Titolo
SENT. 62/95 A. PROVA CIVILE - PROVA PER TESTIMONI - PERSONE INCAPACI A TESTIMONIARE - DIVIETO DI TESTIMONIANZA PER IL CONIUGE IN CAUSA IN CUI E' PARTE L'ALTRO CONIUGE E CHE VERTA SU QUESTIONI RIGUARDANTI IL PATRIMONIO COMUNE - ASSERITA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI DIFESA - IMPUGNATIVA DI COMBINATO DISPOSTO DI NORMA DEL CODICE CIVILE (ART. 159) ESTRANEA ALLA QUESTIONE, E DI NORMA DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE (ART. 246) GIA' RICONOSCIUTA DALLA CORTE NON ILLEGITTIMA - NON FONDATEZZA.
Testo
La incapacita' a testimoniare, per il coniuge, nella causa in cui - come nel caso di specie - e' in parte l'altro coniuge e sono in discussione entita' patrimoniali riguardanti il patrimonio comune, denunciata come effetto incostituzionale del combinato disposto degli articoli 246 cod. proc. civ. e 159 cod. civ., non puo' farsi discendere da quest'ultimo - che si limita a disporre quale regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione, la comunione dei beni - essendo ascrivibile unicamente all'art. 246 cod.proc.civ., secondo il quale "non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio". Pertanto ogni considerazione circa la denunciata violazione dell'art. 24 Cost. rimane assorbita da quelle gia' svolte dalla Corte (sent. n. 248 del 1974) nell'escludere l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione, mentre va senz'altro respinto, per converso, l'altro assunto del giudice 'a quo', secondo cui, per effetto del censurato combinato disposto dei suddetti articoli, sarebbe tornato in vita il divieto di testimonianza gia' previsto, bensi' per il coniuge, dall'art. 247 cod. proc. civ. nella causa in cui e' parte l'altro coniuge, ma anche in mancanza - che non si da' nella specie - di un suo interesse all'esito della stessa e solo percio' riconosciuto illegittimo dalla menzionata sentenza. (Non fondatezza, in riferimento all'art. 24 Cost., della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 159 cod. civ. e 246 cod. proc. civ.). - V. S. n. 248/1974, gia' citata nel testo. Sulla ragionevolezza, in quanto rientrante nell'esercizio del potere discrezionale del legislatore, del negare fiducia alle dichiarazioni rese da chi abbia nella causa un interesse qualificato, v. anche O. n. 497/1987. red.: S.P.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 24
Riferimenti normativi
codice civile
n. 0
art. 159
co. 0
codice di procedura civile
n. 0
art. 246
co. 0
Titolo
SENT. 62/95 B. PROVA CIVILE - PROVA PER TESTIMONI - PERSONE INCAPACI A TESTIMONIARE - DIVIETO DI TESTIMONIANZA PER IL CONIUGE IN CAUSA IN CUI SIA PARTE L'ALTRO CONIUGE E CHE VERTA SU QUESTIONI RIGUARDANTI IL PATRIMONIO COMUNE - LAMENTATA DISCRIMINAZIONE TRA I CONIUGI PER CUI VIGA IL REGIME DI COMUNIONE DEI BENI,ED AI QUALI IL DIVIETO DI TESTIMONIANZA SI APPLICA, RISPETTO AI CONIUGI CHE, AVENDO OPTATO PER IL REGIME DI SEPARAZIONE, RISULTANO AD ESSO SOTTRATTI - INCOMPARABILITA' DELLE SITUAZIONI POSTE A CONFRONTO - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.
