Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 4 dicembre 2024, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2024, la Corte d’appello di Brescia, sezione lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio», nella parte in cui «non riconosce il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice quando è secondo genitore equivalente in una coppia di due donne risultanti genitori nei registri dello stato civile».
La norma denunciata violerebbe gli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e all’art. 4 della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio, il quale stabilisce che gli Stati membri riconoscano il diritto al congedo di paternità obbligatorio al secondo genitore equivalente ove riconosciuto nel diritto interno.
1.2.– La Corte rimettente riferisce di essere stata investita della cognizione, in grado di appello, di un’azione antidiscriminazione proposta dinanzi al Tribunale ordinario di Bergamo – con ricorso introdotto ai termini degli artt. 2 e 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica), dell’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69) e dell’art. 281-decies e seguenti del codice di procedura civile – da Rete Lenford - Avvocatura per i diritti LGBTI+ Aps (d’ora in poi: Rete Lenford), associazione impegnata nello sviluppo e diffusione di una cultura del rispetto dei diritti delle persone LGBTI+, che ha dichiarato di agire in giudizio esclusivamente a tutela delle coppie di genitori dello stesso sesso, che risultino tali dai registri dello stato civile.
La ricorrente, nel giudizio di primo grado, aveva denunciato la condotta discriminatoria dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che aveva adottato una procedura informatica che non consente alle coppie di genitori dello stesso sesso, riconosciute nei registri dello stato civile, di presentare domanda in via telematica sul portale web dell’Istituto per fruire dei congedi parentali, dei periodi di riposo e delle indennità previsti dal d.lgs. n. 151 del 2001.
Il sistema segnalava infatti un errore al momento dell’inserimento dei codici fiscali di due persone dello stesso genere.
Nel corso del giudizio l’INPS aveva modificato la propria piattaforma informatica, consentendo a ciascuno dei genitori, indipendentemente dal genere e dall’inserimento del codice fiscale, la proposizione in via telematica della domanda di congedo parentale di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 151 del 2001.
Il giudice di primo grado aveva accolto la domanda della Rete Lenford, ritenendo il carattere discriminatorio della condotta dell’INPS, cui aveva ordinato di modificare il proprio sistema informatico di ricezione delle domande amministrative in modo da rendere possibile alle coppie che risultassero genitori dai registri dello stato civile di inserire i loro codici fiscali a prescindere dal genere, con condanna dell’istituto al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo.
La Corte d’appello di Brescia solleva le indicate questioni di legittimità costituzionale nel corso del giudizio sull’impugnazione dell’Istituto previdenziale, in cui si sono costituite la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), già intervenuta volontariamente nel giudizio di primo grado in adesione alle conclusioni formulate da Rete Lenford, e la stessa Rete Lenford, che, in via di appello incidentale, ha lamentato che il giudice di primo grado si era limitato a ordinare all’INPS la modifica del sistema senza affermare il diritto delle coppie di genitori dello stesso genere riconosciute nei registri dello stato civile di fruire dei congedi al pari delle coppie eterosessuali.
1.3.– La rimettente, ritenuta la legittimazione processuale della predetta associazione, a mente dell’art. 5, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 215 del 2003, che riconosce il diritto delle associazioni rappresentative di agire nei casi di discriminazione collettiva quando non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione, osserva, in punto di rilevanza della questione, che la disposizione censurata fa esplicito riferimento al diritto del solo «padre lavoratore» di fruire del congedo di paternità e che il sistema informatico dell’INPS ne ricalca la struttura, consentendo solo al «padre» di presentare la domanda di congedo.
Il giudice a quo ricorda che la citata direttiva 2019/1158/UE sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza è stata dettata per incoraggiare una più equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra uomini e donne nonché per consentire un’instaurazione precoce del legame tra padre e figlio (viene citato il considerando n. 19), precisando che ove il diritto nazionale lo riconosca, lo Stato membro adotta le misure necessarie a garantire che non solo il padre lavoratore, ma anche il secondo genitore equivalente abbia diritto ad un congedo di paternità di dieci giorni lavorativi, da fruire in occasione della nascita del figlio.
Il legislatore nazionale, nel dare esecuzione a tale direttiva con il d.lgs. n. 105 del 2022, ha inserito, con l’art. 27-bis censurato, il congedo di paternità obbligatorio con esclusivo riferimento al «padre» in una coppia di genitori di genere diverso nonostante, rileva il giudice a quo, nel nostro ordinamento vi siano casi in cui l’esistenza del legame genitoriale di coppie formate da persone dello stesso sesso è riconosciuta sul piano giuridico, a seguito di sentenze divenute definitive o qualora le coppie abbiano ottenuto la trascrizione in Italia dell’atto di nascita formato all’estero a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) e la iscrizione come genitori nei registri dello stato civile anche in seguito all’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia).
In questi casi, rileva la Corte rimettente, non è dubitabile che il genitore non biologico venga considerato nell’ordinamento interno come «secondo genitore equivalente» in quanto, in seguito all’iscrizione nei registri dello stato civile, risulta investito sul piano giuridico dei diritti e dei doveri di genitore senza, tuttavia, poter fruire del congedo obbligatorio di cui all’art. 27-bis censurato.
Neppure sarebbe possibile, si osserva ancora nella ordinanza di rimessione, attraverso una interpretazione dell’indicato art. 27-bis conforme al principio di non discriminazione fondato sull’art. 3 Cost. e alle norme UE che impongono il principio della parità di trattamento senza distinzioni in base all’orientamento sessuale nelle condizioni di impiego, la rimozione della condotta discriminatoria dell’INPS, e ciò avuto riguardo all’inequivoco tenore letterale della norma censurata che fa esclusivo rifermento al «padre».
Non sarebbe praticabile neanche la disapplicazione della norma della legge interna in favore dell’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, che prevede il congedo obbligatorio in favore del «secondo genitore equivalente», solo ove riconosciuto nell’ordinamento interno.
In definitiva, solo un intervento di questa Corte consentirebbe di rimuovere la discriminazione con effetti erga omnes.
In mancanza di un siffatto intervento, l’ordine di un giudice all’INPS di modificare il sistema si risolverebbe in una inammissibile imposizione all’amministrazione di agire contra legem. Né rileverebbe la circostanza che nel giudizio pendente dinanzi al giudice a quo l’INPS abbia provveduto a riconoscere i congedi parentali di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 151 del 2001 anche ai genitori dello stesso sesso, in quanto l’art. 32 è formulato in maniera diversa dall’art. 27-bis e contempla il diritto al congedo per ciascun genitore utilizzando un termine neutro, senza fare riferimento a distinzioni di genere.
