Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 22 maggio 2015 e depositato il 28 maggio 2015 la Regione autonoma Sardegna ha impugnato l’art. 1, commi 1, 1-bis, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4 (Misure urgenti in materia di esenzione IMU) – convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34 – in riferimento agli artt. 3, 7, 8, 10 e 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), in relazione agli artt. 51 del decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), e 1 del decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 70 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna concernenti il conferimento di funzioni amministrative alla Regione in materia di agricoltura), nonché in riferimento agli artt. 3, 53, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione e ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
La normativa censurata – recante la disciplina delle esenzioni dall’imposta municipale propria (IMU) prevista per i terreni agricoli e ritenuta penalizzante, dal momento che gran parte della superficie agricola sarda ricadrebbe nel territorio di Comuni esclusi dal regime agevolativo in considerazione – è stata abrogata dall’art. 1, comma 13, lettera c), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», a decorrere dal 2016.
1.1.– Il primo nucleo di censure riguarda i commi 1, 1-bis e 3 dell’art. 1 del citato decreto-legge.
In particolare, il menzionato comma 1 prevede l’esenzione dall’IMU per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati: a) ubicati nei Comuni classificati totalmente montani di cui all’elenco predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) (lettera a); b) ubicati nelle isole minori di cui all’allegato A della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)», (lettera a-bis); c) ubicati nei Comuni classificati parzialmente montani nello stesso elenco dell’ISTAT, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all’art. 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, recante «Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della legge 7 marzo 2003, n. 38», iscritti nella previdenza agricola (lettera b).
Il successivo comma 1-bis del medesimo art. 1 prevede una detrazione di 200 euro – fino alla concorrenza del suo ammontare – dall’IMU dovuta per i terreni ubicati nei Comuni di cui all’allegato 0A del decreto-legge, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali poc’anzi menzionati.
Infine, il comma 3 dello stesso articolo prevede l’applicazione, tra l’altro, del comma 1 all’anno d’imposta 2014.
Tanto premesso, la ricorrente censura anzitutto l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 in quanto, al fine di perimetrare l’esenzione dall’IMU, avrebbe rinviato all’elenco dei Comuni italiani redatto dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani), mentre, in virtù dell’art. 51 del d.P.R. n. 348 del 1979, tale competenza spetterebbe alla Regione, con conseguente usurpazione della stessa da parte dello Stato. Essa, peraltro, sarebbe intimamente connessa, oltre che, in generale, alla competenza legislativa regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza pubblica, a quella in materia di «agricoltura e foreste» di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), dello statuto speciale, comprensiva anche dello «sviluppo rurale» ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 70 del 2004. La disposizione censurata, pertanto, contrasterebbe anche con questi ultimi due parametri, nonché con l’art. 56 dello statuto speciale, avendo inteso derogarvi senza rispettare la procedura all’uopo prevista. Inoltre, la norma, legificando l’elenco predisposto dall’ISTAT, non avrebbe lasciato alla Regione alcuno spazio di disciplina di un tipico tributo locale, con ciò violando l’art. 117, terzo comma, Cost., che contempla la materia concorrente «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». In tal modo, infine, risulterebbe lesa l’autonomia finanziaria della Regione, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e dall’art. 119 Cost.
In secondo luogo, la ricorrente denuncia l’irragionevolezza dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015. Ciò in quanto l’elenco dell’ISTAT richiamato dalla disposizione sarebbe stato redatto sulla base di criteri – quelli dettati dall’art. 1, comma 1, della legge n. 991 del 1952, secondo cui «sono considerati territori montani i Comuni censuari situati per almeno l’80 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri, sempre che il reddito imponibile medio per ettaro, censito, risultante dalla somma del reddito dominicale e del reddito agrario, determinati a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, maggiorati del coefficiente 12 ai sensi del decreto legislativo 12 maggio 1947, n. 356, non superi le lire 2400» – previsti da una normativa abrogata dall’art. 29, comma 7, lettera a), della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali). Quest’ultimo ha anche soppresso le Commissioni censuarie deputate all’aggiornamento dell’elenco, divenuto anacronistico in quanto compilato in base a dati (non solo geografici ma anche reddituali) non più rivalutati se non a seguito delle classificazioni periodicamente trasmesse all’ISTAT dall’Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM) e, nei casi di variazioni amministrative, sulla base del criterio della prevalenza territoriale, mai previsto dal legislatore. Tali rilievi integrerebbero una violazione dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
Ad avviso della Regione, inoltre, l’esenzione, frutto delle previsioni normative alla stregua delle quali è stato redatto l’elenco dell’ISTAT, determinerebbe la violazione degli artt. 3 e 53 Cost. Ciò in quanto, correlandosi a criteri economico-reddituali non più applicabili a seguito della soppressione della funzione di aggiornamento, risulterebbe svincolata da ogni considerazione circa la capacità reddituale del terreno agricolo; al contempo, il criterio geomorfologico non sarebbe idoneo a supportare una valutazione della capacità contributiva derivante dalla proprietà fondiaria. Ne conseguirebbe una grave e ingiustificata disparità di trattamento tra territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche. Tali rilevi, unitamente alla mancata considerazione che il territorio sardo avrebbe patito nel novembre del 2013 una violenta alluvione con gravi danni alle produzioni e alle aziende ubicate in circa cento Comuni e che un area di circa 250 chilometri quadrati del territorio regionale ospiterebbe numerosi poligoni militari, comproverebbero la violazione dei menzionati parametri, minando la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico e rendendo arbitraria l’imposizione.
