Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 12 giugno 1959, emessa nel procedimento penale a
carico di Lucarelli Guglielmo e Comelato Renzo, imputati di
contravvenzione all'art. 650 del Codice penale, per aver distribuito
giornali a domicilio a scopo di propaganda politica, in violazione del
divieto fatto da quel Prefetto con ordinanza emessa in base all'art. 2
del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, il Pretore di Livorno ha
considerato che
1) la Corte costituzionale, nel dichiarare, con la sentenza 20
giugno 1956, n. 8, infondata la questione di legittimità
Costituzionale del citato art. 2, aveva attribuito alle ordinanze
prefettizie, previste in tale norma, carattere di atti amministrativi
vincolati ai presupposti dell'ordinamento giuridico, precisando che "la
formula dell'art. 2, nella sua latitudine, potrebbe dar adito ad
arbitrarie applicazioni, se si affermassero interpretazioni diverse da
quella rilevata dalla Corte. Ma, in tal caso, la decisione non
precluderebbe il riesame della questione di legittimità
costituzionale della norma contenuta nel citato articolo". Ed aveva
enunciato i criteri, cui la revisione in corso presso gli organi
legislativi si sarebbe dovuta informare;
2) mentre la revisione legislativa dell'art. 2 non ha ancora avuto
luogo, le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza 16
giugno 1958, n. 2068, hanno, invece, inquadrato l'ordinanza prefettizia
nella categoria delle "ordinanze libere", idonee, nel concorso di
determinati presupposti, ad affievolire i diritti soggettivi dei
cittadini, garantiti dalla Costituzione, ad interessi legittimi;
3) poiché la sentenza delle Sezioni unite appare innovativa della
precedente giurisprudenza e destinata, per l'autorità dell'organo che
l'ha emanata, ad instaurare un nuovo corso interpretativo, appare
necessario riesaminare la questione di legittimità costituzionale del
citato art. 2, considerata in tale interpretazione, che è nuova
rispetto a quella la cui legittimità costituzionale fu controllata
dalla Corte costituzionale con la sua sentenza n. 8 del 1956. Difatti,
se è vero che il giudice, nell'interpretare le leggi, deve
costantemente tenere presenti i principi della Costituzione allo scopo
di scegliere le soluzioni più conformi al precetto costituzionale, è
altresì vero che questo può valere soltanto nei casi in cui, in un
determinato momento storico, manchi un indirizzo giurisprudenziale
prevalente, e sussista incertezza tra indirizzi contrastanti. Tale
incertezza, invece, non può sussistere quando, su un determinato
problema giuridico, si siano pronunziate ex professo le Sezioni unite
della Suprema Corte, il cui compito istituzionale è, appunto, quello
di assicurare l'esatta ed uniforme interpretazione della legge. Dal che
consegue che, in tale ipotesi, il principio della interpretazione
adeguatrice deve cedere di fronte al principio della concretezza
storica, per cui il giudice deve tener conto della effettiva
attuazione che una determinata norma di legge trova da parte degli
operatori giuridici.
Sulla base di tali premesse, il Pretore ha ritenuto la questione
non manifestamente infondata:
a) in quanto, se la categoria delle ordinanze libere con forza di
legge è scientificamente esatta e positivamente riscontrabile, specie
negli ordinamenti giuridici di tipo autoritario, essa viene, però -
nel nostro ordinamento attuale, fondato sulla Costituzione del 1948 - a
contrastare con il disposto degli artt. 70, 76 e 77 della stessa, che
riservano la funzione legislativa al Parlamento e, in ipotesi
tipicamente determinate, al Governo;
b) poiché la diffusione dei giornali a scopo non professionale, ma
propagandistico, costituisce esercizio della libertà di diffusione del
pensiero, tale diritto verrebbe ad essere limitato per effetto
dell'ordinanza emanata dal Prefetto in base all'art. 2 del T.U. delle
leggi di pubblica sicurezza.
L'ordinanza, iscritta al n. 77 del Registro ordinanze del 1959, è
stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 171 del
18 luglio 1959, comunicata ai Presidenti delle Camere legislative in
data 16 giugno 1959 e notificata al Presidente del Consiglio dei
Ministri il 18 dello stesso mese.
