Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale ordinario di Lucca, con ordinanza del 22 febbraio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83-bis, commi 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 e 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, «nel testo temporale vigente», nella parte in cui introduce una tariffa minima per i trasporti nazionali per conto terzi.
1.1.– L’art. 83-bis, commi 1, 2, 6 e 7, nel testo in vigore alla data dell’esecuzione delle prestazioni oggetto del giudizio a quo (2010 - 2011), prevedeva che, qualora il contratto di trasporto di merci su strada non fosse stipulato in forma scritta (come nel caso di specie), il corrispettivo minimo dovuto al vettore dovesse essere pari alla somma di due parametri.
Un primo parametro era dato dal prodotto del costo chilometrico medio del carburante per il numero dei chilometri percorsi. Il costo medio del carburante era calcolato sulla base di quanto determinato dall’Osservatorio sulle attività di trasporto (da ora: Osservatorio), di cui all’art. 9 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore), tenuto conto delle rilevazioni effettuate mensilmente dal Ministero dello sviluppo economico.
Un secondo parametro era pari alla quota dei costi di esercizio, diversi dal costo del carburante. Tale quota era calcolata tenendo conto sempre di quanto determinato dall’Osservatorio, a cui spettava, due volte l’anno (entro il quindicesimo giorno di giugno e di dicembre), stabilire la quota percentuale d’incidenza del costo del carburante sul totale dei costi di esercizio.
Il successivo comma 8 stabiliva che, qualora la parte del corrispettivo dovuto al vettore, diversa da quella diretta a coprire i costi di carburante, risultasse indicata in un importo inferiore a quello dei costi minimi di esercizio, il vettore poteva chiedere al committente il pagamento della differenza. L’azione, per i contratti conclusi in forma verbale, si prescriveva in cinque anni dal giorno del completamento della prestazione di trasporto.
Fino all’adozione delle determinazioni fatte dall’Osservatorio, inoltre, il comma 10 dell’art. 83-bis prevedeva una disciplina transitoria. In particolare, nel testo introdotto dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, in legge 9 aprile 2009, n. 33, spettavano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con riferimento alle diverse tipologie di veicoli e alla percorrenza chilometrica, l’elaborazione e la successiva pubblicazione delle tabelle recanti gli indici sul costo del carburante per chilometro e le relative quote d’incidenza, sulla base dei dati in suo possesso e delle rilevazioni mensili del Ministero dello sviluppo economico sul prezzo medio del gasolio per autotrazione, sentite le associazioni di categoria più rappresentative dei vettori e quelle della committenza.
Il comma 3, infine, stabiliva che le disposizioni di cui all’art. 83-bis, volte a disciplinare i meccanismi di adeguamento dei corrispettivi dovuti dal mittente per i costi del carburante sostenuti dal vettore, dovevano essere sottoposte a verifica con riferimento all’impatto sul mercato, dopo un anno dalla data della loro entrata in vigore (le disposizioni qui interessate, ai sensi del comma 11, trovavano applicazione con riferimento agli aumenti nel costo del gasolio a decorrere dal 1° gennaio 2009 o dall’ultimo adeguamento effettuato).
2.– Riferisce il giudice rimettente di essere chiamato a decidere sull’opposizione a decreto ingiuntivo presentata dalla Ondulati Giusti spa, con cui, su ricorso della G. F. M. Trasporti srl, le è stato ordinato di pagare, per i trasporti eseguiti negli anni 2010 - 2011, la somma di euro 261.906,70, oltre accessori e spese di procedura, a titolo di differenze tra i corrispettivi concordati tra le parti al momento della conclusione dei contratti di trasporto e quanto previsto come dovuto ai sensi del comma 7 dell’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008. Le parti avrebbero concluso, infatti, contratti in forma orale, concordando corrispettivi inferiori alla tariffa minima fissata dalla disposizione richiamata.
Riguardo a tale giudizio, il Tribunale ordinario di Lucca aveva già sollevato questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 83-bis, commi 1, 2, 6, 7 e 8, del d.l. n. 112 del 2008, in riferimento ai medesimi parametri qui invocati. Questione su cui questa Corte, con l’ordinanza n. 80 del 2015, si è pronunciata restituendo gli atti al giudice a quo.
In pendenza del giudizio di legittimità costituzionale, infatti, da un lato era intervenuta la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 settembre 2014, API, nelle cause riunite da C-184/3 a C-187/13, C-194/13, C-195/13 e C-208/13, ove si è affermato che l’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, in combinato disposto con l’art. 4, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, osta ad una normativa nazionale in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto non può essere inferiore a costi minimi di esercizio, determinati da un organismo composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati. Dall’altro lato, la sopravvenuta legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», all’art. 1, comma 248, aveva abrogato i commi 1, 2, 3 e da 6 a 11, integralmente sostituendo i commi da 4 a 4-sexies, dell’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008 e facendo venir meno ogni disciplina legale del corrispettivo del contratto di trasporto.
2.1.– Il Tribunale di Lucca, pertanto, ai fini di un corretto inquadramento della questione, richiama integralmente il testo dell’ordinanza di rimessione oggetto dell’ordinanza n. 80 del 2015.
2.1.1.– La ratio della disciplina censurata andrebbe ravvisata nella volontà del legislatore di garantire agli autotrasportatori, attraverso l’imposizione di un corrispettivo minimo, il recupero dei costi minimi determinati in via amministrativa, inclusi i costi di gestione riferibili alla sicurezza. In tal modo, sarebbero garantite l’efficienza dei mezzi, la capacità psico-fisica degli autisti e, dunque, la sicurezza stradale.
Più volte la giurisprudenza comunitaria avrebbe avuto modo di affermare che sono compatibili con le norme comunitarie in materia di libertà di stabilimento e di libertà di prestazioni dei servizi, di libertà di concorrenza e di trasporti, i provvedimenti legislativi e amministrativi, direttamente riferibili allo Stato membro, che, per ragioni di interesse generale, introducono tariffe minime e/o massime (si richiamano, in particolare, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, seconda sezione, del 1° ottobre 1998, Librandi, in causa C-38/97, e la sentenza della Corte di giustizia, sesta sezione, del 5 ottobre 1995, Spediporto, in causa C-96/94).
Non potrebbe ritenersi, quindi, che un sistema quale quello in esame, introdotto nell’interesse generale alla sicurezza della circolazione stradale, recante una tariffa minima non stabilita dalle organizzazioni di categoria, si ponga in contrasto con il diritto comunitario.
2.1.2.− Le disposizioni censurate, tuttavia, violerebbero l’art. 41 Cost. e ciò sotto due profili.
Da un lato, non si giustificherebbe l’introduzione di un sistema tariffario che limiti la concorrenza, prevedendo una significativa barriera all’iniziativa economica privata. La sicurezza stradale, infatti, non sarebbe garantita dall’esistenza di corrispettivi minimi, ma dal rispetto delle disposizioni del codice della strada e di quelle concernenti la sicurezza sul lavoro, rispetto che concorrerebbe a determinare, secondo leggi di mercato, il corrispettivo del servizio di autotrasporti su strada per conto terzi. Un’impresa che non copra i costi di esercizio, così come determinati anche dall’osservanza delle norme sulla sicurezza stradale, sarebbe un’impresa fuori mercato, destinata al fallimento. L’esistenza di tariffe minime, invece, non offrirebbe nessuna garanzia di rispetto delle disposizioni in questione.
Dall’altro lato, il bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica e la sicurezza stradale, operato dalle disposizioni censurate, sarebbe irragionevole, perché, a fronte di una sicura limitazione della libertà prevista dall’art. 41 Cost. e della libertà di concorrenza, non vi sarebbe certezza in ordine al risultato in termini di sicurezza stradale.
2.1.3.− Sarebbe altresì violato l’art 3 Cost., «sub specie di discriminazione a rovescio derivante dall’applicazione del diritto comunitario».
