SENTENZA N. 112
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», promossi dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con due ordinanze del 15 ottobre 2024, iscritte ai numeri 244 e 245 del registro ordinanze 2024 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visto l’atto di costituzione del Comune di Pietrasanta;
udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;
udito l’avvocato Marco Orzalesi per il Comune di Pietrasanta;
deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con due ordinanze di analogo tenore, entrambe del 15 ottobre 2024, iscritte ai numeri 244 e al n. 245 del registro ordinanze 2024, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», per contrasto con gli artt. 3, 29, 31 e 53, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui – nel subordinare l’esenzione di cui all’art. 1, comma 1, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie», convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 126 (secondo cui è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al d.lgs. n. 504 del 1992, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, per tale intendendosi quella considerata tale ai sensi del medesimo d.lgs. n. 504 del 1992) all’essere l’immobile adibito ad abitazione principale, «intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica» – stabilisce che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari, dimorano abitualmente», anziché «quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, dimora abitualmente».
1.1.– Con riguardo all’ordinanza iscritta al n. 244 reg. ord. del 2024 la Corte rimettente riferisce che il Comune di Desenzano del Garda ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la quale detto giudice ha respinto i rispettivi appelli – quello principale, proposto dall’ente locale, e quello incidentale, limitatamente alla disposta compensazione delle spese del giudizio, proposto dalla contribuente – avverso la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Brescia che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso tre avvisi di accertamento, riguardanti l’imposta comunale sugli immobili (ICI) per gli anni 2009, 2010 e 2011, con i quali l’ente territoriale aveva disconosciuto il diritto a beneficiare dell’esenzione riguardante l’abitazione principale con riferimento all’immobile sito in detto Comune, di cui era comproprietaria al 50 per cento con il coniuge, non legalmente separato, il quale aveva però trasferito la propria residenza anagrafica, che si presumeva quindi costituire sua dimora abituale, in diverso comune.
1.2.– Il giudizio relativo all’ordinanza iscritta al n. 245 reg. ord. del 2024 ha invece ad oggetto un ricorso per cassazione che il Comune di Pietrasanta (LU) ha proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, con la quale – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di tre distinti avvisi di accertamento, riferiti alle annualità 2009, 2010 e 2011, per infedele dichiarazione dell’ICI con riguardo ad una casa di abitazione sita nel medesimo Comune – era stato accolto l’appello proposto dal contribuente nei confronti dell’ente impositore avverso la sentenza di primo grado resa dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca, che aveva respinto gli originari ricorsi. Il Comune di Pietrasanta aveva chiesto che l’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 fosse interpretato nel senso che, ai fini della spettanza della detrazione ICI prevista per le abitazioni principali, occorresse la prova da parte del contribuente che l’abitazione costituisse dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito fosse riscontrabile solo per il medesimo.
1.3.– Avviata originariamente dinanzi alla sezione tributaria della Corte di cassazione la trattazione delle due predette controversie, con ordinanze interlocutorie rispettivamente n. 5878 e n. 5870, depositate entrambe il 27 febbraio 2023, la medesima sezione ha rimesso le cause al Primo Presidente e questi le ha assegnate alle Sezioni unite in riferimento al quesito se, a seguito della decisione intervenuta in tema di imposta municipale propria (IMU) con la sentenza di questa Corte n. 209 del 2022, potesse ritenersi giuridicamente corretta e costituzionalmente orientata l’interpretazione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge n. 296 del 2006, nel senso che l’esenzione dall’ICI debba essere riconosciuta anche nel caso di abitazione principale «nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale», dimori abitualmente, quandanche senza i suoi familiari.
