Sentenza 111/2022 (ECLI:IT:COST:2022:111)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMATO - Redattore: PETITTI
Udienza Pubblica del 05/04/2022;    Decisione  del 05/04/2022
Deposito del 09/05/2022;   Pubblicazione in G. U. 11/05/2022  n. 19
Norme impugnate: Art. 129, 568, c. 4°, 591, c. 1°, lett. a), 601, 605 e 620 del codice di procedura penale.
Massime:  44766  44767  44768 
Massime:  44766  44767  44768 
Atti decisi: ord. 131/2021

Massima n. 44766 Massima successiva
Titolo
Giudizio costituzionale in via incidentale - Interpretazione della norma censurata - Interpretazione contraria a quella fornita dal c.d. diritto vivente (nel caso di specie: contrasto tra sezione semplice e sezioni unite della Corte di cassazione) - Ammissibilità della questione, alternativa alla scelta di nuova rimessione alle sezioni unite della Corte di cassazione. (Classif. 112006).

Testo

È ammissibile la questione di legittimità costituzionale introdotta da un'ordinanza di rimessione che motiva la propria esigenza di doversi uniformare all'interpretazione oramai radicata nella giurisprudenza di legittimità, qualificabile come diritto vivente, e ne richiede, proprio su tale presupposto, la verifica di conformità ai parametri costituzionali. In tal caso, infatti, l'onere per la Sezione semplice di nuova rimessione alle Sezioni unite, allorché non intenda condividere il principio di diritto dalle medesime enunciato, non è affatto preclusivo della facoltà di promuovere direttamente questione di legittimità costituzionale in ordine alle disposizioni come interpretate appunto dalle Sezioni unite. (Precedenti: S. 13/2022 - mass. 44481; S. 33/2021 - mass. 43634; S. 29/2019 - mass. 42314; S. 39/2018 - mass. 39887; S. 122/2017 - mass. 40041; S. 200/2016 - mass. 39029; S. 126/2015 - mass. 38451; S. 242/2014 - mass. 38145).

Titolo
Giusto processo (principio del) - In genere - "Ragionevole durata" - Connotato identitario del modello costituzionale - Nozione - Necessità di bilanciamento tra interessi pubblici e privati - In particolare: necessità di accertare il fatto e le relative responsabilità con il rispetto del diritto di difesa entro un arco temporale non eccessivo. (Classif. 126001).

Testo

La nozione di "ragionevole" durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici e privati coinvolti, in maniera da coniugare l'obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza, pur essenziale, di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Sicché una violazione del principio della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111, secondo comma, Cost., può essere ravvisata soltanto allorché l'effetto di dilatazione dei tempi processuali, determinato da una specifica disciplina, non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli, quindi, privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa. (Precedenti: S. 260/2020 - mass. 43105; S. 124/2019 - mass. 42637; S. 12/2016 - mass. 38706; S. 159/2014 - mass. 37990).

La ragionevole durata è un connotato identitario della giustizia del processo. (Precedente: S. 74/2022 - mass. 44756).


Il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato dall'art. 111 Cost.; una diversa soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all'interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una piena tutela del principio del contraddittorio e dall'altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti. Un processo non "giusto", perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. (Precedente: S. 317/2009 - mass. 34149).


Nel processo penale è essenziale il contraddittorio, anche ai fini dell'accertamento della causa estintiva del reato, nonché la rilevanza dell'interesse dell'imputato prosciolto per estinzione del reato a sottoporre la mancata applicazione delle formule più ampiamente liberatorie alla verifica di un giudice di merito, piuttosto che alla Corte di cassazione. (Precedenti: S. 91/1992; S. 249/1989 - mass. 13973).

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 111

Massima n. 44768 Massima precedente
Titolo
Processo penale - Impugnazioni - Giudizio di cassazione - Possibilità, in caso di giudizio di appello definito con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato illegittimamente emessa in fase predibattimentale senza contraddittorio, di annullamento della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti alla Corte di appello per il relativo giudizio in contraddittorio - Omessa previsione, stante l'interpretazione del diritto vivente che consente alla Corte di cassazione di dichiarare l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse - Violazione dei principi di inviolabilità del diritto di difesa e del giusto processo - Illegittimità costituzionale della norma censurata, come interpretata dal diritto vivente. (Classif. 199014).

Testo

È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., l'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato. La disposizione censurata dalla Corte di cassazione, sez. prima penale, per regola giurisprudenziale assunta a diritto vivente comporta che nel giudizio di appello non è consentita la pronuncia di sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell'art. 469 cod. proc. pen. Le questioni concernenti le nullità processuali assolute e insanabili, ad avviso delle Sezioni unite penali, possono, dunque, assumere carattere pregiudiziale rispetto alla causa estintiva solo allorché questa non emerga ictu oculi dalla mera ricognizione allo stato degli atti, ma presupponga un accertamento di fatto. In tal modo, il bilanciamento tra l'interesse dell'imputato ad impugnare per la mancata valutazione di cause di proscioglimento nel merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., la sentenza predibattimentale d'appello, che abbia dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione senza alcun contraddittorio, e il principio di ragionevole durata del processo, come operato dalla interpretazione radicata nella giurisprudenza di legittimità non condivisa dal rimettente, non appare rispettoso dei parametri indicati, stando all'elaborazione costituzionale del diritto di difesa e della garanzia del contraddittorio. La sostanziale soppressione di un grado di giudizio, conseguente alla forma predibattimentale della sentenza di appello, non soltanto non trova fondamento nel codice di rito, ma, essendo adottata in assenza di contraddittorio, limita l'emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito e, di fatto, comprime la stessa facoltà dell'imputato di rinunciare alla prescrizione, in maniera non recuperabile nel giudizio di legittimità, la cui cognizione è fisiologicamente più limitata rispetto a quella del giudice di merito.

