Ritenuto in fatto
1.− Con due ordinanze di pressoché identico contenuto (r.o. n. 95 e n. 96 del 2017), il Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, in composizione collegiale – investito di due distinti reclami proposti, ai sensi dell’art. 669-terdecies del codice di procedura civile, avverso altrettante ordinanze (del giudice monocratico), con le quali era stata negata la sospensione dell’efficacia esecutiva di due analoghe ingiunzioni, emesse dalla Regione Campania in applicazione dell’art. 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), per ottenere la restituzione di importi relativi a contributi precedentemente erogati ma poi revocati alle società intimate – ha dichiarato «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 [Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69], come richiamato dal successivo art. 32, nella parte in cui non consente la proposizione del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso l’ordinanza che decide sulla sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ingiunzione amministrativa prevista dall’art. 2 del regio decreto n. 639 del 1910, per contrasto con gli articoli 3 e 76 della Costituzione».
Ritiene il Tribunale a quo che – avendo l’ordinanza che decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato natura e struttura cautelare – la disposizione censurata, con l’escluderne l’impugnabilità, violi i principi e criteri della delega «per la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili», di cui all’art. 54, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), atteso che detta legge nulla prevedeva in tema di disciplina cautelare e non giustificava l’introduzione di una disciplina particolare per i provvedimenti cautelari previsti dalla legislazione speciale oggetto del riordino da essa disposto, con la conseguenza che il legislatore delegato non poteva introdurre alcuna previsione di non impugnabilità in precedenza non prevista.
La denunciata normativa delegata darebbe, altresì, luogo, secondo il rimettente, ad una irragionevole disparità di trattamento tra i provvedimenti cautelari che la stessa dichiara “non impugnabili” e gli altri provvedimenti cautelari, per i quali vale, invece, la clausola generale di reclamabilità di cui all’art. 669-terdecies cod. proc. civ., estesa, dal successivo art. 669-quaterdecies, anche ai provvedimenti cautelari previsti da leggi speciali.
Ne deriverebbe «“un’incoerenza interna” alla disciplina della tutela cautelare», non diversa da quella che questa Corte, con sentenza n. 144 del 2008, ha già ritenuto sufficiente per dichiarare costituzionalmente illegittimi gli artt. 669-quaterdecies e 695 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevedevano la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 dello stesso codice. Tale incoerenza sarebbe avvalorata dalla considerazione che, rispetto agli altri titoli esecutivi di natura stragiudiziale, l’ordinanza che, in sede di opposizione pre-esecutiva (opposizione a precetto), decide sulla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, oggi prevista dall’art. 615, primo comma, cod. proc. civ., è reclamabile ai sensi dell’art. 624, secondo comma, cod. proc. civ.; e del pari impugnabili sono i provvedimenti cautelari adottati dal giudice amministrativo ex art. 62 del codice del processo amministrativo, approvato dall’art. 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
1.2.– In entrambi i giudizi incidentali si sono costituite le parti private delle rispettive controversie a quibus, per chiedere l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale. Si è costituita, altresì, la Regione Campania, che, con successive memorie, ne ha eccepito l’inammissibilità per inadeguatezza della motivazione e, nel merito, la non fondatezza, in riferimento sia all’art. 76 che all’art. 3 Cost.
1.3.– È anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato.
L’interveniente ha preliminarmente eccepito «l’inammissibilità della questione sotto il profilo della mancanza di motivazione in ordine alla rilevanza […], avuto specifico riguardo alla giurisdizione del giudice adito», posto che la contestazione della sussistenza dei presupposti per la revoca del contributo, da parte degli opponenti, avrebbe radicato la giurisdizione del giudice amministrativo.
Nel merito, l’Avvocatura generale ha escluso la violazione dell’art. 76 Cost., ritenendo la normativa denunciata coerente con i criteri direttivi della delega; ed ha reputato del pari non violato l’art. 3 Cost., alla luce della giurisprudenza di questa Corte sull’ampia discrezionalità di cui fruisce il legislatore nella conformazione degli istituti processuali.
2.– Adito con altro reclamo, avverso ordinanza di diniego della sospensione dell’efficacia esecutiva di ingiunzione di pagamento, in questo caso, di una sanzione pecuniaria irrogata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ai sensi dell’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la stessa sezione del Tribunale ordinario di Napoli, in composizione collegiale, con successiva ordinanza (r.o. n. 145 del 2017), premessane la rilevanza, ha sollevato, con analoghe motivazioni, questione incidentale di legittimità costituzionale del predetto art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2011, come richiamato dal successivo art. 6, comma 7 (concernente, appunto, le controversie ex art. 22 della legge n. 689 del 1981), «nella parte in cui non consente la proposizione del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso l’ordinanza che decide la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza-ingiunzione emessa ai sensi della legge n. 689/81, per contrasto con gli articoli 76 e 3 della Costituzione».
2.1.– Anche in questo giudizio si è costituito, e ha depositato successiva memoria, il reclamante nel processo a quo per sostenere, ed ulteriormente argomentare, la fondatezza della questione sollevata; mentre il Presidente del Consiglio dei ministri – a sua volta intervenuto per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato – ha concluso per la sua non fondatezza.
Considerato in diritto
1.– L’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), testualmente dispone che, nei casi in cui il decreto stesso prevede la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, il giudice, se richiestone e sentite le parti, vi provvede «con ordinanza non impugnabile», quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.
Il successivo art. 6 dello stesso decreto − concernente, in particolare, il procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione ex art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – al suo comma 7 stabilisce che «[l’]efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall’art. 5» e cioè, appunto, «con ordinanza non impugnabile».
Identicamente dispone il comma 3 dell’art. 32 del decreto in esame, con riguardo alle controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui all’art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato).
2.– Con due ordinanze di pressoché identico contenuto (r.o. n. 95 e n. 96 del 2017), il Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, in composizione collegiale, denuncia il suddetto art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011, «come richiamato dal successivo art. 32, nella parte in cui non consente la proposizione del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso l’ordinanza che decide sulla sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ingiunzione amministrativa prevista dall’art. 2 del regio decreto n. 639 del 1910, per contrasto con gli articoli 76 e 3 della Costituzione».
2.1.– Con altra ordinanza (r.o. n. 145 del 2017), la stessa sezione del Tribunale ordinario di Napoli censura il medesimo art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011, «come richiamato dal successivo art. 6, nella parte in cui non consente la proposizione del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso l’ordinanza che decide sulla sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza-ingiunzione emessa ai sensi della legge 689/81, per contrasto con gli articoli 76 e 3 della Costituzione».
3.– Le tre riferite ordinanze – che, per la sostanziale coincidenza del nucleo essenziale delle questioni sollevate, possono riunirsi per essere unitariamente decise – identicamente motivano la violazione dei parametri costituzionali evocati.
Quanto all’art. 76 Cost., sul rilievo che – con l’escludere l’impugnabilità delle ordinanze, di innegabile natura cautelare, con le quali il giudice decide sulla sospensione dell’efficacia delle ingiunzioni amministrative di cui, rispettivamente, all’art. 2 del r.d. n. 639 del 1910 e all’art. 22 della legge n. 689 del 1981 – il legislatore delegato avrebbe operato fuori dalla copertura dei principi e criteri direttivi fissati dalla norma di delega, di cui all’art. 54, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), atteso che detti principi e criteri direttivi non riguardavano il rito cautelare e non giustificavano, pertanto, l’introduzione di una disciplina particolare e differenziata per i provvedimenti cautelari previsti dalla legislazione speciale oggetto del riordino disposto dal legislatore delegante.
E, quanto all’art. 3 Cost., in ragione della disparità di trattamento, che ne deriverebbe, tra provvedimenti cautelari, una volta che per le sole ordinanze di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011 risulta ora escluso il reclamo che l’art. 669-terdecies del codice di procedura civile consente, invece, in via generale, avverso le ordinanze cautelari previste dallo stesso codice e che il successivo art. 669-quaterdecies estende alle ordinanze cautelari previste da leggi speciali. E ciò considerata anche, in particolare, la consentita impugnabilità dei provvedimenti cautelari adottati dal giudice amministrativo, ex art. 62 del codice del processo amministrativo, approvato dall’art. 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo); la ritenuta reclamabilità dell’ordinanza che decide sulla sospensione dell’efficacia esecutiva dell’opposizione a precetto (ex art. 624, secondo comma, in relazione all’art. 615, primo comma, cod. proc. civ.); e la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva di mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 cod. proc. civ., quale risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale degli artt. 669-quaterdecies e 695 stesso codice, di cui alla sentenza di questa Corte n. 144 del 2008.
4.– Limitatamente alle prime due controversie a quibus – nelle quali i reclami sono stati proposti avverso ordinanze di denegata sospensione dell’efficacia esecutiva di ingiunzioni di pagamento per importi relativi alla contestata revoca di contributi precedentemente erogati dalla Regione Campania alle società ricorrenti – l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità della questione sollevata dai collegi rimettenti per «mancanza di motivazione in ordine alla rilevanza» «con riguardo alla giurisdizione del giudice [ordinario] adito».
Ciò alla luce del principio enunciato dalla Corte regolatrice della giurisdizione, per cui la cognizione dell’opposizione ad ingiunzioni emesse dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 3 del r.d. n. 639 del 1910 spetta al giudice amministrativo quando il ricorrente non contesti la legittimità stessa o denunci vizi del procedimento di ingiunzione, bensì, come nella specie, la sussistenza dei presupposti per la revoca del contributo, mettendo con ciò in discussione il momento autoritario del rapporto tra pubblica amministrazione e privato (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 18 febbraio 2008, n. 29529).
4.1.– L’eccezione, così formulata, non è suscettibile di accoglimento.
Il rimettente non è, infatti, il giudice della opposizione – tenuto a verificare, anche di ufficio, la sussistenza della propria giurisdizione, in ragione della natura delle contestazioni rivolte alla ingiunzione emessa ex art. 2 del r.d. n. 639 del 1910 –; è invece, e soltanto, il giudice del reclamo avverso l’ordinanza di denegata sospensione dell’efficacia del provvedimento opposto. Ed il fatto che, a detti limitati fini, il rimettente abbia, non implausibilmente, ritenuta implicita la giurisdizione del giudice ordinario – non contestata dalla Regione intimante (neppure in sede di reclamo), né altrimenti revocata in dubbio nella fase oppositoria – esclude che, nella specie, sussista un difetto di giurisdizione ravvisabile ictu oculi, che possa dar luogo, per tal profilo, alla «mancanza di motivazione in ordine alla rilevanza», quale eccepita dall’Avvocatura generale dello Stato (sentenze n. 291 del 2011, n. 81 del 2010, n. 241 del 2008, n. 439 del 1991).
5.– Priva di giuridica consistenza è, a sua volta, l’eccezione di inammissibilità della questione formulata dalla Regione Campania, parte intimante nei giudizi a quibus, poiché esclusivamente basata, anche in memoria, su un solo asserito, e non esplicato, difetto di autosufficienza e di motivazione delle ordinanze di rimessione.
6.- Nel merito, la censura di violazione dell’art. 76 Cost. – che viene preliminarmente in esame per il suo carattere pregiudiziale, in quanto inerente al corretto esercizio della funzione legislativa – non è fondata.
Con l’art. 54 della legge n. 69 del 2009, il Governo è stato delegato, infatti, ad adottare «uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale», realizzando «il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti».
E se è pur vero che, come deducono i rimettenti, la norma di delega fa testuale riferimento ai “procedimenti di cognizione” e non anche ai “procedimenti cautelari”, va considerato che la disciplina di questi ultimi è strumentale e coessenziale alla disciplina dei procedimenti di cognizione per cui, nel disporla, il d.lgs. n. 150 del 2011, attuativo della delega, ha operato nell’ambito della fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi (ex multis, sentenze n. 229 del 2014, n. 98 del 2008 e n. 163 del 2000).
Quanto alla scelta del legislatore delegato – di prevedere che, sull’istanza di sospensione del provvedimento impugnato, il giudice decida «con ordinanza non impugnabile» – questa non si discosta dai criteri direttivi fissati dalla delega, in quanto è in linea con l’obiettivo, cui la stessa è finalizzata, di «semplificazione» dei procedimenti civili di cognizione regolati da legislazione speciale e rientranti nella giurisdizione ordinaria. Obiettivo che il legislatore delegato ha, appunto, perseguito con l’uniformare il regime della cautela, interna alla fase di cognizione, al modello processuale che ne esclude l’impugnabilità autonoma e anticipata, riservando al giudice della cognizione la decisione definitiva sulla cautela unitamente al merito, anche a fini di contenimento della durata dei procedimenti oggetto del delegato riordino.
Modello, quest’ultimo, già del resto adottato da altre norme speciali: ad esempio, dall’art. 47, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), per il quale, sull’istanza di «[s]ospensione dell’atto impugnato», la Commissione tributaria competente provvede con ordinanza «non impugnabile»; e dallo stesso art. 22 della legge n. 689 del 1981, richiamato, per quanto ancora in vigore, dall’art. 6 del d.lgs. n. 150 del 2011, in tema di opposizione a sanzioni amministrative, già pacificamente non attinto dalla vis espansiva dell’art. 669-terdecies cod. proc. civ. E ciò nella logica del successivo art. 669-quaterdecies, per cui il «reclamo», in via generale ammesso avverso «l’ordinanza con cui è stato concesso o negato il provvedimento cautelare», si applica anche ai provvedimenti cautelari previsti da leggi speciali, ma (solo) «in quanto compatibili» con quelli cui si riferisce il “rito cautelare uniforme” previsto dagli artt. 669-bis e seguenti cod. proc. civ.
7.– La subordinata censura di violazione dell’art. 3 Cost. è pure essa non fondata.
Non sussiste, infatti, l’asserita disparità di trattamento, stante l’eterogeneità, rispetto agli evocati tertia comparationis, e la già sottolineata, invece, peculiarità delle controversie in relazione alle quali il censurato comma 1 dell’art. 5 del d.lgs. n. 150 del 2011 dispone la non impugnabilità delle ordinanze che decidono sulla sospensione del provvedimento impugnato.
Così è, per quanto qui rileva, nel caso, appunto, dei procedimenti di opposizione a sanzione amministrativa, di cui all’art. 6, comma 7, del predetto d.lgs. n. 150 del 2011, connotati dalle caratteristiche della celerità, della mera eventualità di un’istruzione in senso stretto – siccome essenzialmente documentale – e dalla particolarità del relativo oggetto, che si risolve nella contestazione della legittimità della pretesa sanzionatoria della pubblica amministrazione.
Così è anche nel caso dei procedimenti previsti dall’art. 32, comma 3, dello stesso d.lgs., aventi ad oggetto un credito dell’Amministrazione fatto valere tramite l’ingiunzione emessa ai sensi dell’art. 2 del r.d. n. 639 del 1910, che, pur quando riconducibile nell’ambito di rapporti obbligatori di diritto privato, costituisce manifestazione, comunque, del potere di auto-accertamento ed autotutela della PA che, da un lato, è idoneo a dar vita ad un giudizio sulla legittimità della pretesa e, dall’altro, cumula le funzioni del titolo esecutivo e del precetto.
Procedimenti, dunque, quelli qui in questione, in relazione ai quali non è irragionevole la scelta del legislatore delegato del 2011 di sottrarli alla regola di reclamabilità dei provvedimenti di concessa o denegata sospensione di cui all’art. 669-terdecies cod. proc. civ., per accentuarne la celerità ai fini della loro definizione nel merito e per concentrare l’esame di tutti i correlati profili di opposizione in capo ad un unico giudice, fatta salva, ovviamente, l’assoggettabilità delle decisioni di primo grado agli ordinari rimedi impugnatori.
Ciò anche in considerazione della natura solo latamente cautelare delle ordinanze che decidono sulla sospensione o meno dell’efficacia esecutiva dei provvedimenti impugnati nelle controversie oggetto del riordino in questione. Ordinanze peraltro strutturalmente analoghe a quelle interne al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, nell’ambito del quale del pari non impugnabili sono sia l’ordinanza del giudice della opposizione che decide sull’istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto (art. 648 cod. proc. civ.), sia l’ordinanza che decide (a contrario) sulla richiesta di sospensione dell’esecuzione provvisoria già concessa inaudita altera parte (art. 649 cod. proc. civ.).
Questa Corte ha, del resto, con ordinanza n. 111 del 2007, già affermato che «non è irragionevole la scelta del legislatore di consentire a un creditore, attesa la sua natura pubblicistica e l’affidabilità derivante dal procedimento che ne governa l’attività, di formare unilateralmente un titolo esecutivo, e, dall’altro lato, [che] è rispettosa del diritto di difesa e dei principi del giusto processo la possibilità, concessa al preteso debitore, di promuovere, entro un termine perentorio ma adeguato, un giudizio ordinario di cognizione nel quale far efficacemente valere le proprie ragioni». E, con la successiva sentenza n. 306 del 2007, nell’escludere la fondatezza di plurime questioni di legittimità costituzionale del sopra richiamato art. 648 cod. proc. civ., ha, tra l’altro, puntualizzato come «la comune natura latamente cautelare dei provvedimenti posti a confronto dall’ordinanza di rimessione non impon[ga] affatto […] una comune disciplina quanto ai rimedi utilizzabili contro ciascuno di essi».
Né vale richiamare in contrario la successiva sentenza n. 144 del 2008, dichiarativa della illegittimità costituzionale del disposto degli artt. 669-quaterdecies e 695 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevedevano la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza di assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 dello stesso codice.
In quel caso è venuta, infatti, in rilievo «un’incoerenza interna alla disciplina della tutela cautelare», con la conseguente irreparabilità del pregiudizio che da una decisione di rigetto poteva derivare al diritto alla prova del ricorrente, e il conseguente vulnus al suo diritto di agire e difendersi in giudizio.
Un tale pregiudizio non ricorre, invece, nei casi in esame, attinenti per lo più al pagamento di somme di denaro, che possono comunque essere ripetute all’esito del giudizio cognitorio.