1.4.– In punto di non manifesta infondatezza, la rimettente denuncia il contrasto con la citata normativa eurounitaria, e, cioè, con il principio di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, di cui alla direttiva 2000/78/CE, artt. 2 e 3, e con l’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE. Quest’ultima norma, pur demandando agli Stati la scelta del riconoscimento o meno di un secondo genitore equivalente, stabilisce che, laddove tale riconoscimento sia stato effettuato nell’ordinamento nazionale (come è avvenuto nel nostro ordinamento, che ha riconosciuto, attraverso l’iscrizione nei registri dello stato civile, l’esistenza di un secondo genitore equivalente), il congedo obbligatorio di dieci giorni deve essere riconosciuto a tale genitore.
Sarebbe, poi, violato il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto due situazioni equivalenti finirebbero per essere trattate in modo diverso. La condizione della donna che non ha partorito e che riveste il ruolo di «secondo genitore» in una coppia di due donne, genitori secondo i registri dello stato civile, sarebbe infatti equivalente a quella del «padre» in una coppia di genitori formata da persone di sesso diverso, tenuto conto della comune esigenza di cura del minore, che, tra l’altro, trova corrispondenza nei diritti dei minori tutelati dagli artt. 30 e 31 Cost.
2.– Si è costituito in giudizio l’INPS, che ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sotto molteplici profili e, nel merito, ha concluso per la manifesta infondatezza delle stesse.
2.1.– Si denuncia anzitutto un difetto di motivazione sulla rilevanza.
La Corte d’appello di Brescia non avrebbe motivato sulla eccezione, sollevata dall’Istituto nel giudizio di appello, di nullità della decisione di primo grado perché resa in violazione del rito semplificato di cognizione introdotto a decorrere dal 28 febbraio 2023 per le controversie in materia di discriminazione, dalla cosiddetta “riforma Cartabia” (decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, recante «Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari»), con le disposizioni di cui all’art. 281-decies e seguenti cod. proc. civ. Il procedimento si sarebbe dovuto concludere con sentenza suscettibile di impugnazione nei modi ordinari, ai sensi dell’art. 281-terdecies, secondo comma, cod. proc. civ., e non, come avvenuto, in forma di ordinanza secondo il rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., non più vigente al momento del deposito del ricorso in primo grado.
2.1.1.– L’ordinanza di rimessione non avrebbe neppure motivato sulla richiesta dell’INPS di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, come interpretato e applicato dal giudice di primo grado, per contrasto con gli artt. 81, 97, 113 e 117 Cost. e con il principio della separazione dei poteri dello Stato, nella parte in cui attribuisce al giudice delle controversie di cui all’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011 il potere di sostituirsi di fatto al legislatore, dettando prescrizioni specifiche all’amministrazione di contenuto estensivo della portata della norma. La parte costituita auspica un intervento di questa Corte che fornisca una corretta interpretazione della disposizione indicata.
2.1.2.– Le questioni sarebbero ancora inammissibili per difetto di rilevanza in quanto volte a superare il chiaro dato normativo e affermare il principio che il riconoscimento dei benefici previdenziali non spetta più alla madre o al padre, in quanto tali, occorrendo fare riferimento al più generale concetto di genitore, ciò che determinerebbe il venir meno del problema del riconoscimento dei diritti alla coppia omogenitoriale.
2.1.3.– Il sollevato dubbio di illegittimità costituzionale sarebbe poi destinato a tradursi in una sostanziale invasione delle scelte discrezionali del legislatore.
L’iscrizione di atti di nascita da coppia omogenitoriale nei registri dello stato civile non consentirebbe di farne derivare tout court l’attribuzione di diritti specifici, laddove non espressamente contemplati dal legislatore, che in sede di recepimento della direttiva 2019/1158/UE non ha riconosciuto la tutela dei diritti previdenziali a «un secondo genitore equivalente» come suggerito dal legislatore eurounitario.
Nell’importanza e delicatezza del tema sotteso alla decisione del giudizio a quo, la necessaria individuazione del soggetto che possa essere considerato «genitore equivalente», destinatario di tutele, benefici e istituti previdenziali che, di volta in volta, le singole disposizioni di legge riconoscono al genitore «madre» o al genitore «padre», non potrebbe che essere operata dal legislatore.
Laddove poi fosse possibile l’auspicata estensione si rischierebbe di giungere ad una tutela maggiore della coppia omogenitoriale e quindi ad una inammissibile «discriminazione al contrario».
In una coppia omogenitoriale femminile adottiva le tutele si raddoppierebbero dovendo essere riconosciute ad entrambi i componenti della coppia, nella impossibilità pratica e giuridica di individuare, in mancanza di una specifica indicazione normativa, quale delle due madri avrebbe diritto alle singole tutele. Ma anche nei casi in cui la legge attribuisce un diritto in via alternativa alla madre o al padre, non differenziandolo in ragione del genere dei due genitori, in realtà non consentirebbe ai genitori di scegliere quale dei due possa esercitarlo: ad esempio, poiché solo la madre che sia titolare di un contratto di lavoro subordinato può godere dei riposi giornalieri ai sensi dell’art. 40 del d.lgs. n. 151 del 2001, la stessa, in difetto di tale requisito, non potrebbe trasmettere tale diritto, mai sorto nella sua sfera giuridica, al padre per effetto della rinuncia.
2.1.4.– Le questioni sarebbero ancora inammissibili per mancanza di una soluzione costituzionalmente obbligata e perché volte a ottenere una sentenza manipolativo-additiva al di fuori dei casi previsti dalla giurisprudenza costituzionale. La diversità delle possibili alternative costituzionalmente ammissibili esclude che la scelta possa essere effettuata da questa Corte in sostituzione del legislatore che, in tema di diritti previdenziali, riconosce ai due componenti della coppia eterosessuale ruoli e diritti di contenuto diverso, nella particolare rilevanza attribuita al ruolo della madre con riferimento alla salute della stessa e del figlio anche in caso di adozioni e affidamento, e quindi, anche, in assenza degli eventi della gravidanza e del parto.
