Ritenuto in fatto
1. - La Commissione tributaria provinciale di Piacenza, chiamata
a pronunciarsi sull'impugnazione di un avviso di accertamento emesso
dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Piacenza, relativo
al pagamento dell'Irpef e dell'Ilor per l'anno 1991, con ordinanza
del 3 giugno 1998 (r.o. n. 752 del 1998) ha sollevato questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 23,
comma 1, 33, comma 1, 34, comma 1, e 134, comma 2, del d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte
sui redditi), per violazione degli artt. 53, 24 e 3 della
Costituzione, nella parte in cui assume quale base imponibile, ai
fini della tassazione Irpef del reddito fondiario di un immobile
locato, l'importo del canone locativo convenuto in contratto,
anziché il reddito medio ordinario desunto dalla rendita catastale,
anche quando, a causa della morosità del conduttore, tale canone non
sia stato effettivamente percepito.
2. - La Commissione tributaria era chiamata a giudicare della
pretesa di alcuni ricorrenti, che si dolevano proprio del fatto che
l'avviso di accertamento aveva assunto quale parametro per la
quantificazione del tributo l'importo dei canoni che per contratto a
costoro spettavano dalla locazione di un immobile destinato ad uso
non abitativo e che, tuttavia, non avevano interamente conseguito a
causa dell'inadempienza del conduttore. L'esclusione di tali redditi
dalla dichiarazione fiscale, osservavano i ricorrenti, era stata
consapevolmente predisposta, in considerazione del fatto che gli
stessi non erano mai stati effettivamente riscossi e nel presupposto
che, in una ipotesi del genere, al criterio che prevede la tassazione
sull'importo del canone locativo, si sarebbe dovuto sostituire il
criterio ordinario della tassazione sul reddito medio ordinario
dell'unità catastale determinato in via automatica mediante le
tariffe d'estimo.
Il giudice a quo ha preso le mosse dal tenore delle norme che
individuano il reddito dei fabbricati da assumere nella base
imponibile dell'Irpef: secondo l'art. 23, comma 1, del d.P.R. n. 917
del 1986, i redditi fondiari concorrono, "indipendentemente dalla
percezione", a formare il reddito complessivo dei soggetti che
possiedono l'immobile per il periodo d'imposta interessato; secondo
l'art. 33, comma 1, dello stesso d.P.R., il reddito dei fabbricati è
costituito dal reddito medio ordinario ritraibile da ciascuna unità
immobiliare urbana; secondo l'art. 34, comma 1, dello stesso d.P.R.,
il reddito medio ordinario delle unità immobiliari è determinato
mediante l'applicazione delle tariffe d'estimo, stabilite sulla base
delle norme della legge catastale; secondo l'art. 134, comma 2, dello
stesso d.P.R., nel testo anteriore alla modifiche introdotte dalla
legge 30 dicembre 1991, n. 413, qualora il canone risultante dal
contratto di locazione ridotto di un quarto sia superiore alla
rendita catastale aggiornata per oltre un quinto di questa, il
reddito è determinato in misura pari a quella del canone di
locazione ridotto di un quarto. In proposito, il giudice rimettente
ha precisato che la medesima ratio legis ispira anche il regime
introdotto dalla predetta legge n. 413 del 1991, poiché l'art. 34,
comma 4-bis del d.P.R. n. 917 del 1986, aggiunto dall'art. 11 della
detta legge n. 413, prevede che, qualora il canone risultante dal
contratto di locazione, ridotto forfettariamente del 15 per cento,
sia superiore al reddito medio ordinario di cui al comma 1, il
reddito è determinato in misura pari a quella del canone di
locazione al netto di tale riduzione.
Il regime che discende da queste disposizioni, dunque, imporrebbe
il riferimento al canone pattuito nel contratto di locazione anche
per l'eventualità che il conduttore sia moroso, a prescindere dalla
sua reale percezione.
