Sentenza 101/2025 (ECLI:IT:COST:2025:101)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore: PITRUZZELLA
Udienza Pubblica del 21/05/2025;    Decisione  del 21/05/2025
Deposito del 08/07/2025;   Pubblicazione in G. U. 09/07/2025  n. 28
Norme impugnate: Art. 1, c. 2° sexies, del decreto-legge 21/10/2020, n. 130, convertito, con modificazioni, nella legge 18/12/2020, n. 173, come inserito dall'art. 1, c. 1°, lett. b), del decreto-legge 02/01/2023, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24/02/2023, n. 15.
Massime: 
Massime: 
Atti decisi: ord. 205/2024


Pronuncia

SENTENZA N. 101

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 173, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 2 gennaio 2023, n. 1 (Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 15, promosso dal Tribunale ordinario di Brindisi, sezione civile, in composizione monocratica, nel procedimento vertente tra L. B. e altri e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e altri, con ordinanza del 10 ottobre 2024, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti gli atti di costituzione della Società Hoyland Offshore As srl e SOS Mediterranée France e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2025 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;

uditi l’avvocato Dario Belluccio per Società Hoyland Offshore As srl e SOS Mediterranée France e l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 21 maggio 2025.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 10 ottobre 2024, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Brindisi, sezione civile, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 25, 27, primo e terzo comma, e 117 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies, del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 173, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 2 gennaio 2023, n. 1 (Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 15.

La previsione censurata, nel testo vigente al tempo in cui sono state sollevate le questioni di legittimità costituzionale, così disponeva: «Fuori dei casi in cui è stato adottato il provvedimento di limitazione o divieto di cui al comma 2, quando il comandante della nave o l’armatore non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare nonché dalla struttura nazionale preposta al coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell’immigrazione clandestina o non si uniforma alle loro indicazioni, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 10.000. Alla contestazione della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione […]».

1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente espone di dover decidere sull’opposizione proposta dal capitano, dal proprietario, dall’armatore e dal noleggiatore contro il fermo amministrativo e l’affidamento in custodia della nave Ocean Viking, provvedimenti emessi sul presupposto che il comandante non avesse rispettato «le indicazioni fornite dalla autorità competente per il coordinamento delle operazioni di soccorso, creando situazioni di pericolo» e violando così le prescrizioni dell’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito.

1.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo premette che la disposizione censurata non si presta a un’interpretazione adeguatrice e si pone in contrasto con molteplici parametri costituzionali.

1.2.1.– In primo luogo, il rimettente deduce la violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., in quanto il legislatore, con l’art. 1, comma 2-sexies, secondo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, avrebbe previsto un’automatica applicazione del fermo rispetto a una molteplicità di condotte eterogenee.

Sarebbe violato il principio di ragionevolezza, «la cui osservanza garantisce altresì l’adeguatezza della risposta punitiva ai casi concreti e quindi il carattere “personale” della responsabilità penale, nella prospettiva segnata» dall’art. 27, primo comma, Cost. Al contempo, sarebbe precluso un adeguamento individualizzato della misura, in contrasto con la finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.).

1.2.2.– In secondo luogo, il rimettente censura l’art. 1, comma 2-sexies, primo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, «con riguardo ai presupposti previsti per l’applicazione della sanzione accessoria, ovvero l’inottemperanza da parte del comandante della nave alle indicazioni fornite dal competente centro per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si è svolta l’operazione di soccorso».

La formulazione del precetto sarebbe lesiva del principio di determinatezza della fattispecie incriminatrice, corollario del principio di legalità (art. 25 Cost.), «nella misura in cui, nel descrivere la condotta suscettibile di sanzione amministrativa, richiama per relationem l’ordine impartito dall’autorità incaricata di coordinare le operazioni di soccorso». La norma censurata «si traduce nel rinvio in bianco all’ordine impartito» dall’autorità competente secondo il sistema SAR (Search and Rescue), «ancorché esso non sia stato formalizzato in un atto amministrativo».

1.2.3.– Il rimettente, infine, sospetta di illegittimità costituzionale l’art. 1, comma 2-sexies, primo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, per violazione degli artt. 10 e 117 Cost., «nella misura in cui, riconoscendo la valida esistenza di una “zona SAR” libica e la legittimità degli ordini impartiti da quell’autorità nelle operazioni di soccorso, contrasta con obblighi imposti all’Italia dal diritto internazionale consuetudinario e convenzionale». L’applicazione della disposizione censurata imporrebbe al rimettente «di assumere che lo Stato libico costituisca un “porto sicuro”, secondo l’accezione fornita, fra le altre, dalla stessa Convenzione di Amburgo, a seguito della sottoscrizione da parte degli stati aderenti della Risoluzione MSC l67(78) del 2004».

Secondo il Tribunale di Brindisi, l’osservanza dell’ordine impartito dall’autorità libica e l’applicazione dell’art. l, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, potrebbero comportare la violazione di obblighi imposti dal diritto internazionale consuetudinario – quanto al divieto di respingimento dei migranti e della tortura – e convenzionale (artt. 10 e 117, primo comma, Cost.).

2.– Con atto depositato il 2 dicembre 2024, si sono costituite in giudizio Società Hoyland Offshore AS srl e SOS Mediterranée France, parti ricorrenti nel giudizio principale.

2.1.– Le parti condividono il presupposto interpretativo della natura “sostanzialmente penale” della sanzione del fermo amministrativo e osservano che la violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost. deriva dall’applicazione automatica di tale sanzione accessoria e, al contempo, dall’impossibilità di graduarla. La reazione sanzionatoria sarebbe sproporzionata, in virtù della «combinazione tra automatismo e fissità» e della «notevole entità della sanzione».

Qualsiasi sanzione fissa sarebbe «per ciò solo “indiziata” di illegittimità» e si imporrebbe «la puntuale dimostrazione di “proporzione” rispetto all’intera gamma dei comportamenti tipizzati».

Nel caso di specie, sarebbe opportuno «rimuovere l’ipotesi sanzionatoria censurata attraverso una sentenza ablativa», secondo il modello già sperimentato con la sentenza n. 185 del 2021 di questa Corte.

2.2.– Inoltre, la violazione del principio di determinatezza sarebbe evidente «nella misura in cui il legislatore [à]ncora la violazione alla mera inottemperanza delle “istruzioni” impartite dall’autorità straniera senza chiarire il contenuto e senza neppure prevedere come tali istruzioni debbano essere formalizzate». Il precetto sanzionatorio non potrebbe essere integrato dalle richieste telefoniche o via mail di volta in volta rivolte alle navi delle Organizzazioni non governative (ONG) dalla Guardia costiera libica. Ciò sarebbe ancora più paradossale «se si considera che le “istruzioni” a cui si fa riferimento vengono impartite da una autorità straniera nei confronti di imbarcazioni che battono bandiera non italiana (quella di Ocean Viking è norvegese) in acque internazionali».

2.3.– Le parti rilevano, infine, che le autorità libiche non garantirebbero «in alcun modo l’efficacia dei soccorsi», creerebbero «situazioni di pericolo per i naufraghi» e non rispetterebbero «le linee guida stabilite dall’Organizzazione Internazionale Marittima per il coordinamento dei soccorsi». Inoltre, sarebbe evidente «il rischio che l’ottemperanza alle indicazioni delle autorità libiche porti a concludere le operazioni di soccorso con lo sbarco dei naufraghi in Libia, e quindi in violazione sia della normativa di diritto internazionale del mare che impone lo sbarco in un luogo sicuro, sia con il diritto internazionale consuetudinario e pattizio dei diritti umani e in particolare con il principio di non refoulement».

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio, con atto depositato il 3 dicembre 2024.

3.1.– In via preliminare, la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate per irrilevanza, addebitando al rimettente di averle prospettate «in termini apodittici, limitandosi ad affermare l’inconfigurabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata».

Inoltre, per quel che concerne la questione di legittimità costituzionale incentrata sulla violazione degli obblighi internazionali, mancherebbe la descrizione dei fatti utile a verificarne la rilevanza. In particolare, dall’ordinanza non si ricaverebbe il contenuto dell’ordine che sarebbe stato impartito dall’autorità libica competente, se si eccettua «uno scarno riferimento a una comunicazione via e-mail della Libyan Coast Guard».

3.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate.

3.2.1.– L’Amministrazione, in sede di applicazione della sanzione, e il giudice, in sede di controllo, ben potrebbero adattare l’entità della sanzione complessiva (pecuniaria e accessoria) alla gravità dell’infrazione, posto che, se la sanzione accessoria è fissa, quella pecuniaria è invece graduabile tra un minimo e un massimo.

