Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso, notificato il 28 luglio 2020, depositato il successivo 31 luglio (reg. ric. n. 64 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 2, 52, 61, 62 e 79 della legge della Regione Piemonte 29 maggio 2020, n. 13 (Interventi di sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l’emergenza da Covid-19), in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 97, 117, secondo comma, lettere e), m), e s), terzo comma, e 120 della Costituzione.
1.1.– È, anzitutto, impugnato l’art. 23, comma 2, della citata legge reg. Piemonte n. 13 del 2020, nella parte in cui prevede che la Regione adotti misure straordinarie, comprensive della concessione di contributi, a favore dei consorzi e delle società consortili di cui alla legge della Regione Piemonte 11 luglio 2016, n. 14 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione dell’attività di promozione, accoglienza e informazione turistica in Piemonte), in vista della «realizzazione di campagne promozionali per il rilancio turistico della regione e il riavvio economico dell’intera filiera del comparto».
Tale previsione – la cui attuazione è demandata alla Giunta regionale, chiamata a definire in dettaglio i criteri e le procedure per l’individuazione delle misure di sostegno (comma 3) – pur configurando aiuti di Stato, sarebbe lesiva della competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza, là dove non subordina l’erogazione dei contributi in favore delle citate società all’osservanza delle prescrizioni poste dal legislatore statale sia in ordine all’adempimento degli specifici oneri procedimentali di cui all’art. 45, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), sia, in caso di crisi di impresa, al rispetto dei requisiti e delle condizioni di cui all’art. 14 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).
1.2.– È, inoltre, impugnato l’art. 52 della medesima legge reg. Piemonte n. 13 del 2020, là dove dispone la sospensione – dal 29 maggio 2020 al 31 gennaio 2021 – della presentazione delle domande per il rilascio di autorizzazioni per una nuova apertura di centri, per il trasferimento di sede, per l’ampliamento di superficie delle grandi strutture di vendita, di cui all’art. 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Una simile previsione ostacolerebbe la libera concorrenza degli operatori economici della grande distribuzione che operino all’interno della Regione Piemonte, costretti all’inattività, rispetto a quelli che operino in altre Regioni, ed eleverebbe una barriera all’ingresso dei nuovi esercenti rispetto a quelli già operanti sul territorio regionale. In tal modo, essa interferirebbe illegittimamente con la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ponendosi in contrasto con l’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, secondo cui la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio nazionale «senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura» può essere ristretta solo nei casi in cui sussistano esigenze connesse alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali, che, nella specie, non sussisterebbero.
La disposizione regionale impugnata, inoltre, introdurrebbe, nell’ambito della Regione Piemonte e per i soli operatori economici della grande distribuzione, una deroga in peius alle garanzie procedimentali previste a livello statale, dall’art. 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), per l’avvio e l’esercizio delle attività economiche in esame, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 61 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020, là dove dispone la riduzione di una serie di termini inerenti all’attività della seconda conferenza di copianificazione e valutazione, chiamata ad approvare la proposta tecnica del progetto definitivo relativo a varianti strutturali o generali al piano regolatore generale comunale (PRG).
Secondo la difesa statale, tale disposizione, incidendo sulla disciplina dei termini e quindi sulle modalità operative della seconda conferenza di copianificazione e valutazione – senza alcun coinvolgimento dell’amministrazione statale, previsto dall’art. 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nonché dall’art. 4 dell’accordo stipulato fra la Regione e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBAC) il 14 marzo 2017 per l’approvazione del piano paesaggistico regionale del Piemonte – avrebbe violato l’impegno di disciplinare congiuntamente con il MiBAC le modalità di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale (PPR), nonché le modalità per la verifica della coerenza delle varianti, in contrasto con il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Essa, stabilendo unilateralmente una significativa riduzione dei termini procedimentali relativi allo svolgimento dell’attività della seconda conferenza di pianificazione, in contrasto con quanto stabilito dal legislatore statale, e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., avrebbe determinato una riduzione dei livelli di tutela dei valori ambientali e paesaggistici, di cui all’art. 9 Cost., non consentendo agli uffici amministrativi del Ministero di svolgere un’istruttoria adeguata alla delicatezza dei medesimi valori, in violazione anche dei princìpi di proporzionalità, ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
1.4.– È, altresì, impugnato l’art. 62 della citata legge reg. Piemonte n. 13 del 2020 che, incidendo sui requisiti inerenti all’individuazione delle varianti parziali, innalza le percentuali di incremento delle superfici territoriali e degli indici di edificabilità consentite dal PRG vigente, relative ad attività produttive, direzionali, commerciali e turistico-ricettive, in tal modo “declassando” a varianti parziali interventi che, sulla base della disciplina previgente, sarebbero stati configurati – secondo la difesa statale – come varianti generali. In tal modo, la citata disposizione regionale, riducendo unilateralmente l’ambito oggettivo delle varianti generali – per cui si impone l’adeguamento dell’intero strumento urbanistico al PPR, nonché la sottoposizione a valutazione di impatto ambientale (VAS) – e ampliando di riflesso quello delle varianti parziali, sottrarrebbe una serie di interventi al necessario processo di conformazione dell’intero strumento urbanistico comunale al PPR, a cui deve partecipare il MiBAC in base all’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 (d’ora in avanti anche: cod. beni culturali) e all’art. 4 del citato accordo del 14 marzo 2017, in violazione del principio di leale collaborazione e della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente, con conseguente riduzione dei livelli di tutela dei valori paesaggistico-ambientali di cui all’art. 9 Cost.
1.5.– È, infine, impugnato l’art. 79 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020, là dove, inserendo l’art. 8-bis nella legge della Regione Piemonte 8 luglio 1999, n. 19 (Norme in materia di edilizia e modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 «Tutela ed uso del suolo»), prevede che il Comune – al dichiarato fine di recuperare e valorizzare immobili dismessi o in via di dismissione, nonché per favorire lo sviluppo di iniziative economiche, sociali e culturali oppure per agevolare interventi di rigenerazione urbana – possa consentire l’utilizzazione temporanea di immobili, pubblici o privati, o parti di essi, per usi diversi da quelli consentiti, sulla base di apposita convenzione.
Tale disposizione, là dove ammette anche usi temporanei volti a dare luogo a mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, avrebbe introdotto un nuovo tipo di intervento edilizio, attuabile, anche in deroga agli strumenti urbanistici, secondo modalità interamente lasciate all’autonomia negoziale delle parti, in contrasto con i princìpi fondamentali della materia del governo del territorio, contenuti negli artt. 3, 6 e 23-ter del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)».
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte che, nell’atto di costituzione e nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto gli artt. 23, comma 2, e 52, la sopravvenuta carenza di interesse o la non fondatezza con riguardo alle questioni di cui all’art. 79, nonché la non fondatezza delle questioni relative agli artt. 61 e 62 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020.
2.1.– La resistente, anzitutto, rileva che, con l’art. 8 della legge della Regione Piemonte 1° ottobre 2020, n. 22, recante «Modifiche alla legge regionale 15 maggio 2020, n. 12 (Primi interventi di sostegno per contrastare l’emergenza da Covid-19) e alla legge regionale 29 maggio 2020, n. 13 (Interventi di sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l’emergenza da Covid-19)», è stata disposta l’abrogazione dell’impugnato art. 23, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020. La Regione osserva che, nel breve periodo di vigenza, la norma regionale impugnata non risulta essere stata applicata. Pertanto, tenuto conto della natura satisfattiva dell’intervenuta abrogazione, chiede che venga adottata una pronuncia di cessazione della materia del contendere.
Analoga richiesta è rivolta anche con riguardo alle questioni promosse nei confronti dell’art. 52 della medesima legge regionale n. 13 del 2020, in quanto tale disposizione ha frattanto cessato di produrre i suoi effetti e, comunque, nel breve periodo di vigenza (dal 29 maggio 2020 al 31 gennaio 2021), non avrebbe trovato alcuna applicazione.
Con riguardo all’impugnato art. 79, la Regione rileva che, a seguito della proposizione del ricorso, tale disposizione è divenuta compatibile con il dettato costituzionale per effetto del sopravvenuto mutamento del parametro interposto, di cui al d.P.R. n. 380 del 2001. Infatti, con il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, è stato introdotto, dall’art. 10, comma 1, lettera m-bis), nel d.P.R. n. 380 del 2001, l’art. 23-quater, che ha disciplinato gli usi temporanei degli edifici esistenti, in armonia con la norma piemontese impugnata. Tenuto conto che la norma regionale impugnata non avrebbe spiegato alcun effetto nel periodo di vigenza del precedente parametro interposto – come attestato nella nota della Direzione regionale ambiente, energia e territorio del 1° marzo 2021 – la Regione chiede che la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 79 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020 venga dichiarata non fondata o, comunque, inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del Governo, alla luce del sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento.
2.2.– Le questioni promosse nei confronti degli artt. 61 e 62 della citata legge reg. n. 13 del 2020 sarebbero prive di fondamento.
Quanto all’art. 61, la resistente sottolinea che la norma in oggetto si prefigge l’obiettivo di consentire, nelle more della revisione sistematica della normativa urbanistica ed edilizia regionale, la massima semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi e la riduzione di oneri e adempimenti in materia di urbanistica ed edilizia, al fine di sostenere e agevolare il rilancio del comparto economico dell’edilizia. Essa, in ogni caso, non comprometterebbe in alcun modo il coinvolgimento degli organi statali nell’ambito dei procedimenti che prevedono la partecipazione del MiBAC, né ne delimiterebbe l’apporto partecipativo. Pertanto le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri sarebbero non fondate.
Anche l’art. 62, là dove dispone un limitato ampliamento delle casistiche ammissibili per l’adozione delle varianti parziali, inerenti esclusivamente alle destinazioni d’uso produttive, direzionali, commerciali o turistico-ricettive e finalizzate a incentivare l’ampliamento e la riorganizzazione di attività esistenti e insediate in aree urbanisticamente “proprie” da almeno tre anni, non si porrebbe in contrasto né con le norme di attuazione del PPR, che all’art. 46 prescrivono solo una valutazione di coerenza con il medesimo PPR limitata alla porzione di territorio interessata dalla variante, in presenza di interventi specifici, né con l’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e con l’art. 4 dell’accordo siglato il 14 marzo 2017 fra la Regione Piemonte e il MiBAC, che, al fine di fornire più adeguata tutela dei valori ambientali e paesaggistici, prescrivono che sia assicurata la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica. La Regione ricorda che l’art. 11 del regolamento n. 4/R/2019, recante «Attuazione del Piano paesaggistico regionale del Piemonte (Ppr), ai sensi dell’articolo 8-bis comma 7 della legge regionale 5 dicembre 1977 n. 56 (Tutela e uso del suolo) e dell’articolo 46, comma 10, delle norme di attuazione del Ppr», al comma 8, prescrive che il MiBAC sia obbligatoriamente consultato per le altre tipologie di varianti, diverse da quelle generali, ove esse ricadano su un’area o un immobile sottoposto a tutela paesaggistica a norma dell’art. 134 cod. beni culturali. L’obbligatorio coinvolgimento del MiBAC previsto dalla disposizione in questione escluderebbe non solo la dedotta violazione del principio di leale collaborazione, ma anche qualsivoglia riduzione o compromissione dei livelli di tutela dei valori ambientali e paesaggistici connessi alla mancata partecipazione degli organi statali.
3.– Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base della delibera del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2021, ha rinunciato al ricorso in relazione alle questioni promosse nei confronti degli artt. 23, comma 2, e 79 della citata legge reg. Piemonte n. 13 del 2020. Tale rinuncia parziale è stata accettata dalla Regione con delibera della Giunta regionale del 7 maggio 2021.
4.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato (reg. ric. n. 64 del 2020) gli artt. 23, comma 2, 52, 61, 62 e 79 della legge della Regione Piemonte 29 maggio 2020, n. 13 (Interventi di sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l’emergenza da Covid-19), in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 97, 117, secondo comma, lettere e), m), ed s), e terzo comma, e 120 della Costituzione.
Considerato che le citate disposizioni incidono su ambiti diversi e che, di conseguenza, sono impugnate sotto profili differenti, occorre procedere separatamente all’esame delle relative questioni.
2.– In via preliminare, si deve rilevare che, nelle more del giudizio, l’art. 23, comma 2, della legge regionale n. 13 del 2020 è stato abrogato dall’art. 8 della legge della Regione Piemonte 1° ottobre 2020, n. 22, recante «Modifiche alla legge regionale 15 maggio 2020, n. 12 (Primi interventi di sostegno per contrastare l’emergenza da Covid-19) e alla legge regionale 29 maggio 2020, n. 13 (Interventi di sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l'emergenza da Covid-19)».
Con riguardo, poi, alla censura promossa nei confronti dell’art. 79 della medesima legge regionale n. 13 del 2020, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., si deve sottolineare che il sopravvenuto mutamento della normativa statale invocata come normativa interposta, per effetto dell’introduzione dell’art. 23-quater del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», ha prodotto un sostanziale riallineamento della normativa regionale impugnata alle indicazioni del legislatore statale.
Tali sopravvenienze normative hanno indotto il Consiglio dei ministri a deliberare, in data 29 aprile 2021, la rinuncia al presente ricorso, limitatamente all’impugnazione delle citate norme regionali.
La rinuncia parziale è stata accettata dalla Regione Piemonte e, di conseguenza, il processo va dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, limitatamente alle questioni inerenti agli artt. 23, comma 2, e 79 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020 (tra le tante, sentenze n. 104 e n. 72 del 2021).
3.– Ancora in linea preliminare, occorre esaminare la richiesta della resistente di dichiarare la cessazione della materia del contendere con riguardo alle questioni aventi a oggetto l’art. 52 della citata legge regionale n. 13 del 2020.
Tale norma è impugnata perché ha disposto la sospensione, dal 29 maggio 2020 al 31 gennaio 2021, della possibilità di presentare istanze per l’apertura, nonché per il trasferimento di sede e per l’ampliamento di superficie di grandi strutture di vendita. La Regione, tenuto conto che la norma ha cessato di produrre i suoi effetti, poiché è spirato il termine ultimo della sospensione ivi prevista, ritiene che sussistano i presupposti perché venga dichiarata cessata la materia del contendere, assumendo che essa, nel breve periodo di vigenza, non abbia avuto applicazione.
3.1.–Tale richiesta non può essere accolta.
In linea con il costante orientamento di questa Corte, la cessazione della materia del contendere, a seguito di una modifica o dell’abrogazione delle norme impugnate, può dichiararsi solo quando si verifichino, nel contempo, entrambe le seguenti condizioni e cioè «il carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e il fatto che la disposizione censurata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 200, n. 70 e n. 25 del 2020; n. 287 e n. 56 del 2019) (sentenza n. 7 del 2021)» (sentenza n. 82 del 2021).
Nella specie, al carattere satisfattivo della cessazione di efficacia della norma regionale impugnata, connessa non all’abrogazione, ma allo spirare del termine previsto per la sospensione ivi disposta, non si accompagna la condizione della sua mancata applicazione. La generica dichiarazione della difesa regionale, secondo cui la norma in esame non avrebbe avuto applicazione nel periodo della prevista sospensione delle istanze, non è sostenuta da alcun elemento, anche considerato che essa non richiedeva l’adozione di ulteriori atti per essere efficace.
4.– Si deve, dunque, passare all’esame del merito delle questioni promosse nei confronti del citato art. 52.
Quest’ultimo è impugnato in quanto, come si è anticipato, ha disposto la sospensione – dal 29 maggio 2020 al 31 gennaio 2021 – della presentazione delle domande per il rilascio di autorizzazioni «per una nuova apertura di centri, trasferimento di sede, ampliamento di superficie degli esercizi di vendita, di cui all’art. 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59)», e cioè delle grandi strutture di vendita.
Secondo il ricorrente, la norma regionale impugnata avrebbe una chiara valenza anticoncorrenziale a danno di quei titolari di grandi strutture di vendita che aspirino a iniziare una nuova attività commerciale (o a trasferire la sede o anche ad ampliare la superficie degli esercizi) nella Regione, rispetto a coloro che già operino sul territorio regionale o anche a coloro che operino in altri territori regionali. E ciò in contrasto con il principio di liberalizzazione delle attività commerciali affermato dal legislatore statale all’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, secondo cui eventuali limitazioni alla citata attività possono essere stabilite solo per ragioni di protezione dei lavoratori, della salute, dell’ambiente o dei beni culturali, che, nella specie, non sussisterebbero. E con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
La medesima norma regionale sarebbe, inoltre, lesiva della competenza statale esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto introdurrebbe, nell’ambito della Regione Piemonte e per i soli operatori economici della grande distribuzione, una deroga in peius alle garanzie procedimentali previste, a livello statale, dall’art. 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), per l’avvio e l’esercizio delle attività economiche in esame.
4.1.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. è fondata.
4.1.1.– A partire dal d.lgs. n. 114 del 1998, l’intero settore del commercio è stato segnato da svariati interventi di riforma, volti a «rimuovere vincoli e privilegi, realizzando una maggiore eguaglianza di opportunità per tutti gli operatori economici» (sentenza n. 430 del 2007), e a «favorire l’apertura del mercato alla concorrenza» (sentenza n. 64 del 2007).
In questo itinerario riformatore si colloca l’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, invocato dal ricorrente a integrazione del parametro costituzionale, là dove stabilisce, al comma 2, che «costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura».
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che tale disposizione, «oltre ad attuare un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche a beneficio dei consumatori, favorisce la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore» (sentenza n. 98 del 2017). Essa, pertanto, in quanto detta misure volte a «“garantire l’assetto concorrenziale del mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale” (sentenza n. 104 del 2014, che riprende le sentenze n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012)» (ancora sentenza n. 98 del 2017), deve essere ricondotta all’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. in materia di «tutela della concorrenza». Quest’ultima costituisce limite anche alla competenza regionale residuale in materia di commercio (sentenza n. 239 del 2016).
A causa della violazione di tale limite questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittime diverse norme adottate dai legislatori regionali che ponevano vincoli al libero esplicarsi dell’attività imprenditoriale nel settore commerciale (sentenza n. 299 del 2012), come quelle che avevano introdotto aggravamenti procedurali, a carico solo di alcuni operatori del settore (in specie, dei titolari di grandi strutture di vendita), in ordine al rilascio delle autorizzazioni necessarie all’apertura dell’esercizio o al trasferimento della sede o all’ampliamento della superficie (sentenza n. 165 del 2014).
A tali previsioni è assimilabile la norma regionale impugnata.
L’art. 52 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020, infatti, nell’impedire per otto mesi la presentazione di istanze per aprire, ampliare o trasferire una grande struttura di vendita, ha posto in essere un ostacolo effettivo alla libera concorrenza nella Regione Piemonte, sotto il duplice profilo interregionale e intra-regionale. Da un lato, gli operatori che avessero inteso svolgere liberamente l’attività commerciale nel territorio della Regione si sono trovati nell’impossibilità di farlo (e cioè di trasferire la sede, di ampliare la superficie di vendita o addirittura di aprire), rispetto agli operatori economici di altre Regioni, anche limitrofe. Dall’altro, all’interno della stessa Regione, agli aspiranti nuovi esercenti è stata opposta una barriera all’entrata che ha impedito loro di competere con chi già svolgeva l’attività commerciale. La norma regionale in esame, pertanto, contraddice i princìpi di liberalizzazione stabiliti dall’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011 e, in tal modo, vìola la sfera di competenza statale in materia di tutela della concorrenza.
4.2.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. è assorbita.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, inoltre, impugnato l’art. 61 della citata legge reg. Piemonte n. 13 del 2020, che stabilisce la riduzione di una serie di termini inerenti all’attività della seconda conferenza di copianificazione e valutazione, chiamata ad approvare la proposta tecnica del progetto definitivo relativo a varianti strutturali o generali al piano regolatore generale comunale (PRG).
Secondo il ricorrente, tale unilaterale e significativa riduzione di termini inerenti al procedimento di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale (PPR) è stata disposta in violazione del principio di leale collaborazione e, in specie, dell’impegno di disciplinare congiuntamente con il Ministero dei beni e delle attività culturali (MiBAC) le modalità di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale, nonché le modalità per la verifica della coerenza delle varianti, previsto dall’art. 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nonché dall’art. 4 dell’accordo stipulato tra il MiBAC e la Regione Piemonte il 14 marzo 2017 per l’approvazione del piano paesaggistico regionale del Piemonte. La norma regionale sarebbe in contrasto con quanto stabilito dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, in quanto non consentirebbe agli uffici amministrativi del Ministero – così come richiesto dall’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 (d’ora in avanti anche: cod. beni culturali) – di svolgere un’istruttoria adeguata alla delicatezza dei valori in gioco, con conseguente riduzione dei livelli di tutela degli interessi ambientali e paesaggistici e violazione dei princìpi di proporzionalità, ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione.
5.1.– La questione non è fondata per alcuno dei richiamati profili.
5.1.1.– La norma regionale impugnata incide sulla disciplina del procedimento di «[f]ormazione e approvazione del piano regolatore generale comunale e delle sue varianti generali e strutturali» dettata dall’art. 15 della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo).
Tale disciplina rientra nella competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio. Essa delinea un procedimento complesso e articolato, in linea con i princìpi stabiliti dal legislatore statale agli articoli da 7 a 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), oltre che nei provvedimenti legislativi che, a partire dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n 8 (Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici), hanno disposto il trasferimento alle Regioni della competenza in materia di urbanistica.
Nel procedimento regolato dal citato art. 15, la proposta tecnica del progetto preliminare di piano definita dal Comune, resa pubblica al fine di consentire a chiunque di presentare osservazioni e proposte (art. 15, comma 4), è sottoposta alla valutazione della prima conferenza di copianificazione e valutazione, i cui membri titolari del diritto di voto sono costituiti da un rappresentante, rispettivamente, del Comune, della Provincia, della Città metropolitana, ove istituita, e della Regione (art. 15-bis, comma 2). Essa è chiamata a esprimersi entro novanta giorni dalla prima seduta (inteso, a seguito della modifica introdotta dalla norma impugnata, quale termine massimo anche nel caso di approvazione di una variante generale, per cui in precedenza l’art. 11, comma 4, del regolamento regionale n. 1/2017, recante «Disciplina della conferenza di copianificazione e valutazione prevista dall’articolo 15-bis della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 e del ruolo e delle funzioni del rappresentante regionale», prevedeva centoventi giorni), formulando osservazioni e contributi (art. 15, comma 6).
Sulla base di questi ultimi – e delle eventuali ulteriori osservazioni e proposte formulate da chiunque nel pubblico interesse (art. 15, comma 9) – il Comune giunge alla formulazione della proposta tecnica del progetto definitivo del piano e convoca la seconda conferenza di copianificazione e valutazione; quest’ultima si deve esprimere entro un termine che, prima dell’entrata in vigore della norma impugnata, era di centoventi giorni dalla prima seduta, mentre ora è di novanta giorni e ha per oggetto l’analisi di tutti gli elaborati (art. 15, comma 11). È previsto, inoltre, che, ove vi sia il consenso unanime dei soggetti partecipanti aventi diritto di voto, il termine sia della prima che della seconda conferenza di copianificazione e valutazione possa essere prorogato per non più di trenta giorni. Per la seconda conferenza, prima della modifica apportata dalla norma impugnata, era invece possibile disporre una proroga per non più di sessanta giorni.
All’esito di tale procedimento, il citato art. 15 dispone che «[l]o strumento urbanistico è approvato con deliberazione del consiglio, che si esprime sulle osservazioni e proposte di cui al comma 9 e che dà atto di aver recepito integralmente gli esiti della seconda conferenza di copianificazione e valutazione» (comma 14). Si stabilisce, inoltre, che, in ogni caso, «lo strumento urbanistico può essere approvato solo se adeguato a tale definitiva valutazione» (comma 14).
Questo complesso procedimento è stato più volte modificato dal legislatore piemontese, anche in vista della necessità dell’adeguamento alle indicazioni dettate dal legislatore statale in tema di pianificazione paesaggistica.
In particolare, l’art. 145 cod. beni culturali, al fine di garantire la cogenza e la prevalenza delle previsioni dei piani paesaggistici regionali sugli strumenti urbanistici (comma 1), dispone che «[i] comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale» (comma 4).
A tale scopo il medesimo art. 145, al comma 5, prescrive che la Regione, nel disciplinare il procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, nell’esercizio della sua competenza in materia di governo del territorio, assicuri «la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo».
In questa prospettiva, il procedimento delineato dall’art. 15 della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977 – che, in base all’art. 8-bis, comma 6, lettera b), della medesima legge regionale, deve essere seguito anche ai fini dell’adeguamento del PRG al PPR – ha subìto modifiche e integrazioni proprio volte a garantire la partecipazione degli organi ministeriali.
In particolare, già l’art. 15-bis della medesima legge regionale n. 56 del 1977, introdotto dall’art. 3 della legge della Regione Piemonte 12 agosto 2013, n. 17 (Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l’anno 2013), ha previsto che, in tal caso, alla conferenza di copianificazione e valutazione partecipi anche il MiBAC, con diritto di voto, e ha attribuito al suo parere carattere vincolante in merito agli aspetti riguardanti i beni paesaggistici (comma 5-bis).
Successivamente, la Regione ha stipulato, in data 14 marzo 2017, un accordo con il MiBAC finalizzato all’approvazione congiunta del PPR, in applicazione di quanto statuito dall’art. 143, comma 2, cod. beni culturali, nonché dell’art. 15 della legge n. 241 del 1990. In esso, oltre alla disciplina del procedimento di approvazione congiunta del citato PPR, all’art. 4 si è anche inserito l’impegno delle parti «a promuovere, ai sensi degli articoli 3 e 46 delle Norme di Attuazione del PPR, l’adeguamento alle previsioni dello stesso, da parte dei Comuni, della Città Metropolitana, delle Province e degli Enti gestori delle Aree naturali protette dei relativi strumenti di pianificazione entro ventiquattro mesi dalla data della sua approvazione, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo». E ciò «nel rispetto delle disposizioni del Titolo II (Pianificazione territoriale e paesaggistica) e del Titolo III (Pianificazione urbanistica) della l.r. n. 56 del 1977».
In puntuale applicazione di tali previsioni se, da un lato, si è portata a compimento l’elaborazione congiunta del PPR, dall’altro, sono state introdotte ulteriori norme regionali volte a rafforzare la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici al PPR. In particolare, il regolamento regionale del 22 marzo 2019 (n. 4/R), recante «Attuazione del Piano paesaggistico regionale del Piemonte (Ppr), ai sensi dell’articolo 8-bis comma 7 della legge regionale 5 dicembre 1977 n. 56 (Tutela e uso del suolo) e dell’articolo 46, comma 10, delle norme di attuazione del Ppr», ha dato vita a un Tavolo tecnico (art. 2, comma 6) costituito dalla Regione (Settori copianificazione urbanistica e territorio e paesaggio della Direzione ambiente, governo e tutela del territorio) e dal MiBAC (Segretariato e Soprintendenza), di cui ha previsto l’eventuale attivazione, nel caso di procedimento di approvazione della variante di adeguamento del PRG al PPR, sia nel periodo che intercorre tra la prima e la seconda seduta della prima conferenza di copianificazione, ai fini dello svolgimento dell’istruttoria della variante, sia nell’ambito della seconda conferenza di copianificazione (art. 10, comma 10).
5.1.2.– Questa Corte ha ripetutamente affermato che il vincolo che si impone al legislatore regionale, sulla base dell’art. 145 cod. beni culturali e del paesaggio, è solo quello che quest’ultimo, nel dettare la propria disciplina di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR, nell’esercizio della propria competenza concorrente in materia di governo del territorio, preveda adeguate forme di partecipazione degli organi ministeriali a tale procedimento (sentenze n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014). Ciò al fine di consentire un’istruttoria in cui le esigenze della pianificazione territoriale, oggetto degli strumenti urbanistici assegnati alla competenza della Regione e degli enti locali, siano soddisfatte in armonia con la prevalente tutela degli interessi paesaggistici e ambientali coinvolti, affidata agli organi statali. Il coinvolgimento di questi ultimi, pertanto, è prescritto dalla normativa statale proprio in vista dell’obiettivo di assicurare un adeguato standard di tutela dell’ambiente.
Nella specie, la norma regionale impugnata, là dove riduce alcuni dei termini già previsti dalla legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, nell’ambito del procedimento di adeguamento del PRG al PPR, costituisce espressione della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio e non contrasta con la normativa statale e con le esigenze di protezione dei valori paesaggistici e ambientali da essa garantite.
Nel complesso e articolato procedimento di adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, la limitata riduzione dei termini prevista dalla norma impugnata non è tale da compromettere il coinvolgimento degli organi ministeriali.
Tale coinvolgimento è, infatti, assicurato – come si è ricordato – non solo in una molteplicità di sedi (prima e seconda conferenza di copianificazione e valutazione; tavolo tecnico) e in tutte le fasi delle stesse, ma anche dal particolare rilievo assegnato alla valutazione ivi espressa dal MiBAC, il cui parere è vincolante.
Anche a seguito delle modifiche introdotte dalla norma impugnata, la partecipazione prescritta dall’art. 145, comma 5, cod. beni culturali e dall’art. 4 dell’accordo, continua, in definitiva, a essere assicurata (sentenza n. 74 del 2021), nel rispetto delle indicazioni del legislatore statale e del principio di leale collaborazione, suggellato dal citato accordo, e in linea con le esigenze di un’adeguata ponderazione e tutela dei valori paesaggistico-ambientali.
6.– È, infine, impugnato l’art. 62 della citata legge reg. Piemonte n. 13 del 2020 che, incidendo sui requisiti inerenti all’individuazione delle varianti parziali al PRG, innalza le percentuali di incremento delle superfici territoriali e degli indici di edificabilità consentite dal piano vigente, relative ad attività produttive, direzionali, commerciali e turistico-ricettive. Secondo il ricorrente, in tal modo, il legislatore regionale avrebbe declassato a varianti parziali interventi che, sulla base della disciplina previgente, si sarebbero dovute considerare varianti generali, per cui si impone l’adeguamento dell’intero strumento urbanistico al PPR, nonché la sottoposizione a VAS.
Tale modifica avrebbe sottratto unilateralmente una serie di interventi al necessario processo di conformazione dell’intero strumento urbanistico comunale al PPR, a cui deve partecipare il MiBAC in base all’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e all’art. 4 del citato accordo del 14 marzo 2017, in violazione del principio di leale collaborazione posto a base dell’accordo e prescritto dal legislatore statale, così determinando una lesione della competenza di quest’ultimo in materia di tutela dell’ambiente, con conseguente riduzione dei livelli di tutela dei valori paesaggistico-ambientali di cui all’art. 9 Cost.
6.1.– Le questioni non sono fondate.
6.1.1.– Come si è anticipato al punto 5.1.1, la disciplina del procedimento di approvazione del PRG comunale e delle sue varianti, proprio perché inerente a uno dei principali strumenti urbanistici, costituisce espressione della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
Il legislatore, con la legge reg. Piemonte n. 56 del 1977 e le sue successive modifiche, ha esercitato tale competenza, dettando, fra l’altro, la specifica regolamentazione delle varianti al già citato piano generale. Ha inoltre individuato, entro il perimetro dei princìpi fondamentali fissati dal legislatore statale, in specie dall’art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e dalle successive modifiche, varianti generali, strutturali e parziali (art. 17 della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977). Quanto a queste ultime – corrispondenti a quelle che, nel linguaggio del legislatore statale, «non comportino sostanziali innovazioni, tali cioè da mutare le caratteristiche essenziali del piano stesso ed i criteri di impostazione, strutturali e parziali» (art. 10, comma 1, della legge n. 1150 del 1942) – il citato art. 17 della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, ha precisato che esse non devono modificare l’impianto strutturale del PRG vigente, né incidere sulla funzionalità di infrastrutture a rilevanza sovracomunale, né sull’individuazione di aree caratterizzate da dissesto attivo, né ancora modificare la classificazione dell’idoneità geologica all’utilizzo urbanistico, né gli ambiti individuati come insediamenti storici o beni culturali o paesaggistici e le relative norme di tutela (comma 5, lettere a, b, g e h).
Per rientrare fra le varianti parziali, l’art. 17 ha stabilito, inoltre, che gli interventi non devono aumentare o ridurre la quantità globale delle aree per servizi al di là di una certa percentuale, puntualmente indicata (comma 5, lettere c e d), né incrementare la capacità insediativa residenziale (comma 5, lettera e), così come le superfici territoriali o gli indici di edificabilità previsti dal PRG vigente, relativi alle attività produttive, direzionali, commerciali, turistico-ricettive, al di sopra di percentuali modeste, pure tassativamente indicate (comma 5, lettera f).
Su quest’ultimo specifico punto è intervenuto l’impugnato art. 62 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020.
Tale disposizione ha innalzato il limite massimo consentito in termini di incremento delle superfici territoriali o degli indici di edificabilità previsti dal PRG vigente, relativi alle attività produttive, direzionali, commerciali e turistico-ricettive, rispettivamente, dal 6 all’8 per cento nei Comuni con popolazione residente fino a diecimila abitanti, dal 3 al 4 per cento nei Comuni con popolazione residente compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti, infine dal 2 al 3 per cento nei Comuni con popolazione residente superiore a ventimila abitanti. Ciò, peraltro, a condizione che l’incremento sia volto all’ampliamento e alla riorganizzazione di un’attività esistente e insediata nelle aree già destinate a tali attività e sia adeguatamente servito da opere di urbanizzazione primaria (comma 2, lettere da a a e).
In presenza di tutti i richiamati requisiti, la normativa regionale sottopone la variante parziale a una procedura di approvazione “semplificata” rispetto a quella prevista per le varianti generali (di cui all’art. 15 della medesima legge regionale n. 56 del 1977). Essa, tuttavia, ove vi siano beni paesaggistici di cui all’art. 134 cod. beni culturali, non solo implica il coinvolgimento del MiBAC, chiamato a pronunciarsi in merito alla conformità della variante al PPR, ma assegna al parere favorevole di quest’ultimo un effetto determinante ai fini della stessa approvazione della variante (art. 17, comma 7 della medesima legge regionale n. 56 del 1977).
6.1.2.– La citata disciplina svela la non fondatezza delle censure del ricorrente, basate sull’assunto secondo cui la modifica apportata dall’impugnato art. 62 della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020 avrebbe determinato la violazione dell’obbligo di assicurare la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR, prescritto dal legislatore statale nell’art. 145, comma 5, cod. beni culturali, e del connesso impegno assunto con il richiamato accordo del 14 marzo 2017, con conseguente riduzione dello standard di tutela dei valori paesaggistico-ambientali.
Occorre premettere che la puntuale modifica alla disciplina delle varianti parziali apportata dalla norma regionale impugnata in relazione a uno dei requisiti, già individuati dal medesimo legislatore regionale, ai fini della qualificazione di un intervento come variante parziale, deve ricondursi alla competenza legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio e che, d’altra parte, non è evocata dal ricorrente alcuna violazione dei princìpi fondamentali della materia.
Non si ravvisa, peraltro, il preteso contrasto con quanto prescritto dal legislatore statale a tutela dei valori paesaggistico-ambientali, dal momento che la disciplina regionale – come si è ricordato – assicura, anche per l’approvazione delle varianti parziali, la partecipazione degli organi ministeriali.
Né, infine, si delinea la violazione dell’impegno assunto sulla base dell’accordo del 14 marzo 2017.
Infatti, nelle norme di attuazione del PPR, elaborato congiuntamente dal MiBAC e dalla Regione, in linea con tale accordo, all’art. 46, comma 9, si stabilisce che «[d]all’approvazione del PPR […] ogni variante apportata agli strumenti di pianificazione, limitatamente alle aree da essa interessate, deve essere coerente e rispettare le norme del PPR stesso». Al comma 10 si rinvia a un regolamento regionale, previa intesa con il Ministero e sentita la Commissione consiliare competente, il compito di «disciplinare le modalità di adeguamento al PPR e la sua attuazione, nonché le modalità per la verifica di coerenza delle varianti di cui al comma 9». Tale regolamento n. 4/R del 2019, nel dare attuazione al PPR, ha confermato che «[i]l MiBAC (Segretariato e Soprintendenza) partecipa alle procedure di approvazione delle altre tipologie di variante qualora le previsioni della variante ricadano su un'area o su un immobile sottoposto a tutela paesaggistica ai sensi dell’articolo 134 del Codice», in linea con quanto stabilito dall’art. 17, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, precisando che nella relazione illustrativa dedicata ai rapporti fra varianti parziali e PPR «sono richiamati gli eventuali beni paesaggistici e le componenti paesaggistiche del PPR presenti nell’area oggetto di variante e le norme del PPR interessate dalla variante stessa», e che «nella deliberazione di adozione delle varianti parziali è dichiarato espressamente il rispetto delle disposizioni cogenti e immediatamente prevalenti e di tutte le altre norme del PPR».
Tale ultima indicazione conferma che la modifica regionale introdotta, grazie anche al coinvolgimento degli organi ministeriali, che è comunque assicurato, non sottrae le varianti parziali al rigoroso rispetto delle prescrizioni del PPR, né – come invece è accaduto in altre occasioni (sentenze n. 118 del 2019 e n. 197 del 2014) – alle necessarie verifiche ambientali, stabilite dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, competenza, quest’ultima, che funge da limite a quelle regionali (sentenza n. 197 del 2014), in quanto strumentale a garantire la primaria protezione dei valori paesaggistico-ambientali. La stessa normativa regionale, infatti, assicura che le varianti parziali siano, in ogni caso, sottoposte a verifica preventiva di assoggettabilità alla VAS (art. 17, comma 8, della legge reg. Piemonte n. 13 del 2020).