La medesima questione è stata sollevata anche con altre tre
ordinanze dello stesso Pretore, tutte del 27 febbraio 1960, emanate in
procedimenti penali analoghi a quello sopraindicato: l'ordinanza
iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1960 nel procedimento a carico
di Tadini Manrico; quella iscritta al n. 33 nel procedimento a carico
di Ferrigni Raffaele; quella iscritta al n. 34 nel procedimento a
carico di Calugi Riccardo e Demi Dino.
In queste ordinanze il Pretore, richiamandosi alle sentenze n. 8
del 1956 della Corte costituzionale e n. 2068 del 16 giugno 1958 delle
Sezioni unite della Corte di cassazione, e ritenendo non
manifestamente infondato il dubbio che l'interpretazione data all'art.
2 delle leggi di pubblica sicurezza dai due consessi possa non
coincidere, chiede:
1) che la Corte costituzionale voglia interpretare autenticamente
la propria sentenza n. 8 del 1956 ed, in particolare, dichiarare se
essa intese affermare la legittimità costituzionale, in relazione
agli artt. 76 e 77 della Costituzione, del citato art. 2, come fonte
di un potere del Prefetto di disporre temporaneamente, con atto
amministrativo, nel caso di urgenza o di grave necessità, di qualsiasi
diritto dei cittadini, e così anche di quelli garantiti dalla
Costituzione (fra i quali è da comprendere quello previsto dall'art.
21), degradandoli ad interessi legittimi;
2) che la Corte costituzionale voglia dichiarare se il citato art.
2, inteso nel senso sopra indicato, sia in contrasto, oltre che con gli
artt. 76 e 77 della Costituzione, anche con l'art. 1, secondo comma,
della Costituzione.
Le tre ordinanze, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 100 del 23 aprile 1960, sono state comunicate ai
Presidenti delle Camere legislative in data 1 marzo 1960 e notificate
al Presidente del Consiglio dei Ministri il 7 dello stesso mese.
Delle parti private, nei giudizi promossi con le quattro ordinanze
del Pretore di Livorno, non si sono costituiti Lucarelli e Comelato,
mentre si sono costituiti Tadini Manrico, rappresentato e difeso dagli
avvocati Umberto Terracini e Luciano Ventura, Ferrigni Raffaele,
rappresentato e difeso dagli avvocati Leopoldo Piccardi e Giuseppe
Guarino, Demi Dino, rappresentato e difeso dagli avvocati Costantino
Mortati e Virgilio Andrioli.
Le deduzioni delle parti private sono state depositate in data 11
maggio 1960 e le memorie in data 24 novembre successivo. Le difesa del
Tadini ha, inoltre, depositato un fascicolo contenente le copie di n.
103 ordinanze prefettizie emanate ai sensi dell'art. 2 della legge di
pubblica sicurezza tra il 18 luglio ed il 9 settembre 1958.
Nei rispettivi atti di costituzione e nelle successive memorie,
tutte di identico contenuto, le difese private, richiamandosi alla
sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 1956, rilevano come essa,
nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, volle invitare
gli organi legislativi a rivedere la formulazione della norma e
precisare che la decisione non avrebbe precluso un riesame della
questione, qualora la disposizione, nella sua latitudine, avesse dato
luogo ad arbitrarie applicazioni, derivanti da interpretazioni diverse
da quella rilevata dalla Corte.
Ora, di fronte al nuovo orientamento assunto dalle Sezioni unite
della Cassazione con la sentenza 16 giugno 1958, cui ha fatto seguito
qualche decisione delle magistrature di merito, un riesame da parte
della Corte costituzionale appare necessario. Anzitutto, in relazione
all'art. 1, secondo comma, della Costituzione, in base al quale il
potere statale può essere legittimamente esercitato solo nelle forme e
nei limiti della Costituzione, per cui, allo stato attuale, è
inconcepibile attribuire ad un organo dello Stato, quale che esso sia,
il potere di travolgere le garanzie sancite dalla Costituzione a
tutela della libertà dei cittadini.
Infatti, se è vero che, ai fini del giudizio di
costituzionalità, bisogna prendere le mosse dalla interpretazione che
la norma riceve "concretamente" nel sistema in cui vive, non v'è
dubbio che l'art. 2 in questione, nel sistema in cui vive, riceve
concretamente, dagli organi amministrativi, cui esso si rivolge, e
dagli organi giurisdizionali, che ne devono sindacare l'applicazione,
il contenuto di una norma attributiva del potere di modificare sia le
leggi che la Costituzione.