Inoltre, la norma in questione contemplerebbe – a fronte di una condotta di pericolo astratto – una sanzione mite, tenuto conto del suo carattere amministrativo (non penale) e del fatto che il fermo produce effetti limitati (venti giorni), che ricadono sulla sola nave utilizzata per commettere la violazione. D’altro canto, la condotta sanzionata sarebbe grave «in relazione al bene giuridico tutelato (nel caso in esame i beni giuridici di rilevanza primaria dell’ordine pubblico interno e internazionale e dell’ordinato svolgimento dei salvataggi a tutela dell’incolumità dei migranti)». Non sussisterebbero, dunque, i denunciati profili di irragionevolezza.

3.2.2.– Non sarebbe violato nemmeno il principio di determinatezza.

La condotta illecita consisterebbe nel comportamento di chi «non adempie alle richieste di un’autorità che opera istituzionalmente per gestire e coordinare le operazioni di soccorso o di controllo delle frontiere», e dunque essa sarebbe «delimitata dall’operato delle autorità nell’ambito di queste funzioni». La legittimità costituzionale di una norma sanzionatoria così strutturata sarebbe pacifica, come risulterebbe dall’art. 650 del codice penale e dalla giurisprudenza costituzionale in materia (è citata la sentenza di questa Corte n. 168 del 1971). Trattandosi di sanzione amministrativa e non penale, il rinvio eteronomo sarebbe a fortiori legittimo.

3.2.3.– Sarebbero manifestamente infondate, infine, le censure di violazione degli artt. 10 e 117 Cost.

La titolarità, in capo alla Libia, di una zona SAR di propria competenza troverebbe il suo fondamento nella Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979, alla quale l’Italia ha aderito e dato esecuzione con legge 3 aprile 1989, n. 147, «anche mediante disposizioni che, come quella censurata, ne assicurano l’applicazione». Le navi che intervengono non potrebbero esimersi dal conformarsi al coordinamento dello Stato che intervenga con le proprie direttive.

Non sarebbe pertinente il riferimento al sistema di accoglienza libico e alle condizioni dei centri di detenzione per migranti, posto che la norma censurata e i relativi richiami al diritto internazionale non afferiscono al sistema di gestione del fenomeno migratorio, «ma alla materia dei soccorsi in mare e alla violazione degli obblighi legali ad esso connessi».

4.– Con atti depositati il 2 dicembre 2024, sono intervenuti in giudizio Sea Watch e.V., Eos Shipping gUG, Sos Humanity gGmbH, Handbreit – nautical safety solutions gGmbH e Idra Social Shipping srl. Tutte le società hanno chiesto la fissazione anticipata della camera di consiglio sull’ammissibilità degli interventi, ai sensi dell’art. 5, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Gli interventi sono stati dichiarati inammissibili da questa Corte con ordinanza n. 60 del 2025.

5.– Il 3 dicembre 2024, hanno depositato opinioni, come amici curiae, Human Rights Watch (HRW) e European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR). Tali opinioni sono state ammesse con decreto presidenziale del 12 marzo 2025.

6.– In prossimità dell’udienza hanno depositato memoria illustrativa la Società Hoyland Offshore AS srl e SOS Mediterranée France, ribadendo le conclusioni già rassegnate e replicando alle osservazioni della difesa statale.

6.1.– Non meriterebbero di essere accolte le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.

Quanto all’omesso tentativo di esplorare un’interpretazione adeguatrice, la stessa difesa dello Stato tralascerebbe di prospettare l’interpretazione idonea a fugare i dubbi di legittimità costituzionale.

Né la mancata indicazione del contenuto dell’ordine impartito dall’autorità libica implicherebbe l’inammissibilità eccepita nell’atto di intervento. Nel giudizio di costituzionalità, difatti, non si discuterebbe sulla legittimità di tale atto, ma, in una prospettiva più radicale, dell’indeterminatezza della previsione che a tale atto si richiama.

6.2.– Per quel che concerne il merito delle questioni, le parti pongono preliminarmente in evidenza come la norma censurata sia stata medio tempore modificata dall’art. 11, comma 1, del decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145 (Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 dicembre 2024, n. 187.

La novella legislativa, senza alterare gli elementi costitutivi dell’illecito, si sarebbe limitata a sostituire alla sanzione fissa del fermo amministrativo di venti giorni una sanzione modulabile in una cornice edittale tra dieci e venti giorni e dunque avrebbe introdotto un trattamento complessivamente più favorevole per il trasgressore, applicabile, in quanto lex mitior, al caso di specie. Si imporrebbe, pertanto, la restituzione degli atti al Tribunale di Brindisi con esclusivo riguardo alla questione di legittimità costituzionale concernente il trattamento sanzionatorio.

6.2.1.– Ad ogni modo, non potrebbero essere condivise le obiezioni mosse dalla difesa statale, che valuta la proporzionalità in riferimento alla sanzione nella sua interezza, includendo anche la sanzione pecuniaria. Le censure si appunterebbero sul fermo amministrativo, sanzione gravosa e dotata di effetti immediati e diretti, che non potrebbe in alcun modo essere graduata.

Ove si ritenesse la novella inapplicabile al giudizio in corso, in quanto i provvedimenti di fermo dovrebbero essere valutati alla stregua della disciplina vigente al momento dell’irrogazione della sanzione (tempus regit actum), emergerebbe ictu oculi la necessità di un intervento correttivo, idoneo a ripristinare la conformità a Costituzione del regime sanzionatorio.

6.2.2.– Fondate, inoltre, sarebbero le censure di violazione dell’art. 25 Cost.

La disposizione censurata sanzionerebbe la violazione di un precetto indeterminato, integralmente fissato da un’autorità straniera sulla base di presupposti sottratti ad ogni verifica, con conseguente preclusione del controllo di legalità ad opera delle parti e delle autorità italiane, amministrative e giudiziarie.

Generico sarebbe il richiamo a imprecisate indicazioni di un’autorità straniera, impartite per qualsiasi ragione e per qualsiasi scopo. A differenza di quel che si riscontra con riferimento all’art. 650 cod. pen., la previsione censurata ometterebbe di identificare presupposti, caratteri, contenuto e limiti dei provvedimenti dell’autorità straniera. Sarebbe sanzionata la mera disobbedienza a un provvedimento contraddistinto da caratteristiche e limiti nebulosi.

6.2.3.– Sarebbero violati, infine, gli artt. 10 e 117 Cost.

Le autorità libiche, pur avendo istituito un’area SAR di propria competenza e un Maritime Rescue Coordination Centre a Tripoli, sarebbero inidonee a fornire indicazioni valide ai comandanti delle navi, in ragione delle gravi inadempienze perpetrate, segnalate anche dall’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite. Sarebbe dunque non solo legittimo, ma anche doveroso, il comportamento del comandante della nave che decida di concludere le operazioni di soccorso e di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro prima dell’intervento dei mezzi libici, eventualmente disattendendo le indicazioni fornite dalla stessa locale guardia costiera.

Il comandante della nave privata, nel far sbarcare i naufraghi in un luogo in cui la loro vita e la loro sicurezza fossero messe a repentaglio, violerebbe gli obblighi di soccorso. L’attribuzione alle autorità libiche della competenza in ordine al coordinamento dei soccorsi e all’indicazione del luogo di sbarco, con ordini vincolanti per il comandante di una nave privata, condurrebbe a un aggiramento degli obblighi imposti dalle convenzioni internazionali e determinerebbe il rischio concreto che le persone soccorse siano sbarcate in un porto non sicuro. Il principio di non respingimento troverebbe piena applicazione anche nei confronti di persone che si trovino in acque internazionali.

In conclusione, la disposizione censurata condizionerebbe e limiterebbe lo svolgimento di un’attività lecita, «in violazione dei principi fondamentali di libertà di navigazione e giurisdizione esclusiva dello stato di bandiera», e le stesse decisioni del comandante della nave sull’assistenza a persone in pericolo, ponendolo dinanzi all’alternativa di violare le norme imperative del diritto internazionale, in materia di non respingimento, di divieto di tortura e di obbligo di sbarco in un porto sicuro, o di subire la «pesantissima sanzione del fermo della nave umanitaria».

7.– Ha depositato memoria illustrativa anche il Presidente del Consiglio dei ministri.

7.1.– La difesa dello Stato ha ribadito, in primo luogo, le eccezioni di inammissibilità per apodittica motivazione sull’impraticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata e per la lacunosa descrizione dei contenuti dell’ordine violato.