Il giudice a quo ha ritenuto che tale precetto non sia conforme,
anzitutto, all'art. 53, primo comma, della Costituzione, secondo cui
tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
loro capacità contributiva, poiché la capacità contributiva, quale
presupposto indefettibile dell'imposizione fiscale, deve sempre
collegarsi alla situazione economica effettiva del contribuente,
ossia ad una concreta attitudine del presupposto di imposta alla
produzione di ricchezza. L'art. 23, comma 1, del d.P.R. n. 917 del
1986, ha proseguito il rimettente, nell'escludere la rilevanza della
concreta percezione del reddito, introduce, per la parte che
interessa, una presunzione assoluta di redditività dell'immobile
locato anche nell'ipotesi che il conduttore non abbia pagato il
canone.
Le richiamate disposizioni, invero, non riconoscono al
contribuente alcuna facoltà di fornire una prova contraria
rilevante, come viceversa concedono altre norme del medesimo d.P.R.
n. 917 del 1986 (in particolare, la Commissione tributaria ha
richiamato gli artt. 28, sulla perdita, per eventi naturali, del
prodotto ordinario del fondo rustico, e 66, comma 3, sui criteri di
deducibilità dal reddito di impresa delle perdite su crediti in caso
di sottoposizione del debitore a procedura concorsuale).
Per l'eventualità che si interpretasse l'art. 23 nel senso di
ammettere il contribuente alla prova della mancata effettiva
percezione del canone convenuto, la Commissione tributaria ha, poi,
ravvisato un ulteriore ed autonomo profilo di incostituzionalità: la
norma si porrebbe in contrasto col principio di inviolabilità del
diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, in
considerazione dell'onerosità e difficoltà di siffatta prova.
Il combinato disposto degli articoli più sopra enunciati,
inoltre, secondo l'ordinanza di rimessione, non sarebbe conforme
all'art. 3 della Costituzione, per due profili.
In primo luogo, a causa dell'irragionevolezza della scelta
legislativa, che si risolverebbe nella tassazione di un reddito
fittizio, allorché il contratto si sia risolto in corso di anno ed i
canoni non siano stati riscossi.
In secondo luogo, per violazione del principio di eguaglianza,
manifestandosi una palese disparità di trattamento tra il
contribuente che non può più percepire il canone di locazione in
quanto il contratto si è risolto (e che ciononostante viene
sottoposto ad un prelievo commisurato a tale canone) ed altro
contribuente, anch'egli possessore di immobile, che, non avendolo
concesso in locazione, è tassato per il reddito determinato sulla
base della rendita catastale. Tale disparità risulterebbe
particolarmente evidente per il fatto che gli artt. 19 e 20 del
d.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142 (Approvazione del regolamento per la
formazione del nuovo catasto edilizio urbano) stabiliscono che, ai
fini della determinazione della rendita catastale, il reddito lordo
annuo va depurato dalle spese e perdite eventuali, espressamente
contemplando tra queste ultime le rate di fitto dovute e non pagate.
Sicché, mentre della morosità del conduttore si tiene conto nel
determinare la rendita catastale, a sua volta assunta a parametro di
fissazione del reddito medio ordinario dei fabbricati, essa diviene
del tutto irrilevante nel computo dell'imposta da calcolare sul
reddito fondiario direttamente commisurato al quantum del canone
locativo.
In proposito, il giudice rimettente si richiama al principio per
cui le esigenze erariali non possono condurre al sacrificio del
diritto del contribuente alla prova dell'effettività del reddito
soggetto al prelievo fiscale, in coerenza con la funzione di garanzia
assolta dal principio di capacità contributiva di cui all'art. 53
della Costituzione.
3. - Nel giudizio (r.o. n. 752 del 1998) innanzi alla Corte si
sono costituite le parti private, che hanno condiviso e sostenuto le
ragioni dedotte dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza
nell'ordinanza di rimessione.
In particolare, hanno ribadito che il principio di capacità
contributiva risponde all'esigenza di garantire che ogni prelievo
tributario abbia la sua causa giustificativa in indici concretamente
rivelatori di ricchezza, in conformità alla sua portata effettiva.
Se ne è fatto discendere, altresì, che, in coerenza con le
precedenti decisioni della stessa Corte costituzionale, le
presunzioni in materia fiscale sono compatibili col principio di
obbligatorietà della capacità contributiva solo se confortate da
elementi positivi, che valgano a giustificarle razionalmente, e che
tali presunzioni, ancorché logicamente valide ed attendibili, non
possono trasformarsi in certezze assolute, imperativamente statuite
senza la possibilità della prova del contrario, dovendosi
salvaguardare, accanto all'interesse erariale alla riscossione delle
imposte, anche il diritto del contribuente a provare i margini di
effettività dell'indice di ricchezza colpito dall'imposta.
Le parti private, quindi, hanno riproposto le argomentazioni già
dedotte dal giudice a quo a sostegno dell'incostituzionalità delle
norme censurate per violazione degli artt. 24 e 3 della Costituzione,
richiamandosi, anche in tal caso, alle precedenti decisioni di questa
Corte.
4. - È altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso chiedendo la declaratoria di infondatezza
della questione.
Ha osservato che l'art. 53 della Costituzione impone che il
prelievo fiscale si colleghi ad una attitudine effettiva alla
contribuzione e che l'indice di capacità contributiva, in materia di
reddito fondiario, è costituto dal possesso dell'immobile. La
concreta fissazione del tributo sulla base dei coefficienti catastali
ovvero sulla base del canone locativo pattuito è solo una operazione
che vale a quantificare il reddito ritraibile dal bene secondo l'id
quod plerumque accidit, valendosi di parametri comunque ragionevoli
ed obiettivamente attendibili.
Tra l'uno e l'altro criterio, in breve, vi sarebbe solo una
differenza di tipo quantitativo, senza alcuna violazione del canone
di effettività della capacità contributiva.
L'interveniente, inoltre, ha precisato che la durata della
morosità del conduttore è comunque variabile in ragione
dell'atteggiamento del locatore e della maggiore o minore
tempestività con cui egli attiva gli strumenti di tutela a sua
disposizione. Sicché non potrebbero mai addossarsi sulla
collettività le conseguenze di un eventuale atteggiamento di
inerzia, come viceversa pretenderebbe il giudice a quo.
Il credito al pagamento del canone, stabilmente acquisito al
patrimonio del locatore, è comunque anch'esso un indice di
ricchezza, al pari di altri diritti di credito che il legislatore
fiscale ritiene rilevanti per la determinazione della base imponibile
(si richiamano, in specie, le norme sui redditi prodotti in forma
associata, che imputano ai soci gli utili derivanti da partecipazioni
in società di persone, ancorché non ancora distribuiti, nonché
quelle sui corrispettivi delle cessioni e prestazioni di servizi, che
concorrono a formare il reddito di impresa pur se non ancora
soddisfatti con il pagamento).
Tali argomenti, secondo l'interveniente, valgono anche ad
escludere qualsivoglia disparità di trattamento, atteso che il
regime sui redditi fondiari non è l'unico in cui un reddito concorre
a formare l'imponibile, pur se concretamente non ancora conseguito, e
che il principio di capacità contributiva è sicuramente compatibile
con l'adozione di tecniche impositive diversificate in relazione alla
tipologia del reddito imponibile.
Si è ritenuto, infine, sempre dall'Avvocatura generale dello
Stato, del tutto fuori luogo ogni riferimento alla violazione del
diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, poiché
gli inconvenienti paventati dal rimettente non sussistono se si
ritenga, più correttamente, che dal momento dell'eventuale
risoluzione del contratto di locazione cessa l'effetto della norma
che quantifica il reddito fondiario sulla base del relativo canone.
Inoltre, la corretta ricostruzione della disciplina, a parere
dell'interveniente, consente al contribuente che abbia regolarmente
versato l'imposta commisurata al canone locativo, di provare di non
aver potuto, pur con l'impiego dell'ordinaria diligenza, riscuotere
il credito, chiedendo successivamente il rimborso del maggior tributo
pagato.
5. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica del 21 marzo 2000 la
difesa delle parti private del giudizio r.o. n. 752 del 1998 ha
depositato una memoria, in cui sono ribadite le ragioni già esposte
nell'atto di costituzione, concludendo nel senso che la disciplina
all'esame della Corte, nel collegare la base imponibile all'importo
del canone locativo convenuto ancorché non riscosso, non solo
assumerebbe ad oggetto una capacità contributiva astratta e slegata
dalla realtà economica, in violazione dell'art. 53 della
Costituzione, ma impedirebbe anche la prova giudiziale della mancata
produzione del reddito, al fine di liquidare l'imposta sulla base
della più favorevole rendita catastale, ponendosi in contrasto con
l'art. 24 della Costituzione.
Gli esponenti hanno poi replicato all'obiezione dell'Avvocatura
generale dello Stato, secondo cui la mancata percezione del canone
comunque non impedirebbe l'acquisto di un corrispondente credito in
capo al locatore, rilevante al fine di verificare la capacità
contributiva. Si è osservato che crediti di questa natura ben
difficilmente vengono soddisfatti, come dimostra la prassi che fa
seguire alla morosità del conduttore l'intimazione di sfratto e la
successiva sentenza del giudice. Ne segue che, secondo le parti
private, fino a quando il contratto non è dichiarato risolto, di
regola molto tempo dopo l'esecuzione dello sfratto, il reddito
fondiario del locatore continua ad essere determinato in base ad un
canone non percepito, con l'aggravante dell'impossibilità di vantare
un credito verso il conduttore per il periodo successivo
all'esecuzione dello sfratto.
Si ritiene - sempre secondo le parti private - dunque, tutt'altro
che decisiva l'affermazione dell'Avvocatura generale dello Stato, a
parere della quale "dal momento della risoluzione del contratto di
locazione, quale che sia la causa di essa, è indubitabile che il
rapporto di locazione non ci sarebbe più e che tornerebbe perciò
applicabile l'imposizione su base catastale": essa sarebbe smentita
dalla circostanza che la sentenza dichiarativa della risoluzione del
contratto per morosità interviene a distanza di anni dall'atto di
citazione, per tutto il corso dei quali il locatore verrebbe tassato
in base al reddito desunto dall'importo del canone, anziché dalle
tariffe d'estimo. Del resto, anche dopo tale sentenza, troverebbe
applicazione la norma che non prevede l'automatica rilevanza fiscale
della risoluzione, stabilendo un apposito meccanismo per far constare
la risoluzione del contratto (si richiama, in proposito, l'art. 17,
comma 3, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 sull'imposta di registro).
Infine, si nega che la tesi che aggancia l'imposizione alla
percezione effettiva del reddito (e che dovrebbe condurre alla
declaratoria di incostituzionalità della norma) si debba
necessariamente risolvere in una probatio diabolica ai danni
dell'Amministrazione finanziaria, perlomeno nei casi in cui la
morosità venga accertata nella sentenza del giudice civile.
6. - La Commissione tributaria provinciale di Biella, con
ordinanza del 24 marzo 1998 (r.o. n. 447 del 1998), la Commissione
tributaria provinciale di Torino, sezione n. 26, con ordinanza del
22 giugno 1998 (r.o. n. 856 del 1998), la Commissione tributaria
provinciale di Torino, sezione seconda, con ordinanza del 12 ottobre
1998 (r.o. n. 908 del 1998), la Commissione tributaria provinciale di
Treviso, con ordinanza del 27 ottobre 1998 (r.o. n. 201 del 1999), la
Commissione tributaria provinciale di Padova, con ordinanza del
29 giugno 1998 (r.o. n. 225 del 1999), hanno sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi), nonché, con l'ultima ordinanza, degli artt. 34, comma
4-bis e 118 dello stesso d.P.R. n. 917 del 1986, per violazione
dell'art. 53 della Costituzione (la prima delle ordinanze citate),
nonché per violazione sia dell'art. 53 sia dell'art. 3 della
Costituzione (le altre cinque ordinanze), nella parte in cui assumono
quale base imponibile, ai fini della tassazione del reddito fondiario
di un immobile locato, l'importo del canone locativo convenuto in
contratto anche per il caso in cui, a causa della morosità del
conduttore, tale canone non sia stato effettivamente percepito.
7. - Nel corso dei rispettivi processi davanti alle Commissioni
tributarie rimettenti era in discussione la legittimità di
altrettanti avvisi di accertamento, con cui l'Amministrazione
finanziaria aveva assunto, quale parametro per la quantificazione del
tributo, l'importo dei canoni che per contratto spettavano ai
contribuenti dalla locazione di immobili e che, tuttavia, essi non
avevano interamente conseguito a causa dell'inadempienza del
conduttore.
I giudici a quibus hanno preso in esame l'art. 23, comma 1, del
d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui i redditi fondiari concorrono,
"indipendentemente dalla percezione", a formare il reddito
complessivo dei soggetti che possiedono l'immobile per il periodo
d'imposta interessato.
La norma è stata concordemente interpretata dai rimettenti nel
senso che per la determinazione della base imponibile in materia di
reddito fondiario, quando l'immobile è locato, si deve sempre tener
conto, anziché dei dati desunti dalle tariffe d'estimo per
determinare il reddito medio ordinario delle unità immobiliari (ai
sensi dell'art. 34 del d.P.R. n. 917 del 1986), del canone pattuito
nel contratto di locazione, nonostante il conduttore sia moroso e,
dunque, a prescindere dalla effettiva percezione di tale canone.
I giudici a quibus hanno ritenuto che tale precetto non sia
conforme, anzitutto, all'art. 53, primo comma, della Costituzione,
secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva, poiché la capacità
contributiva, quale presupposto indefettibile dell'imposizione
fiscale, deve sempre collegarsi alla situazione economica effettiva
del contribuente, ossia ad una concreta attitudine del presupposto di
imposta alla produzione di ricchezza. L'art. 23, comma 1, del d.P.R.
n. 917 del 1986, hanno in particolare osservato alcune tra le
ordinanze di rimessione, nell'escludere la rilevanza della concreta
percezione del reddito, introduce, per la parte che interessa, una
presunzione assoluta di redditività dell'immobile locato anche
nell'ipotesi che il conduttore non abbia pagato il canone.
Le richiamate disposizioni, invero, non riconoscono al
contribuente alcuna facoltà di fornire una prova contraria
rilevante, come viceversa concedono altre norme del medesimo d.P.R.
n. 917 del 1986, senza valutare l'obiettiva difficoltà di esazione
del credito locativo, spesso concretamente inesigibile, ed i costi
aggiuntivi che il locatore deve sopportare per attivare gli strumenti
di tutela concessi dall'ordinamento.
La disposizione di cui all'art. 23, comma 1, citato, secondo i
giudici rimettenti, è, altresì, in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione, per più profili, corrispondenti a quelli esposti al
precedente n. 2.
8. - Anche nei rispettivi giudizi indicati sub 6., con separati
atti di costituzione, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso chiedendo la declaratoria di infondatezza
della questione.
Considerato in diritto
1. - La questione sottoposta all'esame della Corte dall'ordinanza
della Commissione tributaria provinciale di Piacenza 3 giugno 1998,
riguarda il combinato disposto degli artt. 23, comma 1, 33, comma 1,
34, comma 1 e 134, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte
in cui assume quale base imponibile, ai fini della tassazione del
reddito fondiario di un immobile locato, l'importo del canone
locativo convenuto in contratto, anziché il reddito medio ordinario
desunto dalla rendita catastale, anche quando, a causa della
morosità del conduttore, tale canone non sia stato effettivamente
percepito. Secondo il giudice rimettente vi sarebbe violazione degli
artt. 53, per contrasto col principio di effettività della capacità
contributiva, 24, per contrasto con il principio di inviolabilità
del diritto di difesa e 3 della Costituzione, per irragionevolezza e
disparità di trattamento tra situazioni meritevoli di paritaria
disciplina.
2. - Analoghe questioni di legittimità costituzionale sono state
proposte dalla Commissione tributaria provinciale di Biella, con
ordinanza del 24 marzo 1998 (r.o. n. 447 del 1998), dalla Commissione
tributaria provinciale di Torino, sezione n. 26, con ordinanza del
22 giugno 1998 (r.o. n. 856 del 1998), dalla Commissione tributaria
provinciale di Torino, sezione seconda, con ordinanza del 12 ottobre
1998 (r.o. n. 908 del 1998), dalla Commissione tributaria provinciale
di Treviso, con ordinanza del 27 ottobre 1998 (r.o. n. 201 del 1999),
dalla Commissione tributaria provinciale di Padova, con ordinanza del
29 giugno 1998 (r.o. n. 225 del 1999).