La Regione estende le descritte censure al successivo comma 3 del medesimo art. 1, stante il richiamo ivi contenuto al comma 1.
La ricorrente impugna altresì l’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 4 del 2015 in riferimento all’art. 97 Cost., in quanto non si evincerebbe su quali basi sia stato compilato l’Allegato, cui la norma rinvia, contenente l’elencazione dei Comuni che beneficiano della detrazione ivi prevista. La disposizione, inoltre, violerebbe le competenze della Regione in materia di agricoltura e di coordinamento del sistema tributario, nonché la sua autonomia economico-finanziaria, in quanto spetterebbe alla ricorrente il potere di adottare il citato elenco.
Inoltre, ad avviso della ricorrente, l’art. 1, commi 1, 1-bis e 3, del d.l. n. 4 del 2015 violerebbe l’art. 10 dello statuto speciale, secondo cui «La Regione, al fine di favorire lo sviluppo economico dell’Isola e nel rispetto della normativa comunitaria, con riferimento ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilità, può, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione: a) prevedere agevolazioni fiscali, esenzioni, detrazioni d’imposta, deduzioni dalla base imponibile e concedere, con oneri a carico del bilancio regionale, contributi da utilizzare in compensazione ai sensi della legislazione statale; b) modificare le aliquote in aumento entro i valori di imposizione stabiliti dalla normativa statale o in diminuzione fino ad azzerarle». In particolare, la potestà regionale di modulazione dell’imposizione fiscale postulerebbe che quest’ultima non sia di per sé iniqua, arbitraria, discriminatoria e sganciata dalla capacità contributiva, nel qual caso l’intervento regionale non potrebbe rimediare a tali profili di illegittimità, dovendo essere funzionale allo sviluppo del territorio sardo. Inoltre, poiché tale intervento dovrebbe avvenire attingendo al bilancio della Regioni, le disposizioni censurate ne lederebbero l’autonomia finanziaria, in violazione degli artt. 7 e 8 dello statuto speciale.
Infine, in via subordinata, secondo la ricorrente l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, non prevedendo che la determinazione dei Comuni montani avvenga previa intesa con le Regioni, violerebbe il principio di leale collaborazione di cui all’art. 117 Cost., in quanto sottrarrebbe a un procedimento cooperativo l’adozione di provvedimenti coinvolgenti l’esercizio di competenze regionali, con conseguente violazione dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale e del principio di sussidiarietà ricondotto all’art. 119 Cost.
1.2.– Un secondo nucleo di censure riguarda l’art. 1, commi 3, 4 e 5, del d.l. n. 4 del 2015, che disciplinano il pagamento dell’IMU agricola relativa all’anno d’imposta 2014.
In particolare, il menzionato comma 5 prevede che il versamento dell’imposta dovuta per l’anno 2014 – determinata alla stregua del regime agevolativo di cui ai commi precedenti – avvenga entro il 10 febbraio 2015, senza applicazione di interessi e sanzioni nel caso di ritardo contenuto entro il 31 marzo 2015.
Secondo la ricorrente, i tempi ristretti previsti dalla norma avrebbero impedito alla Regione e agli enti locali – a cui l’art. 13, comma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, consente di modificare l’aliquota del tributo – di compiere l’iter legislativo o procedimentale necessario per esercitare i propri poteri di intervento sull’imposta, considerato altresì il termine di sessanta giorni che l’art. 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), prescrive debba essere assegnato al contribuente per il pagamento. Ne conseguirebbe la violazione dell’art. 10 dello statuto speciale della Sardegna, attributivo del potere regionale di modulare l’imposizione, e, conseguentemente, dell’autonomia economico-finanziaria della Regione, ai sensi degli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e 117 e 119 Cost. Inoltre, il breve lasso temporale avrebbe impedito alla ricorrente di adottare disposizioni legislative di indirizzo ai Comuni per le loro determinazioni – in violazione della competenza regionale di cui agli artt. 3, comma 1, lettera b), e 10 dello statuto speciale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale (si cita la sentenza n. 275 del 2007) – e agli enti locali di incidere sull’aliquota, con ulteriore violazione della competenza regionale in materia di finanza locale e di ordinamento degli enti locali, nonché dell’autonomia finanziaria di questi ultimi, garantita dagli artt. 118 e 119 Cost.
1.3.– Un terzo gruppo di censure riguarda l’art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, che disciplinano le variazioni compensative derivanti dall’attuazione del nuovo sistema di esenzione.
In particolare, l’art. 1 del d.l. n. 4 del 2015 prevede che, «[a] decorrere dall’anno 2015, le variazioni compensative di risorse conseguenti dall’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, sono operate, nelle misure riportate nell’allegato A al presente provvedimento, per i comuni delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna, nell’ambito del fondo di solidarietà comunale e con la procedura prevista dai commi 128 e 129 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 […]» (comma 7); che «[p]er l’anno 2014, le variazioni compensative di risorse nei confronti dei comuni conseguenti dall’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4, sono confermate nella misura di cui all'allegato B al presente provvedimento» (comma 8) e che «[i] rimborsi ai comuni sono indicati nell’allegato C al presente provvedimento e tali comuni sono autorizzati, sulla base del medesimo allegato, a rettificare gli accertamenti, a titolo di fondo di solidarietà comunale e di gettito IMU, del bilancio 2014» (comma 9).
Ai sensi dell’art. 1, comma 9-bis, del d.l. n. 4 del 2015, «[a]l fine di assicurare ai comuni delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della regione Sardegna il ristoro del minor gettito dell’IMU, derivante dall’applicazione del comma 1-bis, è attribuito ai medesimi comuni un contributo pari a 15,35 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015. Tale contributo è ripartito tra i comuni interessati, con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, secondo una metodologia adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali […]», mentre il successivo comma 9-quinquies stabilisce che, «[a]l fine di assicurare la più precisa ripartizione delle variazioni compensative di risorse di cui agli allegati A, B e C al presente decreto, fermo restando l’ammontare complessivo delle suddette variazioni, pari, complessivamente, a 230.691.885,33 euro per l’anno 2014 e a 268.652.847,44 euro dall’anno 2015, il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di una metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, provvede, entro il 30 settembre 2015, alla verifica del gettito per l’anno 2014, derivante dalle disposizioni di cui al presente articolo, sulla base anche dell’andamento del gettito effettivo. Con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, si provvede alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della regione Sardegna, sulla base dell’esito delle verifiche di cui al periodo precedente».
Ad avviso della ricorrente, il regime compensativo così concepito, da realizzarsi attraverso il Fondo di solidarietà comunale, sarebbe fondato su stime aleatorie e imprecise, come evincibile dalla prevista possibilità di revisione, senza peraltro consentire la correzione dell’ammontare complessivo delle variazioni, irrigidito negli importi normativamente indicati. Ne deriverebbe la violazione del principio di veridicità dei bilanci e di copertura delle spese di cui all’art. 81 Cost. e, di conseguenza, dell’autonomia finanziaria dei Comuni (art. 119 Cost.), destinati a sopportare gli effetti della mancanza di risorse causata dalle norme censurate. Inoltre, stante la stretta connessione tra finanza regionale e locale, risulterebbero violati gli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale e 117 Cost., parametri che riconoscono la competenza regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale.
Infine, secondo la ricorrente, l’art. 1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, non contemplando il coinvolgimento della Regione nel procedimento cooperativo previsto ma solo delle autonomie locali, peraltro con le forme dell’intesa “debole”, lederebbe il principio di leale collaborazione di cui all’art. 117 Cost. in un ambito rientrante nelle competenze regionali, con conseguente violazione dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale e del principio di sussidiarietà ricondotto all’art. 119 Cost.
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza delle questioni proposte.
Anzitutto, le norme censurate sarebbero espressive di principi di coordinamento della finanza pubblica, che legittimamente il legislatore statale potrebbe imporre anche alle autonomie speciali nell’esercizio della propria competenza in materia di sistema tributario dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. D’altra parte, l’individuazione degli immobili agricoli esenti non avrebbe potuto che essere uniforme sull’intero territorio nazionale. Peraltro, rilevando solo sul piano fiscale, essa non inciderebbe sulle competenze vantate dalla Regione in materia di agricoltura e di classificazione dei territori montani. Inoltre, il legislatore statale sarebbe pienamente legittimato, nell’esercizio della propria competenza esclusiva, a variare la disciplina dei tributi erariali, quale sarebbe l’IMU, senza per ciò stesso ledere la sfera di autonomia regionale o il principio di leale collaborazione. Da tanto deriverebbe l’infondatezza delle censure di violazione della competenza concorrente della Regione in materia tributaria e della sua autonomia finanziaria. Parimenti destituito di fondamento sarebbe il dedotto contrasto con l’art. 10 dello statuto speciale, atteso che la manovrabilità ivi prevista sarebbe limitata «ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilità». Quanto alla dedotta violazione del principio di leale collaborazione a opera dell’art. 1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, esso sarebbe suscettibile di deroga da parte del legislatore statale e, comunque, nella fattispecie risulterebbe adeguatamente salvaguardato dalla previsione del coinvolgimento degli enti locali, anche alla luce della mancanza di competenza regionale in materia di tributi locali.
3.– Con memoria illustrativa depositata il 31 ottobre 2017 la Regione ha replicato alle difese svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri, ulteriormente argomentando in ordine alla fondatezza delle censure formulate.
4.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 141 del 2016, il Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b), prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali) nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente, dopo aver riferito di essere stato adito dai Comuni di Perugia e di Narni in sede di impugnazione, tra l’altro, dell’elenco dell’ISTAT richiamato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 e dei conseguenti atti di rideterminazione delle risorse a valere sul Fondo di solidarietà comunale, ritiene che la disposizione non sia rispettosa del principio di riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., al quale sarebbero assoggettate anche le norme di agevolazione fiscale.