Le società sostengono di avere impugnato l’ordinanza-ingiunzione che ha irrogato la sanzione pecuniaria: l’eventuale annullamento o la riduzione della sanzione assumerebbero rilievo, imponendo una rivalutazione da parte del giudice rimettente.

7.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate.

7.2.1.– Il regime sanzionatorio dovrebbe essere considerato in modo unitario e la modulazione della sanzione pecuniaria consentirebbe di commisurare la sanzione complessiva alla gravità della violazione.

Ad ogni modo, la misura del fermo si caratterizzerebbe, oltre che per una funzione sanzionatoria, anche per una finalità cautelare, di tutela dei beni dell’ordine pubblico interno e internazionale e dell’incolumità dei migranti.

La sanzione non potrebbe essere qualificata come “pena”, sia per la durata contenuta (venti giorni, quando manchi la reiterazione) sia per la natura esclusivamente reale, che non pregiudica le facoltà personali del comandante e dell’armatore.

I costi destinati a gravare sui detentori delle navi, l’incapacità di ripartire immediatamente dopo il fermo, l’asserito danno alla reputazione sarebbero ininfluenti e non potrebbero condurre a diverse conclusioni.

La sanzione colpirebbe condotte omogenee di violazione di ordini o richieste di informazioni funzionali a garantire beni primari (ordine pubblico e internazionale e sicurezza nel salvataggio dei migranti) e sarebbe tutt’altro che rigida: l’importo, difatti, potrebbe essere graduato, per quel che attiene alla pena pecuniaria, e potrebbe essere inasprito, fino al sequestro cautelare e alla confisca amministrativa, in caso di reiterazione.

7.2.2.– Non vi sarebbe alcun vulnus all’art. 25 Cost. Non solo il precetto costituzionale riguarderebbe la sanzione penale, ma, nel caso di specie, la descrizione del fatto tipico sarebbe anche più puntuale, quanto ai soggetti attivi dell’illecito e alla condotta, rispetto a quella racchiusa nell’art. 650 cod. pen., e neppure si riscontrerebbe quel «margine di interpretabilità riconosciuto come pienamente legittimo» (si menziona la sentenza di questa Corte n. 54 del 2024).

7.2.3.– Non sarebbero fondate, infine, neppure le censure di violazione degli artt. 10 e 117 Cost., in quanto l’attribuzione alla Libia di una zona SAR sarebbe conforme alla Convenzione di Amburgo del 1979 e le navi che operano in tale zona non potrebbero contravvenire alle indicazioni fornite dall’autorità di coordinamento nell’attuazione delle operazioni di salvataggio. Una diversa interpretazione condurrebbe a disapplicare la Convenzione, svuotandola di contenuto.

La disposizione censurata, a ben considerare, si limiterebbe a ribadire l’obbligo dei soccorritori di uniformarsi al coordinamento dell’autorità SAR e non contemplerebbe in alcun modo il respingimento dei migranti soccorsi verso un luogo in cui la vita o la libertà siano in pericolo. La nozione di respingimento si riferirebbe agli stranieri presenti in zone sottoposte alla giurisdizione italiana.

Le parti avrebbero poi introdotto profili di censura estranei al thema decidendum.

8.– All’udienza del 21 maggio 2025, è stato acquisito il documento contenente l’ordine impartito dall’autorità libica.

Le parti hanno chiesto l’accoglimento delle conclusioni preliminari e di merito già rassegnate negli scritti difensivi.


Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Brindisi, sezione civile, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 205 del 2024), dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 1 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 10, 25, 27, primo e terzo comma, e 117 Cost.

La disposizione è censurata nella parte in cui sanziona, con il fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione, il comandante o l’armatore che non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniforma alle sue indicazioni.

1.1.– Il secondo periodo della previsione in esame, anzitutto, contrasterebbe con gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., in quanto irragionevolmente comminerebbe in via automatica la medesima sanzione del fermo per una pluralità di condotte eterogenee e precluderebbe all’autorità giudiziaria «di graduarne l’applicazione, in ragione delle peculiarità del caso specifico, tanto al fine di salvaguardare i principi di individualizzazione e proporzionalità della pena».

Sarebbero pregiudicate, in tal modo, la personalità della responsabilità penale e la finalità rieducativa della pena, che imporrebbero un «adeguamento individualizzato, proporzionale, delle pene inflitte con le sentenze di condanna, fornendo al giudice, nell’esercizio del suo apprezzamento, appropriati criteri di valutazione».

1.2.– Il primo periodo della disposizione censurata confliggerebbe poi «con il principio di determinatezza della fattispecie incriminatrice, corollario del principio di legalità (art. 25 Cost.)», in quanto si tradurrebbe in un «rinvio in bianco» all’ordine impartito da un’autorità diversa da quella italiana, che non risulta sempre «formalizzato in un atto amministrativo», e impedirebbe il vaglio della compatibilità dell’ordine con i «limiti di legge e costituzionali vigenti nell’ordinamento nazionale».

La legge, in particolare, non individuerebbe in tutti i suoi elementi costitutivi la condotta sanzionata e non fornirebbe alcuna «indicazione dei criteri di offensività e punibilità rilevanti ed al fine perseguito da quelle prescrizioni poi disattese».

1.3.– Sempre con riferimento al primo periodo dell’art. 1, comma 2-sexies, il rimettente denuncia, infine, la violazione degli artt. 10 e 117 Cost.

Nel riconoscere «la valida esistenza di una “zona SAR” libica e la legittimità degli ordini impartiti da quell’autorità nelle operazioni di soccorso» e nell’annoverare lo Stato libico tra i porti sicuri, la previsione censurata contravverrebbe agli «obblighi imposti all’Italia dal diritto internazionale consuetudinario e convenzionale», come il «divieto di respingimento dei migranti e della tortura», l’obbligo di prendere tutte le disposizioni necessarie per il salvataggio delle persone in pericolo lungo le coste, il divieto di espulsioni collettive.

2.– All’esame delle questioni giova premettere la ricognizione del sistema normativo in cui esse si inquadrano, anche alla luce dell’evoluzione recente.

3.– L’art. 1, comma 2-sexies, primo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 1 del 2023, come convertito, e interviene a sanzionare il comandante della nave o l’armatore che «non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare nonché dalla struttura nazionale preposta al coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell’immigrazione clandestina o non si uniforma alle loro indicazioni», al di fuori delle ipotesi in cui sia adottato il provvedimento di cui al precedente comma 2.

Il citato comma 2, da ultimo modificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), del d.l. n. 1 del 2023, come convertito, consente al «Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri», di «limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale», «per motivi di ordine e sicurezza pubblica, in conformità alle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, resa esecutiva dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689». L’inottemperanza a tale provvedimento è sanzionata dall’art. 1, comma 2-quater, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito.

L’art. 1, comma 2-bis, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 1 del 2023, come convertito, chiarisce che la richiamata norma sul potere di disporre la limitazione o il divieto del transito e della sosta di navi nel mare territoriale non si applica, al ricorrere di determinate condizioni, che saranno analizzate in séguito (infra, punto 5), «nelle ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità, emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo, fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, reso esecutivo dalla legge 16 marzo 2006, n. 146».

4.– La sanzione per chi non fornisca le informazioni richieste dall’autorità competente o non rispetti le sue indicazioni è il pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 10.000 (primo periodo dell’art. 1, comma 2-sexies).

Nella formulazione originaria della norma, alla sanzione amministrativa pecuniaria si affiancava «l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione» (secondo periodo dell’art. 1, comma 2-sexies).

La durata del fermo era innalzata a due mesi nell’ipotesi di reiterazione della violazione (terzo periodo dell’art. 1, comma 2-sexies).

L’art. 11, comma 1, lettera b-bis), numero 1), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, ha sostituito alla durata fissa di venti giorni del fermo amministrativo una durata compresa nell’intervallo da dieci a venti giorni.

La durata cessa di essere invariabile anche per la reiterazione della violazione. L’art. 11, comma 1, lettera b-bis), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, prevede una durata del fermo amministrativo da trenta a sessanta giorni, in luogo dell’originaria durata di due mesi.

L’art. 11, comma 1, lettera b-bis), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, nel novellare l’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, definisce, altresì, la nozione di reiterazione, che si configura «nel caso di nuova violazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, contestata anche soltanto a uno degli autori o degli obbligati in solido nei cui confronti, nel quinquennio precedente, sia stata accertata, con provvedimento esecutivo, una precedente violazione delle disposizioni del presente comma, salvo che il medesimo autore od obbligato in solido provi che la condotta illecita è avvenuta contro la sua volontà, manifestata attraverso comportamenti idonei specificamente volti a impedirne il compimento».