Atti oggetto del giudizio
codice di procedura penale  art. 568  co. 4

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 24  co. 2
Costituzione  art. 111  co. 2


Pronuncia

SENTENZA N. 111

ANNO 2022


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 129, 568, comma 4, 591, comma 1, lettera a), 601, 605 e 620 del codice di procedura penale, promosso dalla Corte di cassazione, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di A. B. e A. L.S., con ordinanza del 18 giugno 2021, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti l’atto di costituzione di A. L.S., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 aprile 2022 il Giudice relatore Stefano Petitti;

uditi l’avvocato Vittorio Di Pietro per A. L.S. e l’avvocato dello Stato Salvatore Faraci per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 5 aprile 2022.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 18 giugno 2021 (r.o. n. 131 del 2021), la Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 129, 568, comma 4, 591, comma 1, lettera a), 601, 605 e 620 del codice di procedura penale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui, in caso di giudizio di appello definito con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, illegittimamente emessa in fase predibattimentale senza citazione delle parti e comunque senza alcuna forma di contraddittorio, consente alla Corte di cassazione, investita da rituale ricorso dell’imputato, di dichiarare l’inammissibilità dello stesso per carenza d’interesse e non prevede, invece, la declaratoria di annullamento della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti alla Corte di appello per il giudizio nel contraddittorio delle parti.

2.– L’ordinanza di rimessione espone che la Corte d’appello di Milano, in accoglimento della richiesta scritta del Procuratore generale, ha dichiarato, con sentenza predibattimentale e senza la partecipazione delle parti, non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al delitto di «associazione per delinquere, con il ruolo di promotori e organizzatori, finalizzata alla commissione di più delitti di illegale esportazione di materiali di armamento e comunque di illegale contrattazione finalizzata alla suddetta esportazione, nonché di esportazione non autorizzata di materiale a duplice uso, civile e militare», perché estinto per prescrizione maturata nelle more della celebrazione del giudizio di gravame.

Avverte la Corte rimettente che già all’esito dell’udienza preliminare era stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, nei confronti dei due imputati, per insussistenza dei fatti in ordine a ulteriori capi di imputazione sempre per analoghe condotte, mentre il Tribunale ordinario di Como, in sede di giudizio di primo grado, aveva assolto gli imputati per non aver commesso il fatto inerente ad altra contestazione e dichiarato estinto per prescrizione il delitto contemplato da autonomo capo.

La sentenza della Corte d’appello è stata oggetto di distinti ricorsi per cassazione proposti dai difensori degli imputati, che ne hanno dedotto la nullità assoluta e insanabile perché, all’esito di una camera di consiglio svoltasi senza avviso alle parti, ha dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione, nonostante dagli atti risultasse, a loro avviso, evidente l’insussistenza della condotta associativa.

3.– Il giudice a quo ricorda che, all’esito della pubblica udienza del 30 ottobre 2020, aveva rimesso la decisione del ricorso per cassazione alle Sezioni unite, ritenendo di non condividere il principio di diritto enunciato, con riguardo ad analoga vicenda processuale, dalle stesse Sezioni unite penali con la sentenza 27 aprile-9 giugno 2017, n. 28954, secondo cui, «[n]ell’ipotesi di sentenza predibattimentale d’appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.».

Secondo tale regola giurisprudenziale, la Corte di cassazione non può dunque annullare con rinvio la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione emessa dalla Corte d’appello senza fissazione di udienza con avviso alle parti, in specie all’imputato appellante avverso la pronuncia di condanna in primo grado, perché il giudice del rinvio non potrebbe fare altro che reiterare la declaratoria di estinzione del reato.

Il Collegio rimettente riferisce che, nel rimettere il ricorso alle Sezioni unite, aveva sostenuto che una siffatta sentenza, più che affetta da nullità assoluta e insanabile, sarebbe abnorme, perché pronunciata in difetto di potere in concreto, atteso che la legge processuale non consente che il giudizio d’appello sia definito con una sentenza predibattimentale; con la conseguenza che, riguardo ad essa, non potrebbe operare, per tale ragione, la regola di elaborazione giurisprudenziale della prevalenza della causa estintiva su eventuali cause di invalidità occorse nei gradi di merito.

Ricorda, ancora, che in quella occasione aveva anche evidenziato che l’utilizzo della regola della prevalenza della causa estintiva con riguardo ad una sentenza predibattimentale di appello adottata de plano, in assenza di giudizio, pone il sistema processuale in tensione con il principio costituzionale del contraddittorio e del giusto processo.

3.1.– Il Collegio rimettente espone che, con provvedimento del 10 dicembre 2020, adottato a norma dell’art. 172 dell’Allegato al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), il Presidente aggiunto della Corte di cassazione aveva restituito il ricorso alla sezione per una nuova valutazione sulla effettiva sussistenza dell’interesse all’impugnazione, osservando che nessuno dei due ricorrenti aveva manifestato la volontà di rinunciare alla prescrizione maturata e dichiarata dalla Corte d’appello.