2.– Sostiene il giudice a quo che l’evoluzione normativa in tema di esenzione ICI e IMU per l’abitazione principale consentirebbe di evidenziare che sia comune il riferimento al «“nucleo familiare”»; la sola differenza tra i due tributi starebbe nel richiedere la normativa in tema di IMU, prima di essere incisa dalla giurisprudenza costituzionale, la contemporanea sussistenza del requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale, mentre nella disciplina ICI sarebbe stabilita l’equiparazione tra «dimora abituale» e «residenza anagrafica» entro il limite della prova contraria a carico del contribuente.
Riferisce il rimettente che la giurisprudenza della Corte di cassazione, specificamente consolidatasi in tema di esenzione IMU riguardo all’immobile definito abitazione principale, era giunta a negare l’esenzione ai coniugi che dimorassero abitualmente in abitazioni diverse, facendo leva sulla necessità della coabitazione abituale dell’intero nucleo familiare nel luogo di residenza anagrafica della casa coniugale, postulando la nozione di abitazione principale l’unicità dell’immobile e non potendo, quindi, coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge, sia nell’ambito dello stesso comune che in comuni diversi.
Evidenzia la Corte rimettente come sia poi intervenuto il legislatore con l’art. 5-decies, comma 1, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215, che ha integrato l’art. 1, comma 741, lettera b), della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), il quale, pertanto, prevede che «[n]el caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare».
3.– Osserva ulteriormente il Collegio rimettente che su tale tessuto normativo e giurisprudenziale è intervenuta la citata sentenza n. 209 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui stabilisce che «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre che «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente».
Rileva altresì il giudice a quo che questa Corte, con la predetta sentenza n. 209 del 2022, resa in tema di IMU, non ha ritenuto invece di estendere in via consequenziale la declaratoria di illegittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), anche al citato art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, nella parte in cui prevede, ai fini del godimento dell’esenzione in tema di ICI, la dimora abituale nell’immobile del possessore unitamente ai suoi familiari.
4.– La Corte rimettente ritiene di non poter praticare un’interpretazione costituzionalmente orientata del censurato art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 e successive modifiche e integrazioni, alla stregua dei principi espressi da questa Corte con la già citata sentenza n. 209 del 2022 in tema di IMU, in quanto vi osterebbe il principio, più volte espresso dalla Corte di cassazione e da questa stessa Corte, secondo cui le norme fiscali di agevolazione sarebbero norme di «stretta interpretazione», nel senso di non essere in alcun modo applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale.
Osserva inoltre il giudice a quo che, in tema di ICI, la giurisprudenza della Corte di cassazione sarebbe assolutamente consolidata, tanto da costituire «diritto vivente», nell’affermare che, ai fini della spettanza dell’agevolazione prevista per le abitazioni principali, occorrerebbe che il contribuente provi che l’abitazione costituisca dimora abituale non solo propria ma anche dei familiari, non sussistendo il diritto al godimento dell’agevolazione, ove tale requisito sia riscontrabile per il solo contribuente.
5.– Ritiene il rimettente che le considerazioni addotte da questa Corte potrebbero, pur tenendo conto della parziale diversa formulazione delle rispettive norme, estendersi al contenuto della disciplina ICI.
Le questioni sarebbero rilevanti ai fini della decisione dei giudizi a quibus, riguardando la pretesa impositiva il disconoscimento dell’esenzione in relazione al presupposto soggettivo della medesima, essendo contestato se sia sufficiente la dimora abituale nell’abitazione principale del solo contribuente o anche dei suoi familiari.
6.– Sussisterebbe, a giudizio delle Sezioni unite civili, la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale della citata disposizione in riferimento agli artt. 3, 53, primo comma, 29 e 31 Cost.
Con riguardo ai primi due parametri ricorrerebbe una piena identità con le ragioni che avrebbero indotto questa Corte a ritenere l’irragionevolezza delle disposizioni in tema di IMU quanto alla natura e alla ratio di detto tributo.
La disposizione oggetto del presente scrutinio condividerebbe infatti appieno, con quella già dichiarata costituzionalmente illegittima in tema di IMU, la natura di esenzione, giustificata dal raggiungimento di finalità extrafiscali, volte a favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione.