2.1.5.‒ Le questioni sarebbero anche irrilevanti una volta stabilito che nell’ordinamento italiano vigente i diritti delle coppie omoaffettive, dipendendo totalmente dall’interesse del minore, passano necessariamente attraverso l’adozione in casi particolari, e, se questa difetta, la disciplina del d.lgs. n. 151 del 2001 non è applicabile.
A titolo esemplificativo sono richiamate le sentenze n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010, in cui questa Corte ha riconosciuto che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento delle unioni dello stesso sesso, e la sentenza n. 32 del 2021, in tema di tutela dei figli nati da procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da coppie dello stesso sesso, in cui, al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore, questa Corte, ritenendo di non poter porre allo stato rimedio, ha sollecitato l’attenzione del legislatore.
2.2.– Nel merito, l’INPS conclude per la manifesta infondatezza delle questioni.
Viene citata la legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) che, per quanto attiene alle unioni civili, non contiene una disciplina relativa ai profili della filiazione.
Si richiama poi la sentenza n. 230 del 2020 con la quale questa Corte ha ribadito che il riconoscimento della omogenitorialità non è costituzionalmente «imposto» alla luce degli artt. 2, 3 e 30 Cost. né è reso necessario dai princìpi dell’Unione e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Ricorda la parte che le fonti e la giurisprudenza sovranazionali, pur nella generale enunciazione dei principi di eguaglianza e di divieto di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, lasciano libertà ai legislatori nazionali di disciplinare il tema in modo coerente con le sensibilità delle singole comunità interne.
Sul valore dell’iscrizione nei registri dello stato civile, l’INPS ricorda i limiti che conseguono al principio della tipicità degli atti, che devono essere esclusivamente quelli che la legge prevede (è citata Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 26 ottobre 2016, n. 4478).
Si tratta di un rigore che si spiegherebbe soprattutto con l’esigenza di certezza pubblica che si accompagna alle attività di registrazione e conservazione dei registri dello stato civile, assistiti da un regime probatorio di particolare intensità.
Quale ulteriore limite alla possibilità di trascrizione degli atti, la parte costituita rammenta quello dell’ordine pubblico, non potendo essere trascritti o iscritti atti ad esso contrari.
A definizione di un sistema restrittivo delle iscrizioni anagrafiche vengono richiamate le sentenze con cui la Corte di cassazione ha negato, perché contraria all’ordine pubblico, la trascrizione di un atto di nascita di un bambino nato attraverso la cosiddetta gestazione per altri, i cui genitori erano una coppia di uomini con cittadinanza italiana (sono citate tra le altre, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 30 dicembre 2022, n. 38162; prima sezione civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19599) e ricordata una pronuncia che ha confermato la formazione di un atto di nascita con una sola madre (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 25 febbraio 2022, n. 6383).
L’INPS richiama, ancora, la sentenza di questa Corte n. 32 del 2021, che ha dichiarato inammissibile, perché rimessa alla prioritaria valutazione del legislatore, la questione dello statuto giuridico dei figli, nati a seguito di PMA all’interno delle famiglie composte da due donne.
L’Istituto torna allora alla conclusione della inammissibilità, prima ancora che della manifesta infondatezza, delle questioni in esame, avuto riguardo alla obliterazione di ogni riferimento all’istituto dell’adozione in casi particolari (art. 44, comma 1, lettera d, della legge n. 184 del 1983), ritenuta unica ipotesi astrattamente configurabile a legislazione vigente per il riconoscimento dello status genitoriale (sono menzionate le sentenze di questa Corte n. 183 del 2023 e n. 79 del 2022; Cass., sez. un. civ., n. 38162 del 2022, sezioni unite civili, sentenza 8 maggio 2019, n. 12193).
La genitorialità e il «migliore interesse del minore» non si coniugano, per l’INPS, con automatismi e presunzioni o con un procedimento meramente amministrativo, qual è l’iscrizione nei registri dello stato civile, ma richiedono una valutazione concreta che può essere garantita solo da un procedimento giurisdizionale, come avviene nell’adozione in casi particolari.
L’iscrizione delle coppie omoaffettive nei registri dello stato civile non è poi fenomeno così pacifico e incontra nella sua applicazione ampia disomogeneità sul territorio nazionale, nella varietà degli interventi dei sindaci, in qualità di ufficiali dello stato civile, i cui dinieghi all’iscrizione anagrafica determinano giudizi di impugnazione dagli approdi giurisprudenziali mai univoci e risolutivi.
L’iscrizione nei registri dello stato civile non include, sottolinea ancora l’Istituto, la tutela previdenziale di «un secondo genitore equivalente». In ogni caso, stante la natura dichiarativa delle risultanze degli atti dello stato civile (è menzionata Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 27 febbraio 2023, n. 5830), l’eventuale iscrizione dell’atto di nascita del figlio di coppia omogenitoriale, anche ove ritenuta legittima ed eseguita, non potrebbe determinare di per sé il sorgere di specifici diritti.
2.3.– Contestata, dunque, la stessa ragione posta dalla Corte d’appello di Brescia quale presupposto giustificativo della questione di legittimità costituzionale sollevata, l’INPS deduce ancora l’inesistenza di un contrasto della norma denunciata con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al divieto di discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale di cui alla normativa dell’Unione europea.
La direttiva 2000/78/CE costituirebbe un parametro interposto inconferente, avendo riguardo alla parità nel lavoro e non alla materia previdenziale. Essa, inoltre, avrebbe mera portata di invito agli Stati a legiferare nel senso da essa indicato, e non imporrebbe alcun obbligo o vincolo per il legislatore nazionale da cui sia possibile ricavare la censurata discriminazione.
La successiva direttiva 2019/1158/UE, che prevede agli artt. 3 e 4 la facoltà e non l’obbligo per ogni Stato membro di riconoscere il congedo obbligatorio di paternità al «secondo genitore equivalente» «nella misura in cui il diritto nazionale lo riconosce», legittimerebbe il mancato riconoscimento della indicata misura, come avvenuto con il d.lgs. n. 105 del 2022.
