Ritenuto in fatto
1.– Con due distinte ordinanze del 24 luglio 2024, rispettivamente iscritte ai numeri 169 e 171 reg. ord. del 2024, la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3-quater, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, che vieta «la messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza, ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità».
La disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, per il carattere assoluto e indiscriminato del divieto, che colpisce la mera messa a disposizione di personal computer a navigazione libera, anche a prescindere dall’effettivo collegamento a siti di gioco online, in mancanza di un ragionevole bilanciamento del diritto alla salute, tutelato dalla disposizione censurata, con il diritto di libertà di impresa, nonché con il diritto alla riservatezza degli utenti.
È denunciata, inoltre, la violazione dell’art. 25 Cost. per l’indeterminatezza della fattispecie, che lascerebbe all’amministrazione un margine di discrezionalità del tutto contrastante con il principio di legalità; nonché degli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, perché verrebbe sacrificato in modo irragionevole e indiscriminato il diritto di libertà di impresa, nonché il diritto alla riservatezza degli utenti.
2.– La stessa Corte di cassazione, con le ordinanze sopra indicate, e il Tribunale ordinario di Viterbo, con ordinanza del 17 luglio 2024, iscritta al n. 168 reg. ord. del 2024, censurano l’art. 1, comma 923, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», che punisce con la sanzione amministrativa di ventimila euro la violazione del divieto previsto dall’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito.
La disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché la fissità del trattamento sanzionatorio impedirebbe di tener conto della differente gravità in concreto dei singoli illeciti, con la conseguenza che la reazione dell’ordinamento risulterebbe manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore dei fatti. Si determinerebbe, inoltre, un’ingiustificata discriminazione degli esercenti di internet point rispetto, sostiene la Cassazione, ai «gestori di pubblici esercizi in genere, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti non solo il wi-fi, ma anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettività internet».
Infine, è denunciata la violazione degli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, poiché i diritti di proprietà e di libera iniziativa economica sarebbero incisi secondo una costante predeterminata, che imporrebbe il medesimo trattamento sanzionatorio per condotte che, in concreto, potrebbero presentare significative differenze di disvalore.
3.– Tutte le ordinanze di rimessione sono state rese nell’ambito di giudizi di opposizione a sanzioni amministrative irrogate nei confronti di titolari di pubblici esercizi per la violazione del divieto di cui all’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito. Alle parti opponenti, nella qualità di titolari di pubblici esercizi, è contestata la condotta di avere messo a disposizione dei clienti apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentivano di giocare online. Con i provvedimenti impugnati nei giudizi a quibus, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) ha pertanto irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria di ventimila euro, prevista dall’art. 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015.
4.– La Corte di cassazione solleva, in primo luogo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito.
4.1.– Con riferimento al divieto stabilito da tale disposizione, un’interpretazione rigorosa sarebbe imposta dalla finalità di ordine pubblico di contrasto del gioco illegale, nonché di tutela della salute pubblica, specialmente dei minorenni. Dovrebbe pertanto essere privilegiata un’interpretazione estensiva, nel senso di ricomprendere nella nozione di «apparecchiature», oggetto del divieto, non solo i cosiddetti totem (ossia dispositivi destinati in via esclusiva al gioco online, attraverso sistemi di pre-impostazione o di restrizioni di navigazione), ma anche gli strumenti a navigazione libera, ossia qualsiasi apparecchiatura potenzialmente idonea al collegamento a siti di gioco online, compresi personal computer, tablet o strumenti analoghi.
A sostegno di tale interpretazione estensiva deporrebbe, in primo luogo, il tenore letterale della disposizione, che fa riferimento ad «apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco». Questa impostazione sarebbe stata condivisa anche dalla stessa giurisprudenza di legittimità (è richiamata Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 30 dicembre 2021, n. 42036). Nello stesso senso deporrebbe anche la circolare dell’ADM 6 marzo 2014, n. 19453 («Totem» e tipologie di apparecchiature che consentono attività di gioco attraverso connessioni telematiche – Problematiche).
A sostegno dell’interpretazione estensiva varrebbe, inoltre, il richiamo alla giurisprudenza penale di legittimità in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive), che ha ritenuto che, per integrare la condotta di organizzazione, esercizio e raccolta a distanza di giochi, sia necessaria la predisposizione di personale e mezzi (è richiamata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 27 giugno-1° ottobre 2013, n. 40624). Ne discenderebbe, a contrario, che la mera messa a disposizione del mezzo, irrilevante sul piano della responsabilità penale, rileverebbe invece su quello della responsabilità amministrativa.
