Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 31 maggio 2024 (reg. ord. n. 136 del 2024), il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), «nella parte in cui non prevede l’abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo», del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui all’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).
2.– Il giudice a quo riferisce di essere investito dell’appello avverso la sentenza che ha condannato S. H. per tale reato e ricorda di avere già sollevato, nel corso del medesimo giudizio, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016 e, in via subordinata, dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), censurandoli, in riferimento all’art. 76 Cost., in ragione dell’omessa depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
Il giudice rimettente precisa che con la sentenza n. 88 del 2024 questa Corte ha dichiarato non fondata la questione sollevata in via principale e inammissibile, per aberratio ictus, quella sollevata in via subordinata.
3.– Tanto premesso, il Tribunale fiorentino osserva che la nuova questione ora sollevata sarebbe rilevante, giacché dal suo accoglimento conseguirebbero la depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato e l’assoluzione dell’imputato.
4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva in limine che l’art. 2, comma 1, della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili) ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili».
Tuttavia, l’art. 3 del d.lgs. n. 8 del 2016, non trasformando in illecito amministrativo il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, «nell’ambito della depenalizzazione delle fattispecie di reato (di cui alle leggi speciali) previste nominativamente dall’art. 2» della legge n. 67 del 2014, violerebbe l’art. 76 Cost., in quanto nella specie non verrebbe in rilievo un’ipotesi di «mancato esercizio» o di «esercizio solo parziale» della legge delega, ma «la violazione [dello] specifico principio e criterio direttivo» dettato dall’art. 2, comma 3, lettera b), che sarebbe inequivoco nel prevedere che il Governo dovesse trasformare in illecito amministrativo il suddetto reato.
La depenalizzazione in questione, del resto, «risponde[erebbe] perfettamente alla logica ispiratrice» della legge n. 67 del 2014, vale a dire al «principio del ricorso minimo al diritto penale e [al]la razionalizzazione e accelerazione dei tempi del processo penale», essendo il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 foriero di «aggravi per gli uffici giudiziari».
Inoltre, «il tema della depenalizzazione del reato» de quo sarebbe «stato uno di quelli più centrali nell’ambito della discussione assembleare».
Il Tribunale fiorentino osserva anche che, in una fattispecie asseritamente analoga a quella oggetto dell’odierno incidente, questa Corte avrebbe escluso che si fosse in presenza di «un mancato» o «parziale» esercizio della delega, ritenendo piuttosto di dover valutare se il Governo avesse, o meno, errato nel dare applicazione al criterio direttivo posto a fondamento della censura (è citata la sentenza n. 223 del 2019).
5.– Nell’ipotesi in cui venisse accolta la questione sollevata, il giudice a quo sollecita, infine, questa Corte a dichiarare, «in via consequenziale», l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 10-bis, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, «nella parte in cui prevede la pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro anziché la sanzione amministrativa da 5.000 a 10.000 euro».
In subordine, il giudice a quo individua l’art. 2, comma 2, lettera e), della legge n. 67 del 2014 «quale ulteriore soluzione “adeguata”» per la richiesta pronuncia sostitutiva, chiedendo quindi la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 «nella parte in cui prevede la pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro anziché la sanzione amministrativa da 5.000 a 50.000 euro».
6.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
6.1.– La difesa statale osserva in premessa che, secondo questa Corte, la violazione dell’art. 76 Cost. andrebbe circoscritta, diversamente da quanto dedotto dal rimettente, «ai casi di dilatazione dell’oggetto indicato dalla legge di delega» (è citata la sentenza n. 212 del 2018).
Non depenalizzando il reato di cui al più volte citato art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, il Governo, invece, avrebbe soltanto omesso in parte di esercitare la delega conferitagli, ciò che potrebbe sì determinare la sua «responsabilità politica […] verso il Parlamento, ma non una violazione dell’art. 76 Cost., a meno che il mancato parziale esercizio della delega stessa non comporti uno stravolgimento della legge di delegazione» (è citata la sentenza n. 223 del 2019).
Tale stravolgimento, tuttavia, nella specie non sarebbe apprezzabile sulla base della considerazione, svolta dal giudice a quo, che la depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato risponderebbe alla logica ispiratrice della legge n. 67 del 2014.
Come, infatti, affermato nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 8 del 2016, «ciascuna previsione di depenalizzazione ha autonomia strutturale rispetto all’intero contesto di prescrizioni impartite al legislatore delegato» e la «precisa opzione di opportunità politica» consistente nel mancato esercizio della delega «in riguardo ad uno o più dei reati oggetto delle previsioni di depenalizzazione […] dà luogo ad un parziale recepimento della stessa […]».
Questa conclusione sarebbe stata d’altronde condivisa nel parere reso dalla competente Commissione parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della legge n. 67 del 2014, secondo cui l’omessa depenalizzazione in parola si risolverebbe nel mancato esercizio della delega «su un particolare punto, che comunque è del tutto autonomo rispetto alle altre ipotesi di depenalizzazione» (Commissione giustizia della Camera dei deputati, nel parere reso sullo schema di decreto legislativo A.G. 245).
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 31 maggio 2024 (reg. ord. n. 136 del 2024), il Tribunale di Firenze, sezione prima penale, dubita, in riferimento all’art. 76 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 8 del 2016, «nella parte in cui non prevede l’abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo», del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998.
2.– La disposizione denunciata depenalizza un insieme di reati contemplati dalla legislazione speciale, ma non quello di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
3.– Ad avviso del giudice rimettente, con la censurata omissione il legislatore delegato non si sarebbe limitato a esercitare solo parzialmente la delega conferitagli con la legge n. 67 del 2014, ma l’avrebbe esercitata in violazione dello specifico principio e criterio direttivo dettato dal suo art. 2, comma 3, lettera b), che ha previsto l’abrogazione e la trasformazione in illecito amministrativo del suddetto reato, contemplato, come gli altri disciplinati dal denunciato art. 3, dalla legislazione speciale.
Di qui il dedotto vulnus all’art. 76 Cost.
4.– La questione non è fondata.
4.1.– Come chiarito da questa Corte, la legge n. 67 del 2014 persegue «l’obiettivo di deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione criminale. La chiara finalità politico-criminale delle deleghe recate dalla suddetta legge è quindi rinvenibile nell’esigenza di un alleggerimento del sistema penale coerente con il principio della extrema ratio del ricorso alla pena» (sentenza n. 88 del 2024).
È in questa prospettiva che l’art. 2 della legge in esame, al comma 1, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili».
Per conseguire l’obiettivo della deflazione si è fatto ricorso a due distinti strumenti: da un lato, alla depenalizzazione, mediante la trasformazione di un insieme di reati in illeciti amministrativi; dall’altro, all’abrogazione di alcuni reati, con la contemporanea sottoposizione dei corrispondenti fatti a sanzioni pecuniarie civili a carattere punitivo, che si aggiungono all’obbligo delle restituzioni e del risarcimento del danno secondo le leggi civili.
Quanto alla depenalizzazione, il legislatore delegante ne ha individuato l’oggetto utilizzando due criteri selettivi.
Il primo, previsto dall’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, è quello consistente nella cosiddetta depenalizzazione “cieca”, basata su una clausola generale che demanda al legislatore delegato la trasformazione in illeciti amministrativi di «tutti i reati» puniti con la «sola pena della multa o dell’ammenda», a eccezione di quelli riconducibili ad alcune materie (edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d’azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elezioni e finanziamento ai partiti; proprietà intellettuale e industriale).
Il secondo è previsto dalle lettere da b) a d) della stessa disposizione, che hanno indicato nominatim numerose fattispecie di reato contemplate sia dal codice penale che dalla legislazione speciale.
4.2.– Durante i lavori parlamentari – ha ulteriormente precisato la sentenza n. 88 del 2024 – «la materia dell’immigrazione, inizialmente compresa nell’elenco di quelle sottratte alla depenalizzazione “cieca” (disegno di legge A.S. n. 110), è stata in seguito soppressa (in forza del subemendamento n. 1.0.100/5 approvato dalla Commissione giustizia del Senato della Repubblica), con il contestuale inserimento (in quello che sarebbe poi divenuto il comma 3, lettera b, dell’art. 2 della legge n. 67 del 2014) della previsione dell’abrogazione del reato di cui all’art. 10-bis del citato d.lgs. n. 286 del 1998».
A questa prima modifica in senso (meramente) abrogativo, nel corso dei lavori è tuttavia seguito l’intervento del Governo, che, «con altro emendamento, ha introdotto la previsione, accanto alla suddetta abrogazione, della trasformazione in illecito amministrativo del reato in parola, nonché quella secondo cui sarebbe invece dovuta rimanere ferma la rilevanza penale di altre violazioni in materia di immigrazione. Si è così giunti alla formulazione dell’attuale art. 2, comma 3, lettera b), della legge n. 67 del 2014, che dispone: “abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia”».
4.3.– Alla luce di tale dinamica dei lavori parlamentari, risulta chiaro che, nonostante l’impropria collocazione, «la sedes materiae in cui deve essere considerato, al fine di valutare il possibile contrasto con l’art. 76 Cost., il problema della mancata abrogazione e trasformazione in illecito amministrativo del reato di cui al citato art. 10-bis» è la cosiddetta depenalizzazione nominativa, data la presenza di una esplicita previsione che individua nominatim il reato in questione (ancora, sentenza n. 88 del 2024).
4.4.– La disposizione denunciata, l’art. 3 del d.lgs. n. 8 del 2016, riguarda dunque reati previsti dalla legislazione speciale e non contempla quello di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
Le ragioni di tale omissione emergono, però, nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo sottoposto al parere delle competenti commissioni parlamentari.
Qui, infatti, si precisa che le «ragioni politiche sottese alla scelta di non attuare le direttive di depenalizzazione […] sono di agevole comprensione: si tratta di fattispecie che intervengono su materia “sensibile” per gli interessi coinvolti, in cui lo strumento penale appare come indispensabile per la migliore regolazione del conflitto con l’ordinamento innescato dalla commissione della violazione».
Nella medesima relazione si precisa, inoltre, che «ciascuna previsione di depenalizzazione ha autonomia strutturale rispetto all’intero contesto di prescrizioni impartite al legislatore delegato. Questi, pertanto, nel momento in cui ritiene di svolgere una precisa opzione di opportunità politica, non esercitando la delega in riguardo ad uno o più dei reati oggetto delle previsioni di depenalizzazione, dà luogo ad un parziale recepimento della stessa, per esercizio frazionato del potere devolutogli che non intacca la conformità alle direttive nella parte in cui, invece, la delega è attuata».
Non priva di significato, ai fini del controllo operato da questa Corte, è la circostanza che su tale conclusione abbia convenuto la Commissione giustizia (II) della Camera dei deputati, che, nel parere reso sullo schema di decreto legislativo (A.G. 245), ha rilevato che la scelta di non procedere alla depenalizzazione del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 «non incide sulla legittimità del provvedimento in esame, in quanto non si tratta di una violazione dei principi di delega quanto piuttosto di un mancato esercizio della delega su un particolare punto, che comunque è del tutto autonomo rispetto alle altre ipotesi di depenalizzazione […]».
Come più volte rilevato da questa Corte, infatti, «il parere delle Commissioni parlamentari non è vincolante, né esprime interpretazioni autentiche della legge delega, ma costituisce pur sempre elemento che contribuisce alla corretta esegesi di quest’ultima» (ex plurimis, sentenza n. 96 del 2020).
Infine, nella relazione illustrativa dello schema definitivo del decreto legislativo si ribadisce che il Governo «non […] ritiene di esercitare la delega» in parte qua, in considerazione delle «ragioni politiche sottese alla scelta di non attuare le direttive di depenalizzazione», legate al «carattere particolarmente sensibile degli interessi coinvolti dalle fattispecie».
5.– In questi termini, l’omessa depenalizzazione di cui si discute deve essere collocata, al fine della pertinente valutazione di legittimità costituzionale, nell’ambito del rispetto dell’oggetto definito dalla legge delega, trattandosi della mancata attuazione di una sua parte, più che in quello della violazione dei veri e propri principi e criteri direttivi.
Rileva allora il consolidato orientamento di questa Corte, a tenore del quale «il mancato o incompleto esercizio della delega non comporta di per sé la violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, salvo che ciò non determini uno stravolgimento della legge di delegazione» (ordinanza n. 283 del 2013; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 304 del 2011 e n. 149 del 2005).
Quando una tale alterazione non è riscontrabile, l’omissione del legislatore delegato può quindi determinare una responsabilità politica del Governo verso il Parlamento, «non certo una violazione di legge costituzionalmente apprezzabile» (già sentenza n. 8 del 1977).
Questo orientamento sul cosiddetto eccesso di delega in minus è stato da ultimo ribadito dalla sentenza n. 223 del 2019 di questa Corte, impropriamente richiamata dal rimettente a conforto dell’asserita violazione dell’art. 76 Cost., perché nella fattispecie qui in esame non emergono, come invece in quella da cui trae origine tale pronuncia, dubbi interpretativi sul criterio di delega dettato dalla norma interposta, inequivocabile nel suo contenuto.
5.1.– L’omessa depenalizzazione non determina, inoltre, quello stravolgimento della legge di delegazione invece evocato dal rimettente, peraltro non in coerenza con la sostenuta ininfluenza dell’argomento dell’eccesso di delega in minus.
L’omessa attuazione attiene, infatti, a una singola fattispecie di reato, sicché non è idonea a minare il complessivo disegno del legislatore delegante, che ha previsto un’azione di depenalizzazione, “cieca” e nominativa, ad ampio spettro, concernente una vasta platea di reati.
La mancata depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato non è, quindi, suscettibile di pregiudicare in radice il progetto del legislatore delegante.
Anche la Commissione giustizia della Camera dei deputati, come si è visto, ha, del resto, precisato che la scelta del Governo si risolve in «un mancato esercizio della delega su un particolare punto, che comunque è del tutto autonomo rispetto alle altre ipotesi di depenalizzazione».
E anche la giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha già ritenuto manifestamente infondate questioni di legittimità costituzionale in cui si lamentava il solo parziale esercizio delle deleghe conferite con l’art. 2 della legge n. 67 del 2014, con specifico riferimento al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 14 ottobre 2016-11 maggio 2017, n. 23295).