Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 17 gennaio 2022, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2022, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), «nella parte in cui non prevede che l’effetto di decadenza conseguente alla presentazione della domanda oltre il triennio, decorrente dal momento in cui l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno, sia limitato ai ratei relativi al periodo antecedente al suddetto periodo triennale».
La Corte rimettente espone di dover decidere sul ricorso proposto dal Ministero della salute avverso una sentenza d’appello che, nel confermare la decisione di primo grado, aveva ritenuto corretto applicarsi all’indennizzo per danno vaccinale chiesto oltre il termine triennale di legge il criterio della decadenza cosiddetta “mobile”, in base al quale la causa estintiva del diritto indennitario opera limitatamente ai ratei interni al triennio.
1.1.– Ad avviso del giudice a quo, il criterio della decadenza “mobile”, stabilito per i trattamenti pensionistici dall’art. 47, comma sesto, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli articoli 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), non potrebbe essere esteso in via interpretativa all’indennizzo del danno vaccinale, atteso che l’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992 «non fa cenno alcuno ad un effetto decadenziale limitato a singole parti della prestazione economica oggetto del diritto».
Pertanto – continua il rimettente –, in base alla norma censurata, «questa Corte dovrebbe ritenere la parte istante decaduta dal diritto ad ottenere l’indennizzo nella sua interezza, senza possibilità di limitare la suddetta decadenza alle mensilità maturate prima del triennio».
1.2.– Da quanto sopra emergerebbe la violazione degli evocati parametri, considerato l’«analogo fondamento costituzionale» delle due erogazioni pubbliche – quella pensionistica e quella indennitaria – entrambe «fondate sugli obblighi di solidarietà sociale fissati dalla Costituzione», ed entrambe caratterizzate da una «significativa estensione temporale periodica».
Protraendosi ben oltre il triennio di legge, la menomazione vaccinale esigerebbe infatti una provvidenza capace di rispondere alle perduranti difficoltà di gestione dello stato patologico, specie quando l’inoculazione nociva è avvenuta in tenera età.
Un «effetto decadenziale unitario», come quello stabilito dalla norma censurata, determinerebbe viceversa «la piena frustrazione dello scopo dell’indennizzo», generando nel contempo «una vistosa ed irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di tale misura ed i pensionati».
Il vulnus costituzionale sarebbe aggravato dal fatto che, oltre all’indennizzo di durata ex art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992, una decadenza non temperata dal criterio di mobilità colpirebbe in radice anche l’assegno una tantum previsto dall’art. 2, comma 2, della medesima legge, pari al 30 per cento dell’indennizzo per ciascun anno del periodo compreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo stesso.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.
2.1.– L’inammissibilità deriverebbe dall’incongruenza tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione, in quanto il secondo evoca i parametri di cui agli artt. 2, 32 e 38 Cost., mentre la parte motiva concerne essenzialmente il parametro di cui all’art. 3 Cost., viceversa non menzionato in dispositivo.
Inoltre, il rimettente non avrebbe compiutamente esaminato la disciplina del tertium comparationis, non essendosi adeguatamente confrontato con l’eterogeneità tra la pensione e l’indennizzo, né con le ragioni per cui l’una è soggetta a decadenza “mobile” e l’altro a decadenza “tombale”.
La richiesta di estendere la previsione di decadenza “mobile” dall’una provvidenza all’altra corrisponderebbe del resto a un’istanza di carattere «estremamente manipolativo», sollecitandosi in definitiva una pronuncia «additiva di prestazione», dalla quale, con invasione dell’ambito di discrezionalità riservato al legislatore, sarebbe imposta ai pubblici poteri l’erogazione di una nuova prestazione sociale.
2.2.– Le questioni sarebbero comunque non fondate nel merito.
Gli istituti posti a confronto dal rimettente sarebbero infatti tra loro eterogenei, avendo l’indennizzo per danno vaccinale una natura «assistenziale-solidaristica», mentre la fattispecie in comparazione ha natura «assistenziale-pensionistica».