D’altra parte, osserva la Corte rimettente, la circostanza che i dispositivi non siano esclusivamente dedicati al gioco, ma possano essere utilizzati anche per la libera navigazione online, non varrebbe ad escludere l’applicabilità del divieto, che non distingue tra semplice messa a disposizione dell’apparecchiatura e la sua concreta utilizzabilità per finalità illecite, né specifica se sia necessario il carattere permanente ed esclusivo di tale utilizzo o se sia sufficiente una destinazione dell’apparecchiatura solo transitoria. Sarebbe, inoltre, irrilevante l’eventuale sussistenza di autorizzazioni all’esercizio di giochi a distanza, di cui potrebbe essere titolare l’esercente. La disposizione censurata colpisce, infatti, la mera messa a disposizione del mezzo anche da parte di esercenti concessionari o dotati di autorizzazione (come accaduto nei casi oggetto dei giudizi a quibus).
L’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, costituirebbe, dunque, una norma «di chiusura», diretta a colpire l’utilizzo per il gioco illecito di qualsiasi strumento dotato di collegamento telematico, anche solo potenzialmente idoneo al gioco online.
La disposizione censurata sarebbe costituzionalmente illegittima per difetto di ragionevolezza, per la mancanza di un bilanciamento del diritto alla salute con la libertà di impresa, nonché con il diritto alla riservatezza degli utenti.
4.2.– Sul piano del diritto eurounitario, la Corte di cassazione evidenzia che, secondo i criteri previsti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, eventuali disposizioni restrittive di una libertà fondamentale prevista dai Trattati dell’Unione, come la libera prestazione di servizi, messa in discussione nel caso di specie, devono rispettare il principio di proporzionalità (sono richiamate le sentenze della CGUE, terza sezione, 30 aprile 2014, causa C-390/12, Pfleger e altri, e seconda sezione, 14 giugno 2017, causa C-685/15, Online Games Handels GmbH e altri).
4.3.– D’altra parte, osserva il giudice a quo, in capo all’esercente non sarebbe configurabile un obbligo di impostare filtri di accesso a determinati siti internet, né di vigilare in ordine ai siti ai quali i clienti si collegano all’interno dell’esercizio, poiché ciò si porrebbe in evidente contrasto con la tutela della riservatezza.
Del resto, anche se si attribuisse rilievo al comportamento omissivo dell’esercente, la disposizione censurata non sfuggirebbe ai dubbi di legittimità costituzionale, non essendo in alcun modo descritta la condotta omissiva rilevante. Il margine di discrezionalità lasciato all’amministrazione sarebbe del tutto contrastante con il principio di legalità. Pertanto, l’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, violerebbe l’art. 25 Cost., in considerazione della mancanza di determinatezza della fattispecie.
4.4.– La Corte di cassazione dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015, che – per l’illecito previsto dall’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito – prevede, al primo periodo, la sanzione determinata nella misura fissa di euro ventimila, non modulabile in relazione all’entità della violazione.
La fissità della sanzione si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE.
Il giudice a quo richiama la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto costituzionalmente illegittima la previsione di sanzioni amministrative rigide e di rilevante incidenza sui diritti dell’interessato per fattispecie di gravità marcatamente diversa, così da determinare conseguenze sanzionatorie palesemente sproporzionate rispetto all’illecito commesso (sentenze n. 185 del 2021, n. 112 e n. 88 del 2019).
Nel caso in esame, qualunque scostamento dalle prescrizioni sarebbe punito con la medesima sanzione pecuniaria in misura fissa di euro ventimila. Si tratterebbe di una misura di significativo rilievo, soprattutto se rapportata alla modesta capacità economica di imprese di minime dimensioni, quali sono solitamente i gestori di internet point. La fissità del trattamento sanzionatorio impedirebbe di tener conto della diversa gravità concreta dei singoli illeciti – desumibile, ad esempio, dal numero delle apparecchiature messe a disposizione, dall’effettivo collegamento a siti di gioco e dalla graduazione dell’elemento soggettivo dell’esercente – e la reazione sanzionatoria potrebbe risultare manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al concreto disvalore dei fatti.
4.5.– D’altra parte, il dubbio di legittimità costituzionale non sarebbe superabile attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, non essendo previsto alcuno strumento individualizzante rispetto al concreto disvalore dell’illecito, né alcuna circostanza capace d’incidere sulla entità della sanzione. Né sarebbe praticabile un’interpretazione restrittiva del divieto, in quanto la stessa finirebbe per stravolgere la sua formulazione letterale. D’altra parte, non essendo necessario colmare una lacuna normativa, non sarebbe neppure praticabile un’estensione analogica di altri modelli rinvenibili nello stesso contesto normativo.
4.6.– La disposizione censurata sarebbe priva di un rapporto di proporzionalità tra il divieto imposto e la sua finalità, tenuto conto delle rilevanti conseguenze sulla tutela dei diritti coinvolti.
Infine, la previsione in esame discriminerebbe, in assenza di una ragionevole giustificazione, gli esercenti di internet point dai gestori di pubblici esercizi in genere, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti non solo il wi-fi, ma anche dispositivi per navigare sul web.
5.– Anche il Tribunale di Viterbo, con l’ordinanza indicata, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015.
5.1.– La disposizione censurata si porrebbe, innanzitutto, in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché la fissità del trattamento sanzionatorio impedirebbe di tener conto della differente gravità in concreto dei singoli illeciti, con la conseguenza che la reazione sanzionatoria risulterebbe manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore dei fatti.
Inoltre, è denunciata la violazione degli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, poiché i diritti di proprietà e di libera iniziativa economica sarebbero incisi secondo una costante predeterminata, che imporrebbe il medesimo trattamento sanzionatorio per condotte che, in concreto, potrebbero presentare significative differenze di disvalore.
5.2.– Il giudice a quo osserva che la disposizione censurata stabilisce la sanzione in misura fissa, senza contemplare un intervallo edittale e, quindi, senza consentire l’applicazione dei criteri di cui all’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
La sanzione non sarebbe suscettibile di graduazione in base alle circostanze del caso specifico e potrebbe risultare sproporzionata rispetto al disvalore dei fatti accertati in concreto. La rigidità del precetto non lascerebbe alcun margine per elaborare un’interpretazione conforme, atteso il chiaro tenore letterale della disposizione.
5.3.– A sostegno della non manifesta infondatezza, il Tribunale di Viterbo richiama la giurisprudenza costituzionale sul principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative e, in particolare, le sentenze n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019.
Il giudice a quo sottolinea che il rapporto di congruità che deve sussistere fra l’illecito amministrativo e la relativa sanzione trova fondamento costituzionale nell’art. 3 Cost., applicato alla luce dei principi che regolano i diritti incisi dalla sanzione. Nel caso in esame, tali diritti attengono alla libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e alla proprietà (artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU).
A questo riguardo, il Tribunale di Viterbo richiama la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo là dove ha riconosciuto che le misure limitative della proprietà privata, disposte per ragioni di interesse pubblico, possono considerarsi legittime solo se proporzionate rispetto alla finalità perseguita (è richiamata Corte EDU, grande camera, sentenza 25 marzo 1999, Papachelas contro Grecia). Nel caso in esame, invece, la sanzione amministrativa, quantificata in misura fissa, inciderebbe sul diritto di proprietà in modo sempre uguale, precludendo la commisurazione secondo un parametro di proporzionalità rispetto al disvalore.
L’impossibilità di graduare la sanzione renderebbe la disposizione in esame inconciliabile con il principio di proporzionalità. Infatti, i diritti di proprietà e di libera iniziativa economica sarebbero incisi secondo una costante predeterminata, che imporrebbe un identico trattamento sanzionatorio per condotte che, in concreto, possono presentare significative differenze.
5.4.– Il Tribunale di Viterbo riconosce, d’altra parte, che la richiesta pronuncia ablatoria potrebbe determinare un vuoto sanzionatorio rispetto alla condotta illecita in esame.
Proprio al fine di assicurare la tutela dell’interesse protetto e fatto salvo, comunque, un intervento legislativo di segno differente, il giudice a quo ritiene che la cornice edittale della sanzione in esame possa essere modificata con l’applicazione della misura, costituzionalmente adeguata alla tutela del bene giuridico, prevista dall’art. 24, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che punisce la violazione del divieto di partecipazione dei minori di diciotto anni ai giochi pubblici e alle scommesse, stabilendo la sanzione nell’importo compreso tra euro cinquemila ed euro ventimila.
In attesa di un auspicabile intervento legislativo, ciò consentirebbe di assicurare, al contempo, il rispetto del principio di proporzionalità, violato dalla norma censurata, e la continuità della tutela della salute mediante il contrasto alla ludopatia.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti i giudizi con separati atti di intervento, di analogo tenore, in cui ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.
6.1.– In via preliminare, l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per l’incompleta individuazione del quadro normativo di riferimento.
Dopo avere illustrato analiticamente l’evoluzione normativa che ha riguardato la disciplina statale dei giochi con vincite in denaro, in funzione del contrasto del gioco d’azzardo e dell’ampliamento dell’offerta legale del gioco, la difesa statale ha sottolineato che questo sistema normativo è stato oggetto di plurimi interventi legislativi di riordino, finalizzati a perseguire un equilibrio tra le istanze di tutela della salute dei cittadini e le esigenze dell’erario, garantendo allo stesso tempo la certezza del diritto per gli operatori economici. Il giudice rimettente non avrebbe dato conto del complessivo quadro regolatorio in cui si colloca la disposizione censurata. Tale carenza argomentativa inficerebbe l’ammissibilità delle questioni sollevate (è richiamata, al riguardo, la sentenza di questa Corte n. 40 del 2016).