Le questioni proposte riguardano l'art. 23, comma 1, del d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917, nonché, con l'ultima ordinanza, gli
artt. 34, comma 4-bis aggiunto dall'art. 11 della legge 30 dicembre
1991, n. 413, e 118 dello stesso d.P.R. n. 917 del 1986, per
violazione dell'art. 53 della Costituzione (la prima delle ordinanze
citate), nonché per violazione sia dell'art. 53 sia dell'art. 3
della Costituzione (le altre cinque ordinanze), nella parte in cui
viene assunto quale base imponibile, ai fini della tassazione del
reddito fondiario di un immobile locato, l'importo del canone
locativo convenuto in contratto anche per il caso in cui, a causa
della morosità del conduttore, tale canone non sia stato
effettivamente percepito.
3. - I giudizi possono essere riuniti, stante la parziale
connessione oggettiva e la sostanziale coincidenza delle questioni
proposte, e quindi essere decisi con unica sentenza.
4. - Preliminarmente risulta, in modo manifestamente certo ed
ictu oculi che la sopravvenuta legge 9 dicembre 1998, n. 431
(Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad
uso abitativo), ed in particolare l'art. 8, con aggiunte all'art. 23
del d.P.R. n. 917 del 1986, non possa avere dei riflessi risolutivi
sulle questioni di legittimità costituzionale proposte, come del
resto accennato dalle difese in udienza pubblica (r.o. n. 752 del
1998).
Innanzitutto alcuni dei giudizi a quibus (tra cui quello discusso
in pubblica udienza) riguardano contratti di locazione ad usi
commerciali o assimilati e quindi del tutto al di fuori dell'ambito
della nuova norma, relativa esclusivamente alle locazioni abitative.
Decisiva per tutti i giudizi è invece la considerazione che la
nuova disposizione (a prescindere dalla sua non dichiarata
retroattività) prende in considerazione i redditi derivanti da
contratti di locazione di immobili (ad uso abitativo), se non
percepiti, ai fini di escluderli dal concorso nella formazione del
reddito solo "dal momento della conclusione del procedimento
giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del
conduttore", ipotesi certamente estranee al quadro delle questioni
delineate dai giudici a quibus.
Ciò non esclude, tuttavia, la possibilità che il credito di
imposta, pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non
percepiti, possa anche sorgere dopo "l'accertamento avvenuto
nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto
per morosità".
Invero sarà questione che potrà profilarsi - secondo il sistema
delineato dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431 - soltanto
successivamente all'"accertamento ... giurisdizionale di convalida di
sfratto", e ovviamente solo dopo che le imposte siano state
"versate": trattasi pertanto di profilo al di fuori dei presenti
giudizi e del quale la Corte non è stata investita.
5. - Prima dell'esame delle questioni di legittimità
costituzionale è opportuno inquadrare la norma sul riferimento del
reddito dei fabbricati al canone locativo come ipotesi di carattere
eccezionale rispetto alla disciplina ordinaria.
Quest'ultima è, invero, stabilmente collegata alla nozione di
reddito ordinario medio, a sua volta desunto dalle risultanze dei
dati catastali. In proposito, è significativo che, ai fini della
determinazione del reddito lordo annuo - da cui si desume la rendita
catastale dell'immobile -, si tiene conto, tra l'altro, delle spese e
perdite eventuali, tra le quali sono indicate proprio quelle degli
sfitti e delle rate di fitto dovute e non pagate (artt. 19 e 20 del
d.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142).
Senonché, inserendosi il metodo di valutazione del reddito medio
in un sistema di redditi collegati alle tariffe d'estimo, la sua
congruenza e concreta rispondenza al presupposto d'imposta richiede
necessariamente un sistema catastale modernamente attrezzato, che
possa tenere conto dell'evolversi delle situazioni locali o di
mercato. Ciò vale a spiegare l'esistenza di eccezioni qual è quella
in esame.
Le deroghe al sistema del reddito medio ordinario (catastale)
sono, invero, connaturali alla attuale struttura del catasto
fabbricati, i cui valori spesso non corrispondono all'evoluzione
delle rendite immobiliari. Il sistema delle variazioni del reddito
dei fabbricati quale previsto, tra l'altro, dall'art. 35 del d.P.R.
n. 917 del 1986, nel caso vi sia divergenza per un triennio di
reddito lordo effettivo (con riferimento anche ai canoni di locazione
risultanti dai relativi contratti) non riesce a colmare i divari
esistenti, né le modifiche reddituali che sopravvengono o si sono
accumulate nel tempo.
6. - Le questioni sono infondate, in quanto le norme censurate
possono essere correttamente interpretate in modo da escludere le
denunciate violazioni.
In ordine all'ipotizzato contrasto con l'art. 53 della
Costituzione, è sufficiente sottolineare che la capacità
contributiva, quale idoneità alla obbligazione di imposta,
desumibile dal presupposto economico al quale l'imposta è collegata,
può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice
rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al
legislatore, salvo il controllo di costituzionalità, sotto il
profilo della palese arbitrarietà e manifesta irragionevolezza (v.,
da ultimo, sentenze n. 143 del 1995, n. 315 del 1994 e n. 42 del
1992), ipotesi che qui non ricorrono.
7. - Le osservazioni che precedono valgono anche ad affermare
l'infondatezza della questione di illegittimità per violazione
dell'art. 24 della Costituzione, prospettata solo in relazione alla
difficoltà di prova che il contribuente dovrebbe sostenere per
sostituire al parametro normativo del canone locativo il parametro
del reddito medio ordinario. Ed invero, dal momento che il
riferimento al canone locativo è - in linea generale - conforme al
principio di capacità contributiva, non vi sono, sotto questo
profilo, spazi di rilevanza per la eventuale prova del mancato
pagamento, salvo le ipotesi in appresso esaminate, che riguardano
invece la cessazione del rapporto contrattuale di locazione e quindi
il venir meno di un pagamento a titolo di canone locativo.
8. - Anche la questione relativa alla dedotta violazione
dell'art. 3 della Costituzione è infondata.
Infatti, la corretta ricostruzione del combinato disposto degli
artt. 23, 33, 34 e 134 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (ed il
ragionamento è identico anche con l'art. 34 nel testo risultante
dalla aggiunta e sostituzione introdotta dall'art. 11 della legge
30 dicembre 1991, n. 413 e dall'art. 4 del d.l. 31 maggio 1994,
n. 330) conduce ad escludere che la regola secondo cui "i redditi
fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il
reddito complessivo dei soggetti che posseggono gli immobili a titolo
di proprietà" o altro diritto reale (art. 23, comma 1) possa essere
applicata in maniera indiscriminata ed irragionevole; così come
conduce ad escludere che tale applicazione possa attuarsi
sacrificando il ruolo di regola generale da riconoscere alla
determinazione del reddito medio ordinario mediante le tariffe
d'estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale (artt. 33,
comma 1, e 34, comma 1).
Il sistema del riferimento per la determinazione del reddito dei
fabbricati al canone risultante dal contratto di locazione - come
sopra sottolineato - è del tutto eccezionale ed i suoi ristretti
margini di rilevanza sono anzitutto confermati dalla circostanza che
esso si applica nella sola ipotesi che il reddito risultante dal
canone di locazione (con le riduzioni previste, ivi compresa oggi
quella dell'art. 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431) sia superiore
a quello risultante dalla rendita catastale (superiore in maniera
ritenuta significativa - oltre un quinto - fino alle modifiche
introdotte con la legge n. 413 del 1991, e superiore senza altra
qualificazione dopo la stessa legge).
L'inserimento di queste condizioni per l'utilizzo del reddito
locativo, per un verso, si spiega con la natura eccezionale della
disposizione e, per altro verso, ribadisce la centralità del metodo
che si affida al reddito medio ordinario catastale. Quest'ultimo
sistema, invero, salvo altrettante ipotesi di deroga previste dal
legislatore, tiene adeguato conto della possibilità che il reddito
effettivo possa divergere per una serie di cause più varie (maggiore
o minore produttività e redditività, periodi di crisi ecc.), con
semplificazioni e vantaggi, a seconda dei casi, per l'amministrazione
finanziaria o per il contribuente e nel rispetto del canone generale
della ragionevolezza (v. sentenza n. 377 del 1995).
L'eccezionale riferimento al reddito locativo deve, pertanto,
armonizzarsi nel contesto di un sistema che pone la regola per cui i
redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo
indipendentemente dalla percezione. Questo inserimento avviene in
coerenza con il principio di eguaglianza e con il correlativo
parametro di ragionevolezza, se si valuta il ristretto ambito
applicativo della disposizione e se si considera la naturale forza
espansiva del precetto generale che utilizza il reddito medio
catastale.
Ne segue che il riferimento al canone di locazione (anziché alla
rendita catastale) potrà operare nel tempo solo fin quando
risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un
canone in senso tecnico. Quando, invece, la locazione (rapporto
contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (art. 1596 cod.
civ.) ed il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il
locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata
una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle
di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di
dichiarazione di avvalersi della clausola (art. 1456 cod. civ.), o di
risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 cod. civ.),
tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile,
tornando in vigore la regola generale.
Con queste considerazioni rimane superata l'obiezione, mossa
dalla difesa di una parte privata, secondo cui la gravosità ed
irragionevolezza di un sistema impositivo, che pretendesse comunque
di far leva sull'importo di un canone non effettivamente corrisposto,
si protrarrebbe per tutto il lungo tempo occorrente per la sentenza
di risoluzione del contratto per morosità. Infatti, il locatore può
avvalersi in ogni caso della risoluzione ex art. 1454 cod. civ., a
parte l'eventuale sussistenza delle altre ipotesi di risoluzione di
diritto ex artt. 1456 e 1457 cod. civ. e la possibilità della azione
di convalida di sfratto (come forma mista diretta alla risoluzione e
al rilascio).
La risoluzione del contratto impedisce di configurare il
pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di
canone, cui possa essere commisurata la base imponibile ai fini
dell'imposta sul reddito.
In realtà, solo nel caso di azione di risoluzione giudiziale
occorrerà che il locatore attenda - per avere l'efficacia della
risoluzione - la sentenza, la quale ha carattere costitutivo, anche
se con effetti retroattivi. Con ciò non si afferma che il locatore
non possa invocare l'inadempimento e la risoluzione anche prima della
sentenza di risoluzione giudiziale, quando risulti in maniera certa
che abbia scelto la via di risolvere il contratto, e ovviamente il
locatore lo può fare a suo rischio, anche per le sanzioni tributarie
conseguenti, nel caso in cui la sua domanda di risoluzione
giudiziaria non venga accolta.
In ogni caso, una volta che la risoluzione si sia verificata,
l'obbligazione del corrispettivo a carico del conduttore inadempiente
per la restituzione ha natura risarcitoria (art. 1591 cod. civ.), e
non di canone di una locazione ormai risoluta.
Questi redditi (e crediti) risarcitori non possono certamente
essere assoggettati alla regola eccezionale della determinazione del
reddito dei fabbricati attraverso il canone di locazione, in
sostituzione dell'ordinario reddito medio (catastale), salva, ove ne
ricorrano gli estremi, l'applicazione ai fini della classificazione
dei redditi dell'art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917, che tuttavia - si sottolinea - presuppone che si tratti di
"proventi conseguiti" e non di crediti non realizzati.
9. - Infine lo stesso sistema tributario riconosce, proprio per
le locazioni, particolari modalità di registrazione della
risoluzione del contratto di locazione (artt. 3, comma 1, lettera a)
12 e 17, comma 1, in relazione anche all'art. 28 del d.P.R. 26 aprile
1986, n. 131); per cui non può non riconoscersi rilevanza sul piano
delle imposte a tale evento risolutorio, che può concretarsi,
seppure per i profili strettamente fiscali, anche attraverso una
dichiarazione unilaterale.