Ora, se tale è l'effettivo contenuto dell'art. 2, non sì può non
dichiararne l'incostituzionalità, perché in contrasto con lo spirito
che informa tutto il nostro ordinamento costituzionale. La
Costituzione, infatti, disciplina essa stessa, in modo esplicito e
completo, negli artt. 70 e 117, quali sono gli atti cui spetta la
efficacia della legge ordinaria ed esclude in maniera assoluta che
possa esservi altro atto con forza di legge, attribuito ad organi non
legislativi, all'infuori del decreto legge e del decreto legislativo.
Il potere conferito dall'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza,
invece, si discosta da entrambe queste fattispecie, mentre, in
pratica, gli si riconosce la possibilità concreta di derogare persino
alle norme costituzionali. Sotto questo profilo la norma è in
stridente contrasto anche con l'art. 138 della Costituzione, che
attribuisce la forza di legge costituzionale ai soli atti approvati con
lo specifico procedimento di approvazione della legge di revisione
della Costituzione.
Una eventuale dichiarazione di costituzionalità dell'art. 2 delle
leggi di pubblica sicurezza, tenuto conto del contenuto che
concretamente gli viene attribuito nel sistema in cui storicamente esso
vive, sconvolgerebbe, pertanto, i cardini del nostro ordinamento
costituzionale, perché legittimerebbe il conferimento ai Prefetti di
un potere che contraddice il principio della "rigidità" della nostra
Costituzione e che sarebbe, nella pratica, molto più ampio non solo
del potere normativo attribuito al Governo, ma persino del potere
legislativo ordinario del Parlamento.
La prospettata violazione dell'art. 138 della Costituzione esime da
ogni indagine sul contrasto tra i singoli atti emanati sulla base
dell'art. 2 e le specifiche disposizioni costituzionali. La
incostituzionalità riguarda, infatti, prima che questi atti, il potere
su cui essi si fondano.
Passando all'esame di quella parte dell'ordinanza di rinvio con la
quale si chiede un nuovo giudizio sulla legittimità costituzionale
dell'articolo in questione, le difese private chiedono che, ove la
Corte non dovesse accogliere la richiesta e volesse procedere ad una
più ampia puntuale determinazione dell'esatta portata da attribuire
all'art. 2, voglia precisare il significato da attribuire al requisito
della "conformità dei provvedimenti prefettizi ai principi
dell'ordinamento giuridico" e ciò nel senso che ai detti
provvedimenti debba in ogni caso rimanere inibito il potere di
disposizione, sia in via generale che singolare, non solo contra, ma
anche praeter legem, in qualsiasi materia per la quale la Costituzione
abbia stabilito una "riserva di legge".
Concludendo, le difese private chiedono che sia dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del T.U. delle leggi di
pubblica sicurezza in relazione agli artt. 1, secondo comma, 70,
76,77,117 e 138 della Costituzione.
Nei quattro giudizi promossi con le dette ordinanze è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura
generale dello Stato, la quale, con le separate deduzioni dell'8 luglio
1959, e del 26 marzo 1960, e con l'unica successiva memoria depositata
in cancelleria il 24 novembre 1960, sostiene che la questione sollevata
con le citate ordinanze del Pretore di Livorno è infondata.
L'Avvocatura così argomenta:
La definizione del provvedimento prefettizio, emanato a sensi
dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, è stata data
nella sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 1956 e la tesi delle
"ordinanze libere", aventi valore pratico di legge, è soltanto una
elucubrazione dottrinale non corrispondente alla realtà, essendo il
provvedimento prefettizio limitato nel tempo e nello spazio ed avendo
soltanto l'effetto imperativo, pratico di tutte le disposizioni
amministrative, immediatamente eseguibili, alle quali, se si aderisse a
questa teoria, si dovrebbe sempre attribuire il valore pratico di
legge.
Questa interpretazione, pacifica nella giurisprudenza della Corte
di cassazione e seguita anche dal Consiglio di Stato, non è stata
innovata dalla sentenza delle Sezioni unite della Suprema Corte del 16
giugno 1958, n. 2068, la quale, nella sostanza, ha richiamato tutti i
principi affermati dalla Corte costituzionale e li ha rettamente
applicati.
La decisione della Cassazione, infatti, conferma la natura di "atto
amministrativo" dell'ordinanza prefettizia e mette in evidenza un'
eccezione, che appare fondamentale, circa la possibilità di riprodurre
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 delle leggi di
pubblica sicurezza.
Se la legge - nella specie: il citato art. 2 - conferisce
all'Autorità amministrativa un determinato potere, sottoponendolo a
determinate condizioni, quali l'urgenza e la necessità di tutelare
l'ordine e la sicurezza pubblica, l'eventuale illegittimità del
provvedimento, per il così detto "errore di interpretazione" o eccesso
di potere, non costituisce vizio di illegittimità della norma, ma
vizio del provvedimento, il cui accertamento è compito del giudice
ordinario o speciale. Questi, se nella specie sottoposta al suo
esame, riscontra non sussistere gli elementi della necessità o
dell'urgenza o del pericolo per l'ordine pubblico - che, soli,
giustificano l'emanazione del provvedimento ex art. 2 - non ha che da
disapplicare l'ordinanza nel caso specifico. Ma ciò nulla ha che
vedere con la legittimità del potere conferito al Prefetto dal citato
art. 2, quando realmente sussistano gli estremi dell'urgenza, della
necessità o del pericolo per l'ordine pubblico.
Quanto, poi, alla richiesta del Pretore di Livorno, di cui
all'ordinanza del 27 febbraio 1960, affinché la Corte costituzionale
interpreti autenticamente la propria sentenza n. 8 del 1956,
l'Avvocatura dello Stato sostiene che nella specie manca il
presupposto per una tale interpretazione.
Il ricorso all'interpretazione autentica - si fa notare - è
necessario solo quando il significato dell'atto da interpretare appaia
equivoco. Ora, tale significato non può riscontrarsi nella motivazione
della citata sentenza della Corte costituzionale perché in essa è
chiaramente detto che l'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza del
1931, inteso nel senso che il Prefetto ha il potere di emanare
ordinanze limitate nel tempo e nello spazio, in relazione a
particolari situazioni di necessità e di urgenza, adeguatamente
motivate e pubblicate, e aventi contenuto conforme ai principi, è
costituzionalmente legittimo.
Ed in dottrina non si è mai dubitato della certezza di questi
principi, tutt'al più della difficoltà della loro applicazione in
alcuni casi concreti. Difficoltà, questa, che non costituisce motivo
di eccessiva preoccupazione, sol che si consideri che al giudice
ordinario - come si è detto - è pur sempre demandata la valutazione
della legittimità dell'atto prefettizio in relazione al contenuto
dell'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza.
Passando, poi, all'esame degli altri aspetti della questione,
l'Avvocatura dello Stato osserva che essa è infondata perché l'art. 2
in parola non è in contrasto con nessuna disposizione della
Costituzione; non con gli artt. 76 e 77, come già è stato affermato
nella sentenza n. 8 del 1956 della Corte costituzionale; non con l'art.
1, secondo comma, della Costituzione, il cui richiamo è stato ritenuto
irrilevante dalla stessa Corte nella medesima sentenza n. 8 del 1956;
non con l'art. 21 della Carta costituzionale, in quanto nella
fattispecie non può dirsi che l'ordinanza prefettizia abbia inciso
sulla libertà di manifestazione del pensiero, dato che il giornale
viene liberamente stampato e può essere liberamente venduto, ma solo
su normale richiesta di chi lo voglia.
D'altro canto - prosegue l'Avvocatura dello Stato - non può dirsi
neanche con tanta decisione che l'art. 2 in questione costituisca una
di quelle norme "nocive", che una parte della dottrina vorrebbe che
fosse dichiarata costituzionalmente illegittima. Esso, infatti,
autorizza l'emanazione di atti che non vanno contro la legge, perché
non pongono in essere una vera deroga alla legge, e che, per di più,
hanno carattere provvisorio. Il vero è, invece, che la pubblica
Amministrazione non deve rimanere insensibile a certi interessi della
collettività, che non possono essere soddisfatti se non conferendo
all'Autorità un potere di ordinanza e se è vero che qualunque
ordinamento giuridico non può disconoscere - nel suo interesse e per
le inderogabili esigenze dello Stato - questo potere, la tesi della
Corte di cassazione, secondo la quale i diritti dei cittadini garantiti
dalla Costituzione possono essere investiti dalle ordinanze prefettizie
in questione, "limitandosi la disciplina di essi, prevista dalla
Costituzione, alle ipotesi in via normale", purché - ben s'intende -
sussistano le condizioni ed i requisiti di cui allo stesso art. 2, la
decisione della Corte di cassazione, si diceva, deve essere condivisa:
essa, oltre tutto, non è in contrasto con la nozione di "conformità
all'ordinamento giuridico", indicata dalla Corte costituzionale, la
quale ha ammesso che, in ipotesi, i provvedimenti emanati sulla base
dell'art. 2 possono toccare anche il campo nel quale si esercita il
diritto di libertà di pensiero. Il problema è, dunque, solo di
interpretazione della nozione di "conformità all'ordinamento
giuridico", ma non di contestazione della legittimità costituzionale
del citato art. 2.
Per queste considerazioni l'Avvocatura dello Stato conclude perché
la questione sollevata dal Pretore di Livorno sia dichiarata infondata.
Nell'unica discussione orale i difensori hanno illustrato le
rispettive conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - Si può decidere con un'unica sentenza sulle questioni
proposte con le quattro ordinanze del Pretore di Livorno, identico
essendo l'oggetto delle questioni sollevate con le dette ordinanze.
2. - Con la sentenza 20 giugno 1956, n. 8, la Corte affermò che,
ai fini della pronuncia sulla legittimità costituzionale dell'art. 2
del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, dovesse aversi riguardo non
già al significato rivestito dalla norma nel sistema che le dette
vita, bensì a quello acquistato sulla base della interpretazione che,
in conformità alla Costituzione, ne era stata data dalla
giurisprudenza.
Secondo tale interpretazione, la Corte ritenne che si potesse
dichiarare infondata la questione relativa alla legittimità
costituzionale di quella norma, in considerazione che i provvedimenti
del genere hanno il carattere di atti amministrativi adottati dal
Prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente
limitati nel tempo, in relazione ai dettami della necessità e
dell'urgenza, e vincolati ai principi dell'ordinamento giuridico.
La Corte, non nascondendosi che la forma dell'art. 2, nella sua
ampia dizione, avrebbe potuto dare adito ad arbitrarie applicazioni se
si fossero affermate interpretazioni diverse da quella rilevata dalla
Corte stessa, avverti che, in tal caso, la questione sarebbe stata
riesaminata.
La Corte, infine, auspicò che, nell'intento di porre l'art. 2 al
riparo da ogni interpretazione contraria allo spirito della
Costituzione, il legislatore provvedesse ad inserire nel testo della
disposizione l'espressa enunciazione dei detti canoni, ai quali i
provvedimenti dovessero conformarsi, auspicando, altresì, che, nella
nuova formulazione, si enunciasse l'obbligo della motivazione ed anche
quello della pubblicazione nel caso in cui il provvedimento non avesse
carattere individuale.
Nel tempo che è trascorso da quella sentenza il testo legislativo
è rimasto inalterato e, come si rileva dalle numerose copie depositate
nel presente giudizio, molti Prefetti hanno emesso provvedi menti che,
a parte il loro contenuto, tendono ad avere carattere di permanenza. È
inoltre, sopraggiunta qualche pronuncia giurisprudenziale che non
sembra conforme all'indirizzo della giurisprudenza della Magistratura
ordinaria e di quella amministrativa su cui si basò la sentenza del
1956 per dare all'art. 2 l'interpreta zione sopra richiamata.
Essendo stata ora risollevata la questione, la Corte ritiene che
debba essere compiuto quel riesame di cui fu fatta espressa riserva in
detta sentenza.
3. - In ordine alla sentenza stessa occorre procedere ad una
precisazione.
Da qualche parte, nel giudizio attuale, è stato detto che secondo
quella sentenza sarebbe possibile emanare provvedimenti, in base
all'art. 2 della legge di pubblica sicurezza, destinati a menomare
l'esercizio dei diritti dei cittadini, anche se garantiti dalla
Costituzione. Si è aggiunto che la Corte avrebbe dichiarato che non
sussisterebbe contrasto tra lo stesso art. 2 e l'art. 21 della
Costituzione. Ma non si è tenuto conto che quella sentenza, dopo
avere affermato il principio che le ordinanze in questione non possano
in nessun caso violare i principi dell'ordinamento giuridico,
prospettò l'ipotesi che i provvedimenti prefettizi toccassero campi
nei quali si esercitano i diritti dei cittadini garantiti dalla
Costituzione: la sentenza affermò che in tali ipotesi spetta al
giudice competente di accertare se nei singoli casi sussista la
violazione di quei diritti. Ed in particolare la sentenza fece la
stessa affermazione in ordine alla dedotta violazione dell'art. 21
della Costituzione.
È, dunque, da escludere che la precedente sentenza abbia
dichiarato che le ordinanze prefettizie potessero menomare l'esercizio
dei diritti garantiti dalla Costituzione: dichiarazione che sarebbe
stata in netto contrasto con l'affermazione che quelle ordinanze
debbono essere vincolate ai principi dell'ordinamento giuridico.
4. - L'art. 2 conferisce al Prefetto poteri che non possono in
nessun modo considerarsi di carattere legislativo, quanto alla loro
forma e quanto ai loro effetti. Quanto al loro contenuto, i relativi
provvedimenti, finché si mantengano nei limiti dei principi
dell'ordinamento giuridico, non possono mai essere tali da invadere il
campo riservato alla attività degli organi legislativi, né a quella
di altri organi costituzionali dello Stato: il rispetto di quei limiti
impedisce ogni possibile violazione degli artt. 70, 76 e 77 e
dell'art. 1, secondo comma, della Costituzione.
Difatti, anche a volerli considerare in ogni caso come aventi
carattere normativo, i provvedimenti prefettizi ex art. 2, ove non
contrastino con i principi dell'ordinamento, restano legittimamente
nella sfera dell'attività spettante agli organi amministrativi: essi
sono legittimi quando siano emanati in base ai presupposti, nei limiti,
con le caratteristiche, le forme e le garanzie, secondo le indicazioni
esposte fin dalla precedente sentenza.
Non sarà del tutto superfluo soggiungere che l'art. 77 dello
Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige richiama espressamente
l'applicazione dell'art. 2 della legge di pubblica sicurezza; dal che
può dedursi che l'Assemblea costituente ritenne che l'istituto non
fosse in contrasto con la Costituzione.
5. - Dai ripetuti richiami fatti ai principi dell'ordinamento
giuridico si rileva che questo è il punto fondamentale della
questione. Su di esso bisogna più diffusamente soffermarsi.
È, in primo luogo, da riaffermare che i provvedimenti prefettizi
non possono mai essere in contrasto con i detti principi, dovunque tali
principi siano espressi o comunque essi risultino, e precisamente non
possono essere in contrasto con quei precetti della Costituzione che,
rappresentando gli elementi cardinali dell'ordinamento, non consentono
alcuna possibilità di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria.
È, infatti, ovvio che l'art. 2 della legge di pubblica sicurezza non
potrebbe disporre che, in un campo in cui il precetto costituzionale è
inderogabile anche di fronte al legislatore ordinario, intervengano
provvedimenti amministrativi in senso difforme.
Per quel che si riferisce alle riserve di legge, la Corte ritiene
che si debba distinguere.
Nei casi in cui la Costituzione stabilisce che la legge provveda
direttamente a disciplinare una determinata materia (per esempio, art.
13, terzo comma), non può concepirsi che nella materia stessa l'art.
2 permetta la emanazione di atti amministrativi che dispongano in
difformità alla legge prevista dalla Costituzione.
Per quanto riguarda quei campi rispetto ai quali la Costituzione ha
stabilito una riserva adoperando la formula "in base alla legge" o
altra di eguale significato, giova ricordare che la costante
giurisprudenza di questo Collegio, formatasi principalmente nei
riguardi dell'art. 23 della Carta costituzionale, ha ritenuto
ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'Autorità
amministrativa l'emanazione di atti anche normativi, purché la legge
indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'organo a
cui il potere è stato attribuito. E, pertanto, nulla vieta che, nelle
materie ora indicate, una disposizione di legge ordinaria conferisca al
Prefetto il potere di emettere ordinanze di necessità ed urgenza, ma
occorre che risultino adeguati limiti all'esercizio di tale potere.
Si può concludere che la omessa prescrizione, nel testo dell'art.
2, del rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico renderebbe
possibile - ed in realtà ha reso, di recente, possibile -
un'applicazione della norma, tale da violare i diritti dei cittadini e
da menomare la tutela giurisdizionale.
È, dunque, da ritenere che l'illegittimità dell'art. 2 sussiste
soltanto nei limiti in cui esso attribuisce ai Prefetti il potere di
emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell'ordinamento
giuridico, intesa questa espressione nei sensi sopra indicati.