Il citato art. 11, comma 1, lettera b-bis), numero 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, ha previsto, inoltre, l’applicazione delle disposizioni dell’art. 1, comma 2-quater, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, eccezion fatta per il primo e il terzo periodo.

Ne deriva che la responsabilità solidale si estende al proprietario e all’armatore della nave.

In virtù del richiamo all’art. 1, comma 2-quater, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, anche nel caso di specie «[l]’organo accertatore contesta la violazione mediante notificazione al destinatario e, senza ritardo e comunque entro cinque giorni, trasmette gli atti alla prefettura-ufficio territoriale del Governo competente in relazione al luogo di accertamento della violazione, per la decisione sulla sanzione amministrativa di cui al primo periodo e sul fermo della nave. Il prefetto, nei cinque giorni successivi, emana l’ordinanza e, se dispone il fermo, ne indica la durata, decorrente dalla data della notificazione della contestazione, e nomina custode l’armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che provvede alla custodia della nave a proprie spese. Nella determinazione della durata del fermo si ha riguardo alla gravità della violazione e all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione stessa. Nelle more dell’adozione dell’ordinanza del prefetto, alla nave è interdetta la navigazione. L’avente diritto può chiedere al prefetto la restituzione della nave quando non sono rispettati i termini previsti dal quarto e dal quinto periodo o quando il prefetto non adotta il provvedimento sanzionatorio. Avverso i provvedimenti del prefetto è ammessa opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150».

All’ulteriore reiterazione conseguono la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave e l’immediata applicazione del sequestro cautelare ad opera dell’organo accertatore.

5.– In base all’art. 1, comma 2-sexies, ultimo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, la sanzione pecuniaria da euro 2.000 a euro 10.000 e il fermo amministrativo, dapprima per venti giorni e ora per un periodo da dieci a venti giorni, si applicano anche quando, dopo l’assegnazione del porto di sbarco, sia accertata l’insussistenza di una delle condizioni cui si devono conformare le operazioni di soccorso, secondo l’art. 1, comma 2-bis, del medesimo d.l. n. 130 del 2020.

Tali condizioni sono così definite.

In primo luogo, «la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare» deve operare «in conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è mantenuta conforme agli stessi ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell’inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita e di lavoro a bordo» (lettera a).

Inoltre, si devono avviare «tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità» (lettera b).

Dev’essere poi richiesta, «nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco» (lettera c).

Occorre, altresì, raggiungere senza ritardo, in vista del completamento dell’intervento di soccorso, «il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità» (lettera d) e fornire «alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere» (lettera e).

È necessario, infine, che «le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave» non abbiano «concorso a creare situazioni di pericolo per l’incolumità dei migranti né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco» (lettera f, modificata dall’art. 11, comma 1, lettera a, del d.l. n. 145 del 2024, come convertito).

6.– Ciò premesso, non sono fondate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, che imputa al rimettente di non avere sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata e, con particolare riguardo alla violazione degli obblighi internazionali, di non avere indicato il contenuto dell’ordine impartito dall’autorità libica.

6.1.– Per giurisprudenza costante di questa Corte, ai fini dell’ammissibilità delle questioni, è sufficiente che il giudice a quo, com’è avvenuto nel caso di specie, abbia esplorato in maniera adeguata la possibilità di conferire alla disposizione un significato compatibile con la Costituzione e l’abbia consapevolmente esclusa.

A tale riguardo, il rimettente ha osservato che il tenore letterale inequivocabile della previsione censurata, nel delineare un automatismo indefettibile del fermo e nel porre un precetto indeterminato, si frappone a una sua interpretazione coerente con i princìpi costituzionali evocati.

Se l’interpretazione prescelta sia o meno persuasiva, è tema che attiene al merito delle questioni (fra le molte, sentenze n. 23 del 2025, punto 2.1. del Considerato in diritto, e n. 131 del 2024, punto 6 del Considerato in diritto), senza inficiarne, in limine, l’ammissibilità.

6.2.– Neppure la seconda eccezione può essere accolta.

La fattispecie concreta è stata descritta in modo idoneo a suffragare la necessità di applicare la disposizione censurata e, conseguentemente, la rilevanza delle questioni proposte (di recente, sentenza n. 38 del 2025, punto 2.2. del Considerato in diritto).

Neppure la difesa dello Stato contesta che l’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, regoli la vicenda controversa e tanto è sufficiente a fondare la rilevanza dei dubbi di legittimità costituzionale.

La mancata specificazione dei dettagli dell’ordine emesso dall’autorità libica non rende, dunque, implausibili le ragioni esposte dal rimettente sulla necessità di definire la controversia alla stregua della disposizione censurata.

7.– Le questioni, pertanto, possono essere scrutinate nel merito.

8.– Ha priorità logica la disamina della denunciata violazione del principio di determinatezza e di osservanza degli obblighi internazionali, in quanto investe il tema pregiudiziale dell’an della pretesa punitiva.

Su tali profili non incidono le disposizioni sopravvenute del d.l. n. 145 del 2024, come convertito, che hanno rimodulato la durata del fermo, senza modificare il precetto sul versante sostanziale.

Lo ius superveniens non impedisce a questa Corte di pronunciarsi sulle questioni, autonome e peraltro logicamente prioritarie, che le innovazioni introdotte dal legislatore non mutano nei loro termini salienti, e di rendere così una tempestiva risposta alla domanda di giustizia costituzionale.

Quando le sopravvenienze impongano la rivalutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza soltanto per alcune questioni contestualmente proposte, suscettibili di una trattazione distinta, l’integrale restituzione degli atti sarebbe un rimedio eccedente rispetto alla finalità che lo giustifica e si risolverebbe in un irragionevole intralcio alla sollecita definizione del giudizio di costituzionalità.

9.– La questione sollevata in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost. non è fondata.

10.– La Carta fondamentale sancisce un «principio della legalità della pena, ricavabile anche per le sanzioni amministrative dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, in base al quale è necessario che sia la legge a configurare, con sufficienza adeguata alla fattispecie, i fatti da punire» (sentenza n. 78 del 1967, punto 4 del Considerato in diritto).

Anche per le sanzioni amministrative, si apprezza l’esigenza «della prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all’applicazione (o alla non applicazione) di esse» (sentenza n. 447 del 1988, punto 4 del Considerato in diritto). Tale esigenza, peraltro, rinviene il suo fondamento nel principio d’imparzialità (art. 97 Cost.) e nel precetto dell’art. 23 Cost.

Dagli artt. 6 e 7 CEDU, così come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, si può trarre il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono di massima essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Principio questo, del resto, desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost., in ragione della «ampiezza della sua formulazione», estesa a ogni intervento sanzionatorio che non persegua principalmente la funzione di prevenzione criminale (sentenza n. 196 del 2010, punto 3.1.5. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenze n. 121 del 2018, punto 15.3. del Considerato in diritto, e n. 104 del 2014, punto 7.2. del Considerato in diritto).

L’assimilazione delle sanzioni amministrative “punitive” alle sanzioni penali ha, quale corollario, l’estensione di larga parte dello “statuto costituzionale” sostanziale delle sanzioni penali e quindi non solo quello basato sull’art. 25 Cost., ma anche quello sulla determinatezza dell’illecito e delle sanzioni (sentenze n. 134 del 2019 e n. 121 del 2018), sulla violazione del ne bis in idem (sentenza n. 149 del 2022), sulla retroattività, salvo giustificate eccezioni, della lex mitior (sentenza n. 63 del 2019), sulla proporzionalità della sanzione alla gravità del fatto (sentenze n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019) e sulla rilevanza di una sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma sanzionatoria (sentenza n. 169 del 2023, punto 13 del Considerato in diritto).

Si deve ritenere, pertanto, che «il principio di legalità, prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile e della sanzione avent[e] carattere punitivo-afflittivo, qualunque sia il nomen ad essa attribuito dall’ordinamento», rappresenti «patrimonio derivato non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da quelli del diritto convenzionale e sovranazionale europeo, in base ai quali è illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano stati messi in condizione di “conoscere”, in tutte le sue dimensioni tipizzate, la illiceità della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata» (sentenza n. 121 del 2018, punto 15.3. del Considerato in diritto, ripreso nella sentenza n. 134 del 2019, punto 3.2. del Considerato in diritto).

11.– Il rimettente muove dalla premessa che il fermo, pur configurato come sanzione accessoria e qualificato come amministrativo, presenti una natura sostanzialmente penale, alla luce dei criteri enucleati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (grande camera, sentenza 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi), che rappresentano la premessa argomentativa delle censure proposte e l’indispensabile termine di raffronto del giudizio devoluto a questa Corte.

Ad avviso del Tribunale di Brindisi, il fermo determinerebbe una «rilevante lesione» della sfera giuridica del comandante e dell’armatore della nave e arrecherebbe un «rilevante danno economico al soggetto sanzionato», ledendo l’esercizio dei diritti costituzionali. Donde la natura «maggiormente afflittiva» della sanzione accessoria rispetto a quella pecuniaria principale.

11.1.– Tale premessa coglie nel segno.

11.2.– Questa Corte è chiamata a ponderare l’autentica natura della sanzione, senza arrestarsi al nomen iuris e agli indici eminentemente formali.

Una diversa soluzione vanificherebbe le garanzie che l’art. 25, secondo comma, Cost., nella sua inscindibile connessione con l’art. 7 CEDU, appresta riguardo a tutte le misure contraddistinte da un carattere punitivo (sentenza n. 196 del 2010).

È ininfluente che la sanzione sia qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno e che non sia irrogata all’esito di un procedimento penale, in quanto «subordinare il carattere penale di una misura, nell’ambito della Convenzione, al fatto che l’individuo abbia commesso un atto qualificato come reato dal diritto interno e sia stato condannato per questo reato da un giudice penale si scontrerebbe con l’autonomia del concetto di “pena”» (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 28 giugno 2018, GIEM srl e altri contro Italia, paragrafo 216, in coerenza con i princìpi già affermati dalla medesima Corte, grande camera, sentenza 9 febbraio 1995, Welch e altri contro Regno Unito, paragrafo 27).

Quando la misura non sia imposta in séguito alla condanna per un reato, occorre avere riguardo ad altri aspetti, che toccano «la natura e il fine della misura in questione; la sua qualificazione ai sensi del diritto interno; le procedure coinvolte nell’emissione e nell’attuazione della misura; e la sua gravità» (Corte EDU, prima sezione, sentenza 19 dicembre 2024, Episcopo e Bassani contro Italia, paragrafo 68; nello stesso senso, terza sezione, sentenza 10 luglio 2012, Del Rio Prada contro Spagna, paragrafo 48, e la già citata sentenza Welch, paragrafo 28).

In una valutazione che dev’essere complessiva e coerente, il fine generale di prevenzione di per sé non esclude il carattere punitivo (Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione prima, sentenza 13 febbraio 2025, Garofalo e altri contro Italia, paragrafo 125) e, d’altro canto, anche misure non penali di carattere preventivo sono foriere di un impatto ragguardevole sulla sfera giuridica dell’interessato (Corte EDU, terza sezione, sentenza 8 ottobre 2019, Balsamo contro San Marino, paragrafo 64).

Ai medesimi criteri si ispira, nella qualificazione delle sanzioni, anche questa Corte (fra le molte, sentenza n. 276 del 2016, punto 5.4. del Considerato in diritto), compiendo un vaglio sinergico di tutti gli elementi significativi.

11.3.– Il fermo della nave persegue l’obiettivo principale di sanzionare l’inosservanza delle indicazioni o delle richieste dell’autorità competente, esprimendo la riprovazione dell’ordinamento per la condotta del trasgressore.

Non si può predicare una finalità ripristinatoria dello status quo ante e neppure si riscontra una finalità latamente preventiva: l’irrogazione del fermo è una conseguenza indefettibile dell’illecito e prescinde da ogni prognosi di verosimiglianza del futuro uso illecito del bene.

In questa chiave sanzionatoria, rafforzata dallo ius superveniens, che impone di commisurare la sanzione alla gravità della violazione e valorizza il ravvedimento operoso del trasgressore, assumono valenza emblematica anche le ripercussioni del fermo: la misura inibisce l’uso della nave per un tempo tutt’altro che esiguo e, nel produrre conseguenze ragguardevoli nella sfera giuridica dei soggetti che, a vario titolo, si avvalgono della nave, rivela una vocazione marcatamente dissuasiva.

La mitezza della sanzione, adombrata dalla difesa dello Stato, è contraddetta dagli elementi richiamati e l’inerenza della misura alla res non è sufficiente ad escluderne il carattere punitivo, alla luce degli inevitabili riflessi del fermo sullo stesso campo d’azione degli autori dell’illecito e sull’attività che essi svolgono.

12.– Anche per la condotta vietata dall’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, si impone, dunque, la verifica dell’osservanza dell’art. 25, secondo comma, Cost. e di quel principio di determinatezza, che si configura come declinazione e necessario complemento del principio di legalità (nullum crimen nulla poena sine lege praevia, scripta, stricta et certa).

12.1.– La determinatezza, in funzione di garanzia della libertà o di tutela dell’uguaglianza, è un modo di essere delle norme, come risultano dagli enunciati legislativi, dall’interpretazione dei medesimi e dal loro precisarsi attraverso l’applicazione (sentenza n. 247 del 1989, punto 7 del Considerato in diritto).

Tale principio si estrinseca nell’imperativo costituzionale, rivolto al legislatore, di formulare norme chiare e intelligibili (sentenza n. 54 del 2024, punto 4 del Considerato in diritto) e di tipizzare fattispecie dotate di un solido fondamento empirico (sentenza n. 172 del 2014, punto 3 del Considerato in diritto), che trovino riscontro nella realtà e approdino a «un’univoca applicazione concreta» (sentenza n. 96 del 1981, punto 11 del Considerato in diritto).

12.2.– La verifica di conformità all’art. 25, secondo comma, Cost. non si esaurisce nella valutazione del singolo elemento descrittivo dell’illecito e postula un sindacato più ampio sulle finalità perseguite dal legislatore e sul contesto in cui la norma si colloca (sentenza n. 25 del 2019, punto 9 del Considerato in diritto), anche alla luce della correlazione «tra la condotta vietata e il bene protetto: da rapportarsi, a sua volta, ai principi costituzionali» (sentenza n. 188 del 1975, punto 2 del Considerato in diritto)

L’impiego di espressioni polisense, di clausole generali o di lemmi elastici o l’insorgere di contrasti interpretativi non denotano di per sé l’antitesi con il canone di determinatezza, quando ai consociati sia comunque possibile individuare con sufficiente precisione il comportamento doveroso (sentenze n. 278 e n. 141 del 2019).

Perché il principio di determinatezza possa dirsi rispettato, è necessario che la descrizione del fatto consenta, in primo luogo, di formulare un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, secondo un percorso ermeneutico che non travalichi quello istituzionalmente affidato all’interprete, e permetta, inoltre, al destinatario della norma di percepirne in maniera chiara e immediata il contenuto precettivo, così da uniformare la propria condotta alle regole e ai divieti dettati dalla legge.

In tal modo, risulta soddisfatta la duplice ratio che ispira il principio (sentenza n. 115 del 2018, punto 11 del Considerato in diritto), «inteso non soltanto quale garanzia contro l’arbitrio del giudice, ma anche quale presidio della libertà e della sicurezza dei cittadini» (sentenza n. 185 del 1992, punto 2 del Considerato in diritto).

Per un verso, la puntuale individuazione, ad opera della legge, del fatto e della sanzione impedisce che sia il giudice a tracciare la linea di demarcazione tra lecito e illecito (sentenza n. 27 del 1961).

Per altro verso, la determinatezza delle fattispecie garantisce la libera autodeterminazione individuale, «permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta» (sentenza n. 327 del 2008, punto 4 del Considerato in diritto).

Pertanto, «[n]elle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato: ed a questo fine sono necessarie leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento» (sentenza n. 364 del 1988, punto 8 del Considerato in diritto).

12.3.– Anche quando si raccordi ad altre fonti di rango secondario o ai provvedimenti dell’autorità, è pur sempre la legge a dover specificare i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti di tali provvedimenti, di cui punisca la trasgressione (sentenze n. 21 del 2009, punto 4 del Considerato in diritto, n. 108 del 1982, punto 6 del Considerato in diritto, e n. 113 del 1972, punto 2 del Considerato in diritto).

Quando si ravvisi un «concorso fra norme di legge e statuizioni amministrative, di cui continuamente si manifesta la necessità nella disciplina giuridica» (sentenza n. 36 del 1964, punto 3 del Considerato in diritto), spetta, dunque, alla primaria responsabilità del legislatore la definizione del fatto cui è riferita la sanzione penale e del contenuto di disvalore dell’illecito (sentenza n. 282 del 1990, punto 3 del Considerato in diritto).