L’ICI, d’altronde, al pari dell’IMU, in quanto imposta «reale» riferita a beni immobili facenti parte del patrimonio del contribuente, renderebbe irragionevole, anche in riferimento all’art. 53, primo comma, Cost. oltre che all’art. 3 Cost., il rilievo attribuito ai fini del riconoscimento dell’esenzione, alle relazioni del soggetto con il nucleo familiare, e dunque, allo status personale del contribuente, anziché solo a elementi come la natura, la destinazione o lo stato dell’immobile.
Varrebbe poi anche per l’ICI quanto osservato da questa Corte in tema di IMU circa l’irragionevolezza della disposizione in considerazione della dimensione ordinamentale e sociale della famiglia. Ne conseguirebbe che la norma in tema di ICI, applicabile nella presente controversia, susciterebbe dubbi di illegittimità costituzionale anche in riferimento agli artt. 29 e 31 Cost., discriminando in modo arbitrario, ai fini del godimento del beneficio, la persona unita in matrimonio rispetto a quella non coniugata.
7.– Nel giudizio relativo all’ordinanza iscritta al n. 245 reg. ord. del 2024, si è costituito in giudizio il Comune di Pietrasanta, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
Ritiene il suddetto Comune che dalla giurisprudenza della Corte di cassazione possa apprezzarsi, ai fini del beneficio fiscale in materia di ICI, la valorizzazione della dimora abituale, intesa quale ubicazione della casa coniugale, che consentirebbe di ottenere ugualmente l’esenzione pur in presenza di una differente residenza anagrafica di uno dei coniugi.
Infatti, in materia di IMU, la disciplina relativa ai benefici fiscali, per quanto simile a quella dell’ICI, risulterebbe più rigida, tant’è che, imponendo l’unicità della residenza anagrafica del nucleo familiare oltre che della dimora, escluderebbe la possibilità, consentita in materia di ICI, di dimostrare l’unicità dell’effettiva «“dimora del nucleo familiare”» pur in presenza della diversa residenza anagrafica di uno dei coniugi.
Ciò comporterebbe che in tema di ICI il contribuente coniugato non convivente non patirebbe quella situazione discriminatoria paventata dal rimettente rispetto al single, ai coniugi conviventi, alle coppie di fatto e alle unioni civili, dal che discenderebbe la non fondatezza della questione sollevata.
Il contribuente sarebbe solamente gravato dell’onere probatorio volto a dimostrare la necessità della differente residenza del coniuge.
Ove quest’ultima non dipenda da una reale esigenza (da provarsi da parte del contribuente), allora risulterebbe del tutto ingiustificata la concessione del beneficio tributario stante la circostanza che entrambi i coniugi, effettivamente conviventi nello stesso luogo, godrebbero del beneficio fiscale in contrasto con la ratio che lo attribuirebbe solamente per gli immobili utilizzati come prima casa.
Peraltro, nemmeno nella stessa sentenza n. 209 del 2022 questa Corte avrebbe ritenuto di dover estendere – ex art. 27 della legge n. 87 del 1953 – la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, anche all’art. 8, comma 2, oggi in esame.
8.– Con memoria depositata il 30 maggio 2025, il Comune di Pietrasanta ha evidenziato come la Corte di cassazione abbia sempre applicato e interpretato in maniera univoca la disposizione censurata e solo ora, a distanza di anni dalla sua entrata in vigore, abbia ritenuto di sollevare la questione di legittimità costituzionale, senza però considerare che i requisiti originariamente previsti per fruire del beneficio d’imposta in materia di IMU sono diversi e più rigorosi rispetto a quelli stabiliti in materia di ICI.
Considerato in diritto
1.– Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, con le ordinanze indicate in epigrafe (reg. ord. numeri 244 e 245 del 2024), sollevano questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge n. 296 del 2006, in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53, primo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari, dimorano abitualmente», anziché disporre che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, dimora abitualmente».