L’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008, infatti, non troverebbe applicazione riguardo ai trasporti internazionali e ai trasporti di cabotaggio, cioè ai trasporti nazionali eseguiti in occasione di un trasporto internazionale, ai sensi dell’art. 8 del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, n. 1072/2009/CE «che fissa norme comuni per l’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada». In tal modo, mentre gli autotrasportatori stabiliti in Italia sarebbero tenuti a rispettare il prezzo minimo, quest’ultimo, invece, non troverebbe applicazione ai trasporti eseguiti in regime di cabotaggio.
Vero è che il regolamento n. 1072/2009/CE introduce delle limitazioni a tale tipologia di trasporti, ma si tratterebbe di limiti poco significativi dal punto di vista quantitativo. Non a caso, lo stesso Governo italiano si sarebbe avvalso della facoltà, prevista dalle norme comunitarie, di vietare per due anni (sino al 31 dicembre 2011), i trasporti in regime di cabotaggio per i vettori stabiliti in Bulgaria e Romania, Stati entrati nell’Unione europea nel 2009.
2.2.– Riguardo alla questione ora all’esame di questa Corte, il giudice rimettente, in via preliminare, si sofferma sui profili attinenti alla rilevanza della stessa questione.
2.2.1.− L’ordinanza n. 80 del 2015 è stata trasmessa dalla cancelleria della Corte nel mese di maggio 2015, ma la comunicazione della cancelleria del Tribunale alle parti del giudizio a quo è avvenuta nel corso dell’anno successivo. Nell’ambito di tale procedimento di comunicazione è emerso che la G. F. M. Trasporti srl era stata dichiarata fallita, sicché, difettando una parte a cui comunicare l’ordinanza ai fini della riattivazione del procedimento sospeso, con ordinanza del 25 ottobre 2016 è stata dichiarata l’interruzione del processo. Quest’ultimo è stato poi riassunto tempestivamente dalla Ondulati Giusti spa. Si è costituita la curatela del fallimento, eccependo l’estinzione del giudizio, sull’assunto che il termine per la riattivazione del processo sospeso decorrerebbe dalla pubblicazione dell’ordinanza della Corte costituzionale (20 maggio 2015). All’udienza di comparizione delle parti del 17 febbraio 2017, il giudice istruttore si è riservato, anticipando che avrebbe rimesso di nuovo gli atti alla Corte costituzionale.
Ciò premesso, secondo pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, nel caso di sospensione del processo a seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, il dies a quo del termine perentorio per la riassunzione del giudizio sarebbe rappresentato dal giorno in cui avviene la comunicazione alla parte – ad opera della cancelleria del giudice che ha disposto la sospensione – della pronuncia della Corte che ha definito la questione di costituzionalità ad essa rimessa, poiché solo questa comunicazione determinerebbe la conoscenza concreta della pronunzia medesima (sono richiamate: Cassazione civile, sezione prima, sentenza 2 dicembre 2010, n. 24533; Cassazione civile, sezione prima, sentenza 7 febbraio 2006, n. 2616; Cassazione civile, sezioni unite, sentenza 10 maggio 1996, n. 4394). Sotto tale profilo, pertanto, non si porrebbero problemi in punto di rilevanza.
2.2.2.− Nessuna incidenza avrebbero le modifiche di cui alla legge n. 190 del 2014. La stessa ordinanza n. 80 del 2015, infatti, precisa che tali modifiche hanno effetto soltanto a decorrere dall’entrata in vigore della stessa legge abrogativa. Poiché nel caso di specie verrebbero in rilievo contratti di trasporto conclusi negli anni 2010 e 2011, risulterebbe evidente che le disposizioni da applicare sono proprio quelle abrogate e sospettate d’illegittimità costituzionale.
2.2.3.− Neppure inciderebbe sulla questione sottoposta all’esame di questa Corte quanto statuito dalla Corte di giustizia con la sentenza del 4 settembre 2014, concernendo la stessa solo la determinazione dei costi minimi d’esercizio demandata all’Osservatorio sulle attività di autotrasporto. Solo in quanto rimessa a tale organo, espressione delle associazioni di categoria, infatti, la fissazione dei costi minimi contrasterebbe con l’art. 101 TFUE, in combinato disposto con l’art. 4, comma 3, TUE. Nel caso di specie, invece, verrebbero in rilievo in prevalenza contratti conclusi tra il 2010 e ottobre 2011, quando l’Osservatorio non era ancora operativo (la prima deliberazione dei costi minimi effettuata dall’Osservatorio è del 2 novembre 2011) e, pertanto, trovava applicazione la disciplina transitoria prevista dall’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008. Disciplina che la successiva ordinanza della Corte di giustizia del 21 giugno 2016, Salumificio Murru, in causa C-121/16, avrebbe esplicitamente dichiarato compatibile con i Trattati europei.
2.2.4.− Dunque, rispetto alla questione decisa con l’ordinanza n. 80 del 2015, i termini resterebbero i medesimi. Infatti, dovendosi fare applicazione delle disposizioni abrogate, conformi al diritto comunitario, rimarrebbe attuale la questione di legittimità costituzionale già prospettata, sia pure riferita al regime transitorio.
2.3.– Nel merito, ad integrazione delle predette considerazioni, il giudice rimettente aggiunge che, come rilevato dalla Corte di giustizia nella sentenza del 4 settembre 2014, la normativa de qua prenderebbe in considerazione in maniera del tutto generica la tutela della sicurezza stradale, senza stabilirne il nesso con i costi minimi d’esercizio. Si tratterebbe, pertanto, di un mero escamotage linguistico per mascherare una chiara limitazione della libertà d’iniziativa economica e, quindi, della libertà di concorrenza.
3.– Con atto depositato il 5 settembre 2017, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
3.1.– Per quanto concerne l’art. 41 Cost., viene sottolineato che, per costante giurisprudenza costituzionale, il principio di libertà di iniziativa economica privata deve essere bilanciato da contrapposti interessi di utilità sociale, purché l’individuazione degli stessi non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non prevedano misure palesemente incongrue. In ogni caso, l’intervento legislativo non deve comportare sostanzialmente la funzionalizzazione dell’attività economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l’oggetto delle stesse scelte organizzative (si richiama la sentenza n. 548 del 1990).
Nella fattispecie, ai fini del suddetto bilanciamento, assumerebbe rilevanza l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale, che giustificherebbe la limitazione della libertà negoziale delle parti, allo scopo di garantire che il corrispettivo del vettore sia tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio.
I costi determinati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non costituirebbero un irragionevole regime tariffario, bensì rappresenterebbero il limite minimo al di sotto del quale il corrispettivo non può scendere, perché altrimenti verrebbero compromessi i livelli di sicurezza nella circolazione stradale, stante la tendenza delle imprese, sotto la spinta concorrenziale, a sfruttare le risorse oltre i limiti compatibili con le esigenze di sicurezza.
Il fatto che tali limiti siano fissati e sanzionati da altre disposizioni legislative non renderebbe inefficaci – e quindi irragionevoli – le disposizioni in esame, perché esse, agendo sulla leva economica del corrispettivo, avrebbero la funzione di disincentivare le imprese dal violare le norme sulla sicurezza della circolazione stradale. Si tratterebbe, quindi, di un intervento regolatorio ex ante, perfettamente compatibile – ed anzi complementare – rispetto alle altre disposizioni legislative, richiamate nell’ordinanza di rimessione, che disciplinano l’intervento ex post, finalizzato a reprimere la violazione delle regole di sicurezza. L’affermazione del giudice a quo secondo cui la sicurezza stradale sarebbe garantita unicamente dal rispetto di altre disposizioni, dunque, non terrebbe conto del fatto che l’osservanza di una regola può essere assicurata non solo attraverso norme repressivo-sanzionatorie, ma anche mediante norme dirette a prevenire la violazione, rimuovendo o quanto meno riducendo l’interesse a commetterla.
Peraltro, la fissazione in via amministrativa di costi minimi, la cui copertura deve essere garantita dal corrispettivo, non invaderebbe tutto lo spazio negoziale a disposizione delle parti, riguardando solo i costi incomprimibili ed essenziali per la sicurezza della circolazione stradale. Rimarrebbero, invece, alla libera contrattazione, e quindi alla concorrenza, tutte le altre voci che incidono sulla determinazione del corrispettivo, ivi compreso il margine di profitto. Si tratterebbe di un regime non assimilabile ad una vera e propria regolazione tariffaria (di cui, anzi costituirebbe il superamento), la cui incidenza sulla libertà negoziale delle parti sarebbe alquanto ridotta ed ampiamente giustificata dalle descritte esigenze di sicurezza, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità.
D’altronde, già con la sentenza n. 386 del 1996, con riferimento al previgente e ben più incisivo sistema della “tariffa a forcella”, questa Corte aveva sottolineato che un sistema pubblicistico delle tariffe, oltre a realizzare la trasparenza del mercato, è teso a garantire alle imprese un margine di utile, evitando situazioni di concorrenza sleale che costringano le imprese ad operare in condizioni di difficoltà, tali da non procedere ai necessari ammortamenti e a garantire ai lavoratori il dovuto trattamento giuridico-economico. Pertanto, si rientrerebbe nell’ambito di quell’utilità sociale che, ai sensi dell’art. 41 Cost., consentirebbe bilanciamenti alla libertà di iniziativa economica privata.
La stessa Corte di giustizia ha più volte affermato la compatibilità del sistema tariffario dell’autotrasporto di merci con l’ordinamento comunitario. Anzi, con l’ordinanza del 21 giugno 2016, proprio in riferimento alle disposizioni censurate, si è precisato che la determinazione da parte di un’amministrazione pubblica del prezzo dei servizi di autotrasporto, in misura non inferiore ai costi minimi di esercizio, non incide sulla libertà di concorrenza. Il giudice a quo, nel dare atto di tale pronuncia, non indicherebbe le specifiche ragioni per cui il regime transitorio sarebbe comunque contrario all’art. 41 Cost.
3.2.– Riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce che la stessa sarebbe prospettata con riguardo a situazioni differenti, rispetto a cui si giustificherebbe una diversa disciplina.
Il trasporto di cabotaggio, infatti, costituisce una prestazione occasionale e limitata, svolta da un’impresa non stabilita sul territorio nazionale nell’ambito di un trasporto internazionale. In pratica, si tratterebbe di una prestazione svolta da vettori non residenti in Italia che, in occasione di un viaggio internazionale, piuttosto che rientrare a vuoto, effettuano un altro trasporto nel nostro Paese prima di raggiungere la frontiera. Sarebbe, quindi, una fattispecie del tutto peculiare e differente sul piano soggettivo e oggettivo rispetto a quella disciplinata dalle disposizioni in esame, che trova la sua disciplina specifica nel regolamento n. 1072/2009/CE.
Dunque, altro sarebbe regolamentare un’attività di trasporto svolta integralmente sul territorio nazionale, altro regolamentare un’attività di trasporto occasionale ed accessoria rispetto ad un trasporto transfrontaliero disciplinato da norme sovranazionali, non integrandosi i profili in base ai quali può censurarsi una disposizione nel giudizio di eguaglianza (sono richiamate le sentenze n. 386, n. 193 e n. 89 del 1996).
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Lucca, con ordinanza del 22 febbraio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83-bis, commi 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 e 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, «nel testo temporale vigente», nella parte in cui introduce una tariffa minima per i trasporti nazionali per conto terzi.
Le disposizioni censurate prevedono che, nei contratti di trasporto stipulati in forma orale, il corrispettivo dovuto al vettore non possa essere inferiore alla sommatoria dei costi di esercizio, sia di quelli generali, sia di quelli per carburante. Qualora la parte del corrispettivo dovuto al vettore, diversa da quella diretta a coprire i costi di carburante, sia inferiore ai costi minimi di esercizio, il vettore può chiedere al committente il pagamento della differenza, entro cinque anni dal giorno del completamento della prestazione di trasporto. La determinazione del costo chilometrico del carburante, nonché dell’incidenza dei costi di carburante sui costi d’esercizio, spetta all’Osservatorio sulle attività di trasporto di cui all’art. 9 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore), ma, in via transitoria viene effettuata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sulla base dei dati in suo possesso e delle rilevazioni mensili del Ministero dello sviluppo economico sul prezzo medio del gasolio per autotrazione, sentite le associazioni di categoria più rappresentative dei vettori e quelle della committenza.
1.1.– Il Tribunale di Lucca ripropone, limitatamente alla disciplina transitoria dei corrispettivi minimi, le questioni che già aveva sollevato nel corso del medesimo giudizio e in relazione alle quali l’ordinanza di questa Corte n. 80 del 2015 gli aveva restituito gli atti. Ciò, in virtù della sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 settembre 2014, API, nelle cause riunite da C-184/3 a C-187/13, C-194/13, C-195/13 e C-208/13, nonché dell’abrogazione delle disposizioni censurate ad opera dell’art. 1, comma 248 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)».
2.– Secondo il giudice rimettente sarebbero irrilevanti, sia la sentenza della Corte europea, poiché la questione è sollevata su parametri solo interni, sia l’intervento del legislatore, in quanto la questione riguarda fatti accaduti in precedenza.
Nel merito, verrebbe leso l’art. 41 Cost., poiché sarebbe ingiustificata l’introduzione di un sistema tariffario che limita la concorrenza e prevede una significativa barriera all’accesso all’attività di trasporto per conto terzi. Né varrebbe richiamare la sicurezza stradale, che è garantita dal rispetto di altre disposizioni legislative, mentre non vi sarebbe alcuna certezza che il sistema tariffario minimo concorra al medesimo fine.
Sarebbe violato, inoltre, l’art. 3 Cost., perché, non applicandosi ai trasporti internazionali e ai trasporti di cabotaggio, le disposizioni censurate determinerebbero una “discriminazione a rovescio” degli autotrasportatori stabiliti in Italia, per i quali vale il rispetto di un prezzo minimo che non si applica, invece, ai trasporti eseguiti in regime di cabotaggio.
3.– Le questioni sollevate dal Tribunale di Lucca si presentano rilevanti, limitatamente al regime transitorio di cui all’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008, anche in seguito allo jus superveniens sopra ricordato.
3.1.– In primo luogo, la sentenza della Corte di giustizia del 4 settembre 2014, API, concerne solo la determinazione dei costi minimi demandata all’Osservatorio sulle attività di autotrasporto, in quanto organo composto principalmente da rappresentati delle associazioni di categoria di vettori e committenti. Il che configura una determinazione orizzontale di tariffe minime imposte, idonea a restringere il gioco della concorrenza, «delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica».
Nel caso di specie, invece, tenuto conto che la prima deliberazione dell’Osservatorio è avvenuta il 2 novembre 2011, le questioni riguardano, per la parte maggiore, contratti stipulati ed eseguiti nel periodo 2010-2011, in vigenza quindi del regime transitorio di cui all’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008, che rimetteva la determinazione dei costi minimi al Ministero delle infrastrutture e trasporti.
Proprio su tale disciplina, anzi, la Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi successivamente, con l’ordinanza del 21 giugno 2016, Salumificio Murru, in causa C-121/16, non rilevando profili d’incompatibilità con il diritto comunitario.
3.2.– In secondo luogo, nessuna incidenza ha la legge n. 190 del 2014, che ha abrogato il regime dei corrispettivi minimi, poiché nel caso di specie vengono in rilievo contratti di trasporto a cui devono comunque applicarsi le disposizioni abrogate.
4.– Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-bis, commi 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 e 11, del d.l. n. 112 del 2008, sollevata dal Tribunale di Lucca in riferimento all’art. 41 Cost.
4.1.– La disciplina della determinazione del corrispettivo spettante al vettore nel contratto di trasporto di merci su strada per conto terzi, di cui all’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008, ha sostituito il sistema delle “tariffe a forcella” previsto dalla legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada). Tali tariffe venivano fissate tra un limite massimo e uno minimo, calcolato su un prezzo di base, secondo criteri determinati dal Ministro per i trasporti e l’aviazione civile con una complessa procedura, che prevedeva anche il coinvolgimento delle Regioni e delle associazioni di settore. All’interno dei predetti limiti, i prezzi potevano essere liberamente fissati dalle parti.
Il d.lgs. n. 286 del 2005 aveva abrogato la disciplina delle tariffe a forcella, prevedendo che i corrispettivi per i servizi di trasporto di merci su strada fossero rimessi alla libera contrattazione delle parti. Il d.l. n. 112 del 2008, poi, ha introdotto una nuova regolazione delle tariffe di trasporto, secondo il sistema dei corrispettivi minimi, da ultimo abrogato dalla legge n. 190 del 2014.
Proprio in riferimento al regime di cui alla legge n. 298 del 1974, sicuramente più incisivo sulla libertà negoziale delle parti del sistema dei corrispettivi minimi, questa Corte si è pronunciata con la sentenza n. 386 del 1996, ritenendo che una determinazione pubblicistica delle tariffe rientrasse tra i legittimi limiti al principio di libertà di iniziativa economica privata. Il regime pubblicistico, infatti, era teso ad assicurare condizioni remunerative minime a tutti gli operatori del settore, evitando situazioni di concorrenza sleale che potessero portare le imprese ad operare in condizioni di difficoltà, penalizzando l’ammortamento degli investimenti e il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti dell’impresa. A tali finalità si aggiungeva quella di realizzare la trasparenza del mercato, attraverso la conoscenza dei prezzi da parte delle imprese e dell’utenza. Le limitazioni recate dal sistema tariffario, pertanto, non comprimevano eccessivamente l’autonomia negoziale, lasciando un ragionevole spazio alla libera contrattazione delle parti. Infatti, «la presenza di elementi di differenziazione tra le varie situazioni, consente di configurare il sistema delle tariffe a forcella come un sistema sufficientemente elastico nell’ambito di un mercato amministrativamente regolato, come dimostra la prevista facoltà delle parti di fissare non solo il corrispettivo tra il limite massimo e il limite minimo della tariffa a forcella corrispondente (art. 51, terzo comma, della legge n. 298 del 1974), ma anche condizioni e prezzi particolari (art. 52, terzo comma, della medesima legge); e così pure la possibilità di applicare tariffe speciali per particolari esigenze del trasporto (art. 12 del d.P.R. n. 56 del 1978) nonché di remunerare i servizi accessori (artt. 14 e 16 del medesimo d.P.R.)».
Anche la Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi su tale disciplina, ritenendola compatibile con i principi e le norme di diritto comunitario (così la sentenza della seconda sezione del 1° ottobre 1998, Librandi, in causa C-38/97, e la sentenza della sesta sezione del 5 ottobre 1995, Spediporto, in causa C-96/94). Si trattava, in tali casi, non di accordi tra imprese tesi a restringere la concorrenza, sulla base di disposizioni nazionali che tali accordi favorissero, bensì di determinazioni adottate dalla pubblica autorità al fine di tutelare rilevanti interessi pubblici, senza che il potere decisionale potesse ritenersi delegato alle imprese private, sebbene fosse previsto un loro coinvolgimento.
4.2.– Tale ricostruzione fa sì che, giocoforza, debbano ritenersi conformi a Costituzione i limiti più lievi previsti dalle disposizioni censurate.
Come è noto, «non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 247, n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009)» (sentenza n. 16 del 2017).
I costi minimi determinati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti costituiscono, nel disegno del legislatore, un limite al di sotto del quale potrebbero venire compromessi i livelli di sicurezza nella circolazione stradale, in virtù di uno sfruttamento eccessivo delle risorse umane e materiali da parte delle imprese di trasporto. Sebbene sia evidente che la sicurezza stradale trovi più diretta tutela nelle disposizioni in materia di circolazione e nelle relative sanzioni, non appare irragionevole né arbitrario che il legislatore persegua tale obiettivo anche con strumenti “indiretti”, attraverso un sistema tariffario che eviti un’attività d’impresa che potrebbe portare all’adozione di comportamenti poco compatibili con la sicurezza stradale.
La disciplina introdotta dall’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008, inoltre, prevedendo solo corrispettivi minimi basati su costi incomprimibili ed essenziali, lascia alle parti una maggiore autonomia negoziale rispetto alle tariffe a forcella, con limitazioni all’iniziativa economica privata che appaiono ragionevoli e proporzionate e compatibili con i principi costituzionali.
5.– Non è fondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-bis, commi 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 e 11, del d.l. n. 112 del 2008, sollevata dal Tribunale di Lucca in riferimento all’art. 3 Cost.
5.1.– Le disposizioni impugnate non trovano applicazione riguardo ai trasporti di cabotaggio, ossia quelli nazionali svolti nell’ambito di un trasporto internazionale, di cui al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, n. 1072/2009/CE «che fissa norme comuni per l’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada».
Il trasporto di cabotaggio costituisce una prestazione svolta da vettori non residenti in Italia che, in occasione di un viaggio internazionale, effettuano un altro trasporto nel paese ospitante prima di raggiungere la frontiera.
L’art. 8 del regolamento n. 1072/2009/CE pone una serie di limitazioni in materia, prevedendo che, una volta consegnate le merci nel corso di un trasporto internazionale in entrata, i vettori sono autorizzati ad effettuare fino a tre trasporti di cabotaggio successivi. Tuttavia, tali trasporti devono avere luogo entro sette giorni dall’ultimo scarico nello Stato membro ospitante nel corso del trasporto internazionale in entrata. Inoltre, qualora il vettore straniero intenda eseguire le operazioni in uno o più Stati membri diversi da quello di arrivo del trasporto internazionale, può effettuare una sola operazione di cabotaggio in un dato Stato membro e tale operazione deve essere eseguita entro tre giorni dall’ingresso a vuoto in quello Stato. In tale ultimo caso, sempre nel rispetto del termine di sette giorni, il trasportatore potrebbe effettuare in Italia una sola operazione di cabotaggio, nell’ambito delle tre massime consentite, entro tre giorni dall’ingresso del veicolo vuoto nel territorio italiano. Il trasportatore, oltre a dover rispettare i requisiti previsti dalle disposizioni comunitarie in materia, in ogni caso, deve produrre le prove che attestino chiaramente il trasporto internazionale in entrata, nonché ogni trasporto di cabotaggio che abbia effettuato consecutivamente.
5.2.– Il cabotaggio, dunque, costituisce una prestazione occasionale, soggetta a precisi limiti quantitativi, svolta da un’impresa non stabilita sul territorio nazionale, nell’ambito di un trasporto internazionale.
La disciplina nazionale, invece, rivolgendosi all’attività d’impresa svolta in Italia (anche da imprese straniere con sede in Italia), non può trovare applicazione per tali categorie di trasporti. D’altronde, gli stessi parametri che concorrono alla formazione del costo minimo sono tipici dell’autotrasporto nazionale e tengono conto delle riduzioni del costo del carburante derivanti dalle norme sul parziale rimborso delle accise.
Il concorso della disciplina nazionale e di quella comunitaria, dunque, non genera irragionevoli disparità di trattamento a danno degli operatori nel mercato nazionale, determinando così una «discriminazione a rovescio» (sentenza n. 443 del 1997), né costituisce una «irragionevole scelta di un regime che finisce per omologare fra loro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe (sent. n. 89 del 1996 e sent. n. 193 del 1996)» (sentenza n. 386 del 1996).
L’eventualità di effetti negativi sulle imprese nazionali – dovuti a specifiche situazioni, evocate dal rimettente, quali l’esercizio da parte di talune imprese di ripetuti e frequenti trasporti di cabotaggio, in virtù dello svolgimento della propria attività in prossimità dei confini nazionali – attiene semmai a profili di mero fatto e, dunque, non rileva in questa sede.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.