Testo
La disparita' di trattamento tra i coniugi nei cui riguardi vige il regime legale di comunione e quelli per cui invece vige il regime di separazione dei beni, denunciata nei confronti del combinato disposto dagli art. 159 cod. civ. e 246 cod. proc. civ. per essere soltanto per i primi esclusa la legittimazione a testimoniare in causa in cui sia parte l'altro coniuge e siano in discussione entita' patrimoniali riguardanti il patrimonio comune non e' determinata dalla legge bensi' dalla stessa volonta' delle parti, cui l'art. 159 rimette appunto la liberta' di optare in favore del regime (convenzionale) di separazione oppure di quello (altrimenti applicabile per norma suppletiva di legge) della comunione dei beni, che comporta, fra le tante conseguenze, anche la c.d. incapacita' prevista dal'art. 246 cod. proc. civ.. Pertanto - contro quanto prospettato dal giudice 'a quo' - tale disparita' non da' luogo a violazione del principio di eguaglianza. (Non fondatezza, in riferimento all'art. 3 Cost., della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 150 cod. civ. e 246 cod. proc. civ.). - V. massima precedente. red.: S.P.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Riferimenti normativi
codice civile
n. 0
art. 159
co. 0
codice di procedura civile
n. 0
art. 246
co. 0
N. 62
SENTENZA 20-24 FEBBRAIO 1995
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: avv. Ugo SPAGNOLI;
Giudici: prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 159 del codice civile e 246 del codice di procedura
civile promosso con ordinanza emessa il 2 giugno 1994 dal Pretore di
Torino nel procedimento civile vertente tra Addotta Agostino e
Albanesi Ottorino ed altra, iscritta al n. 524 del registro ordinanze
1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39,
prima serie speciale, dell'anno 1994;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice
relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto in fatto
Il Pretore di Torino, con ordinanza emessa il 2 giugno 1994, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli
artt. 159 del codice civile e 246 del codice di procedura civile,
"nella parte in cui prevede l'incapacità a testimoniare del coniuge
in presunto regime di comunione legale dei beni, di cui alla sez. III
del capo VI del libro I c.c., beni che possono essere incrementati o
decurtati in dipendenza del giudizio in cui è parte in causa l'altro
coniuge".
La questione trae origine da un giudizio di risarcimento per danni
derivanti da circolazione stradale.
In ordine alla rilevanza, il giudice a quo osserva che la moglie
del convenuto, citata quale teste sul fatto, non è stata ammessa in
conseguenza dell'eccezione sollevata dall'attore, in ragione della
preclusione derivante dalla normativa denunciata. Mentre,
nell'auspicata ipotesi in cui "intervenisse una decisione di
incostituzionalità, la teste potrebbe essere sentita, anche
d'ufficio, ex art. 317 c.p.c.".
Il giudice remittente specifica inoltre di "avere accertato, previa acquisizione di certificato anagrafico, che il matrimonio era
avvenuto circa ventuno anni prima, che i coniugi non avevano operato
la scelta ex art. 162 c.c., per cui eventuali attribuzioni
patrimoniali, relative al risarcimento del danno, oggetto del
giudizio, avrebbero inciso sul patrimonio comune ex lege";
aggiungendo che l'autovettura era stata acquistata circa cinque anni
addietro.
Circa la non manifesta infondatezza, richiamata la sentenza n. 248
del 1974, dichiarativa dell'illegittimità dell'articolo 247 c.p.c.
(che sanciva il divieto di testimoniare per il coniuge, ancorché
separato, nonché per altri parenti o affini della parte in causa),
il Pretore di Torino rileva che quel divieto rivive, per effetto
dell'art. 159 c.c, nel testo novellato dalla legge 19 maggio 1975, n.
151, il quale ha introdotto la presunzione legale di comunione dei
beni acquistati nel corso del matrimonio, salvi i casi, da
considerare eccezionali, di scelta del regime di separazione a norma
dell'art. 162 c.c., nel testo novellato dalla citata legge n. 151 del
1975.
Il giudice remittente osserva altresì che l'irrazionalità del
divieto dell'art. 247 c.p.c. (che comportò la declaratoria di
incostituzionalità di tale norma, perché determinante
un'irragionevole compressione del diritto alla prova, nucleo
essenziale del diritto di azione e di difesa di cui all'art. 24 della
Costituzione) è ritornato in vita, per il combinato disposto degli
artt. 246 c.p.c. e 159 c.c., nei confronti di quel coniuge che non
può essere teste nella causa in cui è parte l'altro coniuge.
Il contrasto, poi, con l'art. 3 della Costituzione sarebbe
ravvisabile nella ingiustificata disparità di trattamento, cui
soggiacerebbero i coniugi in regime di comunione legale rispetto a
quelli che hanno scelto il regime della separazione dei beni, nei
confronti dei quali il divieto di testimoniare non è disposto, "e
nonostante i primi si siano dimostrati rispettosi delle finalità di
tutela del matrimonio e della famiglia perseguite dalla legge".
Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per "l'inammissibilità e l'infondatezza della
questione".
A parere dell'Avvocatura, il Pretore non denuncia l'illogicità
della disciplina alla luce di un parametro costituzionale, ma
denuncia soltanto una presunta disparità di trattamento, comunque
rapportabile ad un'opzione esercitata o esercitabile dai coniugi in
ordine al regime patrimoniale della famiglia.
La questione sarebbe infondata nel merito, in quanto l'incapacità
a testimoniare risulta giustificata dalla palese diversità di
situazione esistente tra coniuge in regime di separazione e coniuge
in regime di comunione: "diversità che non discende direttamente
dalla legge, ma dalla volontà delle parti, che sono libere di optare
per il regime legale o per quello convenzionale, incorrendo, tra
l'altro, nelle conseguenze di cui all'art. 246 c.p.c.".
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione, della legittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 159 del codice civile e 246 del codice di
procedura civile, "nella parte in cui prevede l'incapacità a
testimoniare del coniuge in presunto regime di comunione legale dei
beni, di cui alla sez. III del capo VI del libro I c.c., beni che
possono essere incrementati o decurtati in dipendenza del giudizio in
cui è parte in causa l'altro coniuge".
2. - La questione è infondata.
Con la sentenza n. 248 del 1974, richiamata nell'ordinanza di
rimessione, questa Corte ha ritenuto ingiustificato il divieto di cui
all'art. 247 c.p.c., perché non aveva alcun riferimento all'oggetto
specifico del giudizio ma discriminava la capacità (rectius, la
legittimazione) dei testimoni secondo che fossero o non fossero in un
dato rapporto personale con le parti, sulla base d'un giudizio
preventivo, fatto dal legislatore, di inattendibilità della
deposizione resa da chi è legato alla parte da stretto vincolo
familiare. Nella stessa sentenza è stata invece ritenuta
costituzionalmente legittima la norma dell'art. 246 c.p.c., secondo
la quale "non possono essere assunte come testimoni le persone aventi
nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro
partecipazione al giudizio".
La ratio decidendi di quest'ultima pronuncia si coglie
nell'osservazione che la norma dell'art. 246 è da inquadrare, per
una razionale assimilazione di dette persone alle parti, nello stesso
principio vigente nel nostro ordinamento processuale civile che
esclude la testimonianza delle parti in causa.
Il giudice a quo non contesta tale osservazione, né quella
ulteriore contenuta nella successiva ordinanza n. 494 del 1987,
secondo cui rientra nell'esercizio del potere discrezionale del
legislatore, e non è da ritenersi irragionevole, il negare fiducia
alle dichiarazioni rese da chi abbia nella causa un interesse
qualificato. Tantomeno egli adduce argomenti in contrario,
incentrando la sua denunzia d'illegittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sul rilievo che
l'irrazionale divieto già contenuto nell'art. 247 sarebbe "tornato
in vita, per il combinato disposto degli artt. 246 c.p.c. e 159 c.c.,
nei confronti di quel coniuge (comunista), che non può più essere
teste nella causa in cui è parte l'altro coniuge e sono in
discussione entità patrimoniali riguardanti il patrimonio comune".
Ma è agevole obiettare che l'art. 159 c.c. non fa altro che
disporre quale regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza
di diversa convenzione stipulata a norma del successivo art. 162, la
comunione dei beni. Regime che, come la comunione in generale, fa
sorgere quell'interesse conducente alla possibile legittimazione a
partecipare al giudizio di cui è parte altro comunista, e dunque
all'incompatibilità fra due posizioni processuali, in funzione della
quale è prevista l'"incapacità a testimoniare" di cui all'art. 246
c.p.c.
Pertanto ogni considerazione circa la denunziata violazione
dell'art. 24 della Costituzione rimane assorbita da quelle già
svolte da questa Corte nell'escludere l'illegittimità costituzionale
dell'art. 246, e contro le quali - ripetesi - il giudice a quo non
svolge argomentazioni.
3. - Resta, allora, soltanto la denunzia riferita all'altro
parametro, cioè all'art. 3 della Costituzione, per l'asserita
disparità di trattamento fra i coniugi nei cui riguardi vige il regime legale di comunione e quelli che hanno invece compiuto la scelta
in favore del regime di separazione dei beni, rispetto ai quali
ultimi non verrebbe in applicazione la norma dell'art. 246 c.p.c.
Ma, prospettata in tali termini, la questione è priva di
consistenza, perché risulta evidente la diversità di situazione in
cui i coniugi vengono a versare nelle due ipotesi. Diversità che -
sembra appena il caso di notare - non è determinata dalla legge
bensì dalla stessa volontà delle parti, cui l'art. 159 c.c. rimette
appunto la libertà di optare in favore del regime (convenzionale) di
separazione oppure di quello (altrimenti vigente, per norma
suppletiva di legge) della comunione dei beni, che comporta, fra le
tante conseguenze, anche la c.d. incapacità prevista dall'art. 246
c.p.c., fra l'altro (nella specie) per la possibile legittimazione
passiva all'azione di responsabilità ex art. 2054, terzo comma, c.c.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto degli artt. 159 del codice civile e 246 del
codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
24 della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza indicata
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1995.
Il Presidente: SPAGNOLI
Il redattore: RUPERTO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 24 febbraio 1995.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA