Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 17 ottobre 2024, iscritta al n. 209 del registro ordinanze 2024, il Giudice di pace di Roma, sezione stranieri, ha sollevato:
a) in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 5, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 3, comma 4, lettera a), del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 173, nelle parti in cui non disciplina puntualmente i «modi» e i procedimenti per la restrizione della libertà personale all’interno dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR); non prevede i diritti e le forme di tutela dei trattenuti; non indica l’autorità giudiziaria competente al controllo dei «modi» di restrizione della libertà personale dei cittadini stranieri in stato di «detenzione amministrativa», all’interno dei CPR, e alla tutela giurisdizionale dei loro diritti; non disciplina il ruolo e i poteri di tale autorità giudiziaria; rinvia, pressoché integralmente, a una fonte subordinata, quale l’art. 21, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
b) in riferimento agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 24, 25, primo comma, 32 e 111, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, nelle parti in cui omette di dettare la disciplina dei «modi» del trattenimento amministrativo e omette di individuare l’autorità giudiziaria competente al controllo della legalità di tali «modi» di restrizione della libertà personale, rinviando pressoché integralmente alle fonti subordinate.
2.– Il Giudice di pace di Roma riferisce di dover procedere alla convalida del trattenimento di una straniera nel centro di permanenza per i rimpatri disposto dal questore del luogo, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998; che sono stati rispettati i termini di cui all’art. 14, commi 1-bis e 4, t.u. immigrazione; che sussistono i presupposti temporali per la convalida e che il provvedimento del questore risulta legittimamente emesso per il tempo strettamente necessario, non essendo possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera in quanto occorre effettuare accertamenti supplementari in ordine alla identità o nazionalità e acquisire i documenti per l’espatrio; che neppure risulta illegittimo il decreto di espulsione; che non risultano applicabili, in luogo del trattenimento, le misure alternative di cui all’art. 14, comma 1-bis, del citato decreto legislativo.
Il rimettente assume «l’evidente rilevanza» delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, posto che la convalida cui deve procedere comporta la permanenza nel centro per i rimpatri per un periodo di «almeno» tre mesi, prorogabile fino a diciotto mesi (art. 14, comma 5, t.u. immigrazione), in stato di restrizione della inviolabile libertà personale (art. 13 Cost.).
Il giudice a quo osserva che il giudizio di convalida, perciò, «non può essere portato a compimento, in difetto della pregiudiziale risoluzione del dubbio di costituzionalità», ed evidenzia che al momento della pronuncia dell’ordinanza di rimessione non risultava ancora scaduto il termine di quarantotto ore dall’adozione del provvedimento e delle quarantotto ore successive per la decisione sulla convalida ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998.
3.– A proposito delle questioni riportate nel punto 1, sub a), l’ordinanza di rimessione espone che il trattenimento nel CPR determina uno stato di restrizione della libertà personale secondo modalità e procedimenti non disciplinati da una normativa di rango primario, in violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13, secondo comma, Cost. e dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 5, paragrafo 1, CEDU.
Ad avviso del giudice a quo, caso analogo al trattenimento amministrativo dello straniero presso il CPR, ai fini della riserva assoluta di legge statale ex art. 13, secondo comma, Cost., è quello dell’assegnazione in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), oggetto della sentenza di questa Corte n. 22 del 2022.
In particolare, mentre l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 rispetterebbe la riserva di legge in tema di libertà personale quanto ai «casi» di restrizione, l’art. 14, comma 2, non sarebbe conforme all’art. 13, secondo comma, Cost. con riguardo ai «modi» di tale restrizione, affidati pressoché esclusivamente alla fonte subordinata costituita dall’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999 e sottratti al controllo del giudice di pace, il quale provvede alla convalida verificata l’osservanza dei soli requisiti previsti dagli artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, ma non potendosi interessare delle modalità del trattenimento.
Anche a considerare le facoltà concesse dall’art. 14, comma 2-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 allo straniero trattenuto, di rivolgere istanze o reclami al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale, avverte il giudice a quo, la legge ometterebbe di individuare l’autorità giudiziaria competente al controllo di legalità dei «modi» di privazione della libertà personale, parimenti oggetto di riserva assoluta di legge (art. 25, primo comma, Cost.), con ripercussioni sul principio di eguaglianza, sul diritto di difesa e sulla tutela del diritto alla salute dei soggetti in stato di detenzione amministrativa.
Nei «modi» del trattenimento amministrativo previsti dalla legge dovrebbero rientrare, secondo il rimettente, le procedure e le garanzie giurisdizionali regolate nel caso analogo della detenzione penale dall’ordinamento penitenziario.
3.1.– Circa le questioni riportate al punto 1, sub b), il rimettente censura l’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998 sempre perché omette di prevedere i «modi» del trattenimento, le garanzie e i diritti riconosciuti ai trattenuti all’interno dei CPR, gli standard minimi di tutela (anche con riferimento al fondamentale diritto alla salute), i procedimenti di audizione, i rimedi giurisdizionali, denotando una irragionevole disparità di trattamento con le condizioni dei soggetti detenuti nelle strutture carcerarie, disciplinate dall’ordinamento penitenziario, pur trattandosi di fattispecie «sostanzialmente analoghe».
3.2.– Il giudice a quo conclude osservando che non è possibile una interpretazione conforme a Costituzione del censurato art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, dolendosi fondamentalmente della violazione della riserva di legge assoluta e pertanto ritenendo di dover colmare lacune che devono essere oggetto di regolamentazione dettata dalla fonte primaria.
Riguardo all’individuazione del giudice competente a sindacare i modi del trattenimento, l’ordinanza di rimessione esclude che in via interpretativa tale possa essere il giudice di pace, mancando il necessario riferimento normativo in questo senso.
4.– Con ordinanze del 17 ottobre 2024, iscritte ai numeri 210, 211 e 212 del registro ordinanze 2024, il Giudice di pace di Roma, sezione stranieri, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale identiche a quelle devolute con l’ordinanza iscritta al n. 209 del registro ordinanze 2024, nell’ambito di procedimenti di convalida di trattenimenti di persone straniere in fattispecie analoghe a quelle oggetto della prima ordinanza.
5.– In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.
5.1.– L’eccezione di inammissibilità viene basata sul difetto di rilevanza delle questioni, in quanto il rimettente è chiamato a pronunciarsi soltanto sulla richiesta di convalida del trattenimento disposto dal questore ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 e, dunque, a verificare il rispetto dei termini e la sussistenza dei casi che legittimano il provvedimento restrittivo, non essendo, invece, tenuto ad interessarsi dei «modi del trattenimento», e quindi ad applicare il censurato comma 2 del medesimo art. 14.
5.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri contesta altresì la carenza di motivazione sulla eventuale impossibilità per lo straniero di dolersi dei «modi» del suo trattenimento al di fuori dell’udienza di convalida.
La difesa dello Stato deduce inoltre l’erronea evocazione del parametro di cui all’art. 10, secondo comma, Cost., non potendosi ricondurre la disciplina dei «modi» del trattenimento alla «condizione giuridica dello straniero».
Sempre in punto di inammissibilità delle questioni, secondo l’interveniente il rimettente chiederebbe a questa Corte una pronuncia integralmente demolitoria della disposizione censurata, il cui effetto sarebbe quello di privare l’ordinamento dell’unica regolamentazione di rango primario dei «modi» del trattenimento dello straniero e di rendere inutilizzabili i CPR.
5.3.– Nel merito, peraltro, l’Avvocatura generale dello Stato reputa che, ai fini della riserva assoluta di legge di cui all’art. 13 Cost., come ai fini dell’art. 5, paragrafo 1, CEDU, la disciplina sui «modi» del trattenimento dettata dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 è integrata dalle disposizioni self-executing degli artt. 15 e seguenti della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
Inoltre, ad avviso dell’Avvocatura generale, dallo stesso art. 14, commi 2 e 2-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, dal rinvio recettizio all’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999 e dall’art. 7 (Condizioni di trattenimento) del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), quest’ultimo ritenuto applicabile in via estensiva anche agli stranieri irregolari destinatari di provvedimenti di espulsione, si trarrebbe una regolamentazione generale ed esauriente di fonte primaria dei «modi» del trattenimento.
L’Avvocatura sostiene poi che non contrasta con il principio di riserva assoluta di legge la possibilità di adottare atti amministrativi generali, non discrezionali, recanti prescrizioni tecniche meramente applicative delle disposizioni primarie in ordine alle esigenze di efficiente gestione di un centro di trattenimento.
Non rileverebbe la asserita maggiore esaustività delle modalità di applicazione della detenzione penale, disciplinata dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), rispetto a quanto previsto per i «modi» del trattenimento, per la diversità dei titoli giuridici di restrizione.
Infine, la difesa statale contesta l’affermazione del giudice a quo, secondo cui non sarebbe individuabile un giudice cui rivolgere le doglianze sui «modi» del trattenimento, in quanto una lettura sistematica delle disposizioni vigenti consentirebbe di individuare nella autorità giudiziaria che ha convalidato o prorogato il trattenimento quella competente altresì ad esaminare dette doglianze.
6.– Hanno presentato opinioni scritte, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’associazione Antigone onlus, l’Accademia di diritto e migrazioni (ADiM), il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio e la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, la Società italiana di medicina delle migrazioni (SIMM), l’associazione Arci APS, la Coalizione italiana libertà e diritti civili (CILD) e l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) APS, tutti argomentando in senso adesivo alle censure del giudice a quo.
Le opinioni scritte degli amici curiae sono state ammesse con decreto presidenziale del 5 maggio 2025.
L’associazione Antigone onlus ha evidenziato che solo la legge, quale fonte primaria, deve costituire il fondamento della rilevante privazione della libertà individuale che si realizza attraverso il trattenimento della persona straniera, dovendosi perciò definirne per via legislativa le modalità di esercizio e tutela, amministrativa e giurisdizionale, dei diritti fondamentali.
L’Accademia di diritto e migrazioni (ADiM) ha sottolineato che il trattenimento dello straniero nel CPR non si configura come un istituto costituzionalmente necessario, rappresentando una misura che deve perciò essere regolata nel rispetto delle riserve costituzionali di legge.
Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha dapprima segnalato che, alla data del deposito dell’opinione, il sistema della «detenzione amministrativa» era strutturato in nove centri di permanenza per i rimpatri nei quali risultavano trattenute 552 persone, convenendo, poi, sulla necessità di una disciplina organica e compiuta di fonte primaria che possa regolare le modalità del trattenimento, in ragione della levatura dei diritti suscettibili di essere incisi dalla misura restrittiva, nonché di una adeguata tutela giurisdizionale.
Il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio e la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale hanno concluso che la mancata previsione di un giudice ad hoc che valuti la lesione dei diritti fondamentali dello straniero trattenuto nei CPR sia un vulnus intollerabile rispetto agli artt. 3 e 24 Cost.
La Società italiana di medicina delle migrazioni (SIMM) ha avvertito circa l’indebita discriminazione della detenzione amministrativa a confronto della detenzione penale, soprattutto quanto alla tutela della salute degli stranieri trattenuti nei centri di permanenza per i rimpatri e alla erogazione dei servizi sanitari, la quale è «appaltata ad enti terzi» che, in quanto operatori economici privati, «minimizzano i servizi per massimizzare il profitto».
L’associazione Arci APS ha lamentato che il trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri si configura come mera coercizione fisica, priva non solo di contenuto costruttivo ma anche di una legittimazione costituzionale e sovranazionale rispetto alla gerarchia dei diritti inviolabili dell’uomo.
Anche la Coalizione italiana libertà e diritti civili (CILD) ha reclamato una particolare attenzione sulla tutela della salute nei centri di permanenza per i rimpatri, oggetto di normativa di rango secondario, contenuta in regolamenti ministeriali e recepita in capitolati di appalto, che è giunta a privatizzare l’assistenza sanitaria, con gravi ripercussioni sul rispetto di tale diritto fondamentale delle persone trattenute.
L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) APS ha posto in evidenza che le modalità del trattenimento dello straniero nel centro di permanenza per i rimpatri – a seguito della sostituzione del comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 operata dall’art. 3, comma 4, lettera a), del d.l. n. 130 del 2020, come convertito – sono dettate tutte da fonti di rango secondario, ovvero: l’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999; il decreto del Ministro dell’interno 20 ottobre 2014, di approvazione del regolamento recante «Criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione previsti dall’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni»; il decreto del Ministro dell’interno 19 maggio 2022, di approvazione della direttiva recante «Criteri per l’organizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri previsti dall’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni».
L’ASGI APS denuncia, quindi, l’illegittimità costituzionale di tale disciplina delle modalità di trattenimento regolata esclusivamente da norme sub-legislative, che si risolvono in raccomandazioni di principio rivolte all’autorità amministrativa e non prevedono un giudice competente a verificarne il rispetto.
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, da ultimo, depositato memorie, richiamando le proprie difese volte alla dichiarazione di inammissibilità e non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, e affermando, peraltro, che la portata generale della tutela del diritto fondamentale della persona nei confronti di atti che implicano una limitazione della libertà personale o un trattamento inumano o degradante, prevista dall’ordinamento italiano (anche in via d’urgenza, con lo strumento dell’art. 700 del codice di procedura civile), è stata riconosciuta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 29 aprile 2025, Mansouri contro Italia.
Considerato in diritto
1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe, il Giudice di pace di Roma, sezione stranieri, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998 in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 5, paragrafo 1, CEDU, nelle parti in cui non disciplina puntualmente i «modi» e i procedimenti per la restrizione della libertà personale all’interno dei centri di permanenza per i rimpatri; non prevede i diritti e le forme di tutela dei trattenuti; non indica l’autorità giudiziaria competente al controllo dei «modi» di restrizione della libertà personale dei cittadini stranieri in stato di «detenzione amministrativa», all’interno dei CPR, e alla tutela giurisdizionale dei loro diritti; non disciplina il ruolo e i poteri di tale autorità giudiziaria; rinvia, pressoché integralmente, ad una fonte subordinata, quale l’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999.
Le medesime ordinanze hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 14, comma 2, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 24, 25, primo comma, 32 e 111, primo comma, Cost., nelle parti in cui omette di dettare la disciplina dei «modi» del trattenimento amministrativo e omette di individuare l’autorità giudiziaria competente al controllo della legalità di tali «modi» di restrizione della libertà personale, rinviando pressoché integralmente alle fonti subordinate.
Il Giudice di pace di Roma riferisce di dover procedere alla convalida dei trattenimenti di persone straniere presso un CPR disposti dal questore, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998; che sono stati rispettati i termini di cui all’art. 14, commi 1-bis e 4, t.u. immigrazione; che sussistono i presupposti temporali per le convalide; che i provvedimenti del questore risultano legittimamente emessi. Rileva, quindi, che le convalide cui deve procedere comportano la permanenza nel centro per i rimpatri per un periodo di tre mesi, prorogabile fino a diciotto mesi (art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998), in stato di restrizione della inviolabile libertà personale.
2.– Le ordinanze di rimessione espongono che il trattenimento nel CPR determina uno stato di restrizione della libertà personale secondo modalità e procedimenti non disciplinati da una normativa di rango primario, in violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13, secondo comma, Cost., della riserva rinforzata di legge di cui all’art. 10, secondo comma, Cost., nonché del principio di eguaglianza (art. 3 Cost., unitamente agli artt. 2, 13, 24, 25, primo comma, e 111, primo comma, Cost.), con riferimento al caso analogo della detenzione in sede penale, disciplinata dall’ordinamento penitenziario e sottoposta al controllo di legalità della magistratura di sorveglianza.
Ad avviso del rimettente, caso analogo al trattenimento amministrativo dello straniero presso il centro di permanenza per i rimpatri, ai fini della riserva assoluta di legge statale ex art. 13, secondo comma, Cost., è quello dell’assegnazione in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, oggetto della sentenza di questa Corte n. 22 del 2022.
Inoltre, la legge ometterebbe di individuare l’autorità giudiziaria competente al controllo di legalità dei «modi» di privazione della libertà personale, parimenti oggetto di riserva assoluta di legge, con ripercussioni sul diritto di difesa e sulla tutela del diritto alla salute dei soggetti in stato di detenzione amministrativa e sul principio di eguaglianza, ove la situazione degli stranieri trattenuti sia comparata con quella dei detenuti, cui si applica la disciplina dell’ordinamento penitenziario.
3.– Le quattro ordinanze di rimessione vertono sulle medesime disposizioni e pongono identiche questioni, sicché ne appare opportuna la riunione, ai fini di una decisione congiunta.
4.– In tutti i giudizi, l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, in quanto il rimettente è chiamato a pronunciarsi soltanto sulla richiesta di convalida del trattenimento disposto dal questore ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, e non sarebbe, invece, tenuto a interessarsi dei «modi del trattenimento», con conseguente inapplicabilità, nei giudizi a quibus, del censurato comma 2 del medesimo art. 14.
4.1.– L’eccezione non è fondata.
4.2.– Le argomentazioni svolte dal rimettente in punto di rilevanza resistono alle obiezioni formulate dalla difesa statale.
Il Giudice di pace di Roma assume la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, posto che la convalida cui deve procedere comporta la permanenza nel CPR per un periodo di tre mesi, prorogabile fino a diciotto mesi (art. 14, comma 5, t.u. immigrazione). Il rimettente osserva che il giudizio di convalida, perciò, «non può essere portato a compimento, in difetto della pregiudiziale risoluzione del dubbio di costituzionalità» ed evidenzia che al momento del deposito dell’ordinanza di rimessione non risultava ancora scaduto il termine di quarantotto ore dall’adozione del provvedimento e delle quarantotto successive per la decisione sulla convalida ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 14 del citato decreto legislativo.
Si tratta di assunto non implausibile, atteso che il decreto motivato di convalida del trattenimento dello straniero non si limita a confermare la legittimità del precedente provvedimento provvisorio del questore, ma costituisce esso stesso il titolo per la successiva permanenza nel centro per i rimpatri, sicché non vi sono due distinti e autonomi provvedimenti, sia pure collegati fra loro, come nel caso delle misure coercitive applicate contestualmente al provvedimento di convalida del fermo o dell’arresto (in tal senso, si veda Corte di cassazione, prima sezione penale, sentenza 22 aprile 2025, n. 15757).
Ne consegue che, sempre ai fini dell’ammissibilità delle questioni, il censurato art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, ove si tratteggiano alcune delle modalità con cui lo straniero è trattenuto nel CPR, è una disposizione il cui contenuto normativo rileva certamente anche in relazione all’adozione della convalida (tra le tante, sentenze n. 103 del 2023 e n. 231 del 2018; ordinanza n. 184 del 2017).
4.3.– Né potrebbe obiettarsi che il rimettente non avrebbe potuto sollevare questione di legittimità costituzionale nel corso del procedimento di convalida del trattenimento.
Il giudice a quo ha, infatti, correttamente sospeso la propria pronuncia sulla richiesta di convalida del trattenimento, in attesa della decisione delle questioni di legittimità costituzionale che egli ritiene pregiudiziali rispetto a detta pronuncia.
In questo modo, il rimettente non ha esaurito la potestas decidendi attribuitagli dall’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, dovendo, entro le quarantotto ore successive alla trasmissione degli atti effettuata dal questore, provvedere alla convalida, con decreto motivato, verificata l’osservanza dei termini e la sussistenza dei requisiti previsti dagli artt. 13 e 14 t.u. immigrazione.
4.4.– Non osta alla rilevanza della questione la circostanza che il provvedimento di trattenimento abbia perso efficacia per la mancata osservanza del termine per la convalida. Questa Corte ha, infatti, ritenuto che, a ragionare diversamente, il giudice della convalida di un provvedimento provvisorio restrittivo della libertà personale adottato dall’autorità di pubblica sicurezza si troverebbe sistematicamente nell’impossibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale sulle norme che disciplinano i presupposti della misura restrittiva, con conseguente creazione di una vera e propria “zona franca” dal giudizio di costituzionalità (tra le tante, sentenze n. 212 del 2023, n. 148 e n. 41 del 2022, n. 137 del 2020).
4.5.– In definitiva, avendo il Giudice di pace di Roma dubitato della legittimità costituzionale della disciplina delle modalità del trattenimento presso il CPR dettata dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, ricomprendendo la stessa, sotto il profilo dell’incidentalità, tra le norme che regolano i presupposti e le condizioni del potere di convalida, le ordinanze di rimessione superano il controllo “esterno” in punto di rilevanza delle questioni attraverso una motivazione non implausibile del percorso logico compiuto e delle ragioni per le quali il rimettente afferma di dover applicare nel giudizio principale la disposizione censurata (tra le tante, sentenze n. 200 e n. 148 del 2024, n. 94 del 2023 e n. 237 del 2022).
5.– Le altre due eccezioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato – con le quali si contesta la carenza di motivazione sulla eventuale impossibilità per lo straniero di dolersi dei «modi» del suo trattenimento al di fuori dell’udienza di convalida e il fatto che il rimettente chiede a questa Corte una pronuncia integralmente demolitoria della disposizione censurata, il cui effetto sarebbe quello di privare l’ordinamento dell’unica regolamentazione di rango primario dei «modi» del trattenimento dello straniero e di rendere inutilizzabili i centri di permanenza per i rimpatri – non pongono, in realtà, un problema di ammissibilità delle questioni sollevate dal rimettente, ma attengono al merito delle stesse.
Esse sono, quindi, non fondate.
6.– Prima di procedere all’esame nel merito delle questioni sollevate dal Giudice di pace di Roma è opportuno delineare la cornice normativa e giurisprudenziale nella quale esse si collocano.
6.1.– L’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce che «[q]uando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze».
Secondo quanto stabilito dal comma 2 del medesimo art. 14, nel testo introdotto dal d.l. n. 130 del 2020, come convertito, «[l]o straniero è trattenuto nel centro, presso cui sono assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, secondo quanto disposto dall’articolo 21, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. Oltre a quanto previsto dall’articolo 2, comma 6 [concernente la traduzione degli atti da comunicare allo straniero], è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno».
Ai sensi del comma 2-bis dello stesso art. 14, introdotto dal d.l. n. 130 del 2020, come convertito, «[l]o straniero trattenuto può rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale».
L’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999, richiamato dal censurato art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, stabilisce che «[l]e disposizioni occorrenti per la regolare convivenza all’interno del centro, comprese le misure strettamente indispensabili per garantire l’incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgimento delle visite, sono adottate dal prefetto, sentito il questore, in attuazione delle disposizioni recate nel decreto di costituzione del centro e delle direttive impartite dal Ministro dell’interno per assicurare la rispondenza delle modalità di trattenimento alle finalità di cui all’articolo 14, comma 2, del testo unico».
A sua volta, l’art. 2, comma 6, t.u. immigrazione, pure richiamato dalla disposizione censurata, dispone che «[a]i fini della comunicazione allo straniero dei provvedimenti concernenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, gli atti sono tradotti, anche sinteticamente, in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero, quando ciò non sia possibile, nelle lingue francese, inglese o spagnola, con preferenza per quella indicata dall’interessato».
Al fine della ricostruzione della cornice normativa di riferimento, assumono, inoltre, grande rilievo il d.m. 20 ottobre 2014 e il d.m. 19 maggio 2022, nei quali si provvede, tra l’altro, a riconoscere allo straniero trattenuto in un centro di permanenza per i rimpatri la garanzia per la necessaria assistenza e il rispetto dei diritti fondamentali della persona, anche in considerazione della sua provenienza, della sua fede religiosa, del suo stato di salute fisica e psichica, della differenza di genere, della presenza di esigenze particolari o vulnerabilità, fermo restando il divieto dello straniero di allontanarsi e di porre in essere condotte violente nei confronti di persone o di beni (art. 1 di entrambi i decreti).
Nella direttiva ministeriale allegata al citato d.m. 19 maggio 2022, contenente i criteri per l’organizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri previsti dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, sono così specificate le procedure per l’accertamento delle condizioni di salute e l’assistenza medica; l’ente gestore viene onerato di assicurare la predisposizione e la fruibilità dei servizi previsti nel contratto di appalto per la gestione del centro di permanenza; si regolamentano le modalità delle comunicazioni telefoniche cui può accedere lo straniero trattenuto, nonché l’accesso ai centri per esigenze di servizio e assistenza, lo svolgimento delle visite, i controlli di pacchi e posta in entrata.
La direttiva comprende anche, in allegato, la Carta dei diritti e dei doveri dello straniero nel Centro di permanenza per il rimpatrio.
6.2.– Le modalità del trattenimento previste dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dall’art. 21 del d.P.R. n. 394 del 1999 per gli stranieri dei quali è disposto il rimpatrio si applicano anche al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, in forza del richiamo a quelle disposizioni contenuto nell’art. 7 del d.lgs. n. 142 del 2015. Quest’ultimo, peraltro, prevede, al comma 1, che sia assicurata «alle richiedenti una sistemazione separata, nonché il rispetto delle differenze di genere», e «la fruibilità di spazi all’aria aperta», e disciplina, al comma 2, l’accesso ai centri da parte dei terzi e la libertà di colloquio, facendo salva, nel comma 3, la possibilità di limitare tale accesso per «motivi di sicurezza, ordine pubblico, o comunque per ragioni connesse alla corretta gestione amministrativa dei centri».
6.3.– La direttiva 2008/115/CE afferma al considerando 17 che «[i] cittadini di paesi terzi che sono trattenuti dovrebbero essere trattati in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità del diritto nazionale e internazionale […]», mentre all’art. 16 regola le «[c]ondizioni di trattenimento», riconoscendo ai trattenuti la possibilità di entrare in contatto con rappresentanti legali, familiari e autorità consolari competenti e assicurando loro le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie, con riserva di particolare attenzione alla situazione delle persone vulnerabili. L’art. 17 della medesima direttiva indica poi criteri particolari per il trattenimento di minori e famiglie, delle quali mira a favorire l’unità.
La direttiva (UE) 2024/1346 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, al considerando 26 afferma che il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale deve essere improntato ai «principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento». Al considerando 31 prevede, poi, che «[è] opportuno che i richiedenti che si trovano in stato di trattenimento siano trattati nel pieno rispetto della dignità umana e che la loro accoglienza sia configurata specificamente per rispondere alle loro esigenze in tale situazione. In particolare, gli Stati membri dovrebbero assicurare l’applicazione dell’articolo 24 della Carta e dell’articolo 37 della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989».
L’art. 12 della direttiva indica specificamente alcune condizioni di trattenimento che gli Stati si obbligano a garantire tra cui, per ciò che qui rileva, l’accesso a spazi all’aria aperta (paragrafo 2), la possibilità di accesso e comunicazione con i trattenuti dei rappresentanti per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (paragrafo 3), la possibilità dei familiari, avvocati o consulenti legali e rappresentanti di organizzazioni non governative competenti riconosciute dallo Stato membro di comunicare con i richiedenti e di rendere loro visita in condizioni che rispettano la vita privata (paragrafo 4, primo periodo), l’obbligo di informare sistematicamente i trattenuti delle norme vigenti nel centro e dei loro diritti e obblighi in una lingua ragionevolmente comprensibile e le rispettive deroghe (paragrafo 5), nonché, infine, i requisiti per le limitazioni all’accesso al centro, ammesse soltanto se obiettivamente necessarie, in virtù del diritto nazionale, per la sicurezza, l’ordine pubblico o la gestione amministrativa del centro di trattenimento, e purché non restringano drasticamente o rendano impossibile l’accesso (paragrafo 4, secondo periodo).
L’art. 13 della medesima direttiva, inoltre, prevede condizioni specifiche per il trattenimento di richiedenti con esigenze di accoglienza particolari. Le disposizioni della direttiva 2024/1346/UE, anche quanto alle richiamate garanzie di cui godono i richiedenti trattenuti e alle condizioni di trattenimento, sono applicabili alla stregua del regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE (a decorrere dal 12 giugno 2026).
7.– Dal punto di vista della normativa unionale, deve rilevarsi che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea chiarisce che la nozione di «trattenimento» di un cittadino di un paese terzo – che avvenga in forza della direttiva 2008/115/CE, nell’ambito di una procedura di rimpatrio a seguito di soggiorno irregolare, sulla base della direttiva 2013/33/UE nell’ambito del trattamento di una domanda di protezione internazionale, oppure in forza del regolamento (UE) 2013/604 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide – implica il confinamento dello straniero in un luogo determinato, che lo priva della libertà personale.
Tenuto conto della gravità di tale ingerenza nel diritto alla libertà sancito all’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, una misura di trattenimento può, allora, essere disposta o prorogata solo nel rispetto delle norme generali e astratte che ne fissano le condizioni e le modalità (in tal senso, Corte di giustizia UE, grande sezione, sentenza 8 novembre 2022, cause riunite C-704/20 e C-39/21, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid e X, paragrafo 75).
Ancora, come affermato dalla Corte di Lussemburgo, grande sezione, sentenza 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 e C-925/19, FMS e altri, l’art. 15 della direttiva 2008/115/CE deve essere interpretato nel senso che osta, in primo luogo, a che un cittadino di un paese terzo sia trattenuto per il solo fatto che è oggetto di una decisione di rimpatrio e che non può sovvenire alle proprie necessità; in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga una siffatta misura e senza che siano state esaminate la sua necessità e proporzionalità; in terzo luogo, alla mancata previsione di un controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa che dispone il trattenimento; in quarto luogo, a che tale stesso trattenimento possa oltrepassare i diciotto mesi ed essere mantenuto anche se il rimpatrio non è più in corso o se non ha avuto luogo un espletamento diligente delle sue modalità.
8.– La disciplina del trattenimento è, inoltre, certamente soggetta alle garanzie convenzionali relative alla privazione della libertà personale di cui all’art. 5 CEDU e agli altri diritti convenzionali che possano essere incisi nel corso del trattenimento, compreso il diritto a un ricorso effettivo di cui all’art. 13.
La Corte EDU, grande camera, sentenza 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri contro Italia, in relazione al trattenimento presso centri di primo soccorso e hotspot, ha a suo tempo ravvisato la violazione degli artt. 5, paragrafi 1, 2 e 4, e 13 CEDU in combinato disposto con l’art. 3 della medesima Convenzione, in relazione ai profili di legalità della detenzione amministrativa e, per ciò che qui rileva, per l’assenza nell’ordinamento italiano di un ricorso giurisdizionale attivabile dai migranti avverso le condizioni di accoglienza.
La Corte di Strasburgo ha sottolineato che nel caso di una privazione di libertà è particolarmente importante soddisfare il principio generale della certezza del diritto. Di conseguenza, è essenziale che le condizioni di privazione della libertà in virtù del diritto interno siano definite chiaramente e che la legge stessa sia prevedibile nella sua applicazione, in modo da soddisfare il criterio di «legittimità» stabilito dalla CEDU, che esige che ogni legge sia sufficientemente precisa per permettere al cittadino – che eventualmente potrà avvalersi di una adeguata consulenza – di prevedere, a un livello ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che possono derivare da un determinato atto.
Nella risoluzione finale relativa all’esecuzione della sentenza, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha preso atto delle informazioni fornite dal Governo italiano, che ha individuato, quali rimedi giurisdizionali disponibili per le persone trattenute in via amministrativa che abbiano subito la violazione dei loro diritti, il procedimento d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. e l’azione risarcitoria ex art. 2043 del codice civile, concludendo con un pressante invito alle autorità italiane a che il quadro legale di riferimento sia applicato nel pieno e rigoroso rispetto delle garanzie convenzionali.
Da ultimo, la stessa Corte EDU, grande camera, con la sentenza resa nella causa Mansouri, ha dichiarato in parte irricevibile e in parte manifestamente infondato il ricorso proposto da un cittadino tunisino destinatario di un respingimento ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, che aveva censurato la legittimità e le condizioni di trattenimento a bordo di una nave, per violazione degli artt. 3, 5 e 13 CEDU.
La Corte di Strasburgo ha dichiarato inammissibile il ricorso in relazione all’art. 5, paragrafi 1, 2 e 4, CEDU, per mancato esaurimento dei rimedi interni in quanto il ricorrente non aveva sollevato in sede nazionale la questione della privazione della libertà, non avendo avviato un’azione risarcitoria o cautelare, così come eccepito dal Governo italiano sulla scorta dell’art. 2043 cod. civ. e dell’art. 700 cod. proc. civ., in questo modo precludendo ai giudici nazionali l’opportunità di vagliare l’interpretazione e l’applicazione delle norme rilevanti, sia sotto il profilo delle garanzie convenzionali sia, ove pertinenti, per i profili attratti dalla disciplina dell’Unione europea.
9.– Il trattenimento nei centri di permanenza e rimpatrio costituisce una delle misure prescelte dal legislatore, in attuazione delle pertinenti direttive europee, per rendere possibile, nei casi tassativamente previsti dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, che lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione amministrativa non eseguibile con immediatezza, sia accompagnato alla frontiera e allontanato dal territorio nazionale.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato più volte che la misura del trattenimento dello straniero presso centri di permanenza e assistenza comporta una situazione di «assoggettamento fisico all’altrui potere». Tale condizione «è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale» (sentenze n. 212 del 2023, n. 127 del 2022 e n. 105 del 2001).
Il trattenimento dello straniero, dunque, in quanto misura incidente sulla libertà personale, non può essere adottato al di fuori delle garanzie dell’art. 13 Cost., essendo da ricondurre alle «altr[e] restrizion[i] della libertà personale», di cui pure si fa menzione nel secondo comma di tale articolo.
In questo senso inequivocamente depone l’art. 14, comma 7, t.u. immigrazione, secondo cui «[i]l questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede, nel caso la misura sia violata, a ripristinare il trattenimento mediante l’adozione di un nuovo provvedimento di trattenimento».
Come osservava la sentenza n. 105 del 2001, «[s]i determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale. Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’art. 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti».
Gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione non possono, infatti, scalfire il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani.
In questo contesto si inquadra il procedimento di convalida di cui all’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, deputato a verificare, entro le quarantotto ore successive alla trasmissione degli atti, l’osservanza dei termini e la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 13 e dallo stesso art. 14 t.u. immigrazione, secondo le cadenze stabilite dall’art. 13, terzo comma, Cost. e nel rispetto della riserva di giurisdizione in esso contenuta (ordinanze n. 228 del 2007 e n. 280 del 2006).
10.– Tanto premesso, si può quindi passare all’esame delle questioni di legittimità costituzionale concernenti la mancanza di una disciplina contenuta in fonte primaria dei «modi» del trattenimento degli stranieri nei centri di permanenza per i rimpatri.
Le questioni sono inammissibili.
10.1.– Il Collegio ritiene che sussista il vulnus lamentato dal rimettente con riferimento alla riserva assoluta di legge di cui all’art. 13, secondo comma, Cost.
Questa Corte ha di recente avuto modo di esaminare una disciplina legislativa che consentiva la limitazione della libertà personale con l’applicazione della misura dell’assegnazione in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Nella sentenza n. 22 del 2022 si è evidenziato come l’applicazione di tale misura vada regolata secondo il principio di extrema ratio, o di minore sacrificio necessario, desumibile dall’art. 13 Cost. in relazione a tutte le misure privative della libertà personale, e secondo il principio di legalità ex art. 25, terzo comma, Cost. Con la precisazione che quest’ultimo è da leggere alla luce dell’art. 13, secondo comma, Cost., il quale tutela in via generale la libertà personale, limitata in ogni ipotesi di coercizione che abbia a oggetto il corpo della persona.
Su tali premesse, questa Corte è pervenuta alla conclusione che la legge deve prevedere, almeno nel loro nucleo essenziale, oltre che i «casi», altresì i «modi» con cui la misura di sicurezza può restringere la libertà personale del soggetto che vi sia sottoposto. Ha, quindi, accertato che l’attuale disciplina in materia di assegnazione alle REMS rivela evidenti profili di frizione con tali principi quanto ai «modi» di esecuzione della misura di sicurezza, e dunque della privazione di libertà che le è connaturata, fondandosi su fonti subordinate distinte dalla legge.
La necessità che una fonte primaria disciplini organicamente una misura di sicurezza limitativa della libertà personale è stata ritenuta da questa Corte rispondente a ineludibili esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei suoi destinatari. Così come la legge deve farsi carico della necessità di disciplinare, in modo chiaro e uniforme per l’intero territorio italiano, il ruolo e i poteri dell’autorità giudiziaria rispetto al trattamento degli internati nelle REMS e ai loro strumenti di tutela giurisdizionale nei confronti delle decisioni delle relative amministrazioni.
10.2.– Applicando i principi ora richiamati al caso di specie, deve innanzi tutto ribadirsi che la misura del trattenimento degli stranieri presso il CPR, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, comporta una situazione di assoggettamento fisico all’altrui potere che pertiene alla libertà personale. Alla luce dell’art. 13, secondo comma, Cost., la fonte primaria deve perciò prevedere non solo i «casi», ma, almeno nel loro nucleo essenziale, i «modi» con cui il trattenimento può restringere la libertà personale del soggetto che vi sia sottoposto (sentenze n. 25 del 2023, n. 22 del 2022, n. 180 del 2018 e n. 238 del 1996).
Tuttavia, la disposizione censurata garantisce allo straniero trattenuto unicamente adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, e la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno. A ciò si aggiunge la possibilità di rivolgere reclami al Garante nazionale o ai garanti regionali o locali delle persone private della libertà personale.
Si tratta, come risulta evidente, di una normativa del tutto inidonea a definire, in modo sufficientemente preciso, quali siano i diritti delle persone trattenute nel periodo – che potrebbe anche essere non breve – in cui sono private della libertà personale.
È appena il caso di rilevare che il richiamo nell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, all’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999 non soddisfa, in alcun modo, la riserva assoluta di cui all’art. 13, secondo comma, Cost. La disposizione richiamata, infatti, non solo non è un atto con forza e valore di legge, ma a sua volta prevede che «[l]e disposizioni occorrenti per la regolare convivenza all’interno del centro, comprese le misure strettamente indispensabili per garantire l’incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgimento delle visite, sono adottate dal prefetto, sentito il questore, in attuazione delle disposizioni recate nel decreto di costituzione del centro e delle direttive impartite dal Ministro dell’interno per assicurare la rispondenza delle modalità di trattenimento alle finalità di cui all’articolo 14, comma 2, del testo unico».
Come si desume da tale disposizione regolamentare, i modi del trattenimento non solo sono, in definitiva, rimessi ad atti del prefetto, sentito il questore della provincia ove è ubicato il singolo CPR, ma, ancorché questi siano adottati sulla base delle direttive impartite dal Ministro dell’interno, potrebbero essere disciplinati difformemente nel territorio nazionale.
Rimettendo, pertanto, pressoché l’intera disciplina della materia a norme regolamentari e a provvedimenti amministrativi discrezionali, il legislatore è venuto meno all’obbligo positivo di disciplinare con legge i «modi» di limitazione della libertà personale, eludendo la funzione di garanzia che la riserva assoluta di legge svolge in relazione alla libertà personale nell’art. 13, secondo comma, Cost.
10.3.– Nemmeno nelle direttive dell’Unione europea recanti norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nonché all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, si rinviene una disciplina completa e puntuale che possa delimitare la discrezionalità dell’amministrazione nel prescegliere i «modi» del trattenimento quanto all’erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale, compreso lo svolgimento delle visite, a tutela dei diritti fondamentali e inviolabili dei destinatari delle misure restrittive.
I «modi» del trattenimento presso il CPR e della privazione di libertà che ne è connaturata, pertanto, restano affidati pressoché esclusivamente a fonti subordinate e ad atti amministrativi.
11.– Non di meno, le questioni sollevate dal Giudice di pace di Roma vanno dichiarate inammissibili – analogamente a quanto statuito dalla sentenza n. 22 del 2022 in relazione a quelle concernenti le REMS – atteso che gli strumenti del giudizio di legittimità costituzionale sulle leggi non permettono a questa Corte di rimediare al difetto di una legge che descriva e disciplini con un sufficiente grado di specificità i «modi» del trattenimento dello straniero presso il CPR, non rinvenendosi nell’ordinamento una soluzione adeguata a colmare la riscontrata lacuna mediante l’espansione di differenti regimi legislativi.
Non può in tale prospettiva offrire precisi punti di riferimento nemmeno l’ordinamento penitenziario, dovendo la detenzione amministrativa presso il CPR restare estranea a ogni connotazione di carattere sanzionatorio.
Ricade, perciò, necessariamente sul legislatore – in quanto incide sulla libertà personale – l’ineludibile dovere di introdurre una disciplina compiuta che detti, in astratto e in generale per tutti i soggetti trattenuti, contenuti e modalità delimitativi della discrezionalità dell’amministrazione, in maniera che il trattenimento degli stranieri assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona senza discriminazioni (quanto, indicativamente, alle caratteristiche degli edifici e dei locali di soggiorno e pernottamento, alla cura dell’igiene personale, all’alimentazione, alla permanenza all’aperto, all’erogazione del servizio sanitario, alle possibilità di colloquio con difensore e parenti, alle attività di socializzazione).
Spetta, dunque, al legislatore adottare una disciplina che assicuri un’adeguata base legale alle enunciate istanze, tanto più urgente in considerazione della centralità della libertà personale nel disegno costituzionale.
12.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate, in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 5, paragrafo 1, CEDU, devono quindi essere dichiarate inammissibili.
13.– Anche la seconda questione sollevata dal Giudice di pace di Roma è inammissibile, per incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
Se è vero, infatti, che la mancata definizione dei «modi» del trattenimento determina la mancata definizione di una disciplina volta ad approntare una tutela specifica delle posizioni soggettive dei soggetti trattenuti nei CPR, deve tuttavia rilevarsi che, allo stato, in presenza di condotte dell’amministrazione lesive del diritto alla libertà personale, può operare, oltre che la tutela prevalentemente riparatoria e compensativa offerta dal generale principio del neminem laedere, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il rimedio dei provvedimenti d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., come peraltro affermato dall’Avvocatura generale dello Stato.
Non vi è dubbio, infatti, che lo statuto costituzionale della libertà personale comprenda l’esistenza di rimedi giurisdizionali a presidio non soltanto della legittimità delle misure limitative, ma anche delle modalità con cui esse sono applicate, in virtù degli artt. 24 e 111 Cost. (da ultimo, sentenza n. 76 del 2025).
L’art. 700 cod. proc. civ. fornisce, invero, una tutela cautelare anticipatoria residuale e atipica, seppur sempre in rapporto di necessaria strumentalità con le garanzie di azione e di difesa sancite dall’art. 24 Cost. e con gli effetti della sentenza di merito cui i provvedimenti d’urgenza sono indirizzati (sentenze n. 143 del 2022, n. 253 del 1994 e n. 103 del 1979), ferma la stabilità assicurata dall’art. 669-octies, sesto comma, cod. proc. civ.
L’utilizzo dei provvedimenti ex art. 700 cod. proc. civ. è, del resto, diffuso proprio con riferimento alle posizioni giuridiche soggettive inquadrabili nell’ambito dei diritti fondamentali della persona, non comprimibili a opera del potere amministrativo, ponendosi, rispetto a tali diritti, come strumento minimo della giurisdizione costituzionalmente necessaria, che deve, cioè, essere indispensabilmente attribuita al giudice, in forza degli artt. 24 e 111 Cost.
Così, le violazioni o le limitazioni della libertà personale o degli altri diritti fondamentali non oggetto di specifica disciplina da parte del testo unico dell’immigrazione, subite da chi sia trattenuto presso un CPR, attentando a situazioni soggettive di contenuto non patrimoniale, e potendo essere causa di pregiudizi irreparabili, giustificano il ricorso alla tutela preventiva cautelare assicurata dall’art. 700 cod. proc. civ.
Si tratta, tuttavia, pur sempre di una forma di tutela giurisdizionale che sconta necessariamente la mancanza di una puntuale disciplina, da parte del legislatore, dei diritti di cui è titolare la persona trattenuta all’interno delle strutture deputate all’esecuzione dei trattenimenti, oltre che l’assenza di una specifica disciplina processuale per la tutela di tali diritti, paragonabile a quella assicurata alle persone detenute dalla legge sull’ordinamento penitenziario.
All’adozione con fonte primaria delle modalità del trattenimento dovrà quindi conseguire la definizione di una più immediata ed efficace tutela processuale, anche attraverso l’individuazione del giudice competente e la predisposizione di un modulo procedimentale nel quale il trattenuto possa agire direttamente.
14.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 5, paragrafo 1, CEDU, e agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 24, 25, primo comma, 32 e 111, primo comma, Cost., devono quindi essere dichiarate inammissibili.