Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 6 luglio 2021 (r.o. n. 138 del 2021), il Consiglio di Stato, sezione quarta, ha sollevato, in riferimento agli artt. 23, 117, secondo comma, lettere e) ed s), e 119 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 23 dicembre 2011, n. 23 (Norme di organizzazione territoriale delle funzioni relative ai servizi pubblici locali dell’ambiente).
1.1.– Tale disposizione prevede: «[i]n presenza di un soggetto privato proprietario dell’impiantistica relativa alla gestione delle operazioni di smaltimento dei rifiuti urbani di cui all’articolo 183, comma 1, lettera z), del decreto legislativo n. 152 del 2006, compresi gli impianti di trattamento di rifiuti urbani classificati R1 ai sensi dell’Allegato C, Parte IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006, l’affidamento della gestione del servizio dei rifiuti urbani non ricomprende detta impiantistica che resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio. A tal fine l’Agenzia individua dette specificità, regola i flussi verso tali impianti, stipula il relativo contratto di servizio e, sulla base dei criteri regionali, definisce il costo dello smaltimento da imputare a tariffa tenendo conto dei costi effettivi e considerando anche gli introiti».
1.2.– In particolare, sotto un primo profilo, il giudice rimettente, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dubita della legittimità costituzionale dell’ultimo periodo della norma censurata nella parte in cui, nell’ambito della determinazione della tariffa regionale di accesso agli impianti di smaltimento di rifiuti urbani, nella titolarità di soggetti privati, comprende la dizione «e considerando anche gli introiti».
In secondo luogo, «[s]otto un diverso profilo», in riferimento agli artt. 23, 117, secondo comma, lettera e), 119, secondo comma, Cost., censura la medesima norma in quanto la riduzione dell’importo della tariffa, «potrebbe integrare un tributo o, comunque, una surrettizia “prestazione patrimoniale imposta”».
1.3.– Il giudice rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso del giudizio di appello, avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sezione seconda, 16 giugno 2020, n. 408 e n. 413, che avevano rigettato i ricorsi di Herambiente spa, società proprietaria degli impianti di smaltimento, per l’annullamento delle delibere della Giunta della Regione Emilia-Romagna, n. 380 del 2014 e n. 467 del 2015, di attuazione dell’art. 16 della legge regionale n. 23 del 2011, con cui erano stati fissati i «criteri regionali» per l’individuazione e la quantificazione dei costi sostenuti dai soggetti privati proprietari degli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani, che dovevano essere imputati alla tariffa gravante sugli utenti finali.
Il Consiglio di Stato muove dalla premessa che la disposizione regionale in esame prevede che «l’affidamento della gestione del servizio dei rifiuti urbani non ricomprende detta impiantistica [ossia quella, in proprietà di privati, deputata alle operazioni di smaltimento dei rifiuti] che resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio».
Il giudice a quo precisa che, con la delibera n. 135 del 2013, non impugnata, la Regione aveva inizialmente stabilito, per «evitare “extraprofitti” in capo al titolare dell’impianto», di scomputare dai costi complessivi sostenuti la parte dei «connessi incentivi» per la produzione di energia da fonti rinnovabile, corrispondente alla «quota del finanziamento pubblico a fondo perduto», di cui egli avesse eventualmente beneficiato per la costruzione dell’impianto.
Il rimettente aggiunge che, con le successive delibere n. 380 del 2014 e n. 467 del 2015, impugnate con separati ricorsi, la Regione ha esteso lo scomputo dai costi complessivi anche alla «quota del capitale progressivamente ammortizzato», escludendo «ogni possibile forma di “extra profitto”», privando il proprietario dell’impianto «di quella parte degli incentivi corrispondente al capitale che, non solo ex ante (finanziamento pubblico a fondo perduto), ma anche ex post (quota di progressivo ammortamento del capitale), gravi de facto sulla collettività».
1.4.– Il Consiglio di Stato, riuniti gli appelli, ha reputato non fondati i primi tre motivi di impugnazione, sospendendo il giudizio per il quarto motivo.
1.5.– In particolare, con riferimento al primo motivo, il giudice a quo ha ritenuto insussistente la violazione del «metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani», di cui al d.P.R. del 27 aprile 1999, n. 158 (Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani), il cui art. 3 si limita a prevedere che la tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani, ma «non esclude expressis verbis che anche i ricavi, lato sensu intesi, conseguiti dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei RSU [rifiuti solidi urbani] in relazione a tale specifica attività possano essere computati al fine di quantificare la tariffa gravante sull’utenza finale».
Le delibere impugnate avrebbero quindi effettuato «un’individuazione dei costi reali sostenuti dall’operatore», scomputando dai costi materiali «e, per così dire, “grezzi”» i «benefici incentivanti» percepiti dall’operatore gravanti sulle casse pubbliche.
Per il giudice a quo, dunque, i «benefici incentivanti», costituiti dai finanziamenti a fondo perduto e dalla progressiva quota annuale di ammortamento dei costi, sarebbero stati considerati quali «introiti», ai sensi dell’art. 16 della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2011, e quindi come «poste algebriche negative» da considerarsi necessariamente nel complessivo computo dei costi finali realmente gravanti, in termini economici, sull’operatore.
Le due delibere, in sostanza, si sarebbero mosse «entro un’analisi ab interno della struttura di costo dell’attività di smaltimento», in tal modo «non decampando dai principi generali enucleati dal d.p.r. n. 158 del 1999».
1.6.– Il rimettente, infine, rigettati il secondo ed il terzo motivo, ha sospeso la decisione in ordine al quarto motivo, ritendo rilevanti e non manifestamente infondate le suddette questioni di legittimità costituzionale.
Ciò in quanto la «ampiezza e la atecnicità» della dizione «introiti» utilizzata nell’ultimo periodo del censurato art. 16, comma 1, «evidentemente voluta» dal legislatore regionale, imporrebbe di ritenervi ricompresi anche gli «incentivi per l’energia prodotta da fonte rinnovabile, i quali, del resto, nella contabilità dell’impresa configurano materialmente un incremento economico, ovvero, in altra prospettiva, una posta reddituale positiva, ossia appunto un “introito”».
Tuttavia, poiché – ad avviso del giudice a quo – tali incentivi sarebbero stati erogati per rendere economicamente sostenibili forme di produzione di energia «ambientalmente compatibile», derivante, nella specie, dallo smaltimento dei rifiuti, la relativa disciplina perseguirebbe direttamente e sotto un duplice aspetto (gestione del ciclo dei rifiuti e produzione di energia da fonti rinnovabili) finalità di «tutela dell’ambiente».
La norma regionale, pertanto, si porrebbe in violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Essa, infatti, modificando il «fruitore sostanziale» dell’incentivo, si frapporrebbe fra il suo «destinatario formale» e l’incentivo medesimo, deviando quest’ultimo e i suoi effetti economici in favore di altro soggetto, ossia verso la «collettività utente del servizio», con conseguente «riduzione della tariffa».
Il rimettente lamenta poi, «sotto un diverso profilo», che la sottrazione dai costi della quota degli incentivi percepiti in relazione all’operazione di smaltimento, «potrebbe integrare un tributo» – anche perché il computo disciplinato dalla disposizione regionale sarebbe «finalizzato a determinare la misura della tariffa gravante sugli utenti finali del servizio di gestione dei rifiuti, ad oggi disciplinata dalla l. n. 147 del 2013, artt. 639 e ss. [recte: art. 1, commi 639 e ss.], avente, per chiaro dettato normativo e per consolidata giurisprudenza, natura tributaria» – o comunque «una surrettizia “prestazione patrimoniale imposta”».
Ciò in violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., perché il tributo risulterebbe istituito in una materia «in cui non è stata attribuita potestà tributaria alla Regione», o comunque dell’art. 23 Cost., in quanto difetterebbero i «criteri oggettivi tali da integrare la riserva di legge relativa».
2.– Herambiente spa ha depositato atto di costituzione in giudizio chiedendo l’accoglimento delle questioni.
La società evidenzia che l’incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili costituirebbe un «principio generale dell’ordinamento, come stabilito dalle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE».
La Corte di giustizia dell’Unione europea, inoltre, avrebbe più volte sottolineato l’importanza dei regimi di sostegno, ribadendo che condizione per la loro efficacia è che questi siano assistiti da stabilità, coerenza e prevedibilità, «elementi necessari a conservare la fiducia degli investitori e garantire il raggiungimento degli obiettivi vincolanti a livello dei singoli Stati membri».