4.– La Corte rimettente ritiene che la regola di elaborazione giurisprudenziale, condensata nel principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017, si ponga in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di inviolabilità del diritto di difesa e di giusto processo.

4.1.– Quanto alla rilevanza delle questioni, il Collegio rimettente sostiene che il richiamato principio costituirebbe diritto vivente. Ad esso si sono, infatti, allineate le sentenze della Corte di cassazione, sezione seconda penale, 26 settembre-15 ottobre 2018, n. 46776, nonché sezione terza penale, 30 gennaio-25 maggio 2020, n. 15758. Né potrebbe sostenersi che costituiscano espressione di un orientamento dissenziente, considerata la diversità delle fattispecie in esame, le sentenze della Corte di cassazione, sezione seconda penale, 15 gennaio-1° aprile 2020, n. 11042; sezione terza penale, 19 dicembre 2019-20 marzo 2020, n. 10376 e 20 giugno-3 ottobre 2019, n. 40522. In tali sentenze, infatti, il diritto dell’imputato allo svolgimento dell’udienza dibattimentale di appello è stato riconosciuto, rispettivamente, a fronte di sentenze predibattimentali pronunciate in assenza di contraddittorio che avevano dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione, confermando la confisca disposta in primo grado oppure ordinando la restituzione delle cose sequestrate, con revoca della confisca disposta in primo grado.

A sua volta connotata da specialità è la soluzione indicata dalla più recente giurisprudenza di legittimità in rapporto alla nullità insanabile della sentenza predibattimentale con la quale il giudice di appello dichiari l’estinzione del reato per prescrizione, qualora in primo grado la parte civile abbia proposto richiesta di condanna dell’imputato al risarcimento dei danni, imponendosi il dibattimento nel contraddittorio delle parti per procedere alla delibazione di merito relativamente ai capi della sentenza che concernono gli interessi civili (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 25 settembre-18 novembre 2020, n. 32477).

4.2.– Con riferimento alle ragioni in base alle quali il Presidente aggiunto della Corte di cassazione aveva restituito gli atti, l’ordinanza di rimessione rileva che la soluzione che propende per l’annullabilità senza rinvio della sentenza d’appello dichiarativa della prescrizione del reato pronunciata de plano, in violazione del contradditorio tra le parti, allorché l’imputato rinunci alla prescrizione, allegando, così, un interesse concreto ed attuale alla celebrazione del giudizio di appello da lui promosso (viene al riguardo menzionata ancora la sentenza della Corte di cassazione n. 15758 del 2020), sarebbe incoerente con l’assetto giurisprudenziale elaborato in proposito dalle stesse Sezioni unite penali.

Questa ricostruzione, infatti, non terrebbe conto che la medesima giurisprudenza di legittimità ammette l’imputato a rinunciare alla prescrizione soltanto una volta che essa sia maturata ma non ancora dichiarata, sicché la peculiarità della vicenda, venuta in rilievo nella specie, è che il medesimo imputato, prima della sentenza predibattimentale d’appello, non avrebbe avuto modo di rinunciare alla prescrizione, in quanto ancora non maturata, e, dopo, si sarebbe invece trovato con una estinzione già dichiarata e quindi non rinunciabile. Il che avrebbe dato luogo (come nella sentenza n. 15758 del 2020, prima richiamata) ad un adattamento dell’orientamento affermato dalle Sezioni unite penali della Corte di cassazione in ordine all’interesse dell’imputato al ricorso, ma per motivi diversi dalla nullità assoluta della sentenza predibattimentale d’appello per violazione del contraddittorio.

4.2.1.– La Sezione prima penale della Corte di cassazione ritiene, quindi, di dover fare applicazione nel giudizio a quo della regola di prevalenza della causa estintiva sulla nullità assoluta della sentenza, cristallizzata nel diritto vivente, non potendo sperimentare diverse soluzioni interpretative, dopo aver tentato la rimessione alle Sezioni unite a norma dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen.

In particolare, l’ordinanza di rimessione sottolinea come proprio l’assenza di una rinuncia degli imputati alla prescrizione già dichiarata (ove pur ritenuta efficace) imporrebbe di valutare l’ammissibilità dei ricorsi in esame secondo la non condivisa interpretazione giurisprudenziale. Il Collegio rimettente si dice non persuaso dell’affermazione secondo cui l’annullamento della sentenza emessa de plano, e quindi in assenza di giudizio, sarebbe del tutto inutile perché funzionale soltanto alla possibilità per gli imputati ricorrenti di rinunciare alla prescrizione nel corso di una udienza partecipata dinnanzi al giudice del rinvio, quando costoro hanno chiaramente dimostrato la volontà di volersi avvalere della causa estintiva.

In proposito, osserva anzi che, ove la rinuncia fosse stata fatta, la situazione sarebbe significativamente mutata e verrebbe sottratta all’ambito operativo della regola giurisprudenziale della prevalenza della causa estintiva sulla eventuale nullità, anche assoluta. Una valida rinuncia, infatti, sgombrerebbe il campo dalla causa di estinzione del reato e inibirebbe il ricorso al criterio della prevalenza, premessa dell’apprezzamento della carenza di interesse al ricorso. E invece, è proprio l’assenza di rinuncia alla prescrizione ad accordare rilevanza alla regola plasmata dalle Sezioni unite e a dare centralità alla loro ricostruzione interpretativa.

L’annullamento della sentenza impugnata, piuttosto, sarebbe naturalmente finalizzato allo svolgimento del giudizio di appello, nel quale, seppure non siano state avanzate richieste di rinnovazione istruttoria, potrebbe procedersi con la dovuta ampiezza, ben maggiore di quanto consentito nel processo di legittimità, a quel controllo in ordine alla prevalenza di una eventuale causa di proscioglimento nel merito sulla causa di estinzione del reato, a cui rimanda in termini di doverosità legata all’evidenza della prova di innocenza l’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.

4.3.– L’ordinanza di rimessione evidenzia ancora, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni, che il difensore di uno dei ricorrenti ha prospettato nell’udienza dinanzi alla Corte di cassazione l’ulteriore interesse allo svolgimento del giudizio di merito sull’impugnazione correlato all’art. 1, comma 1015, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), il quale condiziona il diritto al rimborso delle spese legali all’eventualità che l’imputato sia assolto nel processo penale perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.

5.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il Collegio rimettente ripercorre l’elaborazione della regola giurisprudenziale di prevalenza della causa estintiva sulla eventuale nullità, anche assoluta, incorsa nel giudizio di merito, menzionando le sentenze delle Sezioni unite penali, 28 maggio-15 settembre 2009, n. 35490; 28 novembre 2001-11 gennaio 2002, n. 1021; 3 febbraio-14 luglio 1995, n. 7902; 31 gennaio-24 febbraio 1987, n. 2407, e 27 novembre 1982-1° marzo 1983, n. 1785.

Uno speciale rilievo viene attribuito, tuttavia, alla sentenza delle Sezioni unite penali 27 febbraio-8 maggio 2002, n. 17179, relativa a una ipotesi di nullità assoluta della notificazione del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, equiparata all’omessa citazione dell’imputato medesimo. Le Sezioni unite penali in quella occasione precisarono che il principio della priorità della causa estintiva del reato rispetto anche alle questioni di nullità assoluta, fatto salvo il caso dell’evidente innocenza dell’imputato, ritraibile dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., incontra due limiti: il primo, allorché l’esame della questione di nullità processuale assoluta e insanabile assuma carattere pregiudiziale rispetto alla causa estintiva, ponendosi come «antecedente logico, legato in modo strumentalmente necessario, alla declaratoria della causa estintiva, nel senso che l’accertamento di questa presuppone il regolare svolgimento del giudizio di merito, per l’acquisizione di dati fattuali funzionali all’applicabilità della prescrizione»; il secondo, nel senso che l’immediata applicabilità della causa estintiva non si ponga «in contrasto con le linee essenziali del sistema», giacché «comunque sul punto specifico è assicurato il contraddittorio tra le parti».

Il giudice a quo sottolinea che questa sentenza regolava una nullità che, pur se assoluta, non aveva però compresso il contraddittorio preliminare alla pronuncia sulla causa estintiva. Viceversa, nel diritto vivente creatosi a seguito della sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017, sarebbe «proprio il contraddittorio a venir meno, in modo radicale e assoluto, con preclusione quindi anche al suo strutturarsi in ordine alla ricorrenza o meno della causa estintiva».

Nel caso della sentenza predibattimentale di appello adottata de plano viene a mancare del tutto il giudizio. Il diritto vivente si porrebbe perciò in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di inviolabilità del diritto di difesa e di indefettibilità del giusto processo, rappresentando il contraddittorio tra le parti il postulato ineliminabile di ogni pronuncia terminativa del processo che abbia forma di sentenza. Una sentenza sul merito dell’azione penale pronunziata senza alcuna forma di interlocuzione con la difesa dell’imputato appare come decisione emessa «al di fuori di un giudizio», dando così luogo ad una nullità per assenza del processo, sicché con riguardo ad essa non può operare la regola della prevalenza della formula terminativa del procedimento per una delle ipotesi previste dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen.

6.– La parte A. L.S. ha depositato atto di costituzione ed ha chiesto di dichiarare fondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale, richiamando le difese svolte nel ricorso per cassazione per sostenere la nullità assoluta e insanabile della sentenza d’appello, emessa all’esito di camera di consiglio tenutasi senza dare avviso alle parti ed a fronte delle ragioni che evidenziavano la insussistenza del fatto.

7.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che sussiste in materia un conflitto risalente nel tempo e tuttora perdurante tra le Sezioni semplici e le Sezioni unite penali della Corte di cassazione, tale da denotare una “mobilità interpretativa” confermata anche dalle sentenze richiamate nell’ordinanza di rimessione e dal provvedimento di restituzione degli atti adottato dal Presidente aggiunto. Il Collegio rimettente non si sarebbe fatto carico, in particolare, di valutare gli effetti della mancata rinuncia degli imputati alla maturata prescrizione.

L’atto di intervento richiama le pronunce della giurisprudenza di legittimità che, proprio alla stregua dei principi enunciati nella sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite penali, n. 28954 del 2017, hanno poi individuato ulteriori deroghe alla regola di prevalenza della causa estintiva sulla nullità.

La difesa statale eccepisce, poi, l’inammissibilità della questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost., per difetto di motivazione sul punto.