A differenza dell’indennizzo vaccinale, le prestazioni pensionistiche si innestano su un rapporto giuridico che include il versamento dei contributi previdenziali, così giustificandosi che l’effetto estintivo della decadenza operi solo pro quota e non per l’intero.
Diverso sarebbe lo stesso fondamento costituzionale delle due erogazioni, che risiederebbe nell’art. 32 Cost. per l’indennizzo e nell’art. 38 Cost. per la pensione.
Quanto alla congruità del termine di decadenza sancito dalla norma censurata, l’Avvocatura richiama la sentenza n. 342 del 2006, con la quale questa Corte ha ritenuto tale termine, decorrente dal momento dell’acquisita conoscenza dell’esito dannoso, non così breve da impedire l’esercizio del diritto alla prestazione.
Da ultimo, l’interveniente rappresenta che una pronuncia di accoglimento delle sollevate questioni «determinerebbe un notevole impatto organizzativo in ragione della rilevante platea di soggetti coinvolti, stimabile nell’ordine di diverse migliaia di interessati», con «conseguente rilevante aggravio di oneri per la finanza pubblica».
3.– Si sono costituiti in giudizio gli esercenti della responsabilità genitoriale sulla minore danneggiata da vaccino, parte del giudizio a quo, e hanno chiesto l’accoglimento delle questioni, sul presupposto dell’imprescrittibilità del diritto all’indennizzo quale erogazione assistenziale, diritto suscettibile di decadenza, quindi, unicamente per singoli ratei, mai per l’intero.
La parte ha aggiunto che, essendo stata la minore lesa dalla vaccinazione antimorbillosa, trattamento sanitario all’epoca non obbligatorio, ma solo raccomandato, l’applicazione della decadenza “tombale” negherebbe l’indennizzo ingiustificatamente, atteso che il triennio di cui alla norma censurata era già maturato al tempo in cui – con la sentenza di questa Corte n. 107 del 2012 – è stato riconosciuto il diritto all’indennizzo per i danneggiati da vaccinazioni non obbligatorie.
4.– È intervenuta ad adiuvandum l’Associazione malati emotrasfusi e vaccinati (AMEV).
Con istanza successiva all’atto di intervento, essa ha sollecitato la trattazione camerale circa l’ammissibilità dello stesso e, in subordine, ha chiesto intendersi l’atto medesimo come un’opinione di amicus curiae; con nota ulteriore, dolendosi della mancata adozione di una pronuncia di ammissibilità dell’intervento, ha sollecitato la fissazione di un’apposita udienza e, in subordine, l’autorimessione di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, giacché a suo avviso contrario all’art. 24, secondo comma, Cost.
5.– In data 9 e 12 agosto 2022, quindi ben oltre il termine perentorio del 3 maggio 2022, hanno depositato opinioni in qualità di amici curiae, rispettivamente, il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino (CONDAV ODV) e l’Associazione di studi e informazioni sulla salute (ASSIS APS).
6.– In prossimità della pubblica udienza hanno depositato memorie illustrative l’Avvocatura generale e la parte.
6.1.– Nel replicare all’atto di costituzione di quest’ultima, l’Avvocatura sostiene che essa, facendo riferimento alla pubblicazione della citata sentenza n. 107 del 2012 come dies a quo del termine di decadenza del diritto all’indennizzo, abbia posto una questione estranea all’oggetto del giudizio incidentale, come definito dall’ordinanza di rimessione, la quale invero atterrebbe unicamente all’applicazione della decadenza “mobile” in caso di maturata decadenza.