In particolare, gli incentivi derivanti dalla produzione di energia rinnovabile non costituirebbero per loro natura un ricavo, ma rappresenterebbero il beneficio economico corrisposto per sostenere determinate iniziative di investimento che perseguono finalità di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
In adesione alla prospettazione del rimettente, la società evidenzia che la disposizione regionale, nella parte in cui ha considerato tra gli «introiti» anche gli incentivi derivanti dalla produzione di energia da fonte rinnovabile, finirebbe per regolare aspetti rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e, in particolare, della «tutela e protezione dell’ambiente».
La normativa regionale, infatti, «deviando» i benefici economici dall’incentivo a favore di un altro soggetto (l’utenza del servizio), mediante la riduzione della tariffa, vanificherebbe la ratio dell’incentivo, ponendosi quindi in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in materia di tutela dell’ambiente.
La disposizione regionale, inoltre, comportando una «deminutio» patrimoniale, «corrispondente al mancato profitto derivante dagli incentivi per la produzione dell’energia pulita», integrerebbe, da un lato, una «prestazione patrimoniale imposta» stabilita senza i criteri minimi per far ritenere rispettata la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., o, dall’altro, un tributo – ben potendo gli «introiti» consistere in un indicatore della «capacità contributiva» – che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sarebbe costituzionalmente consentito alla potestà impositiva delle regioni a statuto ordinario.
3.– Nel giudizio si è costituita la Regione Emilia-Romagna, chiedendo di dichiarare l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni.
3.1.– Innanzitutto la Regione ha chiarito i complessi profili, fattuali e normativi, della fattispecie in esame, anche precisando che le imprese proprietarie degli impianti di smaltimento rifiuti, seppure integrate nell’ambito del servizio pubblico, parallelamente svolgerebbero anche un’attività di libero mercato in relazione allo smaltimento dei rifiuti speciali, dal quale trarrebbero la massima parte del loro profitto.
3.2.– La Regione, quindi, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per «omessa determinazione interpretativa e contraddittorietà nella ricostruzione della fattispecie normativa», in quanto formulate dal giudice rimettente sulla base di due ricostruzioni diverse, inconciliabili tra loro, dell’unica disposizione oggetto del giudizio.
Infatti, il giudice amministrativo, dopo avere deciso e respinto in modo definitivo la censura di violazione del metodo tariffario stabilito dallo Stato (perché le delibere non sarebbero «decampa[te] dai principi generali enucleati dal d.p.r. n. 158 del 1999»), avrebbe poi sollevato la questione di legittimità costituzionale sull’invasione della competenza statale in materia di ambiente, in considerazione della circostanza che tra gli introiti rientravano anche gli incentivi per le energie da fonti rinnovabili.
In modo contraddittorio, inoltre, il rimettente avrebbe sollevato un’ulteriore questione di legittimità costituzionale affermando che tale modalità di computo dei costi «potrebbe integrare un tributo o, comunque, una surrettizia prestazione patrimoniale imposta».
Tuttavia, ad avviso della Regione, «non potrebbe essere più evidente che determinazione della struttura del costo e imposizione di un tributo o di una prestazione patrimoniale sono ricostruzioni della fattispecie normativa del tutto diverse e reciprocamente incompatibili: una somma imposta a titolo di tributo non può essere, al tempo stesso, l’addendo di una somma algebrica per il calcolo dei costi effettivi di una determinata attività».
Secondo la difesa regionale, in sintesi, si sarebbe dinanzi a questioni proposte su un presupposto interpretativo «antitetico e non complementare», senza che il giudice rimettente abbia sciolto l’antinomia e indicato la ricostruzione ermeneutica che egli ritenga corretta.
3.3.– La questione relativa alla violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente sarebbe poi non fondata, poiché la considerazione tra i diversi introiti, anche di quelli derivanti da incentivi, disposta dalla legge regionale applicando le norme statali e regionali vigenti, non produrrebbe le «deviazioni, traslazioni o mutamenti di beneficiario» prefigurate dall’ordinanza di rimessione.
Ciò in quanto l’investimento per la realizzazione di un termovalorizzatore, «ancorché assicurato inizialmente dal proprietario, è nella sostanza deciso e compiuto dalla collettività, sia mediante la procedura di pianificazione, di approvazione e localizzazione dell’impianto, sia soprattutto mediante l’integrazione dell’impianto nel servizio pubblico e la programmazione che, mediante la tariffa, ne copre i costi».
A tale argomento la difesa regionale aggiunge anche quello che «la totale copertura del costo effettivo del termovalorizzatore, per la parte relativa allo smaltimento dei rifiuti urbani», in ogni caso determinerebbe «un grande vantaggio per il privato proprietario, che con la stessa “macchina” finanziata pro quota dal pubblico opera sul mercato libero dei rifiuti speciali, in relazione ai quali tratterrà, insieme ad ogni altra entrata, anche l’intero vantaggio connesso agli incentivi collegati all’impianto di smaltimento».
In conclusione, quindi, poiché nel caso di apertura degli impianti di smaltimento dei rifiuti verrebbero in gioco «scelte pianificatorie in cui il ruolo preponderante è assunto dalla collettività, sia per il finanziamento, sia per le esternalità negative che su di esse ricadono», sarebbe del tutto coerente con la logica degli incentivi che questi vadano a beneficio di questa e non si trasformino «in una rendita in capo al soggetto privato che agisce a scopo di lucro, ma protetto in larga misura dai rischi d’impresa».
3.4.– Non fondata sarebbe, infine, anche l’ulteriore questione sulla violazione dei principi costituzionali in materia di imposizione dei tributi, in quanto risulterebbe radicalmente arbitrario attribuire alla norma regionale tale natura.
4.– In prossimità dell’udienza la Regione ha depositato memoria illustrativa, con la quale ha focalizzato l’attenzione sul significato delle delibere emanate dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) nel periodo 2019-2021 e in particolare su quella del 3 agosto 2021, n. 363/2021/R/rif, dedicata specificamente anche alle «tariffe al cancello»; ciò in quanto tale delibera avrebbe riconosciuto «la piena legittimità dell’intervento regionale».
5.– Altra memoria illustrativa è stata depositata, prima dell’udienza pubblica, da Herambiente spa, che, dopo aver stigmatizzato che la norma regionale avrebbe vanificato le finalità dell’incentivazione equiparando «il titolare di un impianto incentivato agli operatori non aventi titolo per beneficiare dell’incentivo», ha replicato alle argomentazioni difensive della Regione, ribadendo l’illegittima deviazione dei benefici economici dell’incentivo a favore dell’utenza del servizio.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 6 luglio 2021 (r.o. n. 138 del 2021), il Consiglio di Stato, sezione quarta, ha sollevato, in riferimento agli artt. 23, 117, secondo comma, lettere e), ed s), e 119 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’ultimo periodo dell’art. 16, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2011, nella parte in cui, nell’ambito della determinazione della tariffa regionale di accesso agli impianti di smaltimento di rifiuti urbani nella titolarità di soggetti privati, comprende la dizione «e considerando anche gli introiti».
1.1.– Il suddetto art. 16, comma 1, nel suo insieme prevede: «[i]n presenza di un soggetto privato proprietario dell’impiantistica relativa alla gestione delle operazioni di smaltimento dei rifiuti urbani di cui all’articolo 183, comma 1, lettera z), del decreto legislativo n. 152 del 2006, compresi gli impianti di trattamento di rifiuti urbani classificati R1 ai sensi dell’Allegato C, Parte IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006, l’affidamento della gestione del servizio dei rifiuti urbani non ricomprende detta impiantistica che resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio. A tal fine l’Agenzia individua dette specificità, regola i flussi verso tali impianti, stipula il relativo contratto di servizio e, sulla base dei criteri regionali, definisce il costo dello smaltimento da imputare a tariffa tenendo conto dei costi effettivi e considerando anche gli introiti».
1.2.– Sotto un primo profilo, il giudice rimettente dubita dell’ultimo periodo dell’art. 16, comma 1, della suddetta legge regionale, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per «possibile contrasto» con la competenza esclusiva statale in materia di ambiente.
In secondo luogo, «[s]otto un diverso profilo», in riferimento agli artt. 23, 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., censura la medesima norma in quanto la riduzione dell’importo della tariffa «potrebbe integrare un tributo o, comunque, una surrettizia “prestazione patrimoniale imposta” […]».
1.3.– Il giudice rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso del giudizio di appello avverso le sentenze del TAR Emilia-Romagna, sezione seconda, 16 giugno 2020, n. 408 e n. 413, che avevano rigettato i ricorsi di Herambiente spa, società proprietaria degli impianti di smaltimento, per l’annullamento delle delibere della Giunta della Regione Emilia-Romagna, n. 380 del 2014 e n. 467 del 2015, di attuazione dell’art. 16 della legge regionale n. 23 del 2011, con cui erano stati fissati i «criteri regionali» per l’individuazione e la quantificazione dei costi sostenuti dai soggetti privati proprietari degli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani che dovevano essere imputati alla tariffa gravante sugli utenti finali.
1.4.– Il Consiglio di Stato, riuniti gli appelli, ha reputato non fondati i primi tre motivi di impugnazione, sospendendo il giudizio per il quarto motivo.
1.5.– In particolare, con riferimento al primo motivo, il giudice a quo ha ritenuto insussistente la violazione del «metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani», di cui al d.P.R. n. 158 del 1999, il cui art. 3 si limita a prevedere che la tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani, ma «non esclude expressis verbis che anche i ricavi, lato sensu intesi, conseguiti dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei RSU in relazione a tale specifica attività possano essere computati al fine di quantificare la tariffa gravante sull’utenza finale».
Le delibere impugnate avrebbero quindi effettuato «un’individuazione dei costi reali sostenuti dall’operatore», scomputando, dai costi materiali «e, per così dire, “grezzi”», i «benefici incentivanti» percepiti dall’operatore gravanti sulle casse pubbliche.
Le due delibere, in sostanza, si sarebbero mosse «entro un’analisi ab interno della struttura del costo dell’attività di smaltimento», in tal modo «non decampando dai principi generali enucleati dal d.P.R. n. 158 del 1999».
1.6.– Il rimettente, inoltre, rigettati il secondo ed il terzo motivo, ha invece sospeso la decisione in ordine al quarto motivo, ritendo rilevanti e non manifestamente infondate le suddette questioni di legittimità costituzionale.
Ciò in quanto la «ampiezza e la atecnicità» della dizione «introiti» utilizzata nell’ultimo periodo dell’art. 16, comma 1, «evidentemente voluta» dal legislatore regionale, imporrebbe di ritenervi ricompresi anche gli «incentivi per l’energia prodotta da fonte rinnovabile i quali, del resto, nella contabilità dell’impresa configurano materialmente un incremento economico, ovvero in altra prospettiva, una posta reddituale positiva, ossia appunto un “introito”».
Tuttavia, poiché – ad avviso del giudice a quo – tali incentivi sarebbero stati erogati per rendere economicamente sostenibili forme di produzione di energia «ambientalmente compatibile», derivante, nella specie, dallo smaltimento dei rifiuti, la relativa disciplina perseguirebbe direttamente e sotto un duplice aspetto (gestione del ciclo dei rifiuti e produzione di energia da fonti rinnovabili) finalità di «tutela dell’ambiente».
La norma regionale, deviando gli effetti economici dell’incentivo, si porrebbe pertanto in violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Il rimettente lamenta poi, «sotto un diverso profilo», che la sottrazione, dai costi, della quota degli incentivi percepiti in relazione all’operazione di smaltimento «potrebbe integrare un tributo» o comunque «una surrettizia “prestazione patrimoniale imposta”».
Ciò in violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., perché il tributo risulterebbe istituito in una materia «in cui non è stata attribuita potestà tributaria alla Regione», o comunque dell’art. 23 Cost., difettando i «criteri oggettivi tali da integrare la riserva di legge relativa».
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, eccependo l’inammissibilità delle questioni, in quanto sollevate «alla stregua di una duplice ed irrisolta prospettiva interpretativa».
Infatti, il giudice amministrativo, dopo avere deciso e respinto in modo definitivo la censura di violazione del metodo tariffario stabilito dallo Stato (in quanto le delibere regionali non si sarebbero discostate «dai principi generali» enucleati dal d.p.r. n. 158 del 1999), avrebbe poi sollevato la questione di legittimità costituzionale sull’invasione della competenza legislativa statale in materia di ambiente, in considerazione della circostanza che tra gli introiti rientravano anche gli incentivi per le energie da fonti rinnovabili.
In modo contraddittorio, inoltre, avrebbe sollevato un’ulteriore questione di legittimità costituzionale affermando che tale modalità di computo dei costi «potrebbe integrare un tributo o, comunque, una surrettizia prestazione patrimoniale imposta».
Secondo la difesa regionale, in sintesi, le questioni sarebbero proposte sulla base di un presupposto interpretativo «antitetico e non complementare», senza che il giudice rimettente abbia sciolto l’antinomia e indicato quale ricostruzione ermeneutica ritenga corretta.
3.– L’eccezione non è fondata.
3.1.– Le questioni sono formulate in modo solo apparentemente ancipite, perché in realtà il giudice a quo chiarisce sufficientemente la propria opzione interpretativa in relazione all’effetto della norma censurata, ponendo poi a questa Corte, sotto distinti profili, complementari e non antitetici (sentenza n. 95 del 2020), concorrenti questioni di legittimità costituzionale.
4.– Nel merito, la questione relativa alla asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non è fondata.
Tale questione attiene alla determinazione della tariffa regionale, la cosiddetta “tariffa al cancello”, che, nella fase finale del ciclo integrato dei rifiuti – la cui regolazione è, nello specifico, affidata all’Agenzia territoriale dell’Emilia Romagna per il servizio idrico e i rifiuti (ATERSIR), che opera nell’unico Ambito territoriale ottimale individuato nella Regione – deve essere versata a titolo di corrispettivo ai proprietari degli impianti di smaltimento dai soggetti che vi conferiscono i rifiuti urbani.
4.1.– La base normativa della tariffa in oggetto si rinviene, innanzitutto, nei commi da 2 a 5 dell’art. 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), cosiddetto “decreto Ronchi”, che, dando attuazione al principio europeo “chi inquina paga”, hanno previsto la copertura integrale dei costi relativi al ciclo integrato dei rifiuti.
Tale previsione ha poi trovato conferma nell’art. 25, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, in base al quale: «[…] all’affidatario del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani devono essere garantiti l’accesso agli impianti a tariffe regolate e predeterminate e la disponibilità delle potenzialità e capacità necessarie a soddisfare le esigenze di conferimento indicate nel piano d’ambito».
Per quanto qui interessa va sottolineato che il comma 5 dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 ha introdotto il cosiddetto “metodo normalizzato” «per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento», la cui elaborazione è stata in concreto effettuata dal d.P.R. n. 158 del 1999, tutt’ora vigente, in attesa di nuova regolamentazione, per effetto degli artt. 238, comma 11, e 265 (quest’ultima, quale disposizione transitoria) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
In particolare, l’art. 2 del d.P.R. n. 158 del 1999 ha stabilito che la «tariffa di riferimento» rappresenta «l’insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa» e ha precisato che questa «a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani e deve rispettare la equivalenza di cui al punto 1 dell’allegato 1».
Sulla scorta di tale «equivalenza» il totale delle entrate tariffarie deve coprire i costi di gestione del ciclo dei servizi, quelli comuni e anche quelli d’uso del capitale (interessi passivi, ammortamenti e accantonamenti), nel senso che tutti i costi relativi al ciclo dei rifiuti devono trovare integrale copertura.
La tariffa si compone, quindi, di una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione.
4.2.– Nell’ordinanza di rimessione il Consiglio di Stato ha affermato, da un lato, che le due delibere regionali impugnate, n. 380 del 2014 e n. 467 del 2015, hanno fatto corretta applicazione dei «principi generali» di cui al d.P.R. n. 158 del 1999, ma che, dall’altro, la specificazione effettuata dall’art. 16, comma 1, ultimo periodo, della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2011, consentendo di scomputare, per il calcolo della tariffa, i finanziamenti pubblici a fondo perduto e gli ammortamenti dei costi relativi al capitale fornito dal pubblico, determinerebbe una violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente.
Ciò in quanto, modificando il «fruitore sostanziale» dell’incentivo, la norma regionale si frapporrebbe fra il «destinatario formale dell’incentivo» e l’incentivo medesimo, deviando quest’ultimo e i suoi effetti economici in favore di altro soggetto, ossia verso la «collettività utente del servizio», con conseguente «riduzione della tariffa», di fatto rendendo meno sostenibili le forme di produzione di energia compatibili con l’ambiente.
4.3.– Il giudice a quo non contesta quindi la possibilità per la Regione di dettagliare, nell’ambito della propria competenza concorrente in materia di «produzione di energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., il metodo normalizzato stabilito dal d.P.R. n. 158 del 1999, che del resto all’art. 2 identifica «criteri» per il calcolo della tariffa e «non esclude expressis verbis che anche i ricavi, lato sensu intesi, conseguiti dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei RSU in relazione a tale specifica attività possano essere computati al fine di quantificare la tariffa gravante sull’utenza finale».
Contesta piuttosto che la norma regionale, consentendo di includere tra i ricavi anche i finanziamenti pubblici a fondo perduto e gli ammortamenti dei costi relativi al capitale fornito dal pubblico, determinerebbe una specificazione non consentita dei «criteri generali» del metodo normalizzato, realizzando un’indebita interferenza – a danno della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente – sulla ratio che giustifica gli incentivi statali.
Tale ratio, infatti, dovrebbe leggersi come diretta a beneficiare unicamente il titolare dell’impianto di termovalorizzazione, il quale, chiamato a sostenerne gli ingenti costi di realizzazione, solo in forza della percezione dell’incentivo avrebbe potuto ritenere «economicamente sostenibili forme di produzione di energia ambientalmente compatibile».
4.4.– Tale assunto non può essere condiviso.
4.4.1.– La realizzazione di un termovalorizzatore dipende da scelte indubbiamente più complesse di quelle rappresentate dal giudice rimettente.
All’interno di un determinato contesto territoriale, infatti, il raggiungimento dell’auspicabile obiettivo di produrre energia dai rifiuti urbani non riciclabili non dipende solo dalla decisione di investimento di un determinato imprenditore, ma anche, secondo le normative vigenti, da determinazioni delle autorità pubbliche, quanto, ad esempio, alla pianificazione, alle autorizzazioni ambientali, alla programmazione. Né può essere trascurato il rilievo di un coinvolgimento della popolazione interessata.
Tanto più l’incentivo statale si rifletterà anche sulla comunità territoriale di riferimento, tanto maggiore sarà quindi la possibilità che possa effettivamente raggiungere il proprio obiettivo, ovvero quello di indurre soluzioni ambientalmente virtuose.
4.4.2.– L’esistenza di questo riflesso sulla popolazione interessata è, perlomeno in prospettiva, considerata dalla normativa statale, dal momento che l’art. 1, comma 654, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)» stabilisce, in materia di TARI (tassa sui rifiuti), che «[i]n ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, ricomprendendo anche i costi di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, ad esclusione dei costi relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento provvedono a proprie spese i relativi produttori comprovandone l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente».
In questo contesto normativo, la riduzione, a valle, della “tariffa al cancello”, per effetto del censurato art. 16, comma 1, corrisposta dai comuni che utilizzano il termovalorizzatore per lo smaltimento dei rifiuti urbani, determina quindi un minor peso dei costi da questi sostenuti e di conseguenza, per un principio di “vasi comunicanti”, permette una riduzione, a monte, della TARI richiesta ai propri cittadini.
Si tratta di una esternalità positiva che può concorrere in modo significativo a spingere la popolazione interessata ad accettare la decisione di realizzare il termovalorizzatore.
Lo stesso, peraltro, può dirsi, su un altro piano, anche con riferimento a quegli impianti destinati, nella fase finale del ciclo dei rifiuti urbani, al riciclo anziché alla produzione di energia attraverso la termovalorizzazione. Il successo dell’economia circolare, basata sul recupero e il riutilizzo, presuppone, infatti, l’attiva cooperazione della popolazione interessata attraverso la raccolta differenziata.
4.4.3.– Non può quindi considerarsi estranea alla ratio di queste specifiche forme statali di incentivi – che è indubbiamente diversa, ad esempio, da quella dei cosiddetti “Conti Energia”, tuttavia, non avulsi anch’essi da esigenze di «equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco» (sentenza n. 16 del 2017) – quella di potersi riferire, in una logica di comune vantaggio, a una pluralità di potenziali destinatari.
Con rifermento al perdurante beneficio per l’imprenditore va, al riguardo, ricordato che la norma regionale censurata, dopo aver chiarito che dall’affidamento della gestione del servizio dei rifiuti urbani resta esclusa l’impiantisca di cui sia proprietario un soggetto privato, precisa che «detta impiantistica […] resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio».
Tale regolazione pubblica, che, riflettendo le esigenze della comunità, si traduce nel criterio della mera copertura dei costi effettivi, non attiene però al libero mercato dei rifiuti speciali, dei cui proventi beneficia interamente, ed esclusivamente, l’imprenditore che, grazie agli incentivi pubblici, ha realizzato il termovalorizzatore.
Le delibere regionali qui in considerazione sono, del resto, riferite a imprese che, come normalmente avviene, utilizzano gli impianti di smaltimento non solo per i rifiuti urbani (per i quali la tariffa è sottoposta, come detto, a regolamentazione pubblica), ma anche per i rifiuti speciali, per i quali il prezzo è appunto stabilito in regime di libero mercato.
4.4.4.– Va peraltro considerato, a ulteriore conferma della razionalità della logica del beneficio diffuso, che, in assenza della suddetta regolazione pubblica, sfruttando le economie di scala di impianti realizzati grazie anche a finanziamenti pubblici a fondo perduto, si verificherebbe, come sottolineato dalla difesa regionale, un abnorme «vantaggio per il privato proprietario, che con la stessa “macchina” finanziata pro quota dal pubblico opera sul mercato libero dei rifiuti speciali, in relazione ai quali tratterrà, insieme ad ogni altra entrata, anche l’intero vantaggio connesso agli incentivi collegati all’impianto di smaltimento».
4.5.– Le considerazioni appena esposte valgono anche con riferimento agli ammortamenti, che la norma regionale consente di inserire nell’ampio genus degli «introiti»; altrimenti l’imprenditore, dopo essere stato beneficiario di un finanziamento pubblico a fondo perduto per la realizzazione degli impianti di smaltimento, potrebbe poi scomputare dalla tariffa quote annuali di ammortamento di costi, in realtà, non sostenuti direttamente, in quanto coperti dalla provvista pubblica.
4.6.– Una volta ricostruiti in questi termini gli effetti della norma regionale, si deve escludere che l’ultimo periodo dell’art 16, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2011 abbia determinato, come sostenuto dal giudice a quo, una deviazione degli incentivi lesiva della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente.
4.7.– A conforto delle esposte conclusioni, non è indifferente ricordare che l’ARERA, istituita con l’art. 1, comma 527, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), chiamata a fornire chiarimenti in ordine alla adozione della sua prima delibera (n. 443/2019/R/rif), con cui ha definito i criteri per l’individuazione del valore della tariffa relativa al ciclo integrato dei rifiuti per il periodo 2018-2021, con la determinazione n. 02/DRIF/2020, ha precisato che all’interno della tariffa regionale «i ricavi da incentivi all’energia prodotta da fonti rinnovabili sono valorizzati in continuità con quanto disposto dagli Enti territorialmente competenti precedentemente all’entrata in vigore del MTR [Metodo tariffario servizio integrato di gestione dei rifiuti]».
Più specificamente, poi, nella delibera 363/2021/R/rif, relativa al periodo 2022-2025, proprio in riferimento alla tariffa “al cancello”, ottenuta con il nuovo metodo MTR-2, ARERA ha ritenuto «opportuno confermare il mantenimento dei fattori di sharing (intesi come fattori di ripartizione dei benefici tra gestori e utenti) – già introdotti nel primo periodo regolatorio –».
La descritta logica della ripartizione dei benefici risponde, del resto, alla consapevolezza della complessità della tutela dell’ambiente, che peraltro oggi trova una specifica valorizzazione, «anche nell’interesse delle future generazioni», nel novellato art. 9, terzo comma, Cost.
5.– La seconda questione, relativa alla dedotta violazione degli artt. 23, 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost. è anch’essa non fondata, in quanto la norma regionale censurata, limitandosi a stabilire «e considerando anche gli introiti», inerisce esclusivamente al metodo di calcolo matematico della “tariffa al cancello” e si pone su un piano che, di per sé, è concettualmente estraneo a quello di un prelievo coattivo configurabile come un’imposizione tributaria o una prestazione patrimoniale imposta.
Non vengono, quindi, in questione né l’ambito entro cui si può muovere l’autonomia impositiva regionale, cui, peraltro, a differenza da quanto ritenuto dal giudice a quo, non è preclusa, in determinati casi, la possibilità di stabilire, «nel rispetto dei principi di coordinamento», tributi propri in materia ambientale (sentenza n. 82 del 2021), né il rispetto dei criteri inerenti alla base legale della riserva relativa di cui all’art. 23 Cost.