazione in generale e quella
di associazione in partiti politici in particolare possano valere a far
considerare coperta da garanzia costituzionale quella possibilità di
divulgazione di notizie alterate, idonee a turbare l'ordine pubblico,
che l'art. 21, come si è visto, non protegge affatto.