Titolo
SENT. 1/56 A. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - NATURA.
TestoL'intervento del Presidente del Consiglio nei giudizi di legittimità costituzionale, promossi in via incidentale, si distingue da qualsiasi altra forma di intervento prevista dalle norme processuali civili o amministrative, in quanto ha un carattere suo proprio in relazione al duplice effetto che la pronuncia della Corte costituzionale è destinata ad avere, sia specificamente per la causa in corso, sia, generalmente, erga omnes.
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 23
legge
11/03/1953
n. false
art. 25
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (16/3/1956 e s.m.)
n. false
art. 4
Titolo
SENT. 1/56 B. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - MATERIE DI COMPETENZA DI SINGOLI MINISTERI - INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO.
Testo
La facolta' di intervento, nel giudizio di legittimita' costituzionale promosso in via incidentale, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri anche se la legge impugnata concerne materie di competenza dei singoli ministeri.
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 23
legge
11/03/1953
n. false
art. 25
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (16/3/1956 e s.m.)
n. false
art. 4
Titolo
SENT. 1/56 C. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - ABROGAZIONE - DIFFERENZE - LEGGI ANTERIORI ALLA COSTITUZIONE.
Testo
I due istituti giuridici dell'abrogazione e dell'illegittimita' costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo dell'abrogazione inoltre e' piu' ristretto, in confronto di quello della illegittimita' costituzionale, ed i requisiti richiesti perche' si abbia abrogazione per incompatibilita' sono molto piu' limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione di illegittimita' di una legge. Pertanto, e' necessario tener presente tutto cio' al fine di stabilire se ed in quali casi, per le leggi anteriori, il contrasto con norme della Costituzione sopravvenuta possa configurare un problema di abrogazione per incompatibilita' da risolvere alla stregua dei principi generali fissati nell'art. 15 delle disp. prel. al cod. civ..
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 136
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 30
Riferimenti normativi
disposizioni sulla legge in generale
n. 0
art. 15
co. 0
Titolo
SENT. 1/56 D. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - LEGGI ANTERIORI ALLA COSTITUZIONE - COMPETENZA ESCLUSIVA DELLA CORTE.
Testo
La Corte e' competente a giudicare della legittimita' costituzionale delle leggi sia posteriori che anteriori all'entrata in vigore della Costituzione. (Principio affermato con riferimento alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 113 T.U. delle leggi di p.s. approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, che subordina al rilascio della licenza dell'autorita' locale di p.s. la distribuzione, la messa in circolazione o l'affissione in luogo pubblico o aperto al pubblico di scritti o disegni o giornali).
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 134
legge costituzionale
09/02/1948
n. 1
art. 1
Titolo
SENT. 1/56 E. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA - NORME PRECETTIVE E PROGRAMMATICHE - DIVERSA RILEVANZA AL FINE DELL'ABROGAZIONE E A QUELLO DELLA ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
La distinzione fra norme precettive e norme programmatiche puo' essere determinante per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non e' decisiva nei giudizi di legittimita' costituzionale, potendo la illegittimita' costituzionale di una legge derivare, in determinati casi, anche dalla sua non conciliabilita' con norme che si dicono programmatiche,tanto piu' che in questa categoria sogliono essere comprese norme costituzionali di contenuto diverso.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 134
Costituzione
art. 136
Titolo
SENT. 1/56 F. DIRITTI ATTRIBUITI DA NORME GIURIDICHE - DISCIPLINA DELLE MODALITA' DI ESERCIZIO - LIMITI - NON NE COSTITUISCONO, DI PER SE', NEGAZIONE O VIOLAZIONE.
Testo
In via generale la norma che attribuisce un diritto non esclude il regolamento dell'esercizio di esso. Una disciplina delle modalita' di esercizio di un diritto, in modo che l'attivita' di un individuo, rivolta al perseguimento dei propri fini, si concili con il perseguimento dei fini degli altri, - pur con i limiti, insiti del resto nel concetto stesso di diritto, che possono derivarne - non sarebbe percio' da considerare di per se' violazione o negazione del diritto.
Titolo
SENT. 1/56 G. LIBERTA' DI PENSIERO - MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO E DIVULGAZIONE DEL PENSIERO DICHIARATO - ASSERITA DISTINZIONE - IRRILEVANZA SUL PIANO COSTITUZIONALE.
Testo
Una distinzione fra manifestazione del pensiero, di cui l'art. 21 Cost. proclama la liberta', e divulgazione del pensiero dichiarato, non puo' ritenersi consentita da alcuna norma costituzionale.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Titolo
SENT. 1/56 H. LIBERTA' DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO - ART. 21 COST. - ESTENSIONE DELLA GARANZIA COSTITUZIONALE - LIMITI - DIFFUSIONE DI SCRITTI O DISEGNI - AUTORIZZAZIONE DI P.S. - CONDIZIONI DI LEGITTIMITA' - INSUSSISTENZA.
Testo
E' evidentemente da escludere che con la enunciazione del diritto di libera manifestazione del pensiero la Costituzione abbia consentito attivita' le quali turbino la tranquillita' pubblica, ovvero abbia sottratto alla polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei reati. Sotto questo aspetto bisognerebbe non dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 113 T.U. leggi di p.s., se il conferimento del potere ivi indicato all'Autorita' di pubblica sicurezza risultasse vincolato al fine di impedire fatti costitutivi di reati o che, secondo ragionevoli previsioni, potrebbero provocarli. Nessuna determinazione in tal senso vi e' peraltro nel detto articolo.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
regio decreto
18/06/1931
n. 773
art. 113
co. 0
Titolo
SENT. 1/56 I. MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO - AUTORIZZAZIONE DI P.S. PER DIFFUSIONE DI SCRITTI E DISEGNI - ART. 113 T.U. LEGGI DI P.S., APPROVATO CON R.D. 18 GIUGNO 1931, N. 773 - POTERE DISCREZIONALE ILLIMITATO DELLA PUBBLICA AUTORITA', NONOSTANTE IL RICORSO AL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PREVISTO DAL DECR. LEGISL. 8 NOVEMBRE 1947, N. 1382 - CONTRASTO CON L'ART. 21, PRIMO COMMA, COST. - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
L'art. 113 T.U. delle leggi di p.s. approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, col prescrivere per la diffusione, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, di scritti o disegni, l'autorizzazione di P.S. e non imponendo alcun limite al potere discrezionale conferito all'autorita', sembra far dipendere quasi da una concessione della stessa autorita', il diritto di manifestazione del pensiero, con ogni mezzo, che invece l'art. 21 della Costituzione riconosce incondizionatamente a tutti. Pur avendo notevolmente ridotto l'ampiezza di tale potere, il decreto legislativo 8 novembre 1947, n. 1382 (che consente il ricorso al Procuratore della Repubblica contro i provvedimenti dell'Autorita' di pubblica sicurezza che abbiano negato l'autorizzazione, disponendo che la decisione del Procuratore della Repubblica li sostituisca a tutti gli effetti) non ne ha eliminato la indeterminatezza originaria, per cui continua a sussistere una eccessiva estensione di discrezionalita', cosi' per l'autorita' di pubblica sicurezza come per l'organo chiamato a controllarne l'attivita'. Le disposizioni dei commi primo, secondo, terzo, quarto, sesto e settimo dell'art. 113 T.U. leggi di P.S., vanno quindi dichiarate costituzionalmente illegittime per contrasto con l'art. 21, primo comma, della Costituzione.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
co. 1
Riferimenti normativi
regio decreto
18/06/1931
n. 773
art. 113
co. 0
decreto-legge
08/11/1947
n. 1382
art. 1
co. 0
decreto-legge
08/11/1947
n. 1382
art. 2
co. 0
Titolo
SENT. 1/56 L. DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - EFFETTI SU ALTRE DISPOSIZIONI LEGISLATIVE - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELL'ART. 113, COMMI PRIMO, SECONDO, TERZO, QUARTO, SESTO E SETTIMO, T.U. LEGGI P.S. - CONSEGUENTE ILLEGITTIMITA' DELL'ART. 1 D. LG. 8 NOVEMBRE 1947, N. 1382.
Testo
Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale dello art. 113 commi primo, secondo, terzo, quarto, sesto e settimo del T.U. delle leggi di P.S. deriva come conseguenza la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 D. Lg. 8 novembre 1947, n. 1382, e la inoperativita' dell'art. 663 Cod.pen. in quanto riferibile per la sanzione all'art. 113 T.U. leggi di p.s..
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 21
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 27
Riferimenti normativi
regio decreto
18/06/1931
n. 773
art. 113
co. 0
codice penale
n. 0
art. 663
co. 0
N. 1
SENTENZA 5 GIUGNO 1956
Deposito in cancelleria: 14 giugno 1956.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 146 del 14 giugno 1956.
Pres. DE NICOLA - Rel. AZZARITI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. ENRICO DE NICOLA, Presidente - Dott.
GAETANO AZZARITI - Avv. GIUSEPPE CAPPI - Prof. TOMASO PERASSI - Prof.
GASPARE AMBROSINI - Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI - Prof. ERNESTO
BATTAGLINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO -
Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. MARIO BRACCI - Prof. NICOLA JAEGER -
Prof. GIOVANNI CASSANDRO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 113
T.U. delle leggi di p.s. approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773,
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza 27 dicembre 1955 del Pretore di Prato nel procedimento
penale a carico di Catani Enzo, rappresentato e difeso nel presente
giudizio dagli avv. Vezio Crisafulli e Giuliano Vassalli, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed
iscritta al n. 2 Registro ordinanze 1956;
2) ordinanza 27 dicembre 1955 del Pretore di Prato nel procedimento
penale a carico di Masi Sergio, rappresentato e difeso nel presente
giudizio dall'avv. Massimo Severo Giannini, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed iscritta al n.
3 Reg. ord. 1956;
3) ordinanza 13 gennaio 1956 del Pretore di Siena nel procedimento
penale a carico di Ferruzzi Cesare, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 35 dell'11 febbraio 1956 ed iscritta al n. 15 Reg.
ord. 1956;
4) ordinanza 20 gennaio 1956 del Tribunale di Macerata nel
procedimento penale a carico di Madoni Ernerio ed altro, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 dell'11 febbraio 1956
ed iscritta al n. 18 Reg. ord. 1956;
5) ordinanza 23 gennaio 1956 del Pretore di Orvieto nel
procedimento penale a carico di Pacelli Corrado, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48 del 27 febbraio 1956 ed
iscritta al n. 8 Reg. ord. 1956;
6) ordinanza 27 gennaio 1956 del Tribunale di Rossano nel
procedimento penale a carico di Gismondi Florinda ed altro, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48 del 27 febbraio 1956 ed
iscritta al n. 11 Reg. ord. 1956;
7) ordinanza 16 gennaio 1956 del Pretore di Mantova nel
procedimento penale a carico di Bonfà Angiolino, rappresentato e
difeso nel presente giudizio dagli avv. Ellenio Ambrogi e Piero
Calamandrei, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60
del 12 marzo 1956 ed iscritta al n. 49 Reg. ord. 1956;
8) ordinanza 24 gennaio 1956 della Corte d'Appello di Milano nel
procedimento penale a carico di Alti Ambrogio, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 62 Reg. ord. 1956;
9) ordinanza 24 gennaio 1956 della Corte d'Appello di Milano nel
procedimento penale a carico di Gandini Carlo, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 63 Reg. ord. 1956;
10) ordinanza 24 gennaio 1956 della Corte d'Appello di Milano nel
procedimento penale a carico di Zanaletti Luigi ed altro, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed
iscritta al n. 64 Reg. ord. 1956;
11) ordinanza 12 gennaio 1956 del Tribunale di Vigevano nel
procedimento penale a carico di Bonardi Giuseppe ed altro, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed
iscritta al n. 67 Reg. ord. 1956;
12) ordinanza 11 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel
procedimento penale a carico di Sturla Pietro, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed
iscritta al n. 4 Reg. ord. 1956;
13) ordinanza 11 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel procedimento
penale a carico di Raugi Luigi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed iscritta al n. 5 Reg.
ord. 1956;
14) ordinanza 17 gennaio 1956 del Pretore di Catania nel
procedimento penale a carico di Gozzo Giuseppe, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 30 marzo 1956 ed iscritta
al n. 9 Reg. ord. 1956;
15) ordinanza 17 gennaio 1956 del Pretore di Monsummano Terme nel
procedimento penale a carico di Querzola Primo, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 13 Reg. ord. 1956;
16) ordinanza 27 gennaio 1956 del Pretore di Busto Arsizio nel
procedimento penale a carico di Almasio Mario ed altro, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed
iscritta al n. 16 Reg. ord. 1956;
17) ordinanza 23 gennaio 1956 del Tribunale di Vicenza nel
procedimento penale a carico di Dalle Nogare Antonio, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 17 Reg. ord. 1956;
18) ordinanza 30 gennaio 1956 del Tribunale di Forlì nel
procedimento penale a carico di Mazzani Augusto, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 20 Reg. ord. 1956;
19) ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Gioia del Colle nel
procedimento penale a carico di Vasco Giuseppe, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 21 Reg. ord. 1956;
20) ordinanza 25 gennaio 1956 del Tribunale di Messina nel
procedimento penale a carico di Bongiorno Leonida ed altri, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed
iscritta al n. 23 Reg. ord. 1956;
21) ordinanza 23 gennaio 1956 del Tribunale di Asti nel
procedimento penale a carico di Vogliolo Giovanni, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 29 Reg. ord. 1956;
22) ordinanza 8 febbraio 1956 del Pretore di Poppi nel procedimento
penale a carico di Sassoli Arnaldo ed altro, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 33
Reg. ord. 1956;
23) ordinanza 8 febbraio 1956 del Pretore di Salerno nel
procedimento penale a carico di Botta Carmine, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 58 del 9 marzo 1956 ed iscritta
al n. 34 Reg. ord. 1956;
24) ordinanza 8 febbraio 1956 del Pretore di Cento nel procedimento
penale a carico di Biondi Bruno, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 60 del 12 marzo 1956 ed iscritta al n. 35 Reg. ord.
1956;
25) ordinanza 20 gennaio 1956 del Pretore di Firenze nel
procedimento penale a carico di Dini Renato ed altro, rappresentati e
difesi nel presente giudizio dagli avvocati Domenico Rizzo e Massimo
Severo Giannini, Costantino Mortati e Achille Battaglia, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed
iscritta al n. 37 Reg. ord. 1956;
26) ordinanza 9 febbraio 1956 del Tribunale di Genova nel
procedimento penale a carico di Nati Ezio, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 58 del 9 marzo 1956 ed iscritta al n. 40
Reg. ord. 1956;
27) ordinanza 9 febbraio 1956 del Pretore di Foggia nel
procedimento penale a carico di Tatarella Giuseppe, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 del 12 marzo 1956 ed iscritta
al n. 41 Reg. ord. 1956;
28) ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel
procedimento penale a carico di Sturla Pietro, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta
al n. 56 Reg. ord. 1956:
29) ordinanza 1 febbraio 1956 della Corte d'Assise di Terni nel
procedimento penale a carico di Picchiami Dario ed altri, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed
iscritta al n. 65 Reg. ord. 1956.
30) ordinanza 20 gennaio 1956 del Pretore di Orbetello nel
procedimento penale a carico di Carobbi Mario Cesare, rappresentato e
difeso nel presente giudizio dagli avvocati Ennio Graziani e Francesco
Mazzei, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del
16 marzo 1956 ed iscritta al n. 75 Reg. Ord. 1956:
Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
Udita nell'udienza pubblica del 23 aprile 1956 la relazione del
Giudice dott. Gaetano Azzariti;
Uditi gli avvocati Costantino Mortati, Francesco Mazzei, Massimo
Severo Giannini, Vezio Crisafulli, Giuliano Vassalli, Achille
Battaglia, Federico Comandini, Piero Calamandrei ed infine il vice
avvocato generale dello Stato Marcello Frattini.
Ritenuto, in fatto:
La questione di legittimità costituzionale, che forma oggetto dei
trenta giudizi promossi con le ordinanze sopra elencate, è unica e fu
sollevata nel corso di vari procedimenti penali (alcuni in primo grado,
altri in appello) che si svolgevano a carico di persone alle quali
erano imputate trasgressioni al precetto dell'art. 113 del T.U. delle
leggi di p.s. per avere o distribuito avvisi o stampati nella pubblica
strada, o affisso manifesti o giornali, ovvero usato alto parlanti per
comunicazioni al pubblico, senza autorizzazione del l'autorità di
pubblica sicurezza, com'è prescritto nel detto articolo, o anche,
nonostante il divieto espresso di tale autorità. A tutti perciò era
contestata contravvenzione punibile a norma dell'articolo 663 Cod. pen.
modificato con D.L. 8 novembre 1947, n. 1382.
In uno dei procedimenti penali all'imputato era invece contestato
il reato di omissione di atti di ufficio provveduto dall'art. 328 Cod.
pen. in quanto, nella sua qualità di vice Sindaco, in assenza del
Sindaco, aveva omesso di provvedere alla rimozione di manifesti che
erano stati affissi senza l'autorizzazione della pubblica sicurezza,
nonostante le sollecitazioni a lui rivolte dal Comandante della
stazione dei carabinieri.
In questi procedimenti penali il difensore dell'imputato o il
Pubblico Ministero o entrambi sollevarono la questione sulla
legittimità costituzionale dell'art. 113 della legge di p.s. in quanto
l'autorizzazione ivi prescritta contrasterebbe con l'art. 21 della
Costituzione, il quale dichiara che "tutti hanno il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto
ed ogni altro mezzo di diffusione" (primo comma) e che "la stampa non
può essere soggetta ad autorizzazioni o censure" (secondo comma). In
conseguenza chiedevano e il giudice disponeva la sospensione del
procedimento penale e la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale per la decisione della questione di legittimità.
Sono così trenta ordinanze (18 di Pretori, 8 di Tribunali, 3 di
Corti di appello e 1 di Corte di assise): ciascuna regolarmente
notificata ai sensi di legge, comunicata ai Presidenti dei due rami del
Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
In conformità dell'art. 15 delle Norme integrative per i giudizi
davanti a questa Corte, le trenta cause promosse con dette ordinanze
sono state chiamate nella stessa udienza del 23 aprile 1956 - secondo
l'ordine cronologico delle notifiche - per essere congiuntamente
discusse.
In tutte le ordinanze è osservato sostanzialmente che la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 113 della legge di p.s. non
può dirsi manifestatamente infondata perché, nonostante il prevalente
indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione a favore della
perdurante efficacia del menzionato art. 113, le decisioni non di rado
contrastanti delle magistrature di merito e le discussioni in dottrina
dimostrano che si verte in materia quanto meno controversa.
In una delle ordinanze si aggiunge ancora, riportando i motivi
esposti nella istanza di difesa, che il contrasto dell'art. 113 della
legge di p.s. con i principi espressi nella Costituzione renderebbe
illegittima la disposizione legislativa, anche se fosse ammessa la
natura meramente programmatica e non precettiva dell'art. 21 della
Costituzione.
Solo in cinque dei trenta giudizi promossi con le dette ordinanze
vi è stata costituzione delle parti e precisamente: di Catani Enzo
(ordinanza del Pretore di Prato 27 dicembre 1955); di Masi Sergio
(ordinanza dello stesso Pretore in pari data); di Bonfà Angiolino
(ordinanza del Pretore di Mantova del 16 gennaio 1956); di Dini Renato
(ordinanza del Pretore di Firenze 20 gennaio 1956); di Carobbi Mario
Cesare (ordinanza del Pretore di Orbetello 20 gennaio 1956).
I loro difensori, nelle deduzioni depositate nella cancelleria,
chiedono tutti che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale
dell'art. 113 della legge di p.s. e di quelle altre disposizioni
legislative la cui illegittimità, a giudizio della Corte, debba
derivare come conseguenza dell'adottanda decisione.
In tutti i giudizi vi è stato poi intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso, come per legge (articoli
20 e 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87), dall'avvocato generale dello
Stato, il quale, in via principale, sostiene che nei riguardi della
legislazione anteriore alla Costituzione non v'ha luogo a giudizio di
legittimità costituzionale, perché le norme precettive della
Costituzione importano abrogazione delle leggi anteriori che siano con
essa incompatibili e la relativa dichiarazione è di competenza
esclusiva del giudice ordinario; mentre le norme costituzionali di
carattere programmatico non importano difetto di legittimità di
nessuna delle leggi vigenti anteriori alla Costituzione.
In via subordinata, chiede poi che sia dichiarato non sussistere
incompatibilità tra l'art. 21 della Costituzione e l'art. 113 T.U.
delle leggi di p.s. e 663 del Cod. pen., con conseguente affermazione
di legittimità costituzionale di queste disposizioni.
Queste due tesi sono poi svolte e riaffermate energicamente nella
successiva memoria dell'Avvocatura dello Stato; ma con pari vigore sono
combattute nelle memorie avversarie, dove, specialmente in ordine alla
tesi principale, si sostiene che l'art. 21 della Costituzione ha
carattere spiccatamente precettivo e non pro grammatico e che, in ogni
caso, non bisogna fare confusione tra il problema dell'abrogazione
delle leggi e quello della illegittimità costituzionale, il quale
secondo problema sorge proprio quando l'abrogazione della legge sia
stata esclusa e renda così necessaria la pronunzia della Corte
Costituzionale.
In ordine poi al contrasto tra l'art. 113 della legge di p.s. e
l'art. 21 della Costituzione, i difensori delle parti assumono che tale
contrasto è evidente e perciò l'illegittimità costituzionale
dell'art. 113 deve essere dichiarata dalla Corte costituzionale.
Nella discussione orale le varie tesi sono state confermate da
ciascuna delle parti; ed inoltre da uno dei difensori è stato anche
sostenuto che l'intervento del Presidente del Consiglio non sarebbe
ammissibile, sia perché avvenuto senza preventiva deliberazione del
Consiglio dei Ministri, sia perché la materia della pubblica sicurezza
rientrerebbe nella competenza amministrativa del Ministero dell'Interno
e non già della Presidenza del Consiglio, mancante perciò di
interesse.
Considerato, in diritto:
Poiché, come si è detto, unica è la questione di legittimità
costituzionale che forma oggetto dei trenta giudizi proposti con
altrettante ordinanze, la Corte ravvisa opportuno che la decisione nei
giudizi riuniti abbia luogo con unica sentenza.
È superfluo fermarsi sulle argomentazioni fatte durante la
discussione orale per contestare l'intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri. Le disposizioni della legge 11 marzo 1953, n.
87 sono chiarissime nel prescrivere che i giudizi di legittimità
costituzionale promossi con ordinanza si svolgano in contraddittorio
non solo di coloro che sono parti nella causa che ha dato origine alla
questione di legittimità, ma anche - quale che sia il contenuto della
legge impugnata, se pure relativo a materie di competenza di singoli
Ministeri - del Presidente del Consiglio, in relazione al duplice
effetto che la pronuncia della Corte costituzionale è destinata ad
avere, sia specificamente per la causa in corso, sia generalmente erga
omnes. Appunto per questo l'art. 23 della stessa legge impone la
notificazione dell'ordinanza che promuove il giudizio così alle dette
parti come al Presidente del Consiglio dei Ministri e gli artt. 20 e 25
regolano, insieme con la rappresentanza e la costituzione delle parti,
anche la rappresentanza e l'intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri. Questo intervento ha quindi un carattere suo proprio, come
mezzo di integrazione del contraddittorio prescritto dalla legge, e si
distingue nettamente dall'istituto dell'intervento regolato dal codice
di procedura e dalle norme processuali della giustizia amministrativa.
Né dall'uno né dalle altre è lecito perciò dedurre qualsiasi
elemento che possa valere per l'intervento del Presidente del Consiglio
nei giudizi davanti alla Corte costituzionale e vano riesce qualsiasi
sforzo dialettico in senso contrario.
In ordine alla questione di competenza sollevata dall'Avvocatura
dello Stato, è innanzi tutto da considerare fuori di discussione la
competenza esclusiva della Corte costituzionale a giudicare sulle
controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi è
degli atti aventi forza di legge, come è stabilito nell'art. 134 della
Costituzione. La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una
legge non può essere fatta che dalla Corte costituzionale in
conformità dell'art. 136 della stessa Costituzione.
L'assunto che il nuovo istituto della "illegittimità
costituzionale" si riferisca solo alle leggi posteriori alla
Costituzione e non anche a quelle anteriori) non può essere accolto,
sia perché, dal lato testuale, tanto l'art. 134 della Costituzione
quanto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1,
parlano di questioni di legittimità costituzionale delle leggi, senza
fare alcuna distinzione, sia perché, dal lato logico, è innegabile
che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado
che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non
mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a
quelle costituzionali. Tanto nell'uno quanto nell'altro caso la legge
costituzionale, per la sua intrinseca natura nel sistema di
Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria.
Non occorre poi fermarsi ad esaminare se e in quali casi, per le
leggi anteriori, il contrasto con norme della Costituzione sopravvenuta
possa configurare un problema di abrogazione da risolvere alla stregua
dei principi generali fermati nell'art. 15 delle Disp. prel. al Cod.
civ. I due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimità
costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su
piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo
dell'abrogazione inoltre è più ristretto, in confronto di quello
della illegittimità costituzionale, e i requisiti richiesti perché si
abbia abrogazione per incompatibilità secondo i principi generali sono
assai più limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione
di illegittimità costituzionale di una legge.
Affermata la competenza di questa Corte, si può passare all'esame
della questione di legittimità costituzionale proposta con le
ordinanze sopra indicate.
Se le disposizioni dell'art. 113 della legge di p.s. possano
coesistere con le dichiarazioni dell'art. 21 della Costituzione è
questione che ha già formato oggetto di moltissime pronuncie della
Magistratura ordinaria e di numerosi scritti di studiosi.
Ma la questione è stata posta, quasi esclusivamente, sotto il
profilo della abrogazione dell'art. 113 per incompatibilità con
l'articolo 21 della Costituzione e le discussioni si sono svolte
principalmente sul punto se le norme dettate in questo ultimo articolo
fossero da ritenere precettive di immediata attuazione o
programmatiche.
Anche nel presente giudizio queste discussioni sono state riprese
dalle parti. Ma non occorre fermarsi su di esse né ricordare la
giurisprudenza formatasi in proposito, perché la nota distinzione fra
norme precettive e norme programmatiche può essere bensì determinante
per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non è decisiva
nei giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità
costituzionale di una legge derivare, in determinati casi, anche dalla
sua non conciliabilità con norme che si dicono programmatiche, tanto
più che in questa categoria sogliono essere comprese norme
costituzionali di contenuto diverso: da quelle che si limitano a
tracciare programmi generici di futura ed incerta attuazione, perché
subordinata al verificarsi di situazioni che la consentano, a norme
dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza che
non può non vincolare immediatamente il legislatore, ripercuotersi
sulla interpretazione della legislazione precedente e sulla perdurante
efficacia di alcune parti di questa; vi sono pure norme le quali
fissano principi fondamentali, che anche essi si riverberano
sull'intera legislazione.
Pertanto è il contenuto concreto delle norme dettate nell'articolo
21 della Costituzione e il loro rapporto con le disposizioni dell'art.
113 della legge di p.s. che dovranno essere presi direttamente in
esame, per accertare se vi sia contrasto dal quale derivi la
illegittimità costituzionale di queste ultime disposizioni.
Per escludere che contrasto vi sia, è stato da qualcuno asserito
che bisogna distinguere tra manifestazione del pensiero, la quale deve
essere libera, e la divulgazione del pensiero dichiarato, della quale
non è menzione nella Costituzione. Ma tale distinzione non è
consentita da alcuna norma costituzionale.
Tuttavia è da rilevare, in via generale, che la norma la quale
attribuisce un diritto non escluda il regolamento dell'esercizio di
esso.
Una disciplina delle modalità di esercizio di un diritto, in modo
che l'attività di un individuo rivolta al perseguimento dei propri
fini si concili con il perseguimento dei fini degli altri, non sarebbe
perciò da considerare di per sé violazione o negazione del diritto.
E se pure si pensasse che dalla disciplina dell'esercizio può anche
derivare indirettamente un certo limite al diritto stesso, bisognerebbe
ricordare che il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e
che nell'ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche devono di
necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere
nell'ordinata convivenza civile.
È evidentemente da escludere che con la enunciazione del diritto
di libera manifestazione del pensiero la Costituzione abbia consentite
attività le quali turbino la tranquillità pubblica, ovvero abbia
sottratta alla polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei
reati.
Sotto questo aspetto bisognerebbe non dubitare della legittimità
costituzionale dell'art. 113, se il conferimento del potere ivi
indicato all'Autorità di pubblica sicurezza risultasse vincolato al
fine di impedire fatti che siano costitutivi di reati o che, secondo
ragionevoli previsioni, potrebbero provocarli.
Ma è innegabile che nessuna determinazione in tale senso vi è nel
detto articolo, il quale, col prescrivere l'autorizzazione, sembra far
dipendere quasi da una concessione dell'autorità di pubblica sicurezza
il diritto, che l'art. 21 della Costituzione conferisce a tutti,
attribuendo alla detta autorità poteri discrezionali illimitati, tali
cioè che, indipendentemente dal fine specifico di tutela di
tranquillità e di prevenzione di reati, il concedere o il negare
l'autorizzazione può significare praticamente consentire o impedire
caso per caso la manifestazione del pensiero.
È vero che questa ampiezza di poteri discrezionali è stata
notevolmente ridotta dal successivo decreto legislativo 8 novembre
1947, n. 1382, il quale consente ricorso al Procuratore della
Repubblica contro i provvedimenti dell'Autorità di pubblica sicurezza
che abbiano negata l'autorizzazione, disponendo che la decisione del
Procuratore della Repubblica sostituisca a tutti gli effetti
l'autorizzazione predetta.