2.4.– Non sussisterebbe neppure la denunciata violazione dell’art. 3 Cost. per contrasto con il principio di uguaglianza e con il canone della ragionevolezza. Anzitutto, le situazioni considerate dalla Corte rimettente non sarebbero identiche e si presterebbero, quindi, ad essere trattate diversamente (viene citata la sentenza di questa Corte n. 340 del 2004). Il quadro legislativo interno in materia di diritti previdenziali dei genitori, osserva l’INPS, muove da un modello di famiglia connotato dal ruolo peculiare assunto dalla madre, che trova giustificazione in molteplici ragioni di carattere storico, culturale e politico e in relazione al quale la Costituzione assicura alla lavoratrice una tutela specifica in ragione della sua essenziale funzione familiare (art. 37 Cost.), con particolare attenzione alla gravidanza e alla maternità. La coppia genitoriale omoaffettiva non sarebbe, pertanto, del tutto sovrapponibile a quella composta da madre e padre: donde la non configurabilità di un irragionevole trattamento discriminatorio.
3.– Si sono costituite Rete Lenford, parte ricorrente nel giudizio principale, e la CGIL, intervenuta nel giudizio principale ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., che hanno concluso in senso adesivo all’ordinanza di rimessione.
3.1.– Si rammenta nella memoria che la giurisprudenza nazionale di merito e di legittimità, quest’ultima richiamata incidentalmente da questa Corte (per tutte, vengono citate le sentenze n. 230 del 2020 e n. 221 del 2019), ha riconosciuto alle coppie dello stesso sesso, che divengano genitori all’estero a seguito di adozione o per effetto di tecniche di fecondazione assistita, di poter procedere alla trascrizione integrale dell’atto di nascita formato all’estero (è citata, su tutte, Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 23 agosto 2021, n. 23319) o della sentenza di adozione (è richiamata Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 31 marzo 2021, n. 9006) o, ancora, di procedere, ove il minore sia nato in Italia a seguito di PMA in una coppia di donne (è citata Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 20 febbraio 2024, n. 4448) o all’estero, a seguito di gestazione per altri, all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983 (è indicata Cass., sez. un. civ., n. 38162 del 2022).
Tanto esposto, le parti ribadiscono l’esistenza nei registri dello stato civile di atti di nascita che indicano come genitori coppie di persone dello stesso sesso, evidenza da cui muovono le questioni sollevate dalla Corte d’appello di Brescia. La condotta dell’INPS, che nel corso del giudizio principale ha modificato il portale web così da permettere la proposizione di domande di congedo parentale, dimostrerebbe la consapevolezza dell’Istituto della esistenza giuridica di coppie omogenitoriali. Né vi sarebbe alcun rischio che la pronuncia di illegittimità costituzionale permetta a chi non è riconosciuta come madre di godere di un beneficio cui non abbia diritto.
La richiedente il congedo di paternità dovrà presentare domanda, autocertificando il proprio status e quello dell’altro genitore (come previsto dagli artt. 48, 73, 75 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A)» mentre l’INPS dovrà verificare la veridicità delle informazioni dichiarate, accedendo alle banche dati della pubblica amministrazione, e quindi anche all’anagrafe e ai registri dello stato civile, negando il congedo a colei che non risulti genitore o contestando la legittimità delle risultanze anagrafiche.
3.2.– In punto di rilevanza, le parti aderiscono alla motivazione del giudice rimettente, avallata dalla sentenza di questa Corte n. 15 del 2024, sulla proponibilità di una questione di legittimità a fronte di un’attività discriminatoria della pubblica amministrazione riproduttiva di una disposizione di legge e per cui vengono in gioco precetti del diritto dell’Unione dotati di efficacia diretta, come quelli che sanciscono obblighi di parità di trattamento, e quindi vincolanti per tutte le amministrazioni.
3.3.– In ordine alla non manifesta infondatezza del sospetto di vulnus al parametro di cui all’art. 117, primo comma, Cost. per contrasto con il diritto unionale, la memoria richiama la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla ricomprensione nelle nozioni di «condizioni di lavoro» e di «retribuzione» dei congedi e delle relative indennità, che attribuiscono il diritto all’astensione dal lavoro per i genitori nell’ambito di applicazione del divieto di discriminazione per orientamento sessuale (sono citate, CGUE, quarta sezione, sentenza 16 luglio 2015, causa C-222/14, Maïstrellis, punto 45; terza sezione, sentenza 6 dicembre 2012, cause C-124/11, C-125/11 e C-143/11, Bundesrepublik Deutschland e altri; seduta plenaria, sentenza 30 marzo 2004, causa C-147/02, Alabaster, punto 42; sesta sezione, sentenza 30 marzo 2000, causa C-236/98, Jämställdhetsombudsmannen, punto 39; sentenza, sesta sezione, 19 novembre 1998, causa C-66/96, Høj Pedersen, punto 32; sentenza, sesta sezione, 20 marzo 2003, causa C-187/00, Kutz-Bauer, punti 44 e 45; sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber, punto 12).
3.4.– Sulla violazione dell’art. 3 Cost., le parti rammentano le diverse pronunce di questa Corte a tutela dei genitori lavoratori (tra le altre sono ricordate le sentenze n. 116 del 2011, n. 385 del 2005, n. 104 del 2003, n. 179 del 1993, n. 341 del 1991, n. 332 del 1988 e n. 1 del 1987), in cui si afferma che i congedi e i riposi sono volti ad agevolare il processo di sviluppo relazionale ed affettivo del bambino con entrambi i genitori. Le medesime parti ritengono che tali esigenze entrino in gioco ove la coppia sia costituita da due madri, con la conseguenza che la loro esclusione si porrebbe in contrasto non solo con l’art. 3 Cost., non potendosi ragionevolmente sostenere che l’orientamento sessuale dei genitori possa dare giustificazione a tutele diverse per il figlio, ma anche con gli artt. 30 e 31 Cost., che pongono la tutela del minore come compito fondamentale dell’ordinamento.
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili, manifestamente infondate o comunque non fondate.
4.1.– L’interveniente dubita dei termini entro i quali è stata sollevata la questione.
Se è vero che, alla stregua del dispositivo, potrebbe essere intesa nel senso di comprendere nel perimetro delle situazioni sottoposte al vaglio di questa Corte tutti i casi in cui dai registri dello stato civile risulti il rapporto di filiazione di una persona con genitori dello stesso sesso, dall’esame dell’impianto motivazionale dell’ordinanza di rimessione, invece, sembrerebbe emergere che le questioni siano modellate con riferimento al solo caso di coppia omogenitoriale composta da due donne, una delle quali sia madre biologica del bambino.
4.2.– Nel primo caso, molteplici sarebbero per la difesa statale i profili di inammissibilità.