Allorché le disposizioni legislative, nel comminare la sanzione penale, si rimettano «per la specificazione del contenuto di singoli, definiti elementi della fattispecie considerata nel precetto penalmente sanzionato, ad atti non dotati di valore di legge», la riserva di legge è rispettata a condizione che i poteri dell’autorità amministrativa siano «puntualmente e adeguatamente finalizzati, specificati nel contenuto, e delimitati» e il loro esercizio sia «aperto al sindacato giurisdizionale» (sentenza n. 26 del 1966, punto 5 del Considerato in diritto).

Nella disamina dell’art. 650 cod. pen., questa Corte ha dichiarato non fondati i dubbi di legittimità costituzionale, argomentando che è il dettato codicistico a descrivere tassativamente la materialità della contravvenzione in tutti i suoi elementi costitutivi e a imporre l’esame della legittimità dei provvedimenti dati dall’autorità competente e della loro riconducibilità all’esercizio di un potere-dovere previsto dalla legge (sentenze n. 58 del 1975, punto 2 del Considerato in diritto, e n. 168 del 1971, punto 1 del Considerato in diritto).

13.– La previsione censurata supera il vaglio di conformità all’art. 25, secondo comma, Cost. e si rivela coerente con la ratio che ispira il principio di determinatezza.

13.1.– Il legislatore descrive in modo nitido la condotta doverosa, che si sostanzia nel fornire le informazioni richieste dall’autorità competente e nel rispettarne le indicazioni.

Come ha evidenziato il Presidente del Consiglio nell’atto di intervento, è puntuale anche l’identificazione dei trasgressori: il comandante e l’armatore.

13.2.– È l’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, a definire il disvalore dell’illecito nei suoi aspetti salienti, che attengono al rifiuto dell’imprescindibile collaborazione con l’autorità competente secondo la Convenzione di Amburgo.

Non si ravvisa quella delega in bianco all’autorità di uno Stato estero, che il rimettente e le parti costituite paventano.

Il disvalore dell’illecito non solo è definito dal legislatore, che non rinuncia al suo compito di orientare la condotta dei consociati, ma può anche essere agevolmente inteso dai soggetti attivi, il comandante e l’armatore, in virtù delle cognizioni tecniche che a tali funzioni si accompagnano.

13.3.– Né si può ritenere evanescente il richiamo alla richiesta di informazioni e alle indicazioni dell’autorità competente, in quanto tali riferimenti si riconnettono alla Convenzione SAR e, in quest’orizzonte, acquistano un significato univoco per il comandante e l’armatore.

La disciplina nazionale si inserisce armonicamente nella trama di regole e di procedure condivise che tale Convenzione istituisce, anche nelle sue interrelazioni con le altre normative internazionali pertinenti.

Anche le fonti internazionali possono concorrere a definire i presupposti applicativi del precetto assistito da sanzione.

Quest’opera di integrazione e di osmosi non soltanto non lede il principio di legalità sancito dall’art. 25 Cost., ma ne salvaguarda l’essenziale funzione di garanzia, quando la stessa disciplina nazionale per sua natura interagisce con gli obblighi internazionali consuetudinari e pattizi.

13.4.– Per le medesime ragioni, non è decisiva la circostanza che la sanzione colpisca anche l’inosservanza di mere indicazioni, che non hanno la veste formale di provvedimenti.

Tanto le richieste di informazioni quanto le indicazioni non sono sprovviste di ogni riferimento teleologico e non risultano legibus solutae, in quanto si iscrivono nel quadro di collaborazione tracciato dalla Convenzione SAR, che delinea un insieme di regole cui tutti gli attori sono vincolati a uniformarsi, anche quando l’intervento delle autorità competenti non si traduca in un provvedimento formalizzato, per la necessità di adottare le iniziative più sollecite per fronteggiare l’emergenza.

Invero, la Convenzione SAR, nel rispetto del principio di cooperazione internazionale, obbliga gli Stati costieri a predisporre un servizio di ricerca e soccorso (Search and Rescue) nelle zone marittime che ricadono nelle rispettive competenze.

Lo Stato responsabile di un’area SAR deve farsi carico del coordinamento delle operazioni di soccorso, mediante il Rescue Coordination Centre o mediante i Rescue sub Centre che siano eventualmente designati, e deve approntare appositi piani operativi per le diverse tipologie di emergenza.

La mancata attivazione dello Stato competente non elide la responsabilità degli altri Stati che fanno parte della Convenzione, chiamati a collaborare per far fronte alle impellenti necessità dei naufraghi, nella maniera più tempestiva ed efficace.

Gli Stati aderenti sono obbligati a coordinare tra loro i diversi servizi, in modo da assicurarne l’efficacia.

La disciplina dettata dall’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, si situa in questo quadro di irrinunciabile cooperazione, che ne rappresenta il fondamento e ne circoscrive, in pari tempo, i limiti, fugando il rischio di un’applicazione arbitraria e imprevedibile.

13.5.– Non può essere condiviso, infine, l’assunto dell’insindacabilità degli atti dell’autorità nazionale competente: in particolare, il rimettente sostiene che, in tale àmbito, non sia praticabile quel sindacato di legittimità che è ineludibile per i provvedimenti enumerati dall’art. 650 cod. pen., tipizzati nelle ragioni giustificatrici.

Anche per quel che concerne la previsione censurata, si deve ribadire che l’inottemperanza del comandante e dell’armatore in tanto assume rilievo in quanto le richieste e le indicazioni siano legalmente date e siano conformi alle regole della Convenzione di Amburgo e delle altre norme concernenti il soccorso in mare, che i Paesi aderenti sono tenuti a rispettare.

Alla scelta di sanzionare l’inosservanza di un atto dell’autorità è immanente la necessità di verificarne la rispondenza al modello legale. Verifica che si dimostra imprescindibile, a fortiori, quando la sanzione presenti uno spiccato contenuto punitivo e dunque reclami l’applicazione delle garanzie più incisive che si associano alle pene in senso stretto.

L’inosservanza non può essere sanzionata in quanto tale, ma in quanto abbia ad oggetto un provvedimento legittimo dal punto di vista formale e sostanziale.

13.6.– Il fatto che, nel caso di specie, sia più articolata la verifica richiesta al giudice scaturisce dalla stessa complessità della materia, contraddistinta dall’esigenza di scrutinare e comporre a sistema una pluralità di fonti, ma non impedisce ai destinatari del precetto di cogliere il disvalore del rifiuto di collaborazione e all’interprete di enucleare il significato plausibile dell’enunciato normativo, secondo l’ordinario procedimento di esegesi.

In tal modo, è salvaguardata la duplice ratio del principio di determinatezza.

14.– La questione sollevata in riferimento agli artt. 10 e 117 Cost. non è fondata, nei termini di séguito esposti.

15.– Il rimettente muove dall’assunto che la previsione censurata imponga di considerare anche Paesi come la Libia quale porto sicuro, così mettendo a repentaglio la vita dei migranti.

Le parti soggiungono che la qualificazione della Libia come porto sicuro è contraddetta dal Rapporto della Independent Fact-Finding Mission on Lybia, istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (UN Doc. A/HRC/50/63, 27 giugno 2022), e, da ultimo, dalle risultanze del Rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani al Consiglio dei diritti umani (Report of the Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights, Technical assistance and capacity-building to improve human rights in Lybia, UN Doc. A/HRC/56/70, 3 giugno 2024).

Alle medesime conclusioni pervengono anche gli amici curiae, ECCHR e HRW.

16.– Poste tali premesse, il giudice a quo prospetta la violazione del principio di non respingimento, degli obblighi di soccorso e del divieto di espulsioni collettive.

Su questi profili si appuntano le censure.

Come ha evidenziato la difesa statale, esula, per contro, dal tema del decidere la violazione dei princìpi di libertà di navigazione e della giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera, princìpi diffusamente richiamati dalle parti nella memoria di costituzione e nella memoria illustrativa.

17.– Così circoscritto l’oggetto del giudizio, si deve rilevare che l’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, può e deve essere interpretato in senso compatibile con i parametri costituzionali evocati, in considerazione del dato testuale e delle implicazioni sistematiche della disciplina vigente.

18.– L’osservanza degli obblighi internazionali, anche quando non sia ex professo richiamata, non può non orientare l’interpretazione e l’applicazione della disciplina nazionale.

Né si rinvengono elementi di segno contrario che, nel caso di specie, contraddicano la generale cogenza degli obblighi indicati.

L’interpretazione sistematica della disciplina, di cui la previsione censurata costituisce parte integrante, conferma in modo inequivocabile non solo la possibilità, ma anche l’ineludibile necessità di intenderla in armonia con i princìpi costituzionali richiamati dal rimettente.

Nel precisare le condizioni in presenza delle quali il potere ministeriale di limitare o vietare la sosta e il transito di navi nel mare territoriale non si applica alle operazioni di soccorso, l’art. 1, comma 2-bis, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, chiarisce che le indicazioni delle autorità, cui dette operazioni si devono conformare, sono «emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo».

Il rispetto dei princìpi richiamati analiticamente dall’art. 1, comma 2-bis, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, al fine di delimitare i compiti attribuiti alle autorità nazionali, ha peraltro una valenza generale, in quanto il legislatore ha inteso definire un contesto di regole univoche e uniformi, che non possono operare soltanto in determinati frangenti, per evidenti esigenze di coerenza e razionalità complessiva dell’ordinamento.

19.– In tal senso converge anche l’esame del contesto in cui la disciplina censurata si colloca.

La normativa nazionale è legata indissolubilmente alla Convenzione SAR, che, a sua volta, si inserisce a pieno titolo in un complesso di regole improntate all’obiettivo della salvaguardia della vita in mare.

A tale riguardo, si deve rammentare che il paragrafo 2.1.10. dell’Annesso alla Convenzione SAR garantisce l’assistenza ad ogni persona in pericolo in mare, senza distinzioni inerenti alla nazionalità, allo status, alle circostanze del ritrovamento.

Le disposizioni nazionali non possono che essere intese alla luce dell’obiettivo enunciato dalla normativa internazionale che esse intervengono a tradurre in pratica, adattandola alle peculiarità del fenomeno migratorio.

20.– La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare ̶ United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata e resa esecutiva con legge 2 dicembre 1994, n. 689, all’art. 98, paragrafo 1, vincola ogni Stato ad esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio e i passeggeri, «a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa».

La Convenzione ha così codificato un obbligo di matrice consuetudinaria, già fissato nei suoi contorni essenziali dalla Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare ̶ Safety of Life at Sea (SOLAS), fatta a Londra il 1° novembre 1974, alla quale l’Italia ha aderito e reso esecuzione con legge 23 maggio 1980, n. 313.

Il Capitolo V, regola n. 15, della Convenzione SOLAS impone agli Stati firmatari di «accertare che tutte le necessarie disposizioni siano prese per la sorveglianza delle coste e per il salvataggio delle persone in pericolo lungo le proprie coste».

Inoltre, il Capitolo V, regola n. 10, impone al comandante di una nave in navigazione «di recarsi a tutta velocità al soccorso delle persone in pericolo, informandole, se possibile, di quanto sta facendo». Tale obbligo sorge, quando il comandante riceve un segnale da qualsiasi provenienza, che indica una situazione di pericolo di una nave o di un aereo o di loro natanti superstiti.

L’obbligo di soccorso è stato successivamente specificato e rafforzato.

La Risoluzione Maritime Safety Committee (MSC) 153(78) del 20 maggio 2004, nell’emendare la Convenzione SOLAS e nell’inserire la regola n. 34.1., vieta all’armatore, al noleggiatore, alla società che gestisce la nave e a qualsiasi altra persona di «impedire o limitare il comandante della nave dal prendere o eseguire qualsiasi decisione che, a suo giudizio professionale, sia necessaria per la sicurezza della vita in mare e la protezione dell’ambiente marino».

21.– La Convenzione UNCLOS non si limita a circoscrivere ai singoli l’obbligo di soccorso, in quanto inderogabile dovere di solidarietà, connaturato alla legge del mare, ma ne enuclea e ne arricchisce la dimensione istituzionale, che chiama in causa la responsabilità degli Stati.

L’art. 98, paragrafo 2, dispone che «Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali».

22.– A tale principio di necessaria cooperazione dev’essere ricondotta la Convenzione SAR, che costituisce il paradigma di riferimento della normativa nazionale censurata nell’odierno giudizio.

La Convenzione menzionata si ripromette di organizzare un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso in mare e, a tale scopo, stabilisce che ciascuno Stato membro definisca le zone di mare adiacenti alle proprie coste (zone SAR), in cui assume la responsabilità principale delle operazioni di ricerca e di soccorso.

La zona di ricerca e salvataggio di ciascuno Stato, denominata SAR (Search and rescue region), è stabilita in base all’accordo tra le parti interessate (agreement among Parties concerned) e tale accordo dev’essere notificato al Segretariato generale, in base al paragrafo 2.1.4. dell’Annesso alla Convenzione SAR.

23.– In virtù del paragrafo 3.1.9. dell’Annesso alla Convenzione SAR, introdotto con la Risoluzione MSC 155(78), adottata il 20 maggio 2004 (Adoption of Amendments to the International Convention on Maritime Search and Rescue, 1979, As Amended), la responsabilità principale (primary responsibility) per l’identificazione del luogo di sbarco grava sullo Stato responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza.

È tale Stato che deve «vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro (place of safety), tenuto conto della situazione particolare (particular circumstances of the case) e delle direttive (guidelines) elaborate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile (as soon as reasonably practicable)».

24.– È lo stesso paragrafo 1.3.2. dell’Annesso alla Convenzione SAR, come emendato dalle Risoluzioni MSC 70(69) e 155(78), a definire il soccorso secondo coordinate precise, qualificandolo come l’operazione diretta a «recuperare le persone in pericolo ed a prodigare loro le prime cure mediche o altre di cui potrebbero avere bisogno e a trasportarle in un luogo sicuro».

L’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, dunque, non impone soltanto di porre i naufraghi al riparo da un pericolo imminente, ma richiede, altresì, lo sbarco in un luogo sicuro (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 16 gennaio 2020-20 febbraio 2020, n. 6626).

La Risoluzione MSC 167(78) del 20 maggio 2004, al paragrafo 6.12., nel dettare le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare allegate alla Convenzione SAR, configura il luogo di sbarco come il luogo «in cui si considera conclusa l’operazione di salvataggio (rescue operations)» e «dove la vita dei sopravvissuti (the survivors’ safety of life) non è più minacciata e dove possono essere soddisfatti i loro bisogni umani fondamentali (come cibo, alloggio e cure mediche)». Dal luogo di sbarco, inoltre, «possono essere organizzati i trasporti verso la destinazione successiva o finale dei sopravvissuti».

Il paragrafo 5.1.6. della medesima Risoluzione MSC 167(78) obbliga il comandante della nave che ha condotto le operazioni di soccorso e che ha temporaneamente accolto i naufraghi a «cercare di garantire che i sopravvissuti non vengano sbarcati in un luogo in cui la loro sicurezza sarebbe ulteriormente messa in pericolo».

Le Linee guida (art. 2.5.) puntualizzano che la responsabilità di fornire un luogo sicuro, o di assicurare che un luogo sicuro sia fornito in un tempo ragionevole (within a reasonable time), incombe sul Governo responsabile della zona SAR in cui i naufraghi sono stati recuperati (the Government responsible for the SAR region in which the survivors were recovered).

D’altro canto, in base all’art. 6.3. delle Linee guida, le imbarcazioni non possono subire un indebito ritardo (undue delay), un aggravio finanziario (financial burden) o altre difficoltà, dopo aver assistito le persone in mare, e devono essere liberate dagli Stati costieri il più rapidamente possibile (as soon as practicable).

25.– La delimitazione delle zone SAR, lungi dall’essere mera estrinsecazione della sovranità dello Stato costiero, è funzionalmente e teleologicamente collegata alla più fruttuosa attuazione delle operazioni di ricerca e di soccorso, che non è rimessa in via esclusiva alla iniziativa spontanea ed episodica, e perciò inevitabilmente aleatoria, dei singoli.

È proprio la finalità ultima della Convenzione di Amburgo che impone di interpretarla in coerenza con gli obblighi di soccorso enunciati dalla Convenzione UNCLOS e dalla Convenzione SOLAS.

26.– Caposaldo della Convenzione di Amburgo, difatti, è l’individuazione del porto sicuro, idoneo a garantire, allo sbarco, il rispetto dei diritti umani fondamentali, anche in relazione al divieto di respingimento, quando si ravvisi un rischio reale per l’integrità psico-fisica dei naufraghi: il porto sicuro è quello che salvaguarda il rispetto della vita, dei bisogni essenziali, della libertà, dei diritti assoluti (il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti).

Non è vincolante, pertanto, un ordine che conduca a violare il primario obbligo di salvataggio della vita umana e che sia idoneo a metterla a repentaglio e non ne può essere sanzionata l’inosservanza.

27.– Nell’applicazione della Convenzione SAR e della normativa nazionale che ne attua le previsioni, riveste importanza cruciale anche l’art. 33 della Convenzione sullo statuto dei rifugiati, conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva con legge 24 luglio 1954, n. 722, che vieta agli Stati contraenti di espellere o respingere i rifugiati «verso i confini di territori» in cui la loro vita o la loro libertà «sarebbero minacciate» in considerazione della razza, della religione, della cittadinanza, dell’appartenenza a un gruppo sociale o delle opinioni politiche.

Il nesso che intercorre tra il principio di non respingimento e il divieto di tortura avvalora l’appartenenza di tale principio al nucleo del diritto internazionale generale e ne corrobora il valore imperativo, secondo i tratti dello ius cogens (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 16 dicembre 2021-26 aprile 2022, n. 15869, punto 6.1. del Considerato in diritto).

Il principio in esame, inoltre, è presidiato dall’art. 3 CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 29 aprile 2022, Khasanov e Rakhmanov contro Russia, paragrafi da 93 a 101), che proibisce la tortura, le pene, i trattamenti inumani o degradanti e così consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche.

Su tale valore si fonda l’obbligo degli Stati di non espellere una persona verso uno Stato in cui vi siano seri motivi per credere che l’interessato corra il reale rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 28 febbraio 2008, Saadi contro Italia, paragrafi da 125 a 127).

A tale riguardo non sono ammesse deroghe, quando gli stranieri siano intercettati in acque internazionali (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa e altri contro Italia).

28.– Né l’applicazione della normativa censurata, nel presidiare un effettivo e proficuo sistema di collaborazione tra le autorità competenti secondo la Convenzione SAR, infrange il divieto di respingimenti collettivi, che impone la valutazione della peculiarità di ogni singolo caso.

29.– Con la disposizione censurata, il legislatore ha inteso rafforzare il sistema di cooperazione e di regole condivise, che la Convenzione SAR ha istituito, e ha attribuito specifico rilievo alle violazioni che si riverberano sulla propria sfera di competenza, in un contesto che vede la comune responsabilità di tutti gli Stati coinvolti e non si incardina sulla rigida e aprioristica delimitazione di zone di sovranità.

L’applicabilità dell’apparato sanzionatorio, lungi dall’esaurirsi nel pedissequo richiamo a ordini e indicazioni di un’autorità straniera, presuppone pur sempre un collegamento della vicenda con il territorio dello Stato italiano. Un collegamento di tal fatta, che giustifica l’esercizio della potestà sanzionatoria censurata nell’odierno giudizio, si instaura quando l’imbarcazione faccia comunque rotta verso i porti italiani e dunque anche nel territorio nazionale si ripercuotano le conseguenze della violazione degli atti preordinati al miglior funzionamento del descritto meccanismo di cooperazione.

30.– Spetta al giudice la valutazione delle peculiarità della singola vicenda, senza vanificare le finalità della Convenzione di Amburgo, volta a salvaguardare un efficiente sistema di salvataggio e di soccorso, e la necessaria discrezionalità dello Stato che opera e coordina le operazioni di salvataggio nella necessaria cooperazione con gli altri Stati interessati.

In tale àmbito, occorre coordinare «le esigenze correlate alla sicurezza della navigazione con quelle di ordine pubblico, frutto del doveroso confronto tra le Autorità preposte alle relative competenze istituzionali» (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 25 febbraio 2025, n. 1615, punto 37), valutando tutte le caratteristiche del caso concreto, il numero, il sesso, le condizioni psico-fisiche dei migranti da assistere, la necessità di somministrare cure mediche adeguate (Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 6 marzo 2025, n. 5992, punto 9 delle Ragioni della decisione).

31.– Nessuna antinomia, pertanto, si ravvisa tra gli obblighi di soccorso del comandante e gli obblighi degli Stati, che le convenzioni internazionali potenziano per assicurare il completo perseguimento degli obiettivi di salvaguardia della vita in pericolo.

Il complesso operato del comandante, nell’adempimento dell’inderogabile obbligo di soccorso, non può non inserirsi in un sistema di cooperazione, che presuppone, in vista di una tutela più efficace della vita in mare, un mutuo riconoscimento e una vicendevole fiducia. Fiducia che solo elementi desumibili da fonti ufficiali, attuali, basate su dati oggettivi e riconosciute dalla Repubblica italiana, possono scalfire.

32.– Nessuna sanzione, in definitiva, si può irrogare quando l’osservanza del precetto si ponga in contrasto con i princìpi sovraordinati evocati dal rimettente, in base a dati specifici che il prudente apprezzamento del giudice dovrà soppesare, nel quadro di un giudizio che fa gravare pur sempre sull’amministrazione l’allegazione e la prova degli elementi costitutivi dell’illecito e della legittimità dei provvedimenti emessi (in termini generali, sull’illecito amministrativo, già Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 30 settembre 2009, n. 20930).

Né potrà essere sanzionata l’inosservanza quando, a fronte di un quadro frastagliato e non scevro di connotazioni problematiche, difetti l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, richiesto in via generale dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), o quando non vi siano prove specifiche della responsabilità dell’opponente, secondo il criterio enucleato dall’art. 6, comma 11, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69): l’insufficienza degli elementi probatori acquisiti scagiona il trasgressore, secondo un modello mutuato dall’art. 530 del codice di procedura penale.

33.– Così intesa, la previsione censurata non presta il fianco alle censure formulate dal rimettente.

34.– Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies, secondo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede come obbligatoria l’applicazione del fermo amministrativo e così impedisce al giudice ogni valutazione “individualizzata”, aderente alla particolarità del caso concreto.

34.1.– Neppure tale enunciato normativo è stato modificato dallo ius superveniens, che ha mantenuto inalterata l’obbligatorietà del fermo.

Nessun ostacolo preclude, pertanto, l’immediata soluzione degli autonomi dubbi di costituzionalità prospettati, sotto questo profilo, dal rimettente.

34.2.– La previsione censurata non sanziona una qualsiasi inosservanza, ma una inosservanza connotata in senso pregnante, nell’interpretazione che la lettera della legge e l’adeguamento ai princìpi costituzionali impongono.

La sanzione riguarda la violazione consapevole degli obblighi di cooperazione imposti dal sistema della Convenzione SAR e degli atti legalmente dati dall’autorità competente.

La previsione in esame, dunque, ha riguardo a quelle trasgressioni che pregiudichino la stessa finalità di salvaguardia della vita umana in mare, insita nella Convenzione SAR, e si rivelino idonee a compromettere, in carenza di motivi legittimi, il sistema di cooperazione che tale Convenzione ha istituito.

34.3.– La disposizione, così ricostruita, non include nel suo spettro applicativo condotte tra loro non comparabili, contraddistinte da un disvalore eterogeneo. Il suo tratto qualificante, che accomuna le condotte tipizzate dal legislatore, risiede nel rifiuto di collaborazione con le autorità competenti.

Rispetto a tale rifiuto, per le conseguenze pregiudizievoli che implica, l’obbligatorietà dell’applicazione del fermo non rappresenta una risposta sanzionatoria irragionevole e sproporzionata.

Si deve escludere, pertanto, che il legislatore abbia equiparato quoad poenam condotte disparate e che, nel sancire l’obbligo di applicare il fermo, abbia violato i princìpi sanciti dagli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost. (sentenze n. 194 del 2023 e n. 212 del 2019).

35.– Quanto all’impossibilità di graduare la sanzione del fermo, è necessario restituire gli atti al rimettente.

Sarà il giudice a quo a dover valutare l’incidenza dello ius superveniens, che tale fissità ha rimosso, sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione sollevata.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies, primo periodo, del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 173, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 2 gennaio 2023, n. 1 (Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 15, sollevata, in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Brindisi, sezione civile, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata, nei sensi indicati in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies, primo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 1 del 2023, come convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 10 e 117 Cost., dal Tribunale ordinario di Brindisi, sezione civile, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies, secondo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 1 del 2023, come convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., riguardo all’applicazione obbligatoria del fermo amministrativo, dal Tribunale ordinario di Brindisi, sezione civile, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

4) ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Brindisi, sezione civile, in composizione monocratica, riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2-sexies, secondo periodo, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 1 del 2023, come convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., riguardo alla previsione della durata fissa del fermo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Giovanni PITRUZZELLA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l’8 luglio 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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