Nel merito, l’interveniente sostiene che le censure mosse in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. sarebbero comunque non fondate, non avendo la Corte rimettente effettuato il bilanciamento degli interessi in gioco, né valutato le ricadute sul principio di durata ragionevole del processo. L’Avvocatura evidenzia che l’art. 129 cod. proc. pen. è norma di sistema, di tal che la soluzione offerta dalle Sezioni unite penali nella sentenza n. 28954 del 2017 risulterebbe opportunamente orientata ad evitare che, in nome solo dell’ortodossia della forma, si pervenga, dando prevalenza alla causa di nullità sulla causa estintiva, all’inutile dilatazione dell’attività processuale, il cui epilogo realisticamente non potrebbe che portare al medesimo esito.

8.– Il difensore della parte A. L.S. ha depositato memoria illustrativa in data 14 marzo 2022, richiamando le difese svolte nella propria memoria di costituzione e replicando alle eccezioni e deduzioni svolte nell’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.


Considerato in diritto

1.– La Corte di cassazione, sezione prima penale, con ordinanza del 18 giugno 2021, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 129, 568, comma 4, 591, comma 1, lettera a), 601, 605 e 620 del codice di procedura penale, nella parte in cui, in caso di giudizio di appello definito con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, illegittimamente emessa in fase predibattimentale senza citazione delle parti e comunque senza alcuna forma di contraddittorio, consente alla Corte di cassazione, investita da rituale ricorso dell’imputato, di dichiarare l’inammissibilità dello stesso per carenza d’interesse e non prevede, invece, la declaratoria di annullamento della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti alla Corte di appello per il giudizio nel contraddittorio delle parti.

Ad avviso del rimettente, le disposizioni censurate, così interpretate, si porrebbero in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, in particolare con i principi costituzionali di ragionevolezza, di inviolabilità del diritto di difesa e di giusto processo.

1.1.– L’ordinanza di rimessione espone che la Corte d’appello di Milano, in accoglimento della richiesta scritta del Procuratore generale, ha dichiarato, con sentenza predibattimentale e senza la partecipazione delle parti, non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al delitto di associazione per delinquere (art. 416 del codice penale), perché estinto per prescrizione maturata nelle more della celebrazione del giudizio di gravame. La sentenza della Corte d’appello è stata oggetto di distinti ricorsi per cassazione proposti dai difensori degli imputati, che ne hanno dedotto la nullità assoluta e insanabile perché, all’esito di una camera di consiglio svoltasi senza dare avviso alle parti, ha dichiarato l’estinzione del reato nonostante dagli atti risultasse, a loro avviso, evidente l’insussistenza della condotta associativa.

1.2.– Il Collegio rimettente riferisce che aveva dapprima rimesso la decisione del ricorso per cassazione alle Sezioni unite, non condividendo il principio di diritto enunciato, con riguardo ad analoga vicenda processuale, dalla sentenza delle stesse Sezioni unite penali 27 aprile - 9 giugno 2017, n. 28954, secondo cui, «[n]ell’ipotesi di sentenza predibattimentale d’appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.».

Secondo tale regola giurisprudenziale, la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione emessa dalla Corte d’appello senza fissazione di udienza con avviso alle parti, in specie all’imputato appellante avverso la pronuncia di condanna in primo grado, non sarebbe da annullare, perché il giudice del rinvio non potrebbe fare altro che reiterare la declaratoria di estinzione del reato.

1.3.– Con provvedimento adottato a norma dell’art. 172 dell’Allegato al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), il ricorso era stato tuttavia restituito alla Sezione prima penale per una nuova valutazione circa l’effettiva sussistenza dell’interesse all’impugnazione, sul rilievo che nessuno dei due ricorrenti aveva manifestato la volontà di rinunciare alla prescrizione maturata e dichiarata dalla Corte d’appello e che, quindi, doveva procedersi a nuovo esame della sussistenza dell’interesse a ricorrere.

2.– La Corte rimettente ritiene che la regola di elaborazione giurisprudenziale, condensata nel principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017, costituisca diritto vivente, essendo stata seguita da numerose decisioni delle sezioni semplici, nel mentre non integrerebbero un orientamento dissenziente altre pronunce, che vengono richiamate per evidenziare la specialità delle fattispecie esaminate.

2.1.– Quanto alla rilevanza, la Sezione prima penale della Corte di cassazione afferma di dover fare applicazione nel giudizio a quo della regola di prevalenza della causa estintiva sulla nullità assoluta della sentenza, cristallizzata nel diritto vivente, non potendo sperimentare diverse soluzioni interpretative, dopo aver tentato la rimessione alle Sezioni unite a norma dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. Peraltro, proprio l’assenza di una rinuncia degli imputati alla prescrizione già dichiarata, ove pur ritenuta configurabile, imporrebbe di valutare l’ammissibilità dei ricorsi in esame secondo la censurata interpretazione giurisprudenziale.

In particolare, il giudice a quo contesta l’asserita superfluità dell’annullamento della sentenza emessa de plano, ove inteso come funzionale soltanto alla possibilità per gli imputati di rinunciare alla prescrizione nel corso di una udienza partecipata, esponendo che il rinvio sarebbe, piuttosto, naturalmente finalizzato allo svolgimento del giudizio di appello, nel quale procedere, con ampiezza ben maggiore di quella consentita dal processo di legittimità, al doveroso controllo in ordine all’eventuale evidenza della prova di innocenza ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen.