Le due controversie su cui sono chiamati a decidere i giudici a quibus hanno entrambe a oggetto avvisi di accertamento relativi all’ICI per gli anni 2009, 2010 e 2011, in cui un soggetto coniugato aveva chiesto l’esenzione da tale imposta in ragione dell’essere l’immobile adibito ad abitazione principale in quanto sua dimora abituale, ma non anche dell’altro coniuge.
2.– La Corte rimettente ritiene le questioni sollevate rilevanti in quanto, in ipotesi di accoglimento, il contribuente avrebbe diritto alla suddetta esenzione, mentre, allo stato, secondo l’univoca giurisprudenza della stessa Corte di cassazione, non ne potrebbe usufruire, non dimorando nell’immobile anche i suoi familiari.
Secondo il giudice a quo le questioni sarebbero non manifestamente infondate in relazione all’asserita violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.) e di quelli posti a tutela della famiglia (artt. 29 e 31 Cost.); peraltro, una questione del tutto analoga in tema di IMU sarebbe stata accolta con la sentenza n. 209 del 2022 di questa Corte.
In particolare, come l’IMU, l’ICI avrebbe natura di imposta «reale», cosicché sarebbero del tutto irrilevanti, ai fini del riconoscimento o meno della relativa esenzione, profili soggettivi quali lo status di soggetto coniugato o meno del contribuente, dal che discenderebbe l’irragionevolezza della disposizione censurata con riferimento al principio di uguaglianza e di capacità contributiva in ragione della disparità di trattamento rispetto alla persona singola che gode dell’esenzione per il solo fatto di dimorare abitualmente nell’immobile di cui è possessore, con conseguente violazione anche dei principi posti a tutela della famiglia di cui agli artt. 29 e 31 Cost.
3.– Preliminarmente, i giudizi promossi con le due distinte ordinanze delle sezioni unite civili della Corte di cassazione possono essere riuniti e decisi con un’unica sentenza, poiché hanno a oggetto controversie del tutto analoghe e sollevano le medesime questioni.
4.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, sollevate in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53, primo comma, Cost., sono fondate.
5.– È innanzitutto opportuno ricostruire sinteticamente il quadro normativo e giurisprudenziale che ha caratterizzato il beneficio in questione (che, nelle varie fasi della sua esistenza giuridica, ha assunto, come è avvenuto per l’IMU, anche il carattere di semplice agevolazione, oltre quello, più recente, di completa esenzione), evidenziando la ratio non solo dell’esenzione nel suo complesso, ma anche del riferimento alla dimora abituale dei familiari nell’abitazione operato dalla disposizione censurata quale requisito necessario per ottenere la suddetta esenzione e di cui il rimettente chiede l’eliminazione.
6.– Il d.lgs. n. 504 del 1992 ha istituito l’imposta comunale sugli immobili, tributo che, come anche osservato dalla sentenza n. 262 del 2020, ha significativamente ampliato il livello di autonomia finanziaria dei comuni.
Il suddetto testo normativo, fin dalla sua nascita, già conteneva il riferimento alla necessaria presenza dei familiari per usufruire del beneficio in questione: l’art. 8, comma 2, prevedeva infatti che «[d]alla imposta dovuta per l’unità immobiliare direttamente adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detraggono, fino alla concorrenza del suo ammontare, lire 180.000 rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente», ossia, come spiegato dalla Corte di cassazione, il luogo in cui stabilmente, cioè in modo prevalente e non occasionale, il contribuente vive ed esercita i propri interessi (Corte di cassazione, sezione tributaria, ordinanza 6 marzo 2025, n. 6029).
Successivamente, l’art. 1, comma 173, lettera b), della legge n. 296 del 2006 ha modificato, con decorrenza dal 1° gennaio 2007, il testo originario della disposizione censurata, introducendo una presunzione relativa di coincidenza della dimora abituale nell’immobile di residenza anagrafica, stabilendo che «[...] dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica”».
Il tenore complessivo della citata disposizione è stato pertanto così riformulato: «[d]alla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente».
Il suddetto beneficio, sia pure con delle eccezioni per gli immobili di pregio per i quali è comunque sopravvissuto il regime delle detrazioni, è stato quindi trasformato in esenzione dall’art. 1 del d.l. n. 93 del 2008, come convertito, secondo cui: «1. A decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. 2. Per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal comune con regolamento vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9 per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dall’art. 8, commi 2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992».
Con gli artt. 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale) l’ICI è stata sostituita definitivamente dall’IMU a partire dall’anno d’imposta 2012, quale tributo previsto in via generale sugli immobili e il cui gettito è destinato ai comuni.
La continuità tra ICI e IMU è stata evidenziata dalle sentenze di questa Corte n. 12 del 2023 e n. 21 del 2024 e anche la Corte di cassazione non ha mancato di sottolineare le «rilevanti similitudini esistenti fra i due tributi» (sezione sesta tributaria, ordinanze 13 ottobre 2022, numeri 30081 e 30078 e 25 luglio 2022, n. 23111) affermando che «l’IMU si pone in ideale linea di continuità con l’ICI» (ancora, Cass., n. 23111 del 2022).
Appunto in riferimento allo stretto legame tra le due imposte, la Corte di cassazione ha affermato che «in tema di ICI ed IMU, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 8 [del d.lgs. n. 504 del 1992] è necessario che, in riferimento alla stessa unità immobiliare, tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente, conformemente alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative» (Corte di cassazione, sezione tributaria, ordinanza 14 aprile 2025, n. 9798; nello stesso senso, ordinanze 8 agosto 2022, n. 24462 e 29 novembre 2021, n. 37343); inoltre, la stessa Corte di cassazione ha osservato che «per l’abitazione principale […] non deve necessariamente intendersi quella di residenza anagrafica, atteso che la norma introduce una presunzione relativa che può essere superata dal contribuente mediante la prova contraria circa l’effettivo utilizzo quale dimora abituale, anche per un periodo di tempo limitato, di altro immobile non coincidente con quello di residenza» (Cass., ord. n. 6029 del 2025; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 22 marzo 2023, n. 8245 e ordinanza 27 febbraio 2023, n. 5870).
7.– Con la sentenza n. 209 del 2022 questa Corte, intervenendo in materia di IMU in merito a una norma analoga a quella oggi censurata e avente a oggetto l’esatta delimitazione dei confini dell’esenzione dal pagamento della predetta imposta per l’abitazione principale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, nella parte in cui stabilisce che: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente».
8.– Come evidenziato nella predetta sentenza, l’esenzione a favore dell’abitazione principale si può ritenere rivolta a perseguire la finalità di favorire «l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione» di cui all’art. 47, secondo comma, Cost., laddove il significato di quest’ultimo termine – come reso evidente dall’uso dell’articolo determinativo – non è quello di fare riferimento a un immobile qualsiasi ma solo a quello in cui effettivamente si abiti.
Ne deriva che una corretta esplicazione del suddetto dettato costituzionale è quella di riconoscere un beneficio per coloro che possiedano, a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, una abitazione adibita a propria dimora abituale.
9.– Venendo più specificamente all’individuazione della ratio legis del frammento di disposizione di cui il rimettente chiede l’espunzione dall’ordinamento giuridico, quella del riferimento ai familiari sta nell’«impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale» (Corte di cassazione, sezione tributaria, ordinanze 17 luglio 2024, n. 19684 e 9 giugno 2021, n. 16001).
In altri termini, la disposizione presuppone quella che è la situazione più frequente per una coppia coniugata e non separata o divorziata, ossia la coabitazione, come del resto prescrive espressamente l’art. 143, secondo comma, del codice civile, ma non considera la possibilità per i coniugi, indiscussa l’affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte.
10.– Infatti, come osservato dalla sentenza n. 209 del 2022, «[i]n un contesto come quello attuale […] caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio […] concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale». E questo è proprio quanto è accaduto nei giudizi a quibus, dove si trattava di coniugi che dimoravano abitualmente in immobili diversi, per motivi di lavoro o di assistenza ai genitori anziani.
Pertanto, come la disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza di questa Corte da ultimo ricordata, anche quella oggetto dell’odierna censura, sconta il fatto di non aver tenuto in debito conto la circostanza che, in concreto, sempre più spesso i coniugi non vivono insieme o, comunque, stabiliscono due dimore abituali distinte.
11.– L’intervento di questa Corte sulla disposizione censurata deve, dunque, tenere conto, in continuità con la sentenza n. 209 del 2022. che il concetto di abitazione principale assume il significato di luogo in cui il contribuente dimori abitualmente.
In tal modo viene salvaguardata l’esigenza, da un lato, di attribuire il beneficio a tutti coloro che abbiano adibito l’immobile di cui siano possessori a dimora abituale e, dall’altro, di impedire che il possessore di una abitazione, ove non vi dimori, possa usufruire dell’esenzione.
In effetti, «[n]el nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio» (ancora, sentenza n. 209 del 2022). Tale è, invece, proprio l’effetto prodotto dalla disposizione censurata, perché la stessa, così come univocamente interpretata dal diritto vivente, richiede, per poter riconoscere l’esenzione, la dimora abituale dei familiari nell’abitazione del contribuente, determinando una irragionevole discriminazione di quest’ultimo qualora coniugato rispetto, ad esempio, alla persona singola.
Pertanto, «[l]a scelta di accettare che il proprio rapporto affettivo sia regolato dalla disciplina legale del matrimonio […] determina […] l’effetto di precludere la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche quando effettive esigenze, come possono essere in particolare quelle lavorative, impongano la scelta di residenze anagrafiche e dimore abituali differenti» (ancora, sentenza n. 209 del 2022).
Dunque, la disposizione censurata, disciplinando situazioni omogenee in modo ingiustificatamente diverso, si palesa in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. nella parte in cui, nel definire il concetto di abitazione principale, richiede la dimora abituale anche dei familiari.
12.– Inoltre, poiché, come l’IMU, anche l’ICI ha per presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale in relazione a beni immobili, quest’ultimo tributo riveste la natura di imposta reale e non ricade nell’ambito delle imposte di tipo personale, quali quelle sul reddito.
È pertanto con ciò coerente il rilievo attribuito a elementi oggettivi relativi all’immobile (in particolare la circostanza di risiedervi anagraficamente e di dimorarvi abitualmente), e non anche allo status soggettivo del contribuente in relazione alla sua convivenza o meno con i familiari.
Il riferimento ai familiari contenuto nella disposizione censurata non è quindi un criterio idoneo a selezionare gli immobili meritevoli di esenzione in quanto effettivamente adibiti ad abitazione principale del contribuente.
13.– Altresì fondata è, infine, la censura riferita agli artt. 29 e 31 Cost., in quanto una lettura combinata dei due precetti costituzionali suggerisce, ma non impone, trattamenti, anche fiscali, a favore della famiglia e senz’altro si oppone a quelli che si risolvono in una sua penalizzazione.
Ne discende la violazione dei suddetti parametri costituzionali da parte della disposizione censurata in quanto la stessa richiede, quali requisiti per ottenere l’esenzione dell’ICI per l’abitazione principale, non solo la dimora abituale del contribuente, ma anche quella dei suoi familiari, così discriminando il contribuente coniugato non convivente.
14.– Conclusivamente, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui stabilisce che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente», anziché prevedere che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, dimora abitualmente».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui stabilisce che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente», anziché «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, dimora abitualmente».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI