ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 157
Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato col R.D. 18
giugno 1931, n. 773, promossi con le seguenti ordinanze:
1) Ordinanza 29 dicembre 1955 del Pretore di Riva del Garda nel
procedimento penale a carico di Gregori Alessandro, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed
iscritta al n. 1 Registro ordinanze 1956;
2) Ordinanza 24 gennaio 1956 del Pretore di Prato nel procedimento
penale a carico di Sambrotta Giovanni, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 35 dell'11 febbraio 1956 ed iscritta al
n. 14 Reg. ord. 1956;
3) Ordinanza 28 gennaio 1956 del Pretore di Augusta nel
procedimento penale a carico di Litrico Giuseppe, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 43 Reg. ord. 1956;
4) Ordinanza 19 gennaio 1956 del Pretore di La Spezia nel
procedimento penale a carico di Polacci Liliana, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 53 Reg. ord. 1956;
5) Ordinanza 26 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel
procedimento penale a carico di Bartoli Fedora, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 54 Reg. ord. 1956;
6) Ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Messina nel
procedimento penale a carico di Terranova Giuseppe, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 26 Reg. ord. 1956;
7) Ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Messina nel
procedimento penale a carico di Certo Giovanni, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 27 Reg. ord. 1956;
8) Ordinanza 9 febbraio 1956 del Pretore di Sulmona nel
procedimento penale a carico di Di Battista Carmela, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 36 Reg. Ord. 1956;
9) Ordinanza 26 gennaio 1956 del Pretore di Savona nel procedimento
penale a carico di Cogotti Emilio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 57 Reg. ord.
1956;
10) Ordinanza 27 gennaio 1956 del Pretore di Sestri Ponente nel
procedimento penale a carico di Dolmetta Evelina, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 19 Reg. ord. 1956;
11) Ordinanza 7 febbraio 1956 del Tribunale di Trapani nel
procedimento penale a carico di Pizzo Giuseppe, rappresentato e difeso
nel presente giudizio dall'avv. Giacomo Rosapepe, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 del 12 marzo 1956 ed iscritta
al n. 58 Reg. ord. 1956;
12) Ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Ferentino nel
procedimento penale a carico di Cimato Mercurio, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 30 marzo 1956 ed iscritta
al n. 24 Reg. ord. 1956:
Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
Udita nella pubblica udienza del 30 aprile 1956 la relazione del
Giudice Giuseppe Cappi;
Uditi l'avv. Giacomo Rosapepe ed il vice avvocato generale dello
Stato Raffaele Bronzini.
Ritenuto, in fatto:
Le vicende che hanno dato luogo alle controversie elencate in
epigrafe sono semplici e simili. Si tratta di contravvenzioni alle
norme dell'art. 157 T.U. leggi di pubblica sicurezza riguardanti il
foglio di via obbligatorio e la conseguente diffida a ritornare - senza
previa autorizzazione dell'autorità di p.s. - nel Comune dal quale
gli imputati erano stati fatti allontanare. Tratti in giudizio, essi
sollevavano l'eccezione di illegittimità costituzionale del citato
art. 157 e il magistrato, ritenuta tale eccezione non manifestamente
infondata, ordinava la trasmissione degli atti alla Cotte
costituzionale.
A fondamento dell'eccezione, gli imputati adducevano il contrasto
dell'art. 157 con gli artt. 13 e 16 della Costituzione. (Per la
esattezza, in cinque cause si indicavano ambedue gli articoli; in
cinque solo l'art. 16; in una anche gli artt. 8, 19 e 21; in una,
mentre la difesa aveva indicato l'art. 16, il Pretore, nella sua
ordinanza, indicò invece il contrasto con l'art. 13).
Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito soltanto Giuseppe
Pizzo, nei rapporti del quale il Tribunale di Trapani, in sede di
appello, aveva pronunziato la seguente ordinanza:
"Ritenuto che la questione di incostituzionalità dell'art. 157
T.U. leggi p.s. sollevata dalla difesa dell'imputato non ha i caratteri
appariscenti dell'infondatezza e si appalesa pregiudiziale ad ogni
accertamento di merito; letto ed applicato l'art. 1 legge 9 febbraio
1948, n. 1, sospende il giudizio ed ordina che gli atti vengano
rimessi alla Corte costituzionale per la decisione della
pregiudiziale". Il Pizzo fu rappresentato e difeso dall'avv. Giacomo
Rosapepe, il quale presentò un'ampia memoria, che illustrò oralmente
in udienza.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo della Avvocatura
generale dello Stato, intervenne in tutte le cause elencate in
epigrafe, presentando deduzioni e memorie, illustrandole poi oralmente.
L'Avvocatura concludeva, in via principale e pregiudiziale, non
potersi far luogo a giudizio di legittimità costituzionale avanti a
questa Corte, in quanto le norme di legge impugnate sono anteriori
all'entrata in vigore della Costituzione; in subordine e nel merito,
chiedeva dichiararsi insussistente l'incostituzionalità delle norme
medesime.
Considerato, in diritto:
1) La Corte, ritenuto che in tutte le cause elencate in epigrafe si
fa questione della legittimità costituzionale di un unico articolo -
157 T.U. leggi di p.s. - ha disposto che i giudizi, già riuniti in
udienza, siano decisi con unica pronuncia.
2) Sull'eccezione pregiudiziale, sollevata dall'Avvocatura generale
dello Stato, di inammissibilità del giudizio di legittimità
costituzionale relativamente alle leggi anteriori all'entrata in vigore
della Costituzione, la Corte riafferma i motivi addotti nella propria
sentenza n. 1 del 5 giugno 1956, con la quale dichiarò la propria
competenza a giudicare sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, anche se
anteriori alla entrata in vigore della Costituzione.
L'eccezione sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato deve
essere pertanto respinta.
3) La Corte ritiene che le norme relative ai provvedimenti del
rimpatrio con foglio di via obbligatorio e della conseguente diffida,
norme già contenute nelle precedenti leggi di p.s. del 1865 e 1889,
non contrastino, salvo in due punti di cui si dirà, con l'art. 13
della Costituzione. Questa disposizione, pur ritenendosi infondata la
tesi che sia meramente programmatica o di non immediata attuazione, non
va intesa quale garanzia di indiscriminata e illimitata libertà di
condotta del cittadino; tanto vero che la stessa Costituzione, nello
stesso articolo 13 e nei successivi contempla e disciplina varie
situazioni e fissa espressamente dei limiti.
Ciò che, però, contrasta con l'art. 13 della Costituzione è
anzitutto il potere di ordinare la traduzione del rimpatriando, perché
ciò viola quella libertà personale che è garantita da tale articolo.
La traduzione resta tuttavia legittima nei casi previsti dall'ultimo
comma dell'art. 157 e dall'analogo 3 comma dell'art. 163 della stessa
legge di p.s., in quanto in tali casi la traduzione è per legge
conseguente ad una decisione dell'Autorità giudiziaria. Va da sé che
la mancata traduzione non produca l'impunità di chi non rispetti
l'ordine di rimpatrio, perché il trasgressore sarà passibile di
denuncia all'Autorità giudiziaria per le conseguenti sanzioni penali.
Il procedimento del rimpatrio obbligatorio, perché sia legittimo,
deve inoltre essere giustificato da fatti concreti, che rientrino nelle
limitazioni indicate dall'art. 16 della Costituzione. Il sospetto,
anche se fondato, non basta, perché, muovendo da elementi di giudizio
vaghi e incerti, lascerebbe aperto l'adito ad arbitrii, e con ciò si
trascenderebbe quella sfera di discrezionalità che pur si deve
riconoscere come necessaria all'attività amministrativa, perché le
leggi e, tanto meno, la Costituzione non possono prevedere e
disciplinare tutte le mutevoli situazioni di fatto né graduare in
astratto e in anticipo le limitazioni poste all'esercizio dei diritti.
4) L'esigenza di contemperare il margine di discrezionalità con la
esigenza che i provvedimenti si fondino sopra fatti concreti rende
inerente alla natura della norma contenuta nell'art. 157 legge di p.s.
l'obbligo della motivazione, quale implicito elemento dell'ordine di
rimpatrio. Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l'art. 16 della
Costituzione esclude espressamente che le limitazioni alla libertà di
circolare possano essere determinate da ragioni politiche; dal che
discende che il provvedimento del rimpatrio debba specificare i motivi,
per dare modo alle stesse Autorità di p.s. e, soprattutto,
all'Autorità giudiziaria di accertare che il rimpatrio non sia stato
disposto per ragioni politiche o per altri motivi non previsti
dall'art. 16 della Costituzione e dall'art. 157 leggi di p.s., cioè
illegalmente.
In secondo luogo, la motivazione appare necessaria per consentire
al cittadino l'esercizio del diritto di difesa. Tale diritto è
garantito dall'art. 24 della Costituzione per i procedimenti giudiziari
e non può dubitarsi che il cittadino debba in ogni caso essere posto
in grado di difendersi legalmente contro qualsiasi provvedimento
dell'autorità; il che non può avvenire se non gli vengano contestati
i motivi, cioè i fatti, che lo hanno provocato.
5) Resta da considerare l'art. 16 della Costituzione: "Ogni
cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte
del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce
in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna
restrizione può essere determinata da ragioni politiche".
In alcuni commenti dell'art. 16 si è rilevata la frase
"limitazioni che la legge pone in via generale", affacciando il dubbio
che le limitazioni debbano riferirsi a situazioni di carattere
generale, quali epidemie, pubbliche calamità e simili. Tale
interpretazione, che pure era affiorata durante i lavori dell'Assemblea
costituente, è infondata e fu perciò respinta; la frase deve
intendersi nel senso che la legge debba essere applicabile alla
generalità dei cittadini, non a singole categorie.
Più delicato è il punto se ai "motivi di sanità e di sicurezza",
indicati nell'art. 16, possano ricondursi anche i motivi di "ordine,
sicurezza pubblica e pubblica moralità" indicati nell'art. 157 della
legge di p.s.
La Corte ritiene che ciò sia possibile e che, pertanto, il secondo
e il terzo comma del citato art. 157 non siano costituzionalmente
illegittimi, salvo quanto si è detto nei precedenti numeri della
sentenza per ciò che riguarda il sospetto e la traduzione.
Esclusa l'interpretazione, inammissibilmente angusta, che la
"sicurezza" riguardi solo l'incolumità fisica, sembra razionale e
conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola "sicurezza"
il significato di situazione nella quale sia assicurato ai cittadini,
per quanto è possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di
libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza. Sicurezza si
ha quando il cittadino può svolgere la propria lecita attività senza
essere minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale;
è l'"ordinato vivere civile" , che è indubbiamente la meta di uno
Stato di diritto, libero e democratico.
Ciò posto, non è dubbio che le "persone pericolose per l'ordine e
la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità" (art. 157 legge
p.s.) costituiscano una minaccia alla "sicurezza" indicata, e così
intesa, nell'art. 16 della Costituzione.
Per quanto si riferisce alla moralità, non dovrà certo tenersi
conto delle convinzioni intime del cittadino di per se stesse
incoercibili, né delle teorie in materia di morale, la cui,
manifestazione, come ogni altra del pensiero, è libera o disciplinata
da altre norme di legge. Ma i cittadini hanno diritto di non essere
turbati ed offesi da manifestazioni immorali, quando queste risultino
pregiudizievoli anche alla sanità, indicata nell'art. 16 della
Costituzione, o creino situazioni ambientali favorevoli allo sviluppo
della delinquenza comune.
Per quanto si riferisce all'ordine pubblico, senza entrare in una
disputa teorica sulla definizione di tale concetto, basta precisare che
agli effetti dell'art. 16 della Costituzione e dell'art. 157 legge di
p.s. la pericolosità in riguardo all'ordine pubblico non può
consistere in semplici manifestazioni di natura sociale o politica, le
quali trovano disciplina in altre norme di legge, bensì in
manifestazioni esteriori di insofferenza o di ribellione ai precetti
legislativi ed ai legittimi ordini della pubblica Autorità,
manifestazioni che possono facilmente dar luogo a stati di allarme e a
violenze, indubbiamente minacciose per la "sicurezza" della generalità
dei cittadini, i quali finirebbero col vedere, essi, limitata la
propria libertà di circolazione.
Riassumendo, nel testo dell'art. 16 della Costituzione la parola
"motivi (di sanità o di sicurezza)" va intesa nel senso di fatti che
costituiscano un pericolo per la sicurezza dei cittadini, quale è
stata più sopra definita.
Questa conclusione è anche accolta dalla pressoché costante
giurisprudenza della Corte di Cassazione e da larga ed autorevole
dottrina. Si è osservato, infatti, che la formula generica dell'art.
16 riguarda un'infinita' di casi difficilmente prevedibili, che ben
possono essere compresi nella sintetica dizione "motivi di sanità o di
sicurezza" , e che la finalità della norma costituzionale è di
conciliare l'esigenza di non lasciar liberi di circolare indisturbati
soggetti socialmente pericolosi e l'esigenza di impedire un generico e
incontrollato potere della Polizia.
I lavori preparatori della Costituzione sono nello stesso senso.
Ad es., la Sottocommissione dell'Assemblea costituente spiegò che "si
voleva soprattutto lasciare alle Autorità di p.s. la possibilità di
rinviare al proprio domicilio, con foglio di via obbligatorio, le
persone che siano, per un motivo o per un altro, indesiderabili, come
nei casi di accattonaggio, prostituzione ecc.; escluso sempre il motivo
politico".
6) Nella causa Pizzo l'ordinanza del Tribunale si limita a
menzionare "l'incostituzionalità dell'art. 157 leggi di p.s." senza
indicare, come invece è prescritto dall'art. 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87, con quali norme della Costituzione esso sarebbe in
contrasto. Qualora si potesse integrare l'ordinanza con le varie difese
del Pizzo, si rileverebbe che, dopo accenni agli artt. 13, 16 e 21,
nella memoria presentata e illustrata alla Corte si conclude che l'art.
157 sarebbe illegittimo "in relazione agli artt. 8 e 19 della
Costituzione ed alla legge 24 giugno 1929, n. 1159, nonché al R.D. 28
febbraio 1930, n. 289". Ora, l'art. 157 legge di p.s. non fa alcuna
menzione di motivi religiosi per i provvedimenti in esso contemplati,
cosicché la questione della libertà religiosa è estranea alla
controversia. Per il resto vale, in ordine all'art. 157, quanto si è
detto per le altre cause.
Si può aggiungere che dal contesto degli atti processuali si
rileva che la doglianza del Pizzo riguarda il provvedimento di
rimpatrio preso a suo carico, assumendo egli che sarebbe stato causato
unicamente dalla sua qualità di ministro di culto acattolico e non per
i motivi previsti dall'art. 157 legge di p.s. Ad evidenza, l'errata
applicazione di una norma di legge è questione del tutto diversa dalla
sua legittimità ché, anzi, la denuncia di applicazione errata
presuppone il riconoscimento, in tesi, dell'applicabilità, cioè della
legittimità, della norma. Infine, la decisione sull'errore di
applicazione richiede un'apprezzamento di fatto e un giudizio di
merito, circa la legittimità di un atto amministrativo, che non
rientrano nei compiti di questa Corte costituzionale.
7) Provvedere alle incompletezze legislative che possono derivare
dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una parte
dell'art. 157 leggi di p.s. è compito esclusivo del Parlamento.