In particolare, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, prevedendo che l’esenzione dall’IMU di cui all’art. 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), si applichi ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati totalmente montani o parzialmente montani – in quest’ultimo caso se posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 99 del 2004, iscritti nella previdenza agricola – nell’elenco predisposto dall’ISTAT, rimetterebbe a detto Istituto – o a chi per esso – la determinazione dei presupposti di fatto per l’applicazione del regime agevolativo. Ciò, tuttavia, senza vincolo legislativo alla discrezionalità amministrativa, atteso che l’art. 1 della legge n. 991 del 1952, che originariamente disciplinava la formazione dell’elenco, è stato abrogato dall’art. 29, comma 7, lettera a), della legge n. 142 del 1990, con la conseguenza che il successivo mantenimento della classificazione sarebbe avvenuto sulla base di parametri non più determinati legislativamente bensì assolutamente discrezionali. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 23 Cost., mentre il rimettente considera manifestamente infondati i vizi di legittimità costituzionale della norma dedotti dai ricorrenti in riferimento agli artt. 3, 81 e 119 Cost.
In punto di ammissibilità, il TAR ravvisa l’interesse all’impugnazione non nell’intento di non subire i tagli a valere sul Fondo di solidarietà comunale correlati al regime agevolativo, quanto nel mantenimento dello status quo ante alterato dall’inclusione dei Comuni ricorrenti nel giudizio a quo tra quelli parzialmente montani a opera dell’elenco dell’ISTAT, con conseguente assoggettamento alla decurtazione a valere sul predetto Fondo. Inoltre, la questione sarebbe rilevante in quanto la legittimità dell’impugnato elenco e degli atti conseguenti di rideterminazione delle risorse stanziate a valere sul Fondo di solidarietà comunale dipenderebbe dalla soluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale.
5.– Con atto depositato il 13 settembre 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.
L’interveniente sostiene che la norma censurata si sarebbe limitata a rinviare a un elenco preesistente, onde l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove l’ordinanza di rimessione, atteso che il legislatore non avrebbe attribuito all’ISTAT alcun potere discrezionale in merito, limitandosi a recepire l’elencazione – peraltro, tendenzialmente immutabile, in quanto fondata su dati fisici – quale presupposto per l’esenzione dall’IMU. Ne deriverebbe l’inammissibilità della questione o, comunque, la manifesta infondatezza della stessa, poiché, attraverso il rinvio al preesistente provvedimento di contenuto tecnico, la norma di legge avrebbe esattamente individuato i presupposti applicativi del regime agevolativo.
6.– Con atto depositato il 13 settembre 2016 si sono costituiti i Comuni di Perugia e di Narni, parti nel giudizio a quo, i quali, dopo aver evidenziato come la loro collocazione nell’elenco dell’ISTAT tra i Comuni parzialmente montani li abbia assoggettati a riduzioni di risorse a valere sul Fondo di solidarietà comunale non compensati dal maggior gettito tributario atteso, svolgono argomentazioni adesive alla prospettazione del rimettente, evidenziando che le norme censurate hanno trovato applicazione negli anni 2014 e 2015 prima di essere abrogate e sostituite dall’art. 1, comma 13, della legge n. 208 del 2015.
Con memoria illustrativa depositata il 31 ottobre 2017 i citati Comuni hanno ulteriormente argomentato la loro adesione alla prospettazione del rimettente, replicando altresì alle difese svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
7.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 142 del 2016, sempre il TAR per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b), prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali) nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente riferisce di essere stato adito dai Comuni di Regalbuto, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Niscemi, Modica, Sortino, Santa Venerina, Aci Sant’Antonio, Graniti, Catenanuova, Gaggi e Pietraperzia in sede di impugnazione dell’elenco dell’ISTAT richiamato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 e delle tabelle a quest’ultimo allegate sub A e B e di aver pronunciato sentenza non definitiva, riconoscendo l’impugnabilità dell’elenco dell’ISTAT, stante anche la natura non recettizia del rinvio a esso operato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, e disponendo incombenti istruttori, volti, tra l’altro, ad accertare i criteri della classificazione rifluita nell’elenco, al cui esito sarebbe risultato come la sua formazione a opera della Commissione censuaria centrale sia stata sostanzialmente legislativamente vincolata solo fino all’abrogazione dell’art. 1 della legge n. 991 del 1952.
In considerazione di ciò, il rimettente solleva la descritta questione di legittimità costituzionale, sostenendone la non manifesta infondatezza con argomenti coincidenti con quelli già esposti nell’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 141 del 2016 e la rilevanza in ragione del fatto che l’illegittimità dell’elenco, e, conseguentemente, delle tabelle riportanti le variazioni compensative a valere sul Fondo di solidarietà comunale, discenderebbe inevitabilmente dalla soluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata.
8.– Con atto depositato il 13 settembre 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale proposta sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata e adducendo argomenti coincidenti con quelli svolti in ordine all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 141 del 2016.
9.– Con atto depositato il 13 settembre 2016 si sono costituiti i Comuni di Regalbuto, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Modica, Sortino, Santa Venerina, Aci Sant’Antonio, Graniti, Catenanuova e Gaggi, parti nel giudizio a quo, i quali, dopo aver evidenziato che la loro collocazione nell’elenco dell’ISTAT tra i Comuni non più esenti dall’imposizione, come in precedenza, li ha assoggettati a riduzioni di risorse a valere sul Fondo di solidarietà comunale, svolgono argomentazioni adesive alla prospettazione del rimettente, evidenziando che le norme censurate hanno trovato applicazione negli anni 2014 e 2015 prima di essere abrogate e sostituite dall’art. 1, comma 13, della legge n. 208 del 2015.
Con memoria illustrativa depositata il 30 ottobre 2017 i citati Comuni hanno ulteriormente argomentato la loro adesione alla prospettazione del rimettente, replicando altresì alle difese svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
10.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 143 del 2016, sempre il TAR per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b), prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali) nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente, riferendo di essere stato adito dai Comuni di Castroreale, Rodì Milici e Centuripe in sede di impugnazione dell’elenco dell’ISTAT richiamato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 e delle tabelle a quest’ultimo allegate sub A e B, solleva la descritta questione di legittimità costituzionale, sostenendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza con argomenti coincidenti con quelli già esposti nelle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 141 e n. 142 del 2016.
11.– Con atto depositato il 13 settembre 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata e adducendo argomenti coincidenti con quelli svolti in ordine alle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 141 e n. 142 del 2016.
12.– Con atto depositato il 13 settembre 2016 si sono costituiti i Comuni di Castroreale e di Centuripe, parti nel giudizio a quo, svolgendo argomentazioni adesive alla prospettazione del rimettente coincidenti con quelle contenute nell’atto di intervento relativo all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 142 del 2016.
Il 30 ottobre 2017 i citati Comuni hanno depositato una memoria illustrativa del medesimo tenore di quella depositata dai Comuni intervenuti nel giudizio introdotto dall’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 142 del 2016.
13.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 157 del 2016, sempre il TAR per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b), prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali) nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente riferisce di essere stato adito dai Comuni di Moricone, Sezze, Bagnoregio, Ischia di Castro, Genazzano, Rignano Flaminio, Magliano Romano, Torrice, Carbognano, Sgurgola, Arpino, Rocca Priora, Cori, Bassano Romano, Lariano, Fondi, Paliano, Aquino, Piedimonte San Germano, Montelibretti, Capranica, San Lorenzo Nuovo, Tessennano, Tuscania, Gavignano, Anguillara Sabazia, Casalvieri, Nazzano, Rocca di Papa, San Vito Romano, Posta Fibreno, Morlupo, Castelliri, Olevano Romano, Priverno e Castelnuovo Cilento, nonché dall’Anci Lazio, in sede di impugnazione dell’elenco dell’ISTAT richiamato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 e delle tabelle a quest’ultimo allegate sub A e B e di aver pronunciato sentenza non definitiva, tra l’altro riconoscendo l’impugnabilità dell’elenco, stante anche la natura non recettizia del rinvio a esso operato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, e disponendo incombenti istruttori volti, tra l’altro, ad accertare i criteri della classificazione rifluita nell’elenco dell’ISTAT, al cui esito sarebbe risultato come la sua formazione a opera della Commissione censuaria centrale sia stata sostanzialmente legislativamente vincolata solo fino all’abrogazione dell’art. 1 della legge n. 991 del 1952.
In considerazione di ciò, il rimettente solleva la descritta questione di legittimità costituzionale, sostenendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza con argomenti coincidenti con quelli già esposti nelle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 141, n. 142 e n. 143 del 2016.
14.– Con atto depositato il 27 settembre 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata e adducendo argomenti coincidenti con quelli svolti in ordine alle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 141, n. 142 e n. 143 del 2016.
15.– Con atto depositato il 4 ottobre 2016 si è costituita la Regione autonoma Sardegna, parte nel giudizio a quo, svolgendo argomentazioni adesive alla prospettazione del rimettente.
Con memoria illustrativa depositata il 31 ottobre 2017 la Regione ha ulteriormente argomentato la propria adesione alla prospettazione del rimettente, replicando altresì alle difese svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe la Regione autonoma Sardegna ha impugnato l’art. 1, commi 1, 1-bis, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4 (Misure urgenti in materia di esenzione IMU), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, in riferimento agli artt. 3, 7, 8, 10 e 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), in relazione agli artt. 51 del decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), e 1 del decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 70 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna concernenti il conferimento di funzioni amministrative alla Regione in materia di agricoltura), nonché in riferimento agli artt. 3, 53, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione e ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
Con quattro ordinanze dal medesimo contenuto, indicate in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b), prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali) nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
2.– In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i giudizi devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.
Deve inoltre essere dichiarata ammissibile la costituzione dei Comuni di Perugia, Narni, Regalbuto, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Modica, Sortino, Santa Venerina, Aci Sant’Antonio, Graniti, Catenanuova, Gaggi, Castroreale, Centuripe e della Regione autonoma Sardegna, parti costituite nei giudizi a quibus.
3.– Prima di esaminare le questioni sottoposte allo scrutinio di questa Corte, occorre illustrare la manovra realizzata attraverso la normativa denunciata e l’evoluzione del contesto in cui essa si inserisce, anche per comprendere l’interesse che ha indotto la Regione autonoma Sardegna e i Comuni ricorrenti nei giudizi a quibus alle rispettive impugnazioni.
L’art. 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in materia di Imposta comunale sugli immobili (ICI), aveva previsto l’esenzione per «i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell’articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984». Per individuare i terreni esenti si faceva riferimento all’ubicazione nel territorio dei Comuni di cui all’elenco allegato alla circolare del Ministero delle finanze – Dipartimento entrate fiscalità locale – Servizio I del 14 giugno 1993, n. 9.
Detta esenzione, estesa all’Imposta municipale propria (IMU) – sostitutiva dell’ICI – dall’art. 9, comma 8, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), è stata mantenuta dall’art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale ha statuito al comma 13 che «[r]estano ferme le disposizioni dell’articolo 9» del d.lgs. n. 23 del 2011.
Successivamente, l’art. 4, comma 5-bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ha previsto che – con apposito decreto ministeriale – potessero essere individuati i Comuni nei quali si sarebbe dovuta applicare la citata esenzione dall’IMU sulla base dell’altitudine riportata nell’elenco dei Comuni italiani predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché, eventualmente, anche sulla base della redditività dei terreni.
L’art. 22, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ha sostituito l’art. 4, comma 5-bis, del d.l. n. 16 del 2012, demandando a un decreto del Ministro dell’economia e finanze, a decorrere dal periodo d’imposta 2014, l’individuazione dei Comuni in cui applicare l’esenzione dall’IMU sulla base del criterio dell’altitudine riportata nell’elenco dell’ISTAT, altresì diversificando tra i terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola, e gli altri. Il medesimo comma 2 ha anche disposto che dal complesso delle disposizioni sopra descritte dovesse derivare un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro, da recuperare alle casse dell’erario a opera del medesimo decreto. Il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 28 novembre 2014, recante «Esenzione dall’IMU, prevista per i terreni agricoli, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504», ha dato attuazione alle norme illustrate.
L’art. 1 del d.l. n. 4 del 2015, oggetto delle odierne censure, modifica nuovamente il regime di esenzione dall’IMU per i terreni agricoli montani e parzialmente montani, disponendo, a decorrere dal 2015 (comma 1) e per il 2014 (comma 3), l’esenzione per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati totalmente montani nell’elenco dell’ISTAT (comma 1, lettera a), nelle isole minori (comma 1, lettera a-bis) e nei Comuni classificati parzialmente montani nello stesso elenco dell’ISTAT, ove posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola (comma 1, lettera b).
Seppure in misura minore rispetto alla normativa immediatamente precedente, il comma 1 riduce la platea dei Comuni esenti rispetto al novero originario, determinando così la produzione di un maggior gettito tributario, che viene compensato dalle variazioni operate dai successivi commi da 7 a 9 e acquisito dallo Stato in base agli importi determinati, per ciascun Comune, negli allegati A, B e C (questi ultimi due per l’anno 2014). Il comma 7, in particolare, prevede che, a decorrere dal 2015, le variazioni compensative avvengano a valere sulla ripartizione del Fondo di solidarietà comunale, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’interno dall’art. 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», e destinato a essere ripartito tra i Comuni medesimi (secondo la disciplina dettata dall’art. 1, commi da 380-ter a 380-novies, della legge n. 228 del 2012). In tal modo, la norma assicura che, anche a regime, della manovra benefici l’erario, il quale trattiene le somme non trasferite dal Fondo di solidarietà comunale agli enti locali, mentre questi ultimi, nelle intenzioni del legislatore, non subirebbero alcuna riduzione di risorse, godendo in misura equivalente del maggior gettito diretto dell’IMU, frutto della riduzione delle esenzioni.
Peraltro, nella consapevolezza della possibilità di scostamenti tra maggior gettito tributario e riduzione dei trasferimenti, il successivo comma 9-quinquies prevede, secondo «una metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali», la «verifica del gettito per l’anno 2014, derivante dalle disposizioni di cui al presente articolo, sulla base anche dell’andamento del gettito effettivo», alla stregua della quale provvedere alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a ciascun Comune in base agli allegati A, B e C. Tale aggiornamento è successivamente avvenuto ad opera dell’art. 8, comma 10, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, che ha previsto per l’anno 2015 un contributo di 57,5 milioni di euro da ripartire tra i Comuni «tenendo conto della verifica del gettito per l’anno 2014 derivante dalle disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4».
A decorrere dal 2016, l’art. 1, comma 13, lettera c), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», ha abrogato l’art. 1, commi da 1 a 9-bis, del d.l. n. 4 del 2015, con la conseguenza che il descritto regime ha trovato applicazione solo negli anni 2014 e 2015.
4.– Tanto premesso e passando all’esame del ricorso della Regione autonoma Sardegna, il primo nucleo di censure riguarda l’art. 1, commi 1, 1-bis e 3, del d.l. n. 4 del 2015.
Del comma 1 si è già detto; il successivo comma 1-bis prevede una detrazione di 200 euro – fino alla concorrenza del suo ammontare – dall’IMU dovuta per i terreni ubicati nei Comuni di cui all’allegato 0A del decreto-legge, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali; il comma 3 dello stesso articolo prevede l’applicazione del comma 1 anche all’anno d’imposta 2014.
Secondo la ricorrente, i commi 1, 1-bis e 3 contrasterebbero: a) con gli artt. 3, lettera d), dello statuto speciale della Sardegna, 51 del d.P.R. n. 348 del 1979 e 1 del d.lgs. n. 70 del 2004, che attribuirebbero alla Regione la competenza esclusiva in materia di «agricoltura e foreste», comprensiva anche dello «sviluppo rurale» e della classificazione dei territori montani; b) con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., nonché 7 e 8 dello statuto speciale, in quanto non avrebbero lasciato alle Regione alcuno spazio di disciplina di un tipico tributo locale, con ciò ledendo altresì l’autonomia finanziaria regionale; c) con gli artt. 7, 8 e 10 dello statuto speciale, da un lato, in quanto la potestà di modulazione dell’imposizione fiscale attribuita da quest’ultimo parametro alla ricorrente postulerebbe che l’imposizione stessa non sia di per sé illegittima, e, dall’altro, in quanto tale intervento dovrebbe avvenire attingendo al bilancio della Regione, conseguentemente ledendone l’autonomia finanziaria.
Ad avviso della Regione, inoltre, i commi 1 e 3 contrasterebbero: a) con l’art. 56 dello statuto, avendo inteso derogare alla normativa di attuazione statutaria in materia di agricoltura senza rispettare la procedura all’uopo prevista; b) con gli artt. 3 (sotto il profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza), 53 (sotto il profilo della capacità contributiva) e 97 (sotto il profilo del buon andamento dell’amministrazione) Cost., in quanto il richiamato elenco dell’ISTAT sarebbe stato redatto sulla base di criteri previsti da una normativa abrogata da oltre venti anni, unitamente all’organo preposto all’aggiornamento, e sarebbe divenuto anacronistico perché compilato secondo dati (non solo geomorfologici ma anche reddituali) non più rivalutati e, nei casi di variazioni amministrative, sulla base del criterio della prevalenza territoriale, mai previsto dal legislatore; ciò a discapito del territorio sardo, altrimenti svantaggiato.
In via subordinata, secondo la ricorrente l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 violerebbe i principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, in quanto avrebbe sottratto a un procedimento cooperativo l’adozione di provvedimenti coinvolgenti l’esercizio di competenze regionali in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale.
Infine, l’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 4 del 2015 violerebbe l’art. 97 Cost., in quanto non si evincerebbe su quali basi sia stato compilato l’allegato 0A del decreto.
4.1.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 1-bis e 3, del d.l n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3, lettera d) – in relazione agli artt. 51 del d.P.R. n. 348 del 1979 e 1 del d.lgs. n. 70 del 2004 – 7, 8 e 10 dello statuto speciale della Sardegna, nonché in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., non sono fondate. Parimenti non fondate sono le censure mosse ai citati commi 1 e 3 in riferimento all’art. 56 dello statuto speciale della Sardegna.
Come questa Corte ha recentemente affermato, «l’IMU, in quanto istituita e disciplinata con legge dello Stato, è un tributo erariale (sentenza n. 123 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 40 del 2016, n. 121 del 2013 e n. 97 del 2013), seppur “derivato” in ragione della devoluzione del gettito (sentenza n. 121 del 2013). La sua disciplina ricade dunque “nella materia ‘ordinamento tributario dello Stato’, che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. riserva alla competenza legislativa statale” (sentenza n. 121 del 2013; nello stesso senso sentenze n. 26 del 2014 e n. 97 del 2013)» (sentenza n. 280 del 2016), anche per quanto attiene alla normativa di dettaglio (sentenza n. 121 del 2013). Ciò vale altresì per il relativo regime agevolativo, che costituisce un’integrazione della disciplina del tributo (sentenze n. 30 del 2012 e n. 123 del 2010).
Ne consegue che la normativa censurata non interviene negli ambiti di competenza spettanti alla Regione autonoma Sardegna in virtù dello statuto di autonomia e della normativa di attuazione invocata.
Il mancato contrasto con quest’ultima esclude altresì quello degli impugnati commi 1 e 3 con l’art. 56 dello statuto speciale della Sardegna in ragione del mancato rispetto della procedura necessaria a derogarvi.
La ricorrente lamenta anche la violazione dell’art. 10 dello statuto speciale, secondo cui «[l]a Regione, al fine di favorire lo sviluppo economico dell’Isola e nel rispetto della normativa comunitaria, con riferimento ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilità, può, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione: a) prevedere agevolazioni fiscali, esenzioni, detrazioni d’imposta, deduzioni dalla base imponibile e concedere, con oneri a carico del bilancio regionale, contributi da utilizzare in compensazione ai sensi della legislazione statale; b) modificare le aliquote in aumento entro i valori di imposizione stabiliti dalla normativa statale o in diminuzione fino ad azzerarle».
Con riferimento ad analoghe previsioni statutarie speciali, questa Corte ha chiarito che la locuzione «relativamente ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilità» si riferisce al caso in cui il gettito del tributo sia interamente devoluto all’ente autonomo (sentenze n. 2 del 2012, n. 323 del 2011 e n. 357 del 2010). Per la Regione autonoma Sardegna tale interpretazione trova conferma nell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 9 giugno 2016, n. 114 (Norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna – legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di entrate erariali regionali) – applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2010 – secondo cui «[n]el rispetto delle norme dell’Unione europea sugli aiuti di Stato, la Regione Sardegna, con riferimento ai tributi erariali il cui gettito sia ad essa interamente devoluto, ove la legge statale consenta una qualsiasi manovra su aliquote, esenzioni di pagamento, detrazioni d’imposta, agevolazioni o deduzioni dalla base imponibile, può in ogni caso compiere una qualsiasi di tali manovre, purché non venga superato il livello massimo di imposizione stabilito dalla normativa statale» (sulla funzione esegetica delle norme di attuazione statuaria, sentenza n. 51 del 2006).
Poiché il gettito dell’IMU non è attribuito alla Regione autonoma Sardegna, non sussiste il presupposto della potestà di modulazione dell’imposizione rivendicata dalla ricorrente, né, evidentemente, il conseguente riverbero sull’autonomia finanziaria regionale. Ne discende la non fondatezza delle questioni promosse in riferimento all’art. 10 dello statuto speciale e, sotto un ulteriore profilo, agli artt. 7 e 8 dello statuto speciale medesimo.
4.2.– La Regione autonoma Sardegna censura l’art. 1, commi 1 e 3, del d.l. n. 4 del 2015 anche in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost.
L’evocazione di parametri estranei a quelli afferenti alla competenza regionale è ammissibile quando esiste – come nel caso in esame – la connessione tra la disciplina del regime agevolativo del tributo e l’effetto che essa produce sulle relazioni finanziarie tra Stato e Comuni, la lesione delle cui prerogative costituzionali la Regione è legittimata a denunciare (ex plurimis, sentenza n. 205 del 2016).
Tanto premesso, le descritte questioni non sono fondate.
Questa Corte ha costantemente affermato che la disciplina di agevolazioni fiscali o benefici tributari di qualsiasi specie costituisce esercizio di un potere ampiamente discrezionale del legislatore (ordinanza n. 46 del 2009), «censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità» (ex multis, sentenza n. 177 del 2017), «a maggior ragione quando, come nella specie, la questione di costituzionalità sia diretta a limitare e non ad ampliare l’ambito del beneficio e risulti, quindi, sollevata in malam partem» (sentenza n. 346 del 2003).
Nella fattispecie, non ricorre nessuna di tali ipotesi.
Nell’identificare l’ambito territoriale delle agevolazioni, il legislatore, utilizzando l’elenco dell’ISTAT, ha fatto propri i criteri originariamente previsti dalla legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani).
Il criterio primario utilizzato è quello altimetrico (l’80 per cento della superficie del territorio comunale situata al di sopra di seicento metri di altitudine); tuttavia, esso non è adottato in via esclusiva, accompagnandosi a parametri di natura diversa, quali: a) ai sensi dell’art. 1, primo comma, della legge n. 991 del 1952, il reddito imponibile medio per ettaro, censito, risultante dalla somma del reddito dominicale e del reddito agrario, maggiorati del coefficiente di rivalutazione 12 ai sensi del decreto legislativo 12 maggio 1947, n. 356 (Rivalutazione degli estimi catastali dei terreni e del reddito agrario), non superiore a lire 2400 (unitamente a un dislivello tra la quota altimetrica inferiore e quella superiore del territorio comunale non minore di 600 metri); b) ai sensi dell’art. 1, terzo comma, della legge n. 991 del 1952, le pari condizioni economico-agrarie in cui versano i Comuni, o le porzioni di Comune, anche non limitrofi a quelli montani (con particolare riguardo ai Comuni già classificati tali nel catasto agrario e a quelli riconosciuti, per il loro intero territorio, danneggiati per eventi bellici).
In tal modo, la “montanità” non viene correlata a esclusivi requisiti orografici di altitudine ma anche a connotati di bassa redditività (sentenza n. 370 del 1985), sfuggendo così alla censura di irragionevolezza sul punto e di contrarietà al principio di buon andamento (sentenze n. 11 del 2007, n. 254 del 1989 e n. 370 del 1985).
L’intervento normativo non travalica dunque la soglia della palese irragionevolezza neppure in relazione alla vetustà dei criteri e al fatto che la legge che li ha previsti sia stata abrogata dall’art. 29, comma 7, lettera a), della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali).
Anzitutto, detti criteri risultano ancorati a un elemento stabile quale l’altimetria, tendenzialmente immutabile. In secondo luogo, l’assunto della Regione circa l’inesattezza dei dati di riferimento – sul presupposto della mancata rappresentatività della reale redditività dei terreni da parte dell’elencazione – è, oltre che scarsamente argomentato, del tutto indimostrