Sentenza 68/2025 (ECLI:IT:COST:2025:68)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore: PATRONI GRIFFI
Udienza Pubblica del 26/02/2025;    Decisione  del 10/03/2025
Deposito del 22/05/2025;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Artt. 8 e 9 della legge 19/02/2004, n. 40 e art. 250 del codice civile.
Massime: 
Massime: 
Atti decisi: ord. 148/2024


Pronuncia

SENTENZA N. 68

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e dell’art. 250 del codice civile, promosso dal Tribunale ordinario di Lucca, sezione civile, in composizione collegiale, nel procedimento vertente tra il pubblico ministero, G. G. e I. P., con ordinanza del 26 giugno 2024, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di costituzione di G. G. e I. P.;

visti gli atti di intervento di D. F. e D. C. nonché del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

uditi l’avvocato Vincenzo Miri per G. G. e I. P. e l’avvocato dello Stato Ruggero Di Martino e l’avvocata dello Stato Gianna De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 10 marzo 2025.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 26 giugno 2024, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Lucca, sezione civile, in composizione collegiale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e dell’art. 250 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione: agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE); agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 e agli artt. 1 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, firmata a Strasburgo il 25 gennaio1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77.

Il complesso delle disposizioni è censurato nella misura in cui impediscono, al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa praticata da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale che, insieme alla madre biologica (per tale dovendosi intendere la donna che ha partorito), abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa e, comunque, laddove impongono la cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale.

1.1.− Il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere sull’azione di rettificazione di cui all’art. 95 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), proposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca nei riguardi dell’atto di nascita del minore G. G.P., formato dall’ufficiale dello stato civile del Comune di C. e iscritto nei registri dello stesso Comune. L’atto è stato impugnato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca in quanto riportava la dichiarazione di riconoscimento resa da due donne nelle rispettive qualità di madre biologica (G. G.) e madre intenzionale (I. P.) in contrasto con quanto previsto dalla circolare del Ministero dell’interno – Dipartimento per gli Affari interni e territoriali 19 gennaio 2023, n. 3. Il pubblico ministero ha anche domandato che «la questione fosse previamente rimessa alla Corte costituzionale».

Al ricorso hanno resistito le madri esercenti la potestà genitoriale e il Sindaco del Comune di C., in qualità di ufficiale di Governo, eccependone in rito l’inammissibilità e nel merito la non fondatezza. Le prime, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso, hanno altresì domandato l’estensione della rettificazione anche all’atto di nascita dell’altra figlia minore della coppia, previa domanda della Procura ricorrente, così da consentire di procedere congiuntamente per entrambi i minori con l’adozione in casi particolari.

Si è altresì costituito nel giudizio a quo il Ministero dell’interno chiedendo l’accoglimento della domanda.

Il Procuratore della Repubblica, appositamente interpellato, ha dichiarato di non estendere la domanda di rettificazione anche all’altra figlia.

Il Collegio rimettente, dopo aver dato conto delle allegazioni delle parti e risolto le questioni preliminari, procede a un’ampia ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale che disciplina la materia, per poi sollevare le questioni di legittimità costituzionale.

1.2.– Dopo aver osservato, in punto di rilevanza, che la decisione della controversia richiede l’applicazione delle disposizioni censurate, in ordine alla non manifesta infondatezza il rimettente esamina distintamente il contrasto delle stesse con i parametri evocati.

La disciplina di cui agli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e dell’art. 250 cod. civ. lederebbe, innanzitutto, l’art. 2 Cost. in quanto frustrerebbe il diritto del minore all’inserimento e alla stabile permanenza nel proprio nucleo familiare – formazione sociale tutelata dalla Carta costituzionale anche se non riconducibile alla famiglia tradizionale – e alla propria identità sociale, presupposto per l’azionabilità dei diritti nei confronti di chi si è assunto la responsabilità di procreare.

Il combinato disposto delle disposizioni censurate contrasterebbe anche con l’art. 3, primo e secondo comma, Cost. per plurimi profili.

In primo luogo, sarebbe violato il principio di uguaglianza formale in quanto il nato all’esito di PMA intrapresa da una coppia di due donne sarebbe non riconoscibile in ragione delle caratteristiche della relazione omosessuale tra i genitori.

La vigente disciplina darebbe luogo a una nuova (e unica) categoria di nati non riconoscibili, come tale soggetta a discriminazione, in ragione delle caratteristiche della relazione (in questo caso, omosessuale) tra i genitori – come lo furono in passato i figli adulterini e i figli incestuosi – e distonica rispetto al principio di unicità dello status giuridico dei figli che ha connotato tutti gli interventi legislativi più recenti in materia di filiazione (la legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali» e il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, recante «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219», nonché il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, recante «Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata»).

In secondo luogo, sarebbe offeso il diritto alla bigenitorialità del bambino inteso come diritto ad avere due persone che, sin dalla sua nascita, si assumano la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione, nei confronti delle quali poter vantare diritti successori ma, soprattutto, poter agire in caso di inadempimento e di crisi della coppia.

In terzo luogo, il mancato riconoscimento delle donne omossessuali quali genitori del nato da fecondazione eterologa praticata dall’una con il consenso dell’altra costituirebbe un ostacolo al pieno sviluppo della loro personalità che spetta alla Repubblica rimuovere.

In quarto luogo, si ravviserebbe una disparità di trattamento tra bambini concepiti da due donne con PMA, a seconda che siano nati all’estero o sul territorio italiano. E ciò in quanto – secondo l’orientamento ormai costante della Corte di cassazione – dei primi è trascrivibile in Italia l’atto formato all’estero con indicazione delle due madri, sicché essi risultano legittimamente figli delle due donne che hanno condiviso il progetto procreativo, mentre ai secondi la preclusione di iscrivere un atto di nascita negli anzidetti termini fa sì che essi risultino figli della sola partoriente, senza il riconoscimento di alcun legame ab origine con la madre intenzionale.

Ma la discriminazione opererebbe anche all’interno di questo secondo gruppo di minori, a seconda che vi sia o meno il rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di procedere all’iscrizione o il pubblico ministero decida o meno di impugnare l’atto riportante l’indicazione anche della madre intenzionale. Tale possibile diversità di status si riscontrerebbe «in termini drammatici» proprio nel nucleo familiare delle resistenti nel giudizio principale in cui la prima figlia risulta riconosciuta come figlia di entrambe le donne, mentre l’altro figlio – in ipotesi di accoglimento dell’impugnazione proposta dalla Procura – risulterebbe figlio solo della madre biologica, con esclusione di ogni legame con la madre intenzionale.

Il che, peraltro, si ripercuoterebbe anche sul legame tra i fratelli, che non avrebbe alcun riconoscimento nel caso in cui non si potessero ritenere i due figli provenienti dallo stesso stipite, posto che ognuno vedrebbe riconosciuto lo status di figlio della sola madre biologica (che corrisponde, per ciascuno dei figli, ad una diversa delle due componenti della coppia).

Il Tribunale di Lucca denuncia poi la contrarietà del complesso delle disposizioni censurate all’art. 30 Cost.

Le disposizioni censurate ne violerebbero, anzitutto, il primo comma, per il mancato riconoscimento del diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli. Ancora, ne lederebbero il terzo comma, che assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, la quale, dunque, andrebbe garantita, attraverso il riconoscimento dello status di figli della coppia, anche ai nati dalle pratiche di fecondazione eterologa cui hanno fatto ricorso due donne legate da una relazione sentimentale riconosciuta dall’ordinamento.

Il mancato riconoscimento dello status di figlio della madre intenzionale contrasterebbe, poi, con la salvaguardia del miglior interesse del minore che trova tutela nell’art. 31 Cost.

Il primario interesse del minore è, infine, anche alla base della dedotta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. per il tramite degli evocati parametri sovranazionali interposti. Nello specifico sarebbero lesi: a) l’art. 8 CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo nelle premesse richiamate, atteso che l’assenza di riconoscimento di un legame tra il bambino e la madre intenzionale pregiudica il primo, lasciandolo in una situazione di incertezza giuridica quanto alla sua identità nella società; b) l’art. 14 CEDU, per l’ingiustificata disparità di trattamento tra i nati, a seconda che siano stati concepiti con fecondazione eterologa praticata da coppia eterosessuale o da coppia omosessuale, essendo solo questi ultimi destinati ad uno status di figli unigenitoriali; c) l’art. 24, paragrafo 3, CDFUE, che prevede che «[i]l minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse»; d) gli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, in quanto sarebbero violati gli impegni, assunti dallo Stato italiano in sede di ratifica, 1) a rispettare e garantire ad ogni fanciullo i diritti enunciati dalla Convenzione senza distinzione di sorta e ad adottare tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione (art. 2); 2) a tenere in considerazione «l’interesse superiore del fanciullo» in tutte le decisioni relative ai bambini (artt. 3 e 4); 3) a rispettare la responsabilità, il diritto ed il dovere dei genitori o dei membri della famiglia allargata di dargli l’orientamento ed i consigli adeguati all’esercizio dei diritti che gli sono convenzionalmente riconosciuti (art. 5); 4) a salvaguardare il diritto del fanciullo a essere «registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora» ad avere un nome «e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi» (art. 7); 5) a garantire il diritto del fanciullo «a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni famigliari» (art. 8); 6) a far sì che la separazione dai genitori sia misura di salvaguardia dell’interesse preminente del minore (art. 9) e, infine, 7) a garantire il riconoscimento del principio comune secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo ed il provvedere al suo sviluppo (art. 18); e) gli artt. 1 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli che impongono l’assunzione di decisioni giurisdizionali nel superiore interesse dei minori.

1.3.− Nella parte finale, l’ordinanza si confronta con la sentenza n. 32 del 2021 di questa Corte, che ha dichiarato l’inammissibilità di analoga questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e dell’art. 250 cod. civ. per «il rispetto dovuto alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario».

Il Collegio ritiene di poter riproporre i dubbi di legittimità costituzionale a questa Corte.

A tal fine sottolinea come la richiamata pronuncia abbia riscontrato in ordine alle fattispecie de quibus una preoccupante lacuna dell’ordinamento, che richiede un impellente intervento del legislatore tramite una disciplina organica della materia volto a colmare il divario tra la realtà fattuale e quella legale nel rapporto del minore con la madre intenzionale, nell’ottica di conferire riconoscimento giuridico ai legami affettivi e familiari esistenti, anche se non biologici, e all’identità personale del minore.

Del monito così rivolto al legislatore l’ordinanza di rimessione evidenzia, da un lato, l’espressione che l’accompagna secondo cui «non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa», e dall’altro, che esso, allo stato, è rimasto inascoltato.

Nel silenzio del legislatore e a fronte sia degli interventi disomogenei degli ufficiali di stato civile sia dei non univoci e non del tutto risolutivi approdi interpretativi della giurisprudenza, il giudice a quo reputa necessario interrogare nuovamente questa Corte.

1.4.− Il Tribunale rafforza la sua istanza di vaglio di costituzionalità delle disposizioni censurate con due osservazioni.

Da una parte, sono menzionate le parole con cui il Presidente di questa Corte, nella relazione del 18 marzo del 2024, ha affermato che laddove il legislatore rinunci «ad una prerogativa che ad esso compete», di fatto obbliga la Corte «a procedere con una propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell’imperativo di osservare la Costituzione».

Dall’altra parte, viene rimarcato che nella giurisprudenza costituzionale si rinvengono già casi in cui, laddove il compito del legislatore di provvedere all’adozione della disciplina necessaria a rimuovere il vulnus costituzionale riscontrato sia rimasto inadempiuto, ad una pronuncia di inammissibilità ha fatto seguito una sentenza di illegittimità costituzionale, tanto più se vengono in rilievo diritti fondamentali.

2.− Con atto depositato il 10 settembre 2022, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le sollevate questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.

2.1.– L’inammissibilità è eccepita per due distinti profili.

In primo luogo, perché il rimettente non avrebbe sperimentato un’interpretazione conforme alla luce del diritto vivente.

Il Presidente del Consiglio dei ministri rammenta che la Corte di cassazione ha da tempo ammesso il ricorso all’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, primo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia) in favore delle coppie omoaffettive, la cui pienezza di effetti sarebbe oramai garantita a seguito dell’intervento della sentenza n. 79 del 2022 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della relativa disciplina nella parte in cui non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante, nonché della sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 30 dicembre 2022, n. 38162, secondo la quale la mancanza di consenso del genitore biologico, se ingiustificata, non impedisce l’adozione in casi particolari da parte di quello intenzionale.

Ne deriva, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, che per effetto dei menzionati interventi giurisprudenziali, e nonostante l’assenza dell’intervento normativo sollecitato dalla citata sentenza n. 32 del 2021, le carenze più significative dell’istituto dell’adozione non legittimante sarebbero state già superate, sicché la condizione del minore nato dal ricorso di coppia omosessuale a pratiche di PMA non sarebbe la medesima di quella oggetto del giudizio di legittimità costituzionale nel 2021.

In secondo luogo, la difesa statale eccepisce la manifesta inammissibilità della questione perché tesa ad ottenere una sentenza manipolativa additiva in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità legislativa, nella quale, quindi, difetterebbe un’unica soluzione costituzionalmente obbligata. Conseguentemente, l’intervento richiesto risulterebbe eccedente rispetto ai poteri spettanti a questa Corte, come affermato dalla stessa sentenza n. 32 del 2021.

2.2. − Nel merito, l’interveniente illustra i motivi per i quali le questioni sarebbero comunque non fondate, sia con argomenti sistematici, sia con argomenti sviluppati in relazione alle singole censure.

Per il nato da coppie omosessuali – secondo la già menzionata giurisprudenza di legittimità – l’interesse al riconoscimento giuridico del suo rapporto con il genitore d’intenzione troverebbe tutela, comunque, attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari. Di contro, il rapporto tra genitore d’intenzione e minore non potrebbe trovare automatico riconoscimento nella disciplina della filiazione, che nell’ordinamento interno risulta saldamente ancorata al rapporto biologico tra il nato e i genitori, la cui esclusione richiederebbe, a pena di inevitabili squilibri, radicali modifiche di sistema, non realizzabili attraverso un intervento episodico del giudice delle leggi.

L’atto difensivo si sofferma, poi, sulle singole censure.

Quanto alla presunta violazione dell’art. 2 Cost., le limitazioni legislative al riconoscimento della figura del genitore d’intenzione non si porrebbero in contrasto con un preteso diritto alla genitorialità, ma sarebbero pienamente rispondenti all’esigenza di contemperare tale aspirazione con la tutela del superiore interesse del minore.

Il contrasto delle disposizioni censurate con l’art. 3 Cost. sarebbe insussistente sotto il profilo di una disparità di trattamento basata sull’orientamento sessuale, in quanto mancherebbe un’effettiva omogeneità tra le coppie eterosessuali sterili o infertili e quelle omosessuali, fisiologicamente impossibilitate a procreare.

La violazione degli artt. 30 e 31 Cost., poi, deriverebbe da una non condivisibile prospettazione “adultocentrica”, che non terrebbe conto della visione “paidocentrica” dell’art. 30 Cost.

L’atto di intervento assume, infine, il rispetto da parte delle disposizioni censurate dell’art. 117, primo comma, Cost., rammentando che la CEDU, al pari della Carta di Nizza, rinvierebbe alle leggi degli Stati firmatari per la tutela dei diritti convenzionalmente garantiti in materia familiare, così ponendo una «riserva assoluta di legislazione nazionale».

3.− Si sono costituite le resistenti nel giudizio a quo che hanno chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e dell’art. 250 cod. civ. negli stessi termini auspicati dal rimettente.

Le parti hanno illustrato, condiviso e sostenuto le argomentazioni spese dall’ordinanza di rimessione; inoltre, hanno condotto alcune riflessioni aggiuntive, anzitutto di tipo trasversale. In particolare, viene evidenziato che nello specifico caso del figlio generato con progetto procreativo di una coppia femminile non vi è (ordinariamente) ricorso alla maternità surrogata e, dunque, l’attribuzione della genitorialità alla madre d’intenzione non arrecherebbe offesa alla dignità della donna, né comporterebbe il rischio di lesione di altri valori costituzionali: l’interesse del minore al riconoscimento dello status filiationis non dovrebbe essere, allora, bilanciato con interessi contrapposti.

Sotto altro versante, ci si è soffermati sui limiti di tutela offerta al minore per il tramite dell’istituto dell’adozione non legittimante, sottolineando che: a) i tempi lunghi di ottenimento della sentenza definitiva per l’adozione genererebbe un lungo periodo di incertezza giuridica sulla condizione personale del minore; b) l’art. 48, «comma II [recte: comma terzo]», della legge n. 184 del 1983 esclude per l’adottante l’usufrutto legale sui beni del minore, con compressione della piena e libera gestione del patrimonio familiare da parte del genitore nell’interesse dei figli; c) per l’adozione in casi particolari è prevista la revoca (artt. 51 e seguenti della legge n. 184 del 1983) – promuovibile anche dal pubblico ministero pur se per mero inadempimento dei doveri genitoriali (art. 53) – con irreversibile cesura del rapporto di filiazione, che non trova analogie né nella disciplina dell’adozione piena né in quella relativa alla responsabilità genitoriale.

Analoghe argomentazioni vengono svolte nella memoria depositata il 20 novembre 2024, soffermandosi in particolare sull’inammissibilità dell’intervento spiegato da D. F. e D. C., stante la totale estraneità della vicenda sottoposta al giudice rimettente rispetto a fattispecie di surrogazione di maternità e l’assenza di una possibile incidenza, men che mai immediata e diretta, della evocata pronuncia di illegittimità costituzionale relativa agli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e all’art. 250 cod. civ., la quale avrebbe esclusivo riguardo a ipotesi, come quelle scrutinate dal Tribunale di Lucca, relative alla co-maternità in capo a due donne, del tutto distinte dalla surrogazione di maternità.

4.− Con atto depositato il 10 settembre 2024, sono altresì intervenuti in giudizio D. F. – in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sul minore M.L. F.C. – e D. C. i quali sostengono la propria legittimazione esponendo di aver fatto ricorso ad un percorso legale intrapreso negli Stati Uniti di gestazione e di aver esperito, su autorizzazione del giudice tutelare, nell’interesse del minore, l’azione di cui all’art. 279 cod. civ. per il riconoscimento alla responsabilità genitoriale del padre di intenzione

In data 30 gennaio 2025, gli intervenienti hanno depositato memoria con cui hanno rinunciato al proprio intervento.

5.− Sono pervenute quattro opinioni scritte di amici curiae, ammesse con decreto presidenziale del 5 novembre 2024.

In particolare, hanno depositato opinioni a sostegno delle sollevate questioni di legittimità costituzionale le formazioni sociali senza scopo di lucro Passione civile con Valerio Onida, Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica APS e Rete Lenford - Avvocatura per i diritti LGBTI+ Associazione di promozione sociale. Al contrario, il Centro studi Rosario Livatino ha depositato una opinione scritta per la declaratoria di irricevibilità, inammissibilità o non fondatezza delle questioni.


Considerato in diritto

1.− Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Lucca, sezione civile, in composizione collegiale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e dell’art. 250 cod. civ., in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione: agli artt. 8 e 14 CEDU, come interpretati dalla Corte EDU; all’art. 24 CDFUE; agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e agli artt. 1 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli.

Il complesso delle disposizioni è censurato laddove impedisce, al nato a seguito di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale che, insieme alla madre biologica (per tale dovendosi intendere la donna che ha partorito), abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa e, comunque, laddove impone la cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale.

2.– Devono essere vagliate preliminarmente le eccezioni di inammissibilità formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– La difesa dell’interveniente eccepisce l’inammissibilità delle questioni sollevate per non avere il giudice a quo tentato «una interpretazione conforme alla luce del diritto vivente». In sostanza, si osserva che il principio del miglior interesse del minore risulterebbe adeguatamente assicurato dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, che riconosce la possibilità per il genitore intenzionale di ricorrere all’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983; e ciò ancor più adesso che le carenze maggiormente significative di tale istituto sarebbero state superate, sicché la condizione del minore nato dal ricorso di coppia di donne a pratiche di PMA non sarebbe la medesima di quella oggetto della sentenza di questa Corte n. 32 del 2021.

Tale eccezione va disattesa.

Anche a non voler considerare che il giudice rimettente, con argomentazioni approfondite, ha ritenuto non praticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 8 e 9, ravvisando un «insormontabile ostacolo nell’univoco tenore letterale dell’enunciato normativo, letto anche in una logica sistematica», le valutazioni dell’Avvocatura generale dello Stato a supporto dell’eccezione, più che toccare il mancato esperimento dell’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, si riferiscono alla ritenuta adeguatezza dello strumento dell’adozione in casi particolari a rispondere agli interessi costituzionali in gioco.

In tal modo, dunque, confonde il piano dell’esperimento dell’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate con il merito della questione, poiché gli argomenti sono invero volti a escludere il vulnus paventato dal giudice rimettente.

2.2.– La difesa dell’interveniente eccepisce, inoltre, l’inammissibilità delle questioni, perché tese a ottenere «una sentenza manipolativa additiva» in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità legislativa, rispetto alla quale difetterebbe un’unica soluzione costituzionalmente obbligata.

L’Avvocatura generale dello Stato richiama ancora la sentenza n. 32 del 2021, la quale, nel ritenere inammissibili le questioni prospettate in termini analoghi a quelle ora sollevate dal Tribunale di Lucca, ha affermato che un intervento di questa Corte avrebbe rischiato di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato.

Anche questa eccezione è priva di fondamento in quanto, diversamente dalle questioni attualmente in esame, allora si chiedeva a questa Corte un intervento sulle disposizioni censurate «là dove, sistematicamente interpretate, non consentono al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche della donna che, insieme alla madre biologica, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore», instando, cioè, per il superamento del mancato consenso del genitore biologico quale ostacolo per il perfezionamento dell’adozione cosiddetta non legittimante. È in relazione a tale profilo che questa Corte ha osservato, dunque, che si sarebbe potuta avere una disarmonia nel caso di un suo intervento nel senso di prevedere, «per il nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, il riconoscimento dello status di figlio, in caso di crisi della coppia e rifiuto dell’assenso all’adozione in casi particolari, laddove, invece, lo status – meno pieno e garantito – di figlio adottivo, ai sensi dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983, verrebbe a essere riconosciuto nel caso di accordo e quindi di assenso della madre biologica alla adozione».

3.– L’esame delle questioni richiede fin d’ora di perimetrare l’oggetto del presente giudizio, che ha riguardo al solo profilo concernente lo stato di figlio nato in Italia da PMA praticata, in uno Stato estero e nel rispetto della lex loci, da una donna, con il consenso di un’altra donna nel contesto di un progetto genitoriale con assunzione della relativa responsabilità. Rimane, dunque, estraneo il diverso profilo delle condizioni, soggettive e oggettive, di accesso alla PMA in Italia e dei correlati divieti, come attualmente previsti dall’ordinamento.

Le questioni in oggetto si collocano, pertanto, su un piano differente da quello dell’aspirazione alla genitorialità da parte delle coppie omosessuali, rispetto alla quale questa Corte ha ritenuto «non eccedente il margine di discrezionalità» la scelta del legislatore di precludere loro l’accesso alle tecniche procreative (sentenza n. 221 del 2019).

Del pari estranei al presente giudizio sono i profili legati alla filiazione da modalità della gestazione per altri (cosiddetta maternità surrogata) che costituisce una tematica affatto diversa.

Le odierne questioni non concernono, pertanto, la qualificazione giuridica dell’aspirazione alla genitorialità ma l’interesse del figlio nato in Italia da PMA praticata all’estero a che sia affermata, in capo a entrambe le donne che abbiano fatto ricorso a questa tecnica, la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati alla scelta di divenire genitori.

Pertanto, le censure del giudice rimettente devono intendersi riferite al solo art. 8 della legge n. 40 del 2004.

4.– Sono fondate, nei termini che seguono, le dedotte questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 Cost., con assorbimento degli ulteriori profili.

5.– La disamina delle suddette questioni involge la relazione tra genitore e minore che, con l’affermarsi delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ha visto emergere una responsabilità scaturente dalla «volontà [che] porta alla nascita una persona che altrimenti non sarebbe nata» (sentenza n. 127 del 2020) e che implica il diritto del nato a vedersi riconosciuto come figlio di chi quella nascita ha voluto.

6.– La possibilità che il vincolo genitoriale scaturisca da un atto di assunzione di responsabilità è, del resto, coerente con l’essenza stessa del rapporto genitori-figli che, anche quando sorga dal fatto naturale della procreazione, comporta una assunzione di responsabilità, come testimonia emblematicamente il passaggio dalla potestà alla responsabilità genitoriale (art. 316 cod. civ.). Questa costituisce piena e appropriata attuazione del principio sotteso all’art. 30 Cost., nella cui formula questa Corte già individuava «gli obblighi di mantenimento ed educazione della prole, derivanti dalla qualità di genitore» (sentenza n. 308 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 394 del 2005, richiamata dalla sentenza 32 del 2021).

Tale responsabilità e gli obblighi a essa correlati si giustificano proprio alla luce della riconducibilità della nuova vita alla volontà di coloro che intraprendono il percorso genitoriale; volontà che, nel caso della procreazione diversa da quella naturale, si svela e si esprime attraverso il “consenso” prestato al ricorso alle tecniche di PMA (sentenza n. 161 del 2023), al quale va per l’appunto ricondotta la «“responsabilità” conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa» (sentenze n. 230 del 2020 e n. 237 del 2019).

Tanto si desume sia dall’art. 8 della legge n. 40 del 2004 – ai sensi del quale i nati a seguito di un percorso di fecondazione medicalmente assistita hanno lo stato di «figli nati nel matrimonio» o di «figli riconosciuti» della coppia che questo percorso ha avviato – sia dal successivo art. 9 della stessa legge che, con riguardo alla fecondazione di tipo eterologo – vietata nell’originario impianto della legge n. 40 del 2004, ma oggi consentita nei casi indicati da questa Corte con le sentenze n. 96 del 2015 e n. 162 del 2014 –, coerentemente stabilisce che il «coniuge o il convivente» (della madre naturale), pur in assenza di un suo apporto biologico, non possa, comunque, poi esercitare l’azione di disconoscimento della paternità né l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (sentenza n. 237 del 2019); in tal modo sancendo l’impossibilità di sottrarsi alle conseguenze derivanti dalla decisione di intraprendere un percorso genitoriale con il ricorso alla PMA. Come rilevato dalla sentenza n. 127 del 2020, infatti, il divieto d’impugnare il riconoscimento è per l’appunto «volto a sottrarre il destino giuridico del figlio ai mutamenti di una volontà che, in alcuni casi particolari e a certe condizioni, tassativamente previste, rileva ai fini del suo concepimento».

Il sistema che si è venuto delineando nel tempo, dunque, avuto riguardo tanto all’impianto originario della legge n. 40 del 2004 (art. 9), quanto ai successivi interventi di questa Corte, prevede che il riconoscimento dello stato di figlio nato all’esito del ricorso alle tecniche di PMA possa, a certe condizioni, prescindere dal rispetto delle condizioni di accesso contemplate dall’ordinamento.

Il consenso ha un valore tale da rappresentare un adeguato fondamento per il sorgere della responsabilità genitoriale anche in ipotesi di scissione tra identità biologica e identità giuridica, fondata, in base all’art. 6 della legge n. 40 del 2004, sul consenso comune al progetto di genitorialità, ritenuto titolo idoneo a fondare lo status filiationis (sentenza n. 162 del 2014).

7.– Dal comune impegno volontariamente assunto discendono i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale.

Come già rimarcato da questa Corte, la legge non dà una definizione della responsabilità genitoriale, ma nell’art. 147 cod. civ. prevede i doveri dei coniugi verso i figli, individuandoli negli obblighi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. La norma ripete la formula dell’art. 30, primo comma, Cost. e «dal combinato disposto delle due disposizioni si evince il nucleo di detta responsabilità, che si collega all’obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socioeconomiche dei genitori stessi» (sentenza n. 31 del 2012).

A tali doveri corrisponde un insieme di diritti in capo al figlio, articolati dal legislatore, per l’appunto, nel «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni»; nel «diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315-bis cod. civ.) e nel «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 337-ter cod. civ.).

8.− Emerge, in tale contesto, il secondo concetto guida rilevante, costituito dall’interesse del minore o, per come si esprimono le fonti internazionali, dal “miglior interesse del minore”.

8.1.− Il primario interesse del minore, titolare dei diritti corrispondenti al fascio di doveri sopra ricordati, è stato costantemente affermato da questa Corte, quale «principio che è riconducibile agli artt. 2, 30 (sentenze n. 102 del 2020 e n. 11 del 1981) e 31 Cost. (sentenze n. 102 del 2020, n. 272, n. 76 e n. 17 del 2017, n. 205 del 2015, n. 239 del 2014) e che viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento» (sentenza n. 79 del 2022).

Qualora vi sia una coppia di persone che ha intrapreso il percorso genitoriale, non è sufficiente il solo riconoscimento del rapporto con la madre biologica, sussistendo il «diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori» (sentenza n. 102 del 2020), diritto riconosciuto a livello di legislazione ordinaria (art. 315-bis, primo e secondo comma, e 337-ter, primo comma, cod. civ.) e affermato altresì da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea (art. 8, comma 1, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo nonché art. 24, paragrafo 3, CDFUE). In altri termini – come osservato nella sentenza n. 33 del 2021 – ciò che è qui in discussione è unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali ai suoi interessi che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali. Doveri ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi.

8.2.− Questa Corte ha, dunque, più volte ribadito la progressiva emersione della centralità dell’interesse del minore nel sistema normativo, alla luce dei princìpi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria (da ultimo, sentenza n. 55 del 2025, nella materia penale).

Nel nostro ordinamento – si è detto – «l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità», specialmente dopo le riforme del diritto di famiglia cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore (sentenza n. 31 del 2012).

Con la sentenza n. 272 del 2017 si è sottolineato che «[p]roprio al fine di garantire tutela al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, sin da epoca antecedente alla legge n. 40 del 2004, questa Corte – senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, “né […] il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione” – si è preoccupata “invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato […], non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare” (sentenza n. 347 del 1998)».

In altri termini, questa Corte, sin dal 1998, ha rilevato la centralità dell’interesse del minore pur quando la fecondazione eterologa, e la stessa PMA, non erano ancora consentite; e ciò in relazione, non solo ai diritti garantiti dagli artt. 30 e 31 Cost., ma anche ai diritti del minore nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità.

Il tutto proprio alla luce della duplice considerazione di «una logica fondata sulle responsabilità che discendono dalla filiazione e sull’esigenza di perseguire il miglior interesse del minore» (così sentenza n. 79 del 2022).

8.3.– In parallelo alla considerazione della centralità dell’interesse del minore, si è venuta delineando, strettamente correlata allo stesso, l’affermazione dell’unicità dello stato di figlio, quale principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013, compendiato dal nuovo art. 315 cod. civ. per cui «[t]utti i figli hanno lo stesso stato giuridico». In forza di tale principio tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento (all’interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme) godono della medesima considerazione, con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio (art. 315-bis cod. civ.), sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 74 cod. civ.).

E all’unicità dello stato di figlio si ricollega anche la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma che vietava il riconoscimento dei figli nati da incesto (sentenza n. 494 del 2002), in quanto tale disposizione precludeva «loro l’acquisizione di un pieno status filiationis in ragione soltanto della condotta penalmente illecita dei loro genitori» (sentenza n. 33 del 2021); preclusione al riconoscimento ritenuta giustificata solo se e nella misura in cui il riconoscimento medesimo fosse contrario all’interesse in concreto del minore. La preclusione non poteva legittimamente fondarsi, per converso, sulla mera illiceità penale della condotta dei genitori, la quale, peraltro, finirebbe col coinvolgere ingiustificatamente soggetti totalmente privi di responsabilità, come sono i figli di genitori incestuosi, meri portatori delle conseguenze del comportamento dei loro genitori e designati dalla sorte a essere involontariamente, con la loro stessa esistenza, segni di contraddizione dell’ordine familiare (così, sentenza n. 494 del 2002).

8.4.– Nel quadro di princìpi testé delineato, il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato.

L’orientamento sessuale, infatti, «non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali» (sentenza n. 32 del 2021), né «incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale» (sentenza n. 33 del 2021).

Un’inidoneità genitoriale, in sé, della coppia omossessuale è stata costantemente esclusa da questa Corte che, in linea anche con la giurisprudenza di legittimità in materia di accesso alla PMA (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962), ha già avuto occasione di affermare che «non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore» (sentenze n. 32 del 2021 e n. 221 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022 e n. 230 del 2020).

Va da sé che anche con riferimento alla omogenitorialità – come per qualsivoglia figura genitoriale – è possibile ricorrere agli strumenti predisposti dall’ordinamento nell’interesse in concreto del minore in caso di incapacità dei genitori ad assolvere i loro compiti, così come agli strumenti previsti per le ipotesi di difetto di veridicità delle dichiarazioni rese innanzi all’ufficiale di stato civile e di contestazione dei presupposti di riconoscimento dello status.

9.– La centralità dell’interesse del minore, raccordata con la responsabilità dei genitori che hanno legittimamente avviato di comune accordo il percorso di PMA, richiede di individuare in concreto quale sia il livello di protezione di tale interesse e quali siano le condizioni perché al nato possa essere riconosciuto lo stato di figlio anche della madre intenzionale.

9.1.− L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita. Il riconoscimento, per sua natura, opera da subito e indipendentemente dalle vicende della coppia e da eventuali mutamenti, al momento della nascita, della stessa volontà delle due donne che hanno fatto ricorso alla PMA e in particolare della madre intenzionale.

A tale riguardo assume rilievo quanto chiarito da questa Corte nella più volte citata sentenza n. 32 del 2021 – concernente un caso simile a quello in esame – in cui è stata individuata, nella vigente legislazione, la sussistenza di un vulnus, alle garanzie del nato da PMA praticata da una coppia di donne, nella disciplina che consente l’attribuzione dello stato di figlio della sola madre biologica, sottolineando «una preoccupante lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi [intesi] come necessaria permanenza dei legami affettivi e familiari, anche se non biologici, e riconoscimento giuridico degli stessi, al fine di conferire certezza alla costruzione dell’identità personale». E, del resto, questa Corte già aveva posto in luce come il riconoscimento formale dello status filiationis costituisse un diritto che è «elemento costitutivo dell’identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall’art. 2 della Costituzione» (sentenza n. 32 del 2021).

La necessità di una «diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la “madre intenzionale”, che ne attenui il divario tra realtà fattuale e realtà legale», era stata poi evidenziata con la sentenza n. 230 del 2020 e di recente – come si è detto – ribadita dalla sentenza n. 32 del 2021, che, nel segnalare la ricordata «preoccupante lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi», lamenta che questi, «destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi».

9.2.− A tal fine è stato anche posto in rilievo come l’attuale disciplina dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico, appaia insufficiente per sanare il vulnus all’identità personale e all’interesse del minore a vedersi riconosciuto lo stato di figlio ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004 (sentenza n. 32 del 2021).

È bensì vero che – come segnalato dall’Avvocatura generale dello Stato – rispetto alla disciplina sussistente al momento del riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore stigmatizzato dalla citata sentenza n. 32 del 2021, è intervenuta una significativa attenuazione di due dei profili di criticità dell’adozione non legittimante, ad opera della giurisprudenza di questa Corte e di quella di legittimità: la mancata previsione di alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante (sentenza n. 79 del 2022); la precisazione che il rifiuto dell’assenso all’adozione, da parte del genitore biologico, è ragionevole e può sortire effetti preclusivi soltanto se espresso nell’interesse del minore, ossia quando non si sia realizzato tra quest’ultimo ed il genitore d’intenzione quel legame esistenziale la cui tutela costituisce il presupposto dell’adozione (tra le ultime, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 29 agosto 2023, n. 25436).

9.3.– E, però, il pur importante mutamento subito dalla disciplina dell’adozione cosiddetta non legittimante negli ultimi anni non comporta, nella diversa prospettiva posta dalle odierne questioni, un decisivo ridimensionamento del deficit di tutela già ravvisato da questa Corte (sentenza n. 32 del 2021 e, ancor prima, sentenza n. 230 del 2020), dovendosi ritenere piuttosto che sussista una vera e propria inidoneità di tipo strutturale. E ciò per la determinante e assorbente considerazione che, mediante il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari, l’acquisizione dello status di figlio è fisiologicamente subordinata all’iniziativa dell’aspirante adottante e allo svolgimento di un procedimento, caratterizzato da costi, tempi e alea propri di tutti i procedimenti. Inoltre, e soprattutto, l’eventuale esito positivo del procedimento non può che spiegare effetto dal suo perfezionamento.

Quanto all’iter procedimentale, va considerato che vi sono costi legati alla necessaria difesa tecnica e tempi, di certo non brevi, posti dalla natura stessa dell’istruttoria richiesta per tale procedimento, che, ai sensi dell’art. 57 della legge n. 184 del 1983, prevede il coinvolgimento dei servizi locali e degli organi di pubblica sicurezza.

Il che, se è coerente con la logica dell’istituto dell’adozione, non risponde alle esigenze del riconoscimento dello stato di figlio sin dal momento della nascita quale conseguenza che discende, come nella generalità dei casi, dal comune impegno genitoriale assunto all’inizio del relativo percorso attraverso la PMA.

Ma, ciò che più rileva sul piano delle tutele, il lasso di tempo intercorrente tra la nascita e il perfezionamento dell’(eventuale) adozione lascia il minore in uno stato di incertezza e imprevedibilità in ordine al suo stato, e, quindi, alla sua identità personale, esponendolo alle vicende della coppia e comunque alla mera volontà di uno dei due soggetti, e in particolare della madre intenzionale.

Infatti, l’avvio del procedimento è rimesso all’esclusiva iniziativa dell’adottante e la volontà di adottare deve permanere fino alla sua conclusione, con la conseguenza che si lascia completamente alla volontà proprio di chi ha condiviso il ricorso alla PMA di decidere se assumersi o meno gli obblighi genitoriali conseguenti alla sua scelta.

Di contro, non è prevista alcuna legittimazione in capo al minore (o a chi ne ha la rappresentanza legale) né, tantomeno, in capo alla madre biologica e, più in generale, nessuno strumento di tutela è accordato agli stessi per l’eventualità in cui la madre intenzionale decida di non procedere all’adozione, sicché proprio a lei viene a essere consentito di sottrarsi ai doveri assunti al momento della decisione di intraprendere con la partner il percorso genitoriale.

Ancora, in caso di morte della madre intenzionale o di intervenuta crisi della coppia nessun diritto potrà configurarsi in capo al minore nei confronti della madre intenzionale.

10.– Non possono poi essere sottaciute le ulteriori ragioni per cui l’acquisizione dello stato giuridico del nato è attualmente caratterizzato da assoluta incertezza e imprevedibilità.

Sul territorio nazionale, ad oggi, si assiste a una significativa eterogeneità di comportamenti tenuti dagli ufficiali di stato civile in ordine alla decisione di iscrivere o meno il nome della madre intenzionale del nato da PMA, oltre che dai pubblici ministeri in ordine alla decisione, in caso di iscrizione, di chiedere la rettificazione dell’atto.

Tale condizione di incertezza e imprevedibilità non è neanche destinata ad avere un termine. Infatti, qualora l’ufficiale di stato civile iscriva l’atto di nascita con l’indicazione anche della madre intenzionale (e il pubblico ministero non proceda immediatamente per la rettificazione), la situazione resta soggetta a una perpetua precarietà, in quanto l’istanza di rettificazione da parte del pubblico ministero non è soggetta a limiti temporali (ex art. 95, comma 2, del d.P.R. n. 396 del 2000).

Il potenziale cortocircuito del sistema emerge in modo evidente proprio nella fattispecie oggetto del giudizio a quo. La coppia, facendo ricorso alla PMA all’estero, nel rispetto della lex loci, ha avuto una prima figlia, il cui atto di nascita riporta anche la madre intenzionale e non è stato (sino ad ora) oggetto di istanza di rettificazione. A distanza di un anno e mezzo, sempre facendo ricorso alla PMA all’estero, ha avuto un secondo figlio, il cui atto di nascita, ugualmente riportante anche l’indicazione della madre intenzionale, è stato, invece, oggetto di istanza di rettificazione dal pubblico ministero, che, in caso di accoglimento, porterà alla cancellazione dell’indicazione della madre intenzionale. Peraltro, nel giudizio di fronte al Tribunale di Lucca, la richiesta al pubblico ministero di estendere l’istanza di rettificazione anche all’atto di nascita della prima figlia è stata negata, con la conseguenza quindi che, in caso di accoglimento dell’istanza di rettificazione avanzata dal pubblico ministero nel giudizio a quo, si avrebbero due figli, frutto del condiviso percorso genitoriale di coppia, privi di legame tra loro e con un diverso status: la primogenita risulterebbe figlia di entrambe le madri, mentre il secondogenito solo della madre biologica. Con l’ulteriore possibile sviluppo che, in ipotesi di una futura determinazione del pubblico ministero di proporre istanza di rettificazione con riferimento alla prima figlia e di un suo accoglimento, la conseguente perdita dello status di figlia della madre intenzionale comporterebbe che i due fratelli non vanterebbero più alcun tipo di legame tra loro, attesa la diversità delle madri biologiche.

11.– L’impedimento posto dall’art. 8 della legge n. 40 del 2004 a essere sin dalla nascita riconosciuto come figlio di entrambe le donne che hanno deciso di fare ricorso a tecniche di PMA – che, nel rispetto della lex loci, darebbero luogo a un rapporto di filiazione con il nato all’estero, suscettibile nell’ordinamento interno di riconoscimento e trascrizione – determina, dunque, un vulnus all’interesse del minore, d’altra parte già ravvisato da questa Corte con la più volte citata sentenza n. 32 del 2021.

12.− Vero è che l’interesse del minore, per quanto centrale, non è un interesse “tiranno”, che debba sempre e comunque prevalere. Al pari di ogni interesse costituzionalmente rilevante, esso può essere oggetto di un bilanciamento in presenza di un interesse di pari rango.

Ma, con riguardo all’odierna questione, non si pone un problema di bilanciamento, in quanto non è ravvisabile alcun controinteresse di peso tale da richiedere e giustificare una compressione del diritto del minore a vedersi riconosciuto il proprio stato di figlio (della madre intenzionale) automaticamente sin dal momento della nascita.

12.1.− Sotto tale profilo, la situazione in esame si distingue radicalmente dall’ipotesi di ricorso alla cosiddetta maternità surrogata, in cui viene in considerazione la finalità di disincentivare il ricorso a una pratica che l’ordinamento italiano considera meritevole di sanzione penale e violativa di un principio di ordine pubblico, in quanto offende la dignità della donna (Cass., n. 38162 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022; n. 33 del 2021 e n. 272 del 2017).

13.– In conclusione, questa Corte ritiene che il mancato riconoscimento – riconoscimento effettuato secondo le modalità previste dall’ordinamento (artt. 250 e 254 cod. civ. e d.P.R. n. 396 del 2000) − al nato in Italia dello stato di figlio di entrambe le donne che, sulla base di un comune impegno genitoriale, abbiano fatto ricorso a tecniche di PMA praticate legittimamente all’estero costituisca violazione: dell’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse; dell’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli. La lesione ricondotta dal rimettente al «complesso delle disposizioni censurate» va ascritta in particolare all’art. 8 della legge n. 40 del 2004.

14.– Accertata la persistenza di un vulnus anche rispetto al quadro normativo esaminato dalla sentenza n. 32 del 2021 e l’insussistenza di un controinteresse tale da giustificare un bilanciamento rispetto all’interesse del minore a vedersi riconosciuto automaticamente e sin dalla nascita lo status di figlio anche della madre intenzionale, questa Corte – venendo in rilievo l’esigenza di assicurare la tutela effettiva di diritti fondamentali, incisi dalle scelte, anche omissive, del legislatore – non può giustificare l’inerzia protrattasi per anni ed esimersi dal porre rimedio nell’immediato al vulnus riscontrato, garantendo il livello di protezione che la Costituzione esige che sia assicurato.

15.– Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, per violazione degli artt. 2, 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti (nei termini sopra richiamati: punto 12), a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.

Resta assorbita ogni altra censura.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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