L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito, inoltre, l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Il richiamo ai principi affermati dalla sentenza di questa Corte n. 185 del 2021 non sarebbe accompagnato da un’autonoma valutazione sulla possibilità di ricondurre la fattispecie in esame a quella oggetto di scrutinio nella pronuncia citata, nonché sul denunciato contrasto tra la disposizione censurata e ciascuno dei plurimi parametri costituzionali evocati.
Con specifico riferimento alle censure relative all’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito il mancato esperimento di un tentativo di attribuire alla disposizione censurata un significato costituzionalmente conforme.
La difesa statale ha eccepito, inoltre, l’inammissibilità delle medesime questioni per difetto di rilevanza. Sarebbe stata omessa la considerazione delle circostanze del caso concreto, univocamente indicative della destinazione degli apparecchi in contestazione al gioco online, sia pure in via non esclusiva. Pertanto, ai fini dell’applicazione della disposizione censurata, non sarebbe necessaria l’interpretazione estensiva del divieto, posta alla base delle censure formulate dal rimettente.
6.2.– Quanto al merito, la difesa statale ritiene non fondate le questioni aventi ad oggetto l’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito.
Le censure si rivelerebbero insussistenti alla luce di un’interpretazione conforme alla Costituzione.
La condotta consistente nella messa a disposizione delle apparecchiature di cui alla disposizione censurata sarebbe assimilabile a quella di agevolazione del gioco d’azzardo, punita dall’art. 718 del codice penale e integrata dalla condotta di chi rende possibile il gioco o ne facilita comunque l’esercizio, anche in modo occasionale e gratuito. Allo stesso modo, l’illecito di cui all’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, non sarebbe integrato dalla mera messa a disposizione di normali personal computer. Interpretata alla luce delle finalità perseguite, la disciplina in esame si applicherebbe solo alle apparecchiature concretamente utilizzate per il gioco online.
D’altra parte, la condotta prevista dalla disposizione censurata sarebbe sovrapponibile alla fattispecie tipizzata dall’art. 4, comma 4-bis, della legge n. 401 del 1989, consistente nel «favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero». Anche in questo caso, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto sussistere la fattispecie ogni qualvolta il titolare dell’esercizio intervenga «sull’utilizzazione dei terminali da parte dei giocatori medesimi» (sono citate Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 12 aprile-19 agosto 2016, n. 35067 e n. 40624 del 2023).
6.3.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, anche le questioni aventi a oggetto l’art. 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015 non sarebbero fondate.
La misura fissa della sanzione non sarebbe, di per sé, indicativa del suo carattere sproporzionato (al riguardo, sono richiamate le ordinanze di questa Corte n. 282 del 2001 e n. 204 del 2008). In realtà, il principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative, di matrice unionale, non escluderebbe affatto la possibilità che il legislatore dello Stato membro preveda sanzioni in misura fissa.
Del resto, osserva l’Avvocatura generale dello Stato, la stessa giurisprudenza della CGUE, con riferimento ai giochi d’azzardo accessibili via internet, ha evidenziato come l’assenza di contatto diretto tra consumatore e operatore comporti rischi di maggiore entità rispetto ai mercati tradizionali di tali giochi, anche per eventuali frodi commesse in danno dei consumatori.
Con specifico riferimento agli argomenti illustrati dal Tribunale di Viterbo, la difesa statale deduce l’inidoneità della fattispecie della partecipazione al gioco da parte dei minori, di cui all’art. 24, comma 21, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, a fungere da tertium comparationis. Infatti, sarebbero differenti sia le condotte rispettivamente considerate, sia le tipologie di sanzione: la disposizione richiamata da ultimo non si limita a prevedere una sanzione amministrativa pecuniaria, ma impone anche l’applicazione della sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio.
6.4.– L’Avvocatura generale dello Stato osserva, infine, che sarebbe impossibile fornire un’esatta quantificazione dell’impatto sul bilancio dello Stato dell’eventuale accoglimento delle questioni in esame. Ove non fosse accompagnata dall’indicazione della sanzione applicabile, la caducazione delle disposizioni censurate richiederebbe un nuovo intervento del legislatore e provocherebbe, nelle more, un importante drenaggio di risorse dal settore legale a quello illegale.
7.– Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 171 del 2024 si è costituita la parte ricorrente, T. T., chiedendo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di cassazione.
7.1.– Quanto alla disposizione di cui all’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, la parte condivide le censure formulate dal rimettente in ordine al carattere assoluto del divieto, totalmente sbilanciato a favore della tutela della salute, così da escludere la possibilità di valorizzare interessi contrapposti parimenti rilevanti, quali la libertà di impresa degli esercenti e il diritto alla riservatezza degli utenti.
Ne discenderebbe la conseguenza paradossale di ritenere illegale l’intera categoria degli internet point, così come qualsiasi postazione connessa a internet. Ne deriverebbe «una recessione sociale di livello epocale» e si creerebbero profonde discriminazioni ai danni di coloro che – per ragioni economiche o geografiche – non dispongano di apparecchiature proprie per connettersi a internet, con conseguente lesione di diritti fondamentali, in particolare del diritto alla comunicazione e all’informazione.
7.2.– Inoltre, la previsione in esame configurerebbe a carico del titolare dell’esercizio un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ossia a prescindere dalla sussistenza di qualsiasi elemento soggettivo. L’esercente sarebbe infatti sanzionabile là dove i clienti, anche a sua insaputa, utilizzino la connessione internet, messa a disposizione nel locale, per accedere a siti di gioco, anche leciti. Né, d’altra parte, quanto ai siti illegali, sussisterebbe alcun obbligo giuridico per l’esercente di apporre dei “filtri” alla libera navigazione sul web da parte dei clienti.
7.3.– La difesa della parte evidenzia la possibilità di una interpretazione restrittiva della disposizione censurata, tale da escludere il denunciato contrasto con i parametri costituzionali evocati.
Secondo questa interpretazione, la responsabilità andrebbe delimitata ai soli casi in cui l’apparecchiatura permetta di giocare online direttamente, senza il previo inserimento delle credenziali. Viceversa, ove il dispositivo fosse utilizzato da un giocatore che acceda alla piattaforma di gioco previa autenticazione con i propri dati di accesso, l’esercente non potrebbe ritenersi responsabile, poiché la condotta sarebbe riconducibile esclusivamente all’autonoma e consapevole attività dello stesso giocatore.
Pertanto, ad avviso della parte, a integrare la violazione del precetto in esame non sarebbe sufficiente la sola messa a disposizione delle apparecchiature collegate a internet, ove ciò avvenga senza la fornitura delle credenziali per accedere a un conto di gioco con cui giocare o scommettere.
7.4.– La difesa della parte, inoltre, ha condiviso gli argomenti illustrati dal giudice a quo a sostegno della illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015.
8.– Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 168 del 2024, si è costituita la parte ricorrente, M. D., chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dal Tribunale di Viterbo.
8.1.– Ad avviso della parte, i principi affermati nella più volte citata sentenza di questa Corte n. 185 del 2021 sarebbero parimenti riferibili a sostegno della illegittimità costituzionale della disposizione censurata, poiché anche questa, al pari di quella dichiarata costituzionalmente illegittima nella sentenza richiamata, prevede l’applicazione di una sanzione fissa rispetto a una pluralità di illeciti di gravità marcatamente diversa tra loro. Infatti, la sanzione sarebbe applicabile indistintamente al gioco su piattaforme predisposte sia da soggetti autorizzati, sia da «soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio», quindi al di fuori del circuito del gioco lecito.
La non graduabilità della sanzione comporterebbe il rischio di una reazione sanzionatoria manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al concreto disvalore dei fatti, poiché colpirebbe nella medesima ed afflittiva misura fattispecie anche molto differenti sotto il profilo della gravità.
8.2.– D’altra parte, non sarebbe necessario un intervento di tipo “manipolativo”, che sostituisca la sanzione censurata con altra conforme a Costituzione, poiché la lacuna conseguente a una pronuncia ablativa non determinerebbe insostenibili vuoti di tutela per gli interessi protetti dalla norma (è richiamata, ancora, la sentenza n. 185 del 2021).
Considerato in diritto
1.– Con le due ordinanze indicate in epigrafe, la Corte di cassazione, seconda sezione civile, ha censurato, in primo luogo, l’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, che vieta «la messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza, ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità».
La disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., per il carattere assoluto e indiscriminato del divieto che colpisce la mera messa a disposizione anche di personal computer a navigazione libera, a prescindere dall’effettivo collegamento a siti di gioco online, in mancanza di un ragionevole bilanciamento del diritto alla salute, sotteso alla disposizione censurata, con il diritto di libertà di impresa, nonché con il diritto alla riservatezza degli utenti.
È denunciata, inoltre, la violazione dell’art. 25 Cost., per l’indeterminatezza della fattispecie che lascerebbe all’amministrazione un margine di discrezionalità del tutto contrastante con il principio di legalità; nonché degli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, perché verrebbe sacrificato in modo irragionevole e indiscriminato il diritto di libertà di impresa, nonché il diritto alla riservatezza degli utenti.
2.– La stessa Corte di cassazione e il Tribunale di Viterbo, con l’ordinanza indicata in epigrafe, hanno inoltre censurato l’art. 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015, che punisce, al primo periodo, con la sanzione amministrativa di ventimila euro la violazione del divieto previsto dall’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito.
Questa disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché la fissità del trattamento sanzionatorio impedirebbe di tener conto della differente gravità in concreto dei singoli illeciti, con la conseguenza che la reazione sanzionatoria risulterebbe manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore dei fatti.
Infine, è denunciata la violazione degli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, poiché i diritti di proprietà e di libera iniziativa economica sarebbero incisi secondo una costante predeterminata, che imporrebbe il medesimo trattamento sanzionatorio per condotte che, in concreto, potrebbero presentare significative differenze di disvalore.
3.– I tre giudizi in esame concernono questioni in larga misura sovrapponibili e meritano, pertanto, di essere riuniti ai fini della decisione.
4.– All’esame delle questioni di legittimità costituzionale è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si collocano le due disposizioni censurate.
Esse si inseriscono nell’ambito della disciplina del gioco con vincita di denaro. Si tratta di un apparato normativo complesso e stratificato, in cui vengono in rilievo plurimi beni costituzionali, quali la sicurezza, l’ordine pubblico, la libertà di iniziativa economica e la salute, individuale e collettiva.
L’avvento di internet e il rapido aumento delle possibilità di gioco online hanno straordinariamente ampliato l’offerta di tali servizi, cui si è accompagnata la progressiva diffusione del fenomeno del gioco di azzardo patologico. Al fine di fronteggiare l’invasiva penetrazione di questo disturbo e di promuovere «un più alto livello di tutela della salute» (così il titolo del d.l. n. 158 del 2012, come convertito), il legislatore è intervenuto adottando strategie diversificate.
Queste ultime sono consistite nell’introduzione di misure di prevenzione logistica, che stabiliscono distanze minime delle sale da gioco rispetto a luoghi cosiddetti “sensibili” (art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito), nella previsione di interventi a tutela dei minori, come il divieto di ammettere i minorenni a partecipare a giochi con vincita di denaro – art. 1, comma 70, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2011)» e art. 24, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111 – nonché nell’apposizione di divieti o limitazioni della pubblicità di giochi e scommesse (art. 7, commi 4 e 6, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, e art. 9 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante «Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese», convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96).
Va segnalato, inoltre, che la dipendenza da gioco d’azzardo è stata inserita, insieme alle altre dipendenze patologiche, nel d.P.C.m. 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), che ha ridefinito i nuovi livelli essenziali di assistenza alle persone con dipendenze patologiche (artt. 28 e 35).
Invero, come affermato da questa Corte, la «“dipendenza da gioco d’azzardo” (cosiddetto gioco d’azzardo patologico o ludopatia) [costituisce un] “fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcoolismo” (sentenza n. 108 del 2017), con riflessi, talvolta gravi, sulle capacità intellettive, di lavoro e di relazione di chi ne è affetto, e con ricadute negative altrettanto rilevanti sulle economie personali e familiari» (sentenza n. 54 del 2024; nello stesso senso, sentenza n. 185 del 2021).
D’altra parte, la Corte di giustizia UE ha sottolineato che, in considerazione dell’assenza di contatto diretto tra consumatore e operatore, i giochi d’azzardo accessibili online comportano rischi differenti e più gravi rispetto a quelli connessi all’offerta tradizionale di tali giochi, anche per eventuali frodi commesse dagli operatori a danno dei consumatori (CGUE, sesta sezione, sentenza 28 febbraio 2018, causa C-3/17, Sporting Odds Ltd.; grande sezione, sentenza 8 settembre 2009, causa C‑42/07, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e altri).
5.– Ciò premesso, occorre esaminare le eccezioni preliminari di inammissibilità formulate dall’Avvocatura generale dello Stato.
5.1.– In primo luogo, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità per incompleta ricostruzione del quadro normativo.
La difesa statale ha sottolineato che la disciplina statale dei giochi con vincite in denaro è stata oggetto di plurimi interventi legislativi di riordino, finalizzati a perseguire un equilibrio tra le istanze di tutela della salute dei cittadini e le esigenze dell’erario, garantendo allo stesso tempo la certezza del diritto per gli operatori economici. Il giudice rimettente non avrebbe dato conto del complessivo quadro regolatorio in cui si colloca la disposizione censurata e ciò precluderebbe l’esame del merito.
Nel caso in esame, dall’apparato motivazionale che accompagna la prospettazione dei rimettenti si evince chiaramente che il vulnus lamentato discende direttamente dalle due disposizioni censurate in sé considerate, anche a prescindere da una considerazione complessiva e sistematica della disciplina di settore in cui esse si collocano. Gli argomenti addotti a sostegno delle censure dei rimettenti risultano idonei a illustrarne il senso e le carenze nella ricostruzione del quadro normativo non sono tali da compromettere l’iter argomentativo delle questioni.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che l’eventuale carente ricostruzione del quadro normativo non comporta l’inammissibilità della questione, là dove non inficia la chiarezza del percorso logico argomentativo (fra le molte, sentenze n. 228 e n. 42 del 2023, n. 214 del 2022, n. 114 e n. 61 del 2021).
5.2.– Non è fondata neppure l’eccezione, sollevata dalla difesa statale, di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto l’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, per l’omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la condotta illecita prevista dalla disposizione censurata non consisterebbe nella mera messa a disposizione di normali personal computer. La disciplina in esame dovrebbe ritenersi applicabile solo rispetto alle apparecchiature concretamente utilizzate per il gioco online.
A questo riguardo, va viceversa rilevato che i giudici rimettenti hanno esplorato in maniera approfondita la possibilità di un’interpretazione conforme alla Costituzione della disposizione censurata e l’hanno consapevolmente esclusa, per i motivi illustrati nelle rispettive ordinanze di rimessione.
Inoltre, come chiarito ormai da tempo e in modo costante dalla giurisprudenza costituzionale, la valutazione circa la condivisibilità dell’esito interpretativo raggiunto dall’autorità rimettente attiene al merito, e cioè alla successiva verifica di fondatezza della questione stessa (tra le molte, sentenze n. 73 e n. 25 del 2023, n. 219 e n. 203 del 2022).
5.3.– Infine, con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015, non è fondata l’eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il richiamo ai principi affermati dalla sentenza n. 185 del 2021 non sarebbe accompagnato da un’autonoma valutazione sulla possibilità di ricondurre la fattispecie in esame a quella valutata dalla Corte nella pronuncia citata, nonché sul denunciato contrasto tra la disposizione censurata e ciascuno dei plurimi parametri costituzionali evocati.
Va tuttavia osservato che i giudici rimettenti, oltre ad aver analiticamente esposto gli argomenti a sostegno della non manifesta infondatezza delle censure, hanno individuato in modo specifico e con sufficiente determinatezza le ragioni della ritenuta illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, facendo riferimento, tra l’altro, alla sentenza n. 185 del 2021. I contorni delle censure risultano chiari e niente affatto generici e ciascuna delle ordinanze risulta adeguatamente argomentata in ordine alle ragioni del preteso contrasto con ciascuno dei parametri costituzionali evocati.
5.4.– Infine, non ricorre neppure l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento agli artt. 41 e 42 Cost.
Infatti, a prescindere dalla presenza di uno specifico corredo motivazionale a sostegno della censura, va rilevato che, nel caso in esame, «il riferimento a tali parametri ha la semplice funzione di individuare le norme costituzionali che, in combinato disposto con l’art. 3 Cost., fornirebbero nel caso in esame la base normativa del principio di proporzionalità della sanzione; principio la cui denunciata violazione è ampiamente argomentata» (sentenza n. 185 del 2021).
6.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, sono fondate in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE.
6.1.– Occorre premettere che la disposizione censurata è stata inserita, in sede di conversione del d.l. n. 158 del 2012, nell’ambito dell’art. 7, dedicato alle «misure di prevenzione per contrastare la ludopatia». Dopo avere fatto salve le sanzioni previste per l’offerta illecita di giochi con vincita in denaro, essa vieta «la messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza, ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità».
6.2.– Quanto ai pubblici esercizi, ricadono nell’ambito applicativo del divieto in esame sia gli esercizi abilitati all’installazione degli apparecchi da gioco (come sale bingo, agenzie per l’esercizio delle scommesse su eventi sportivi, negozi di gioco, sale pubbliche da gioco ed esercizi dediti esclusivamente al gioco, sale da biliardo, circoli privati), sia qualunque altro esercizio commerciale, compresi gli internet point, che renda le proprie prestazioni in favore di una pluralità indifferenziata di soggetti.
6.3.– Quanto alle apparecchiature, dalla lettera della disposizione in esame emerge che il divieto riguarda non solo i cosiddetti totem (ossia dispositivi destinati in via esclusiva al gioco online, attraverso sistemi di pre-impostazione o di restrizioni di navigazione), ma anche gli strumenti a navigazione libera, ossia qualsiasi dispositivo idoneo al collegamento a siti di gioco online, compresi personal computer, tablet o apparecchi analoghi, che consentano di navigare in rete.
Infatti, la disposizione fa generico riferimento ad «apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco». Il divieto di messa a disposizione riguarda, pertanto, tutte le apparecchiature con cui sia possibile effettuare il gioco online.
Il divieto in esame prescinde, dunque, dalla possibilità di configurare tali dispositivi come congegni da gioco, poiché rileva soltanto la circostanza che la messa a disposizione degli stessi avvenga all’interno di un pubblico esercizio. Deve ritenersi vietata, di conseguenza, la mera messa a disposizione di qualsiasi apparecchiatura che offra la possibilità di navigare in rete e, quindi, di accedere sia a piattaforme di gioco legale, poiché gestite «da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza», sia a piattaforme di gioco illegale, in quanto gestite «da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio».
6.4.– Nello scrutinare la legittimità costituzionale della disposizione censurata occorre partire dall’individuazione della sua ratio.
La misura restrittiva in esame persegue la finalità legittima e meritevole di limitare le occasioni di gioco in funzione di prevenzione della ludopatia e, più in generale, di tutela della salute. Essa si colloca, infatti, tra le misure di contrasto del gioco d’azzardo patologico introdotte dal d.l. n. 158 del 2012, come convertito, che, fin dal preambolo, dichiara di volere procedere al «riassetto dell’organizzazione sanitaria […] allo scopo di garantire e promuovere in tale ottica un più alto livello di tutela della salute, adottando misure finalizzate […] alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza per le persone affette da malattie croniche e rare e da dipendenza da gioco con vincita di denaro». In particolare, l’art. 7 di tale decreto-legge detta «misure di prevenzione per contrastare la ludopatia».
6.5.– Come si è visto, tuttavia, la disposizione censurata vieta la mera messa a disposizione di qualsiasi apparecchiatura che consenta di collegarsi a siti di gioco online. Essa accomuna, nella medesima valutazione di illiceità, condotte ampiamente diversificate sul piano dell’offesa all’interesse giuridico protetto.
Il divieto in esame attiene, infatti, alla messa a disposizione di apparecchiature che consentono l’accesso al gioco sia legale che illegale, cioè praticato al di fuori della rete dei concessionari o dei soggetti autorizzati. La disposizione censurata, inoltre, colpisce allo stesso modo sia la destinazione occasionale delle apparecchiature al gioco, sia quella esclusiva e permanente.
Il precetto risulta, dunque, eccessivamente inclusivo, in quanto riferito a una gamma assai estesa di comportamenti, connotati da un diverso grado di offensività degli interessi protetti e da rilevanti differenze di disvalore. L’estensione dell’area dell’illecito risulta effettivamente sproporzionata rispetto al fine legittimamente perseguito, in violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Per un diverso profilo, la disposizione censurata introduce una misura di tutela del diritto alla salute consistente in un divieto volto a fronteggiare la diffusione della ludopatia tramite la delimitazione dell’offerta di gioco online che comunque rimane capillare e vastissima, anche attraverso canali di accesso diversi da quelli contemplati dalla disposizione in esame. Ciò rivela la modesta efficacia della misura rispetto alla sua finalità, a fronte di una significativa e immediata compressione degli interessi contrapposti, fra i quali, in primo luogo, la libertà di impresa. Anche sotto questo profilo, l’estensione del divieto in esame risulta sproporzionata rispetto agli obiettivi che esso si prefigge.
6.6.– L’illegittimità costituzionale della disposizione censurata va apprezzata anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, che è costante nel ritenere che, pur essendo gli Stati membri liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo ed, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione ricercato, le restrizioni da essi imposte alla libera prestazione dei servizi devono nondimeno soddisfare le condizioni risultanti dalla giurisprudenza della stessa Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità (Corte di giustizia UE, nona sezione, sentenza 16 marzo 2023, causa C‑517/20, OL, punto 52; sesta sezione, sentenza 28 febbraio 2018, causa C-3/17, Sporting Odds Ltd., punto 62; quarta sezione, sentenza 13 settembre 2007, causa C‑260/04, Commissione delle Comunità europee, punto 28; grande sezione, sentenza 6 marzo 2007, cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica, punto 48).
In particolare, occorre verificare, tenendo conto delle concrete modalità di applicazione della normativa restrittiva di cui si tratta, che quest’ultima risponda veramente all’intento di ridurre le occasioni di gioco, di limitare le attività in tale settore e di combattere la criminalità connessa a tali giochi in maniera coerente e sistematica (Corte di giustizia UE, seconda sezione, sentenza 14 giugno 2017, causa C-685/15, Online Games Handels GmbH e altri, punti 49 e 50; terza sezione, sentenza 30 aprile 2014, causa C-390/12, Pfleger e altri, punti 49 e 50).
In definitiva, nel caso in esame, il divieto, nella sua indiscriminata estensione, sacrifica in modo irragionevole e sproporzionato altri interessi contrapposti, fra i quali la libertà di impresa.
Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, per violazione degli artt. 3, 41, 42, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, con assorbimento di ogni altro profilo.
7.– Tale dichiarazione di illegittimità costituzionale travolge anche la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 923, primo periodo, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui stabilisce la sanzione amministrativa di ventimila euro per la violazione dell’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito.
Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale anche di quest’ultima disposizione.
Restano salve le sanzioni previste nei confronti di chiunque eserciti illecitamente attività di offerta di giochi con vincita in denaro.
8.– Spetta al legislatore l’adozione di ulteriori e idonee misure di contrasto alla ludopatia.