4.2.1.– La tecnica redazionale dell’ordinanza avrebbe indebitamente assimilato fattispecie fattuali e giuridiche ben diverse, e cioè la coppia omogenitoriale di due donne di cui una sia madre biologica e la coppia omogenitoriale di due donne nessuna delle quali sia madre biologica.
La motivazione sarebbe totalmente mancante in ordine alle ragioni della asserita discriminazione riferita al caso di una coppia omogenitoriale di due donne di cui nessuna sia madre biologica.
4.2.2.– Le questioni sarebbero altresì inammissibili perché destinate a tradursi in un sindacato di questa Corte sull’uso del potere discrezionale del legislatore.
La costante giurisprudenza della Corte EDU, osserva la difesa dello Stato, riserva alle scelte demandate al legislatore nazionale in materia il cosiddetto ampio margine di apprezzamento. Con riguardo alla maternità surrogata, l’art. 8 CEDU non impone agli Stati di riconoscere ab initio un rapporto di filiazione con la madre intenzionale, richiedendo piuttosto che, nel superiore interesse del minore, da accertare in concreto, sia garantito il riconoscimento del legame già esistente e stabilito legalmente (è citata Corte EDU, prima sezione, sentenza 31 agosto 2023, C. contro Italia).
Per la difesa statale, nel caso in cui la partner della donna che non ha partorito, asseritamente discriminata, sia madre biologica del figlio, non è possibile attribuirle, per ciò solo, automaticamente il ruolo di «padre».
Alcuni istituti previdenziali, tra i quali anche il congedo ex art. 27-bis del d.lgs. n. 151 del 2001, rileva l’Avvocatura, vengono riconosciuti infatti al padre in una logica fondata sul riparto di responsabilità e provvidenze tra le due figure genitoriali definite dai ruoli di «madre» e «padre» e pertanto non ne sono possibili applicazioni estensive automatiche a soggetti diversi.
Le questioni, pertanto, se accolte, determinerebbero, secondo la difesa statale, una invasione nella sfera di discrezionalità riservata al legislatore, toccando temi politicamente sensibili rispetto ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana, apparterrebbe appunto al legislatore (è citata la sentenza di questa Corte n. 84 del 2016).
4.3.– Nel merito, le questioni sarebbero manifestamente infondate o, comunque, non fondate.
La questione incentrata sulla violazione del principio di non discriminazione sarebbe mal posta, avuto riguardo alla diversità delle situazioni considerate (è citata ancora la sentenza n. 340 del 2004), né sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE.
La «situazione analoga di comparazione» non potrebbe essere che quella in cui si trovi una coppia maschile, in cui non è dato alla «persona che non ha partorito» (uomo) di accedere alla provvidenza che la legge riserva alla «madre», così come accade nel caso di coppia femminile, in cui non è dato alla persona che non ha partorito (donna) di accedere a provvidenze che la legge riserva al «padre» (quale quella prevista dalla disposizione censurata).
Non sarebbe, invece, corretto assumere come elemento di comparazione la coppia eterosessuale, caratterizzata da connotazioni oggettive e giuridiche ben diverse, non annullate dal d.lgs. n. 151 del 2001, che, conformandosi alla direttiva 2019/1158/UE attraverso le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 105 del 2022, valorizza la differenza di ruoli delle due figure genitoriali, riconoscendo alcuni istituti previdenziali genericamente ai «genitori», e altri al «padre» (quale il congedo obbligatorio di dieci giorni previsto dalla disposizione censurata) o alla «madre» (quale l’astensione obbligatoria).
Quanto al denunciato contrasto dell’art. 27-bis del d.lgs. n. 151 del 2001 con l’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, l’Avvocatura osserva che l’affermazione della Corte rimettente secondo la quale il riconoscimento come «secondo genitore equivalente» avvenga in seguito all’iscrizione nei registri dello stato civile non troverebbe fondamento sul piano giuridico.
Si richiamano al riguardo la legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili, che non contiene alcuna disciplina dei profili della filiazione, e la sentenza n. 230 del 2020, con la quale questa Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale delle norme che escludono che la madre intenzionale possa essere riconosciuta come genitrice di un bambino nato in Italia, a seguito di un progetto di fecondazione assistita perfezionato all’estero.
L’interveniente rileva che, a mente del diritto vivente (è citata Cass., sez. un. civ., n. 38162 del 2022), il presupposto per essere qualificato genitore non può identificarsi «semplicisticamente, nelle risultanze dei registri dello stato civile». Il genitore non biologico potrebbe essere considerato genitore, sul piano legale, solo se riconosciuto come tale a seguito di accertamento giurisdizionale all’esito del procedimento di adozione speciale di cui all’art. 44, comma 1, della legge n. 184 del 1983 (sono citate Cass., sez. un. civ. n. 12193 del 2019; Cassazione, prima sezione civile, ordinanza 29 agosto 2023, n. 25436; Corte EDU, prima sezione, sentenza 30 maggio 2023, Bonzano e altri contro Italia, sul margine di discrezionalità degli Stati in materia di accertamento e riconoscimento della filiazione).
Per l’Avvocatura generale dello Stato l’ordinanza sarebbe incorsa in un errore ricostruttivo laddove configura un inesistente automatismo tra il riconoscimento del ruolo di secondo genitore equivalente e la fruizione dei diritti previdenziali che il censurato art. 27-bis attribuisce in modo specifico al padre. In proposito, in riferimento alla citata direttiva 2019/1158/UE, si richiama la puntualizzazione operata dalla Corte di giustizia nella sentenza, settima sezione, 16 maggio 2024, causa C-673/22, CCC, in cui si afferma, tra l’altro, che «le nozioni di “congedo parentale”, “congedo di paternità” e “congedo di maternità” hanno un significato preciso e distinto nel diritto dell’Unione».
5.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica le parti e l’Avvocatura generale dello Stato hanno depositato memorie illustrative, ribadendo le conclusioni già rassegnate.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Brescia, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE e all’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. n. 151 del 2001, come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 105 del 2022, «nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice quando è secondo genitore equivalente in una coppia di due donne risultanti genitori dai registri dello stato civile».
2.– La rimettente è chiamata ad accertare in grado di appello, in un procedimento introdotto da Rete Lenford ai sensi degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 215 del 2003, dell’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011 e dell’art. 281-decies e seguenti cod. proc. civ., l’esistenza di una discriminazione ai danni di coppie dello stesso sesso, che risultano genitori dai registri dello stato civile.
3.– Il giudice a quo denuncia anzitutto la violazione del parametro interno fondato sul principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La situazione della madre intenzionale, «secondo genitore» all’interno di una coppia di donne iscritte nei registri dello stato civile come genitori di un minore, e quella del «padre» in una coppia di genitori formata da persone di genere diverso, sarebbero equivalenti in termini di assunzione di responsabilità, di condivisione di un progetto di vita familiare, di esigenza di armonizzare tempi di lavoro nella necessità di promuovere una relazione stabile con il figlio appena nato. E tuttavia tali situazioni riceverebbero un trattamento differenziato.
Si lamenta, altresì, il contrasto con la citata normativa eurounitaria. Vengono evocati, al riguardo, gli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE, che affermano il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, nonché l’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, il quale stabilisce che, ove in base all’ordinamento nazionale sia stato riconosciuto un «secondo genitore equivalente», questi ha diritto al congedo obbligatorio di dieci giorni.
4.– In via preliminare, occorre esaminare le diverse eccezioni di inammissibilità sollevate nel giudizio dall’INPS e dall’Avvocatura dello Stato.
4.1.– Quella proposta dall’INPS per difetto di motivazione sulla rilevanza per non essersi il rimettente pronunciato sulla eccezione di nullità, sollevata dallo stesso Istituto nel giudizio principale, in relazione all’avvenuta definizione del giudizio di primo grado con ordinanza, nelle forme del rito sommario (artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ.) e non con sentenza, secondo il rito semplificato di cognizione (art. 281-decies cod. proc. civ.) applicabile nella specie, non è fondata.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, non è richiesto al giudice a quo di osservare un rigido ordine nell’affrontare le diverse domande proposte in giudizio, «nel senso di individuare questioni pregiudiziali e preliminari, da ritenersi prioritarie nell’ordine di trattazione rispetto alla questione di costituzionalità e quindi tali da essere necessariamente esaminate prima di proporre quest’ultima, salvo che la valutazione dell’ordine delle questioni sottoposte al suo giudizio non trasmodi in manifesta arbitrarietà, comportando la mancata trattazione di domande o motivi aventi “priorità logica” (ordinanza n. 179 del 2014)» (sentenza n. 202 del 2021).
Nel caso di specie, non può ritenersi che assuma carattere logicamente prioritario l’esame dei vizi denunciati dall’INPS. La consolidata giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che dall’adozione di un rito errato non derivi alcuna nullità, né la stessa può essere dedotta quale motivo di gravame, a meno che l’errore abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o, in generale, abbia cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte (tra le molte: Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 5 aprile 2018, n. 8422; sezione prima civile, ordinanza 12 maggio 2021, n. 12567).
In applicazione degli indicati principi, ben può ritenersi, tra l’altro, che il giudice a quo abbia implicitamente rigettato l’eccezione di nullità del processo e del provvedimento conclusivo del primo grado di giudizio, con una valutazione che si sottrae al giudizio di questa Corte.
4.2.– L’INPS deduce, poi, il difetto di motivazione in cui sarebbe incorsa la rimettente in relazione alla richiesta dello stesso Istituto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2011, norma che arrecherebbe vulnus al principio di divisione dei poteri laddove consente al giudice ordinario la condanna della pubblica amministrazione a un facere di natura pubblicistica – la modifica del procedimento telematico di accesso sul portale web – con potenziali effetti sulla finanza pubblica.
4.2.1.– L’eccezione non può trovare accoglimento.
Per costante giurisprudenza costituzionale, le parti del giudizio a quo, costituitesi in quello incidentale, non possono integrare i parametri costituzionali o ampliare il thema decidendum come esposto nell’ordinanza di rimessione (ex multis, sentenze n. 96 del 2019 e n. 248 del 2018). Né è ravvisabile alcuna ragione di inammissibilità nella scelta operata dal giudice a quo di considerare prioritaria o assorbente l’una o l’altra questione di legittimità costituzionale, tra il ventaglio di quelle prospettate nel giudizio principale.
4.3.– L’eccezione con la quale l’Avvocatura generale dello Stato denuncia l’incertezza delle questioni per un inammissibile allargamento – asseritamente contenuto nella parte dispositiva dell’ordinanza di rimessione – del perimetro delle situazioni di cui si chiede il vaglio di legittimità costituzionale, non è fondata.
4.3.1.– In disparte il carattere dubitativo della dedotta estensione anche ai casi in cui, «al di fuori di una maternità biologica all’interno della coppia, dai registri di stato civile risulti il rapporto di filiazione di una persona con genitori dello stesso sesso (ad esempio per effetto di adozione speciale “in casi particolari” ex art. 44 L. 184/1983)», per costante giurisprudenza costituzionale «“le discrepanze tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione possono essere risolte tramite l’impiego degli ordinari criteri ermeneutici, quando dalla lettura coordinata delle due parti dell’atto emerga l’effettiva volontà del rimettente (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2022 e n. 58 del 2020; ordinanze n. 214 del 2021 e n. 244 del 2017)” (sentenza n. 228 del 2022)» (sentenza n. 35 del 2023, punto 3.1. del Considerato in diritto; in termini, sentenza n. 161 del 2023).
L’ordinanza censura in parte motiva, come riferito, la disposizione in questione, nella parte in cui «non prevede che il periodo di congedo obbligatorio di dieci giorni lavorativi spetti anche a una lavoratrice secondo genitore in una coppia di genitori composta da due donne, risultanti dai registri dello stato civile», e adotta analoga dizione nella parte dispositiva.
4.3.2.– La rimettente, sempre in motivazione, precisa che, «per quel che rileva in questa sede, nei casi di trascrizione nei registri dello stato civile di due genitori donna, di cui una sia la madre biologica e l’altra no, la madre biologica potrà chiedere di godere del congedo di maternità obbligatorio mentre la madre secondo genitore riconosciuto nei registri dello stato civile non potrà fruire del congedo obbligatorio di dieci giorni di cui all’art. 27 bis», così individuando quale categoria asseritamente lesa quella della coppia omogenitoriale femminile in cui figurino una madre biologica e una intenzionale.
Dall’atto di promovimento, inteso nel suo complesso, non deriva pertanto incertezza sul perimetro del dubbio di legittimità costituzionale, e i riferimenti circa l’esistenza di una più generale classe «di coppie [di genitori] formate da persone dello stesso sesso […] riconosciuta sul piano giuridico» – in cui rientra la coppia di due donne nessuna delle quali sia madre biologica, come nella specie – rivestono natura argomentativa, a sostegno dell’unica denunciata disparità di trattamento.
4.4.– L’ulteriore profilo di inammissibilità denunciato dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha a oggetto il dedotto difetto di rilevanza delle questioni «per l’indebita assimilazione di fattispecie fattuali e giuridiche ben diverse» o comunque per carenza di motivazione sulla disparità di trattamento con la coppia di genitori di sesso diverso e, in particolare, con il padre, attiene al merito della questione.
4.5.– L’eccezione di inammissibilità delle questioni proposta dall’INPS e dalla difesa statale sotto il profilo che il sindacato che questa Corte è chiamata a esercitare invaderebbe le scelte discrezionali del legislatore, in una materia che tocca temi politicamente sensibili quali il riconoscimento della omogenitorialità o la capacità della coppia omosessuale di svolgere le funzioni genitoriali, va parimenti riservata al merito.
5.– L’esame delle questioni di legittimità costituzionale richiede una sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale entro il quale trova riconoscimento l’istituto del congedo obbligatorio di paternità.
5.1.– Il d.lgs. n. 105 del 2022, in attuazione della direttiva 2019/1158/UE sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori, all’art. 10, mediante l’abrogazione dell’art. 1, comma 354, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), ha abrogato le disposizioni relative ai congedi (obbligatorio e facoltativo) del padre – introdotti in via sperimentale, per promuovere una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia, dall’art. 4, comma 24, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) e successive modificazioni – e all’art. 2, comma 1, lettera c), ha inserito, al Capo IV del «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53», l’art. 27-bis per disciplinare il «Congedo di paternità obbligatorio» riconosciuto a tutti i lavoratori dipendenti.
L’art. 27-bis riconosce al padre lavoratore, dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi, il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo di dieci giorni lavorativi e, per tutto il periodo del congedo, un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione, nella finalità di realizzare una più equa ripartizione della responsabilità genitoriale e di instaurare un precoce legame tra padre e figlio.
Il beneficio di cui si tratta può essere fruito negli stessi giorni in cui la madre sta godendo del congedo di maternità ed è compatibile con la fruizione da parte del padre del congedo di paternità alternativo di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 151 del 2001 (in caso di morte o grave infermità della madre o di abbandono del minore da parte della madre oppure in caso di affidamento esclusivo del minore al padre) e, in caso di sovrapposizione dei periodi, quello obbligatorio deve essere goduto in un tempo successivo, prevalendo la fruizione del congedo di paternità alternativo. La norma prevede che il diritto a godere dei giorni di congedo di paternità obbligatorio spetti anche ai genitori adottivi o affidatari.
Il richiamato d.lgs. n. 151 del 2001 rappresenta la sintesi dell’evoluzione normativa sul tema della tutela della maternità e della paternità. Con esso si è inteso «disciplinare i diversi istituti posti a fondamento della sopra indicata tutela (congedi, riposi, permessi), valorizzando l’eguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, nonché tra genitorialità biologica e adottiva, al fine di apprestare la migliore tutela all’interesse preminente del bambino» (sentenza n. 285 del 2010, punto 2.2. del Considerato in diritto).
5.2.– L’evoluzione in esame ha visto un contributo significativo da parte della giurisprudenza costituzionale, la quale si è trovata a distinguere tra casi in cui l’interesse del minore è assoluto o preminente, rendendo padre e madre pienamente fungibili e giustificando discipline identiche (come nel caso di congedo parentale e dei riposi giornalieri) e casi che consentono trattamenti ragionevolmente diversificati tra i genitori, con la possibilità per il padre di beneficiare del periodo di astensione dal lavoro e della relativa indennità solo in circostanze eccezionali, in considerazione della diversa posizione che padre e madre assumono in relazione alla filiazione biologica (sentenze n. 371 del 2003, n. 197 del 2002 e n. 405 del 2001, richiamate dalla sentenza n. 285 del 2010).
Nell’ambito del riconoscimento dei diritti delle lavoratrici, è peraltro emerso che le norme che regolavano i congedi e i riposi giornalieri non erano concepite esclusivamente per la tutela della donna, ma, piuttosto, per garantire la protezione del primario interesse del bambino.
Il minore «[andava] tutelato “non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità”» (sentenza n. 179 del 1993, punto 3 del Considerato in diritto; in termini, sentenza n. 104 del 2003) per un’opera del legislatore e dell’interprete che ha «enucleato in maniera sempre più nitida [che è] proprio tale finalità che ispira, sul versante legislativo, la progressiva estensione del trattamento di maternità anche alle ipotesi di affidamento e adozione» (sentenza n. 205 del 2015, punto 4 del Considerato in diritto) per giungere ai termini di una perfetta parità tra i genitori adottivi (sentenza n. 105 del 2018).
6.– Nell’indicato contesto, si inserisce il sollevato dubbio di illegittimità costituzionale sul diritto al congedo obbligatorio di cui all’art. 27-bis del d.lgs. n. 151 del 2001 delle coppie di genitori lavoratori dello stesso sesso che, composte da due donne e riconosciute come tali nei registri dello stato civile, sono trattate in modo diseguale rispetto a coppie genitoriali composte di persone di sesso diverso, pur nell’indifferenza degli obblighi di cura del figlio minore, e dei diritti che ne derivano, rispetto al genere.
7.– Il riconoscimento giuridico dello status di genitori ai componenti di una coppia dello stesso sesso interviene attraverso l’iscrizione nei registri di stato civile validata, nei suoi effetti dichiarativi, dalla giurisprudenza di legittimità in applicazione del principio dell’ordine pubblico internazionale in contesti che, connotati da elementi transfrontalieri e come tali regolati dalle norme del diritto internazionale privato (legge 31 maggio 1995, n. 218, recante «Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato»), sono stati ritenuti compatibili con il nostro ordinamento (Cass., sez. un. civ., n. 38162 del 2022).
Ciò è avvenuto nell’esperienza giurisprudenziale, in cui si invera il diritto vivente, in caso di trascrizione di un atto di nascita formato all’estero con l’indicazione di due madri, o di un provvedimento straniero di adozione piena da parte di due donne o, ancora, nella diversa ipotesi di adozione in casi particolari per la cosiddetta madre intenzionale (art. 44, comma 1, lettera d, della legge n. 184 del 1983) in caso di PMA eseguita all’estero.
7.1.– Il dato che proviene dall’esperienza della giurisprudenza di legittimità a definizione del titolo genitoriale in materia di stato civile è quello della trascrivibilità in Italia dell’atto di nascita formato all’estero e relativo a un minore, perché non è contrario all’ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia acconsentito all’impiego da parte della partner di tecniche di procreazione medicalmente assistita, anche se tali tecniche non sono autorizzate nel nostro ordinamento.
Il principio è quello dell’assunzione della responsabilità genitoriale derivante dal consenso all’utilizzazione delle già menzionate tecniche, dove l’identità di sesso non può giustificare un trattamento deteriore dei genitori, in assenza di elementi di contrarietà all’ordine pubblico, quale è ad esempio la maternità surrogata, stante l’esigenza di realizzare l’interesse del minore, per il principio di tutela dell’infanzia, immanente al nostro ordinamento e affermato dall’art. 31, secondo comma, Cost., in applicazione del quale ogni bambino ha diritto ad avere dei genitori individuandoli in maniera certa in coloro che abbiano assunto l’iniziativa procreativa, con relativa responsabilità, in via naturale o tramite assistenza medica (sentenza n. 161 del 2023).
Le limitazioni previste dalla legge n. 40 del 2004 costituiscono, diversamente, espressione del margine di apprezzamento di cui il legislatore nazionale dispone nella definizione dei requisiti di accesso alle predette pratiche, la cui individuazione, avente portata vincolante nell’ordinamento interno, non è però di ostacolo alla produzione di effetti da parte di atti o provvedimenti validamente formati nell’ambito di ordinamenti stranieri e disciplinati dalle relative disposizioni, quando l’atto di nascita, formato all’estero, viene trascritto in Italia (Cass., n. 23319 del 2021; in termini: Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 15 giugno 2017, n. 14878; Cass., n. 19599 del 2016).
7.2.– Questa Corte, con una recente sentenza, ha poi riconosciuto al nato in Italia a seguito di procreazione medicalmente assistita eterologa, legittimamente praticata in uno Stato estero nel rispetto della lex loci, da una coppia di donne, e che debba dar luogo a un rapporto di filiazione con il nato all’estero suscettibile nell’ordinamento interno di riconoscimento e trascrizione, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale che, insieme alla donna che ha partorito, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa (sentenza n. 68 del 2025).
7.3.– La giurisprudenza costituzionale e di legittimità, pur ove mediata dal principio dell’ordine pubblico internazionale, si trova a comporre, secondo sistema, titoli la cui circolazione negli spazi giuridici, anche sovranazionali, esprime modelli genitoriali connotati da un dato comune: il rispetto dell’assunzione di responsabilità dei suoi componenti nei confronti del figlio minore, nel condiviso progetto di cura e realizzazione delle relative esigenze. Risponde, in definitiva, all’interesse del minore, avente ormai carattere di centralità nell’ordinamento nazionale e sovranazionale, la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali alle sue esigenze che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriale (ancora, sentenza n. 68 del 2025), ed è in ragione di esso che detta titolarità è affermata in capo alla coppia che ha condiviso il progetto di genitorialità.
In siffatto quadro, l’orientamento sessuale non incide di per sé sulla idoneità all’assunzione di tale responsabilità (sentenza n. 33 del 2021). L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e quella intenzionale ‒ che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita praticate legittimamente all’estero. Infatti, questa Corte ha affermato che, qualora una coppia di persone abbia intrapreso il percorso genitoriale, non è sufficiente il solo riconoscimento del rapporto con la madre biologica, sussistendo il diritto del minore a mantenere un rapporto con entrambi i genitori (sentenze n. 68 del 2025 e n. 102 del 2020), diritto riconosciuto a livello di legislazione ordinaria (art. 315-bis, primo e secondo comma, e 337-ter, primo comma, cod. civ.) nonché da una serie di strumenti internazionali e dell’Unione europea (art. 8, comma 1, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 nonché art. 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
8.– Gli indicati approdi rendono costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 3 Cost., l’esclusione di una delle madri, lavoratrice, dal beneficio del congedo obbligatorio di paternità (art. 27-bis del d.lgs. n. 151 del 2001).
Tale esclusione determina un’irragionevole disparità di trattamento rispetto alla situazione in cui il beneficio è riconosciuto al padre lavoratore in coppie composte da genitori di sesso diverso.
Viene in rilievo, con riguardo alla provvidenza in questione, la esigenza di dedicare un tempo adeguato alla cura del minore, anche attraverso la modulazione di quello da destinare al lavoro, in coerenza con la finalità di favorire l’esercizio dei doveri genitoriali secondo una migliore organizzazione delle esigenze familiari, in un processo di progressiva valorizzazione dell’aspetto funzionale della genitorialità, che resta identico nelle due diverse formazioni, la coppia omosessuale e quella eterosessuale. All’interno di una coppia entrambi i genitori sono chiamati a provvedere al benessere fisico, psicologico ed educativo di un bambino, perché, come si è visto, il vincolo genitoriale origina proprio dall’assunzione di responsabilità in coerenza «con l’essenza stessa del rapporto genitori-figli» (ancora sentenza n. 68 del 2025).
In questo assetto relazionale è quindi manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di non riconoscere il congedo obbligatorio, previsto a favore del padre in una coppia di genitori-lavoratori di sesso diverso, alla madre intenzionale di una coppia omoaffettiva composta da due donne.
9.– Nei termini della questione posta, che muove dal riconoscimento di compiti differenziati delle due figure della madre e del padre in un sistema assistenziale obbligatorio strutturato sulla infungibilità dei ruoli, è ben possibile identificare nelle coppie omogenitoriali femminili una figura equiparabile a quella paterna all’interno delle coppie eterosessuali, distinguendo tra la madre biologica (colei che ha partorito) e la madre intenzionale, la quale ha condiviso l’impegno di cura e responsabilità nei confronti del nuovo nato, e vi partecipa attivamente.
E tale distinzione risulta applicabile anche nei casi di adozione non legittimante, in cui al rapporto giuridicamente riconosciuto con la madre biologica si affianca il legame del figlio con la madre intenzionale, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983.
10.– Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. n. 151 del 2001, come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 105 del 2022, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.
Resta assorbita ogni altra censura.