Ma, ciò nonostante, la indeterminatezza originaria rimane e quindi
così per l'autorità di pubblica sicurezza come per l'organo chiamato
a controllarne l'attività a seguito di ricorso continua a sussistere
una eccessiva estensione di poteri discrezionali, non essendo in alcun
modo delineata la sfera entro la quale debbano essere contenuti
l'attività di polizia e l'uso dei poteri di questa.
La Corte costituzionale deve perciò dichiarare la illegittimità
costituzionale dell'art. 113 del T.U. delle leggi di p.s., fatta
eccezione per il comma 5), dove è disposto che "le affissioni non
possono farsi fuori dei luoghi destinati dall'autorità competente" la
quale ultima disposizione non è comunque in contrasto con alcuna norma
costituzionale e può mantenere la sua efficacia.
Quanto alle altre disposizioni dettate nel ricordato articolo, la
dichiarazione di illegittimità non implica che esse non possano essere
sostituite da altre più adeguate le quali, senza lesione del diritto
di libera manifestazione del pensiero enunciato nell'art. 21 della
Costituzione, ne regolino l'esercizio in modo da evitarne gli abusi,
anche in relazione alla espressa disposizione dettata nell'ultimo comma
dello stesso art. 21 e, in generale, per la prevenzione dei reati. È
stato già osservato che la disciplina dell'esercizio di un diritto non
è per sé stessa lesione del diritto medesimo. Del resto, la scarsa
aderenza di alcune disposizioni della legge di p.s. ai principi e alle
norme della Costituzione sopravvenuta ha già da molto tempo indotto
gli organi competenti a studiare una conveniente revisione della legge
di p.s.; e parecchi disegni di legge sono stati a questo scopo
presentati così alla Camera dei Deputati come al Senato della
Repubblica, l'ultimo dei quali ha pure recentemente avuto l'esame della
competente Commissione senatoria. È quindi desiderabile che una
materia così delicata sia presto regolata in modo soddisfacente con
una disciplina adeguata alle nuove norme della Costituzione.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 113
della legge di p.s. si ripercuote naturalmente sull'art. 1 del decreto
legislativo 8 novembre 1947, n. 1382, che è con esso strettamente
collegato; mentre non può essere dichiarata altresì l'illegittimità
costituzionale dell'art. 663 del Cod. pen. e dell'art. 2 del menzionato
decreto legislativo 8 novembre 1947, che lo ha modificato, perché le
sanzioni stabilite nel detto art. 663 Cod. pen. si riferiscono non già
esclusivamente al caso di fatti compiuti senza l'autorizzazione
richiesta dall'art. 113 della legge di p.s., ma in generale alla
inosservanza delle varie leggi che espressamente lo richiamano.
È, peraltro, chiarissimo che le disposizioni del detto art. 663
Cod. pen., in quanto sono riferibili al precetto dell'art. 113 della
legge di p.s., non solo diventeranno inoperanti, ma dovranno essere
considerate anche esse travolte dalla dichiarazione di
incostituzionalità delle disposizioni del medesimo articolo, anche
agli effetti particolari indicati nell'ultimo comma dell'art. 30 della
legge 11 marzo 1953, n. 87.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in
epigrafe:
1. - Afferma la propria competenza a giudicare sulle controversie
relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
aventi forza di legge anche se anteriori alla entrata in vigore della
Costituzione;
2. - Dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute
nei commi 1, 2, 3, 4, 6 e 7 dell'art. 113 del T.U. delle leggi di p.s.
approvato con decreto 18 giugno 1931, n. 773 - per la violazione delle
quali la sanzione penale è preveduta dall'art. 663 Cod. pen.
modificato con l'art. 2 del decreto legislativo 8 novembre 1947, n.
1382 - e di conseguenza dell'art. 1 del decreto legislativo 8 novembre
1947, n. 1382, salva la ulteriore disciplina per l'esercizio del
diritto riconosciuto dall'art. 21 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1956.
ENRICO DE NICOLA - GAETANO AZZARITI -
GIUSEPPE CAPPI - TOMASO PERASSI -
GASPARE AMBROSINI - FRANCESCO
PANTALEO GABRIELI - ERNESTO
BATTAGLINI - MARIO COSATTI - GIUSEPPE
CASTELLI AVOLIO - ANTONINO PAPALDO -
MARIO BRACCI - NICOLA JAEGER -
GIOVANNI CASSANDRO.