Oltre che per la novità rispetto al thema decidendum, tale questione sarebbe inammissibile anche per irrilevanza, poiché nella specie la domanda di indennizzo non venne proposta a seguito della sentenza n. 107 del 2012, ma prima di essa, evidentemente nella convinzione già a quel tempo acquisita circa la titolarità del diritto, cui pure non aveva corrisposto l’osservanza del termine di legge: maturata la decadenza triennale – questa la tesi dell’Avvocatura –, «il rapporto giuridico tra soggetto danneggiato e Stato obbligato all’indennizzo si era pienamente esaurito, in quanto il termine triennale della decadenza, al momento della domanda, era completamente spirato».
6.2.– La memoria della parte insiste invece sul fatto che prima della sentenza n. 107 del 2012 i danni da vaccino antimorbillo non erano indennizzabili, sicché la domanda era stata proposta nella speranza che questa Corte accogliesse la relativa questione di legittimità costituzionale, nel frattempo altrove sollevata, come poi in effetti avvenuto.
Ciò posto, la memoria ribadisce che, senza l’applicazione del criterio di decadenza “mobile”, la minore danneggiata dal vaccino contro il morbillo resterebbe priva di ogni sostegno economico, per effetto di una decadenza “tombale” che, al tempo della domanda, era puramente virtuale.
Considerato in diritto
1.– La Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevede che la decadenza triennale del diritto all’indennizzo per danni vaccinali abbia effetto limitato ai ratei interni al triennio.
Chiamata a decidere sul ricorso erariale avverso una sentenza di conferma dell’applicazione all’indennizzo vaccinale della decadenza cosiddetta “mobile”, che estingue il diritto indennitario limitatamente ai ratei pregressi, la Corte rimettente assume che questo criterio, previsto per i trattamenti pensionistici dall’art. 47, comma sesto, del d.P.R. n. 639 del 1970, non possa essere esteso in via interpretativa all’indennizzo da vaccino, atteso il silenzio della norma censurata.
La conseguenza di dover ritenere la parte istante decaduta dal diritto all’indennizzo nella sua interezza pare tuttavia al giudice a quo incompatibile con gli evocati parametri.
1.1.– Considerato l’«analogo fondamento costituzionale» delle due erogazioni – quella pensionistica e quella indennitaria – entrambe «fondate sugli obblighi di solidarietà sociale fissati dalla Costituzione», ed entrambe caratterizzate da una «significativa estensione temporale periodica», la disparità di trattamento sul piano dell’incidenza dell’effetto decadenziale sarebbe irragionevole, frustrando lo scopo dell’indennizzo per danno vaccinale, soprattutto quando esso, come nel caso di specie, dovrebbe soccorrere vita natural durante persone danneggiate da inoculazioni ricevute in tenera età.
Peraltro, una decadenza non “mobile”, bensì “tombale”, priverebbe il danneggiato anche dell’assegno una tantum previsto dall’art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, percentualmente ragguagliato agli anni intercorsi tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo.
2.– In via pregiudiziale, occorre dichiarare inammissibile l’intervento ad adiuvandum spiegato dall’Associazione malati emotrasfusi e vaccinati (AMEV).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell’art. 4 delle Norme integrative, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale possono intervenire solo i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio principale, sicché all’intervento non sono legittimati i soggetti che non sono parti del giudizio a quo, né portatori di un interesse differenziato, suscettibile di essere pregiudicato immediatamente e irrimediabilmente dall’esito di tale giudizio (da ultimo, tra molte, sentenze n. 15 e n. 14 del 2023, con allegate ordinanze lette all’udienza del 30 novembre 2022; sentenze n. 263 e n. 31 del 2022).
Con ogni evidenza, l’AMEV, oltre a non essere parte del giudizio a quo, non vanta un interesse differenziato, esposto in modo diretto al relativo esito.
Essendo l’intervento inammissibile per carenza di legittimazione ai sensi dell’art. 4 delle Norme integrative, non è pertinente l’istanza di autorimessione formulata dall’interveniente riguardo all’art. 5 delle Norme stesse, che non viene qui in specifico rilievo; in disparte la constatazione che le medesime Norme integrative sono estranee al sindacato di legittimità affidato a questa Corte, qualunque sia la collocazione che ad esse si intenda attribuire nel sistema delle fonti (ordinanze n. 185 del 2014 e n. 295 del 2006).