2.2.– Circa la non manifesta infondatezza, l’ordinanza di rimessione ripercorre l’elaborazione della regola giurisprudenziale di prevalenza della causa estintiva sulla eventuale nullità, anche assoluta, incorsa nel giudizio di merito, menzionando diverse pronunce delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione e soffermandosi in particolare sulla sentenza 27 febbraio-8 maggio 2002, n. 17179. Le Sezioni unite penali in tale occasione avevano precisato che il principio della priorità della causa estintiva del reato rispetto anche alle questioni di nullità assoluta, fatto salvo il caso dell’evidente innocenza dell’imputato, desumibile dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., incontra due limiti: il primo, allorché l’esame della questione di nullità processuale assoluta e insanabile assuma carattere pregiudiziale rispetto alla causa estintiva; il secondo, nel senso che l’immediata applicabilità della causa estintiva non debba porsi «in contrasto con le linee essenziali del sistema», giacché «comunque sul punto specifico è assicurato il contraddittorio tra le parti».

La Sezione rimettente osserva, quindi, che questa sentenza aveva regolato una ipotesi di nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, che non aveva tuttavia compresso il contraddittorio preliminare alla pronuncia sulla causa estintiva. Viceversa, nel diritto vivente creatosi a seguito della sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017, sarebbe venuto meno proprio il contraddittorio, in modo radicale e assoluto, così da precludere in radice il giudizio in ordine alla ricorrenza o meno della causa estintiva.

Il censurato diritto vivente si porrebbe perciò in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di inviolabilità del diritto di difesa e di indefettibilità del giusto processo, rappresentando il contraddittorio tra le parti il postulato ineliminabile di ogni pronuncia terminativa del giudizio che abbia forma di sentenza. Una sentenza sul merito dell’azione penale pronunziata senza alcuna forma di interlocuzione con la difesa dell’imputato sarebbe, ad avviso della Sezione rimettente, una decisione emessa «al di fuori di un giudizio», nulla per assenza del processo, rispetto alla quale non potrebbe operare la regola della prevalenza della formula terminativa del procedimento per una delle ipotesi previste dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen.

3.– Va, in primo luogo, respinta l’eccezione di inammissibilità formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui il Collegio rimettente non si sarebbe fatto carico, alla luce del conflitto tuttora perdurante tra le Sezioni semplici e le Sezioni unite penali della Corte di cassazione, di valutare gli effetti della mancata rinuncia degli imputati alla maturata prescrizione.

La Corte rimettente si dimostra consapevole della possibilità di privilegiare una diversa lettura del dato normativo contenuto nel censurato combinato disposto, rispettosa dei precetti della Carta fondamentale, ma riferisce che, non condividendo il principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017, ha esperito anche la strada dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., ma che il ricorso è stato restituito alla sezione semplice per una nuova valutazione sulla effettiva sussistenza dell’interesse all’impugnazione.

In tal senso, l’ordinanza di rimessione motiva la propria esigenza di doversi uniformare all’interpretazione oramai radicata nella giurisprudenza di legittimità, qualificabile come «diritto vivente», e ne richiede, proprio su tale presupposto, la verifica di conformità ai parametri costituzionali (sentenze n. 29 del 2019 e n. 39 del 2018).

La Sezione prima penale della Corte di cassazione chiarisce dunque, che lo scrutinio di legittimità costituzionale non è invocato allo scopo di ottenere un avallo all’interpretazione da essa prescelta, giacché attiene, piuttosto, al significato in cui le disposizioni censurate «vivono» secondo l’indirizzo giurisprudenziale consacrato nella indicata decisione delle Sezioni unite penali e ampiamente condiviso, e denuncia perciò il contrasto di tale orientamento, cui non intenderebbe uniformarsi, con i richiamati parametri costituzionali (tra le altre, sentenze n. 122 del 2017, n. 200 del 2016, n. 126 del 2015 e n. 242 del 2014).

L’ordinanza di rimessione spiega altresì perché l’interpretazione enunciata dalle Sezioni unite nell’esercizio della propria funzione nomofilattica non possa dirsi contraddetta da alcune successive pronunce delle sezioni semplici, le quali hanno deciso su fattispecie che presentano connotati peculiari.

Questa Corte, peraltro, ha avuto già occasione di affermare, a proposito dell’art. 374, terzo comma, del codice di procedura civile, il quale costituisce l’omologo, nel processo civile, dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., che l’onere, per la Sezione semplice, di nuova rimessione alle Sezioni unite allorché non intenda condividere il principio di diritto dalle medesime enunciato, non è affatto preclusivo della facoltà, per la medesima Sezione semplice, di promuovere direttamente questione di legittimità costituzionale in ordine alle disposizioni come interpretate appunto dalle Sezioni unite (sentenze n. 13 del 2022 e n. 33 del 2021).

4.– Occorre ancora precisare che, alla stregua delle doglianze formulate nella stessa ordinanza di rimessione, il sindacato di costituzionalità è da restringere al contenuto precettivo dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., in tema di interesse a proporre l’impugnazione, poiché le ulteriori disposizioni indicate non concorrono in via immediata ad esprimere il censurato «diritto vivente».

Va poi ulteriormente chiarito che, poiché la citata disposizione si limita a prevedere che «[P]er proporre impugnazione è necessario avervi interesse», ciò che viene in discussione nel presente giudizio non è la disposizione in quanto tale, ma l’interpretazione che di essa ha dato il diritto vivente nella specifica situazione in cui si sia in presenza di una sentenza predibattimentale di appello, adottata in assenza di contraddittorio e senza avviso alle parti, dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta nelle more della celebrazione del giudizio di appello.

4.1.– Non esclude, infine, la rilevanza delle questioni il fatto, riferito nell’ordinanza di rimessione e valorizzato dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri nel corso della discussione in pubblica udienza, che una delle parti private abbia individuato un possibile interesse idoneo a giustificare il superamento della regola, consacrata nel principio di diritto del quale il Collegio rimettente deve fare applicazione, della prevalenza della causa estintiva del reato per prescrizione sulla declaratoria di nullità della sentenza predibattimentale impugnata.

Invero, ciò che viene in rilievo nel giudizio principale è proprio l’applicazione della contestata regola con riferimento all’ipotesi – ricorrente nel caso di specie e da apprezzare nella sua oggettività – in cui l’imputato non abbia rinunciato alla prescrizione. L’eventuale esistenza di un possibile, diverso interesse idoneo a corroborare il superamento della regola di elaborazione giurisprudenziale – esistenza in ordine alla quale nell’ordinanza di rimessione non viene svolta alcuna valutazione – non esclude la rilevanza delle questioni, dal momento che il rimettente correttamente ritiene di dovere applicare quella regola sulla base del motivato e dirimente rilievo che gli imputati non hanno inteso rinunciare alla prescrizione. Da qui la rilevanza delle questioni, assumendo carattere pregiudiziale rispetto ad altre soluzioni il superamento della regola che imporrebbe la prevalenza della causa estintiva del reato rispetto all’accertamento della nullità della sentenza impugnata.

5.– Le questioni sollevate dalla Corte di cassazione sono fondate, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.

6.– L’interpretazione giurisprudenziale dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., sul profilo dell’interesse richiesto quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, consolidata come diritto vivente ed oggetto della invocata verifica di compatibilità con i precetti costituzionali, va rinvenuta nella motivazione della richiamata sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017.

Questa decisione ha ribadito in premessa il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, emergente anche da precedenti arresti delle medesime Sezioni unite penali, secondo cui nel giudizio di appello non è consentita la pronuncia di sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell’art. 469 cod. proc. pen., ovvero del precedente art. 129. Ciò perché la disciplina del proscioglimento prima del dibattimento di cui all’art. 469 cod. proc. pen. è dettata soltanto per il giudizio di primo grado e perché l’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, di cui all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non ammette pronunce de plano, atteso che il richiamo di tale norma ad «ogni stato e grado del processo» presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio, e dunque un giudizio in senso tecnico, ossia il dibattimento di primo grado, il processo di appello o il processo di cassazione. Solo in tali ambiti si realizza, infatti, la piena dialettica processuale fra le parti e il giudice dispone di tutti gli elementi per la scelta della formula assolutoria più favorevole per l’imputato.

La prima conclusione raggiunta dalle Sezioni unite penali è che la sentenza predibattimentale di appello di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione, emessa de plano, senza la preventiva interlocuzione delle parti processuali, è viziata da nullità assoluta e insanabile, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lettere b) e c), e 179, comma 1, cod. proc. pen., in quanto concreta la «massima violazione del contraddittorio», rappresentando quest’ultimo garanzia di valore costituzionale e «postulato indefettibile di ogni pronuncia terminativa del processo».

La sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017 ha affrontato poi il problema della pregiudizialità della declaratoria di estinzione del reato rispetto ad una siffatta causa di nullità, ribadendo che il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancito dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., impone nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, di dare prevalenza alla prima, salvo che l’operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservate al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio.

Le questioni concernenti le nullità processuali assolute e insanabili, ad avviso delle Sezioni unite penali, possono, dunque, assumere carattere pregiudiziale rispetto alla causa estintiva solo allorché questa non emerga ictu oculi dalla mera ricognizione allo stato degli atti, ma presupponga un accertamento di fatto.

Le finalità perseguite dall’istituto previsto dall’art. 129 cod. proc. pen., che opera con carattere di pregiudizialità nel corso dell’intero iter processuale, impedendo qualsiasi ulteriore superflua attività, sarebbero, peraltro, bilanciate con l’eventuale interesse dell’imputato a proseguire il giudizio, in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, ove questi rinunci alla prescrizione, acquisendo altresì pari rilievo la sollecita definizione del processo, che trova fondamento nella previsione di cui all’art. 111, secondo comma, Cost.

La sentenza n. 28954 del 2017 ha così ribadito che solo un interesse concreto dell’imputato alla rinnovazione del giudizio di merito, viziato da nullità assoluta per violazione del contraddittorio, può giustificare la declaratoria di nullità e l’annullamento del provvedimento impugnato. Non di meno, la Corte di cassazione può pronunciare, anche d’ufficio, la formula di merito di cui al comma 2 dell’art. 129 cod. proc. pen., rispetto a quella di estinzione del reato applicata dal giudice di primo o di secondo grado, secondo lo schema decisorio dell’annullamento senza rinvio ex art. 620, comma 1, lettera l), cod. proc. pen., sempre che l’evidenza della prova risulti dalla motivazione della sentenza impugnata e dagli atti del processo, specificamente indicati nei motivi di gravame, di modo che la valutazione richiesta alla Cassazione si limiti ad una “constatazione”, piuttosto che ad un “apprezzamento” (secondo un principio affermato dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite penali, 28 maggio-15 settembre 2009, n. 35490).

7.– Il bilanciamento tra l’interesse dell’imputato ad impugnare per la mancata valutazione di cause di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., la sentenza predibattimentale d’appello, che abbia dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione senza alcun contraddittorio, e il principio di ragionevole durata del processo, come operato dalla interpretazione radicata nella giurisprudenza di legittimità non condivisa dal rimettente, non appare rispettoso dell’art. 24, secondo comma, e dell’art. 111, secondo comma, Cost., stando all’elaborazione costituzionale del diritto di difesa e della garanzia del contraddittorio.

7.1.– Questa Corte ha più volte affermato, anche di recente, che la nozione di “ragionevole” durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici – e tra loro confliggenti – interessi pubblici e privati coinvolti dal processo medesimo, in maniera da coniugare l’obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell’accertamento del fatto e dell’eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l’esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Sicché una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. può essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli quindi privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2020, n. 124 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 159 del 2014).

È ben vero che, in una recentissima pronuncia, questa Corte ha avuto modo di affermare, con riferimento ad una particolare disciplina del giudizio di sorveglianza, relativa a un modulo procedimentale a contraddittorio differito, che istituti i quali assicurano una sollecita definizione del contenzioso costituiscono attuazione di un preciso vincolo costituzionale, poiché «[l]a ragionevole durata è un connotato identitario della giustizia del processo» (sentenza n. 74 del 2022).

Tuttavia, non può non rilevarsi che una cosa è la disciplina di un procedimento nel quale, sia pure in forma differita, è pur sempre assicurato il contraddittorio; altra cosa è l’assunzione di una decisione con una forma non prevista per il giudizio di appello, senza alcuna possibilità di recuperare il contraddittorio e avverso la quale l’unico rimedio esperibile è il ricorso per cassazione. Del resto, nella medesima pronuncia si è ribadito che il legislatore, nel perseguire il doveroso obiettivo di accelerare la definizione dei procedimenti, deve compiere «un bilanciamento costituzionalmente sostenibile – tutto interno alla logica degli artt. 24 e 111 Cost. – tra tale obiettivo e la salvaguardia delle altre componenti del giusto processo e dello stesso diritto di difesa».

Giova allora ricordare che la sentenza n. 317 del 2009 ha già precisato che il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato proprio dall’art. 111 Cost. In tale sentenza si è, quindi, affermato che «[u]na diversa soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all’interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una piena tutela del principio del contraddittorio e dall’altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti. Un processo non “giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall’art. 24, secondo comma, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell’effetto espansivo dell’art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo».

I principi dettati sia dall’art. 111, secondo comma, Cost., sia dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, delineano, così, la ragionevole durata come canone oggettivo di efficienza dell’amministrazione della giustizia e come diritto delle parti, comunque correlati ad un processo che si svolge in contraddittorio davanti ad un giudice imparziale.

7.2.– L’interesse ad impugnare per conseguire la declaratoria di nullità di una sentenza di appello di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione emessa de plano, senza alcuna attivazione del contraddittorio tra le parti, e dunque al di fuori di un «giusto processo» ex art. 111 Cost., non è, pertanto, bilanciabile con le esigenze di ragionevole durata sottese all’operatività della disciplina della immediata declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. Tanto meno il conclamato sacrificio del contraddittorio e del diritto di difesa può giustificarsi, nella prospettiva dell’utilità concreta dell’impugnazione, in base ad una prognosi di superfluità del dispiegamento di ulteriori attività processuali in sede di rinvio, volte a pervenire al proscioglimento con formula di merito. Invero, questa Corte ha già da tempo sottolineato l’essenzialità che riveste il contraddittorio, anche ai fini dell’accertamento della causa estintiva del reato (sentenza n. 91 del 1992), nonché la rilevanza dell’interesse dell’imputato prosciolto per estinzione del reato a sottoporre la mancata applicazione delle formule più ampiamente liberatorie alla verifica di un giudice di merito, piuttosto che alla Corte di cassazione (sentenza n. 249 del 1989, relativa alla disciplina del previgente codice di procedura penale).

7.3.– Coerente con tali principi, del resto, è l’art. 469 cod. proc. pen., che, nel consentire al giudice di primo grado la possibilità di definire il giudizio con sentenza adottata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. e salva l’applicabilità del comma 2 di tale articolo, prevede che detta sentenza sia adottata «sentiti il pubblico ministero e l’imputato e se questi non si oppongono», sicché l’istituto, pur perseguendo la finalità deflattiva di evitare i dibattimenti superflui, comunque non priva le parti del diritto all’ascolto delle loro ragioni.

Occorre inoltre sottolineare che la sostanziale soppressione di un grado di giudizio, conseguente alla forma predibattimentale della sentenza di appello, non soltanto non trova fondamento nel codice di rito, ma, essendo adottata in assenza di contraddittorio, limita l’emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito e, di fatto, comprime la stessa facoltà dell’imputato di rinunciare alla prescrizione, in maniera non più recuperabile nel giudizio di legittimità, la cui cognizione è fisiologicamente più limitata rispetto a quella del giudice di merito.

8.– Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

8.1.– Resta assorbita l’ulteriore censura sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 568, comma 4, del codice di procedura penale, in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2022.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA