Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale del referendum, costituito presso la Corte
di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e
successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum
popolare presentata il 5 gennaio 1996 dai signori Sergio Augusto
Stanzani Ghedini, Lorenzo Strik Lievers, Rita Bernardini, Mauro
Sabatano e Fiorella Mancuso, sul seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogata la legge 6 agosto 1990, n. 223,
recante "Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato"
limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 6, limitatamente
alle parole: "4 per cento dell'orario settimanale di programmazione
ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non
superiore al" ed alle parole: "deve essere recuperata nell'ora
antecedente o successiva" ?".
2. - L'Ufficio centrale, verificata la regolarità della richiesta,
ne ha dichiarato la legittimità con ordinanza del 13 dicembre 1996
nella quale ha ritenuto tuttora vigente la disposizione oggetto del
quesito referendario.
3. - Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio
centrale, il presidente di questa Corte, con decreto del 18 dicembre
1996, ha fissato il giorno 8 gennaio 1997 per la conseguente
deliberazione, dandone regolare comunicazione.
4. - Con memoria depositata nei termini, i promotori del referendum
hanno insistito per l'ammissibilità dell'iniziativa rilevando
l'assoluta univocità ed inequivocità del quesito referendario.
Questo, infatti, nei suoi termini "scheletrici" mira chiaramente a
ridurre il tetto del tempo destinabile alle trasmissioni
pubblicitarie, consentendo all'elettorato di avere una chiara
percezione del significato e delle conseguenze del proprio voto.
Altrettanto chiara è la normativa conseguente alla proposta
abrogazione: essa riguarda l'esercizio di poteri politici di
indirizzo e garanzia, l'individuazione di obblighi di documentazione
contabile nei confronti dell'autorità pubblica, secondo termini e
procedure attualmente vigenti che possono restare invariati.
Né, infine, l'effetto abrogativo può comportare implicazioni di
alcun genere con la vigente disciplina comunitaria in materia di cui
alla direttiva del Consiglio 89/552/CEE.
Nel merito, rilevano i promotori che il rilievo della missione
pubblica conferita alla concessionaria pubblica è tale da esigere
che essa venga sottratta - entro certi limiti - ai condizionamenti
dipendenti da un accesso, sia pure contenuto, alle risorse private.
Nel chiaro intento di favorire il deflusso di una larga quantità
di risorse private dal sistema di finanziamento pubblicitario della
concessione pubblica verso l'iniziativa commerciale privata e verso
l'editoria in genere, i promotori sono dell'avviso che il servizio
pubblico vada alimentato "mediante il canone-imposta, ovvero mediante
proventi di carattere anche non impositivo finalizzati al sostegno di
attività rispondenti alla missione pubblica, culturali, educative,
scientifiche destinate eventualmente ad un pubblico minoritario,
indipendentemente e preventivamente programmate". Del resto, le
ultime relazioni annuali del Garante per la radiodiffusione e
l'editoria indicano che alla diminuzione delle risorse provenienti
dagli introiti pubblicitari potrebbe agevolmente farsi fronte con un
aumento del canone attuale non superiore ad un terzo.
5. - Non v'è stato intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri.
6. - Nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 l'avv. Giovanni
Motzo, per i presentatori Rita Bernardini e Mauro Sabatano, ha
insistito per l'ammissibilità della richiesta.
Considerato in diritto
1. - La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui
ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe il comma
6 dell'art. 8 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato). Il quesito è limitato
all'abrogazione di alcune parti testuali del comma in oggetto. Ed
infatti - mentre il testo del predetto comma 6 così recita: "La
trasmissione dei messaggi pubblicitari da parte della concessionaria
pubblica non può eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di
programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale
eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora,
deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva" - la
proposta referendaria mira - mediante l'abrogazione delle parole: "4
per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per
cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al"
e delle parole: "deve essere recuperata nell'ora antecedente o
successiva" - a modificare il testo stesso nei seguenti termini: "La
trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria
pubblica non può eccedere il 2 per cento nel corso di un'ora".
2. - Ciò premesso, va rilevato che la disposizione oggetto
dell'iniziativa referendaria non rientra in alcuna delle categorie di
leggi espressamente sottratte al referendum dall'art. 75, secondo
comma, della Costituzione.
In proposito, si deve, in particolare, considerare che tale
disposizione non integra la fattispecie di "norme la cui esistenza ed
il cui contenuto siano imposti da obblighi assunti dallo Stato
italiano per effetto di trattati internazionali che non lascino
alcuno spazio per scelte discrezionali riguardanti l'attuazione, sì
che l'abrogazione di esse comporti necessariamente una
responsabilità dello Stato italiano nei confronti degli altri
contraenti per violazione del trattato" (sentenza n. 28 del 1993). È
evidente infatti, in base agli "indici di affollamento" adottati, che
la disposizione in oggetto, anche nella formulazione emendata
risultante dall'eventuale esito favorevole della votazione
referendaria, sarebbe compatibile con le prescrizioni sia della
direttiva del Consiglio delle Comunità europee n. 89/552/CEE del 3
ottobre 1989, sia della Convenzione europea sulla televisione
transfrontaliera del 5 maggio 1989 (resa esecutiva con legge 5
ottobre 1991, n. 327), poiché in entrambi gli atti è riconosciuta
agli Stati la facoltà di stabilire regole più rigorose o più
dettagliate in materia (cfr. sentenza n. 8 del 1995).
3. - È altresì chiaro e non contraddittorio il quesito, che
propone, secondo quanto posto in luce anche nella memoria
illustrativa dei promotori, di "ridurre al massimo la pubblicità
televisiva e radiofonica dalle reti della concessionaria pubblica".
Questo scopo invero appare più circoscritto rispetto a quello di
"eliminare la pubblicità televisiva e radiofonica dalle reti della
concessionaria pubblica", che caratterizzava, secondo i promotori di
allora, la domanda referendaria del 1994, incidente, tra l'altro,
sulla stessa norma e dichiarata inammissibile dalla Corte, con la
sentenza n. 1 del 1995, "in quanto non appare univocamente diretta al
fine, propugnato dai promotori, di impedire che le reti della
concessionaria pubblica trasmettano messaggi pubblicitari".
4. - Tutto ciò premesso, nel presente giudizio, la Corte ritiene
peraltro che occorra, in relazione alla struttura del quesito,
accertare "se non s'impongono altre ragioni, costituzionalmente
rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il
ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle ipotesi che la
Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa" (sentenza
n. 16 del 1978).
In questa ottica, si rileva che il fine oggettivato nella domanda
referendaria appare perseguito in modo inammissibile, in quanto
contrario alla logica dell'istituto, giacché si adotta non una
proposta referendaria puramente ablativa, bensì innovativa e
sostitutiva di norme.
Ed invero, va rilevato che il quesito referendario in esame propone
l'eliminazione totale sia della norma relativa al limite dell'orario
settimanale, sia delle norme che consentono, entro certi termini,
un'eventuale eccedenza oraria ed il connesso periodo di recupero.
Contestualmente, si propone anche, attraverso il prospettato ritaglio
di parole da cancellare, la sostituzione dell'originario tetto orario
del 12 per cento con il nuovo e diverso limite del 2 per cento, che
peraltro figura in tutt'altro contesto normativo, inerente alla
disciplina delle eventuali eccedenze dal prescritto tetto orario.
Si potrà anche dire che, da un punto di vista strettamente
semantico, si determina comunque, attraverso l'ipotizzata "saldatura"
tra due frammenti lessicali appartenenti a due norme completamente
diverse, un effetto di riduzione quantitativa dell'attuale contenuto
dispositivo, ma non si produce certo, come invece richiesto dalla
disciplina sul referendum abrogativo, un effetto di ablazione puro e
semplice: non si verificherebbe, quindi, il proprium del referendum
abrogativo, che è essenziale per l'istituto. In realtà, nel caso di
specie, si propone una norma, con un effetto di rideterminazione
quantitativa del tetto orario, che sicuramente non deriva dalla
fisiologica espansione delle norme residue, o dai consueti criteri di
autointegrazione dell'ordinamento, bensì dalla particolare tecnica
di ritaglio adottata, che espressamente estrae dal testo il nuovo
limite del 2 per cento, in luogo di quello originario del 12 per
cento.
In definitiva, l'abrogazione parziale chiesta con il quesito
referendario si risolve sostanzialmente in una proposta all'elettore,
attraverso l'operazione di ritaglio sulle parole e il conseguente
stravolgimento dell'originaria ratio e struttura della disposizione,
di introdurre una nuova statuizione, non ricavabile ex se
dall'ordinamento, ma anzi del tutto estranea al contesto normativo.
Per di più, con effetti di sistema rilevanti, se è vero che la
disciplina del limite quantitativo degli introiti pubblicitari della
concessionaria pubblica è accuratamente modulata sia in relazione
all'ammontare del canone di abbonamento, sia in relazione ai proventi
pubblicitari riservati alle altre concessionarie radiotelevisive e,
più in generale, agli altri mezzi di comunicazione di massa.
L'individuazione allora, nella struttura del quesito, accanto al
profilo di soppressione di mere locuzioni verbali, peraltro
inespressive di qualsiasi significato normativo, del profilo di
sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa,
non derivante direttamente dall'estensione di preesistenti norme o
dal ricorso a forme autointegrative, ma costruita attraverso la
saldatura di frammenti lessicali eterogenei, pone in luce il
carattere propositivo del quesito stesso. Ma se così è, si
fuoriesce dallo schema tipo dell'abrogazione "parziale", proprio
perché non si propone tanto al corpo elettorale una sottrazione di
contenuto normativo, ma si propone piuttosto una nuova norma
direttamente costruita.
La Corte ritiene che proprio i prospettati caratteri di questa
domanda referendaria pongono in risalto che "in tal modo si
verrebbero a produrre nell'ordinamento, in caso di approvazione,
innovazioni non consentite al referendum abrogativo" (sentenza n. 28
del 1987).
In questo quadro, la particolare struttura della domanda
referendaria pone quindi in luce l'impossibilità di ricondurre il
referendum in esame entro lo schema dell'art. 75 della Costituzione,
che "non implica affatto l'ammissibilità di richieste comunque
strutturate, comprese quelle eccedenti i limiti esterni ed estremi
delle previsioni costituzionali, che conservino soltanto il nome e
non la sostanza del referendum abrogativo" (sentenza n. 16 del 1978).
5. - Difettano pertanto i presupposti per una pronuncia di
ammissibilità della richiesta referendaria al vaglio della Corte.