Neppure può essere accolta la subordinata richiesta dell’AMEV di qualificare il suo atto di intervento come un’opinione di amicus curiae; infatti, «questa Corte ha già più volte sottolineato che la ratio dell’intervento nel giudizio costituzionale è radicalmente diversa, anche sotto il profilo della legittimazione, da quella sottesa alle opinioni degli amici curiae, come diversi sono i termini per l’ingresso in giudizio e le relative facoltà processuali (sentenze n. 259, n. 221 e n. 121 del 2022)» (sentenza n. 15 del 2023).
3.– Le eccezioni di inammissibilità delle questioni, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, non sono fondate.
3.1.– In primo luogo, l’Avvocatura ha eccepito l’incertezza del petitum, che a suo avviso deriverebbe dall’incongruenza tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione, giacché il secondo evoca soltanto i parametri di cui agli artt. 2, 32 e 38 Cost., mentre la motivazione richiama anche il parametro di cui all’art. 3 Cost.
Tuttavia, per costante giurisprudenza costituzionale, «le discrepanze tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione possono essere risolte tramite l’impiego degli ordinari criteri ermeneutici, quando dalla lettura coordinata delle due parti dell’atto emerga l’effettiva volontà del rimettente (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2022 e n. 58 del 2020; ordinanze n. 214 del 2021 e n. 244 del 2017)» (sentenza n. 228 del 2022).
Nella specie, l’omessa menzione dell’art. 3 Cost. nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione appare frutto di un errore materiale, ininfluente alla luce degli argomenti che la motivazione dedica a tale parametro; anche se – giova anticiparlo – in una questione relativa all’indennizzo vaccinale, cioè a un istituto di solidarietà sociale per danno alla salute, prioritaria considerazione meritano i parametri di cui agli artt. 2 e 32 Cost.
Resta quindi in secondo piano, e attiene comunque al merito delle questioni, l’eccezione dell’Avvocatura sull’eterogeneità del tertium comparationis individuato dal rimettente nella regola di decadenza “mobile” dei trattamenti pensionistici.
3.2.– La difesa statale lamenta anche il carattere manipolativo del petitum, che a suo avviso si tradurrebbe nella richiesta di un’additiva di prestazione, con invasione della sfera di discrezionalità riservata al legislatore nella configurazione dei presupposti delle erogazioni pubbliche.
In realtà, l’ordinanza di rimessione circoscrive il thema decidendum all’operatività della decadenza prevista dalla norma censurata, sicché il punto di caduta delle questioni sollevate non riguarda la titolarità del diritto alla prestazione, bensì unicamente l’eventuale, e controversa, estinzione di tale diritto per inosservanza delle condizioni normative di esercizio.
Segnatamente, le questioni in scrutinio non tendono all’introduzione di una prestazione nuova, bensì all’attribuzione – nella fattispecie concreta – della prestazione conseguente alla sentenza n. 107 del 2012, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevedeva l’indennizzabilità del danno cagionato dalla vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia.
3.3.– Questa Corte deve ritenersi dunque investita della questione, necessariamente implicata dallo specifico profilo legato all’estensione della decadenza “mobile” alla materia de qua, riguardante la decorrenza del termine triennale nel caso in cui il diritto all’indennizzo non fosse previsto dalla legge al momento della conoscenza del danno e sia poi sorto soltanto per effetto della menzionata sentenza n. 107 del 2012.
Non è di ostacolo all’esame di tale questione la circostanza che gli effetti della citata sentenza trovino un limite nel consolidarsi dell’estinzione della pretesa indennitaria a causa della maturazione del termine perentorio triennale fissato dall’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992. Proprio la declaratoria di illegittimità costituzionale dei presupposti per la decorrenza di questo termine escluderebbe infatti la conseguente preclusione e, con essa, il prospettato esaurimento del rapporto sottostante, nonché la necessità del ricorso al criterio della decadenza “mobile”.
4.– Nei termini oggettivi appena illustrati, le questioni sono fondate con riferimento ai parametri di cui agli artt. 2 e 32 Cost.
5.– Giova premettere che questa Corte, con la sentenza n. 307 del 1990, ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 32 Cost., della legge 4 febbraio 1966, n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica), nella parte in cui non prevedeva, a carico dello Stato, un’equa indennità per il caso di danno derivante, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 2043 del codice civile, da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, riportato dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell’assistenza personale diretta prestata al primo.
Questa pronuncia affermò che il corretto bilanciamento fra la dimensione individuale e collettiva della salute – in relazione alle ragioni di (reciproca) solidarietà fra individuo e collettività – implica il riconoscimento di un equo ristoro in favore di chi – obbligato a sottoporsi a un trattamento sanitario che importi un rischio specifico, o prestando la relativa assistenza – subisca, per l’avverarsi del rischio, un danno ulteriore rispetto alle conseguenze normalmente proprie (e tollerabili) di ogni intervento sanitario.
5.1.– Su tali premesse è nata la disciplina introdotta dalla legge n. 210 del 1992, che, riconosciuto il diritto a un indennizzo da parte dello Stato a chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica (art. 1), ha poi stabilito, in particolare, la consistenza e individuato i beneficiari di tale indennizzo (art. 2) e le modalità della relativa domanda (art. 3).
L’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, come sostituito dapprima dall’art. 7, comma 4, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548 (Interventi per le aree depresse e protette, per manifestazioni sportive internazionali, nonché modifiche alla legge 25 febbraio 1992, n. 210), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e successivamente dall’art. 1, comma 9, della legge 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), dispone che «[i] soggetti interessati ad ottenere l’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, presentano alla USL competente le relative domande, indirizzate al Ministro della sanità, entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno. La USL provvede, entro novanta giorni dalla data di presentazione delle domande, all’istruttoria delle domande stesse e all’acquisizione del giudizio di cui all’art. 4, sulla base di direttive del Ministero della sanità, che garantiscono il diritto alla riservatezza anche mediante opportune modalità organizzative».
L’art. 5-quater del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 119, ha poi reso applicabili le disposizioni di cui alla legge n. 210 del 1992 a tutti i soggetti che, a causa delle vaccinazioni indicate nell’art. 1, abbiano riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica.
5.2.– Gli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7, della legge n. 210 del 1992, peraltro, erano già stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, con la sentenza n. 118 del 1996, per violazione degli artt. 32 e 136 Cost., nella parte in cui escludevano, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento prima dell’entrata in vigore della predetta legge e l’ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge, il diritto – fuori dell’ipotesi dell’art. 2043 cod. civ. – a un equo indennizzo a carico dello Stato per le menomazioni riportate a causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomelitica. Questa Corte – sul rilievo che la menomazione della salute derivante da vaccinazione obbligatoria fonda il diritto a un equo indennizzo discendente dall’art. 32 Cost. in collegamento con l’art. 2 Cost., atteso che il danno, non derivante da fatto illecito, è stato subìto in conseguenza dell’adempimento di un obbligo legale – ha ritenuto che la disposizione censurata ponesse una limitazione temporale, equivalente a una riduzione parziale del danno indennizzabile, collidente sia con la natura del predetto diritto protetto dalla Costituzione, sia con la sentenza n. 307 del 1990.
5.3.– Questa Corte ha inoltre esteso, con diverse pronunce, il riconoscimento dell’indennizzo – che l’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 testualmente riserva alle menomazioni permanenti derivanti da vaccinazioni obbligatorie, poi ridefinite alla stregua degli artt. 1 e 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, come convertito – anche a fronte di gravi e permanenti lesioni all’integrità psico-fisica insorte a seguito di alcune, specificamente individuate, vaccinazioni non obbligatorie, ma raccomandate, dichiarando l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., per l’omessa previsione del diritto all’indennizzo in caso di accertamento del nesso causale tra patologia irreversibile e specifica vaccinazione: così, in particolare, con le sentenze n. 27 del 1998 (quanto alla vaccinazione, allora solo raccomandata, contro la poliomielite), n. 423 del 2000 (con riferimento alla vaccinazione, anch’essa allora solo raccomandata, contro l’epatite B), n. 107 del 2012 (in relazione alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia), n. 268 del 2017 (con riguardo alla vaccinazione antinfluenzale) e n. 118 del 2020 (per la vaccinazione contro l’epatite A).
Alla base delle richiamate pronunce additive, vi è la considerazione che la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost., in quanto le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richiedono che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio anche collettivo (sentenza n. 107 del 2012).
L’estensione dell’indennizzo ai citati casi di vaccinazioni raccomandate è stata, dunque, volta a «completare il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute» e a rendere «più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione» (sentenza n. 268 del 2017).
Appare opportuno sin da ora ricordare che, proprio per regolamentare gli effetti conseguenti alla sentenza n. 27 del 1998, l’art. 3, comma 3, della legge 14 ottobre 1999, n. 362 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria), dispose che l’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 spettasse anche a coloro che si fossero sottoposti a vaccinazione antipoliomelitica non obbligatoria nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica), stabilendo che i soggetti danneggiati dovessero presentare la domanda alla azienda unità sanitaria locale competente «entro il termine perentorio di quattro anni dalla data di entrata in vigore» della medesima legge n. 362 del 1999.
In definitiva, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che uno degli elementi essenziali affinché un trattamento sanitario obbligatorio di tipo vaccinale sia conforme all’art. 32 Cost. consiste nella previsione di un’equa indennità in favore del soggetto danneggiato (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023, n. 5 del 2018 e n. 258 del 1994).
5.4.– In rapporto alla determinazione del contenuto e delle modalità di realizzazione dell’indennizzo erogato ai sensi della legge n. 210 del 1992, questa Corte ha altresì affermato che essa è rimessa alla discrezionalità del legislatore, il quale, nel ragionevole bilanciamento dei diversi interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti, può subordinare l’attribuzione delle provvidenze alla presentazione della relativa domanda entro un dato termine.
Il vaglio di legittimità costituzionale implica, tuttavia, la verifica che le scelte legislative sul punto non siano affette da palese arbitrarietà o irrazionalità: vizi, questi, che non inficiano il termine di tre anni fissato con l’art. 1, comma 9, della legge n. 238 del 1997, decorrente dal momento dell’acquisita conoscenza dell’esito dannoso dell’intervento terapeutico, non apparendo esso talmente breve da frustrare la possibilità di esercizio del diritto alla prestazione e vanificare la previsione dell’indennizzo (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 27 del 1998).
5.5.– Le sezioni unite civili della Corte di cassazione, con sentenza 22 luglio 2015, n. 15352, hanno peraltro affermato, a proposito dell’estensione del termine di decadenza triennale alle domande di indennizzo correlate a epatiti post-trasfusionali operata dall’art. 1, comma 9, della legge n. 238 del 1997, che la decorrenza dello stesso termine debba essere fissata con riferimento all’entrata in vigore della modifica legislativa.
Richiamando gli argomenti in tema di decadenza addotti nelle sentenze di questa Corte n. 69 del 2014 e n. 191 del 2005, secondo cui non può «logicamente configurarsi una ipotesi di estinzione del diritto [...] per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto [...] debba essere esercitato», le Sezioni unite civili hanno sostenuto che, in base al bilanciamento dei contrapposti interessi che è alla base della disciplina in esame, il fine acceleratorio implicito nel termine di decadenza triennale non determina un eccessivo sacrificio dell’interesse del privato alla tutela del proprio diritto, a condizione che l’esercizio di quest’ultimo sia reso sufficientemente agevole.
6.– Nello specifico contesto dell’indennizzo, le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo, poste a fondamento della disciplina introdotta dalla legge n. 210 del 1992, portano a ritenere che la conoscenza del danno, che segna il dies a quo del triennio per la presentazione della domanda amministrativa, suppone che il danneggiato abbia acquisito consapevolezza non soltanto dell’esteriorizzazione della menomazione permanente dell’integrità psico-fisica e della sua riferibilità causale alla vaccinazione, ma anche della sua rilevanza giuridica, e quindi dell’azionabilità del diritto all’indennizzo.
L’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, ove dispone che il termine di tre anni per la presentazione della domanda, pur a fronte di una prestazione indennitaria “nuova”, ovvero di una “nuova” categoria di beneficiari, aggiunta dalla sentenza di illegittimità costituzionale, decorra comunque dal pregresso momento di conoscenza del danno, pone una limitazione temporale che collide con la garanzia costituzionale del diritto alla prestazione, ne vanifica l’esercizio e, in definitiva, impedisce il completamento del “patto di solidarietà” sotteso alla pronuncia additiva.
L’impossibilità di presentare la domanda volta all’indennizzo dei danni da vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia in un periodo precedente alla pubblicazione della sentenza n. 107 del 2012, così come resa evidente dalla previsione del termine decadenziale di cui al censurato art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, si pone in contrasto con i richiamati artt. 2 e 32 Cost.
In relazione ai danni da vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria il legislatore, a seguito della sentenza di questa Corte n. 27 del 1998, è intervenuto, come detto, con l’art. 3, comma 3, della legge n. 362 del 1999, stabilendo che l’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 spettasse anche a coloro che si fossero sottoposti a tale vaccinazione nel periodo di vigenza della legge n. 695 del 1959, e consentendo ai soggetti danneggiati di presentare la domanda entro quattro anni dall’entrata in vigore della medesima legge n. 362 del 1999.
Nulla del genere è avvenuto nel caso di cui al giudizio a quo.
E anzi, alla compressione del diritto a ottenere l’indennizzo nella fase antecedente alla sentenza n. 107 del 2012 si unisce l’illogica pretesa che gli interessati rispettassero un termine per la proposizione di una domanda relativa a un indennizzo per il quale, al momento in cui ebbero conoscenza del danno, non avevano alcun titolo.
L’effettività del diritto alla provvidenza dei soggetti danneggiati da vaccinazioni impone, pertanto, di far decorrere il termine perentorio di tre anni per la presentazione della domanda, fissato dall’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, dal momento in cui l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza dell’indennizzabilità del danno. Prima di tale momento, infatti, non è possibile che il diritto venga fatto valere, ai sensi del principio desumibile dall’art. 2935 cod. civ.
7.– Non rilevano qui i maggiori oneri organizzativi e di finanza pubblica paventati dall’Avvocatura nell’atto di intervento: da un lato, la deduzione è formulata in modo assertivo e privo di qualsiasi riferimento alle situazioni interessate dalla pronuncia; dall’altro, il sistema della vaccinazione di massa si fonda – nel quadro costituzionale e nella percezione sociale – sull’effettività dell’indennizzo, quale compensazione del sacrificio individuale per un interesse collettivo. E la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che «[è] la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (così, sentenza n. 275 del 2016; nello stesso senso: sentenze n. 10 del 2022, n. 142 del 2021, n. 62 del 2020, n. 169 del 2017).
8.– Per tutto quanto esposto, in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui, al secondo periodo, dopo le parole «conoscenza del danno», non prevede «e della sua indennizzabilità».
Restano assorbite le censure riferite agli artt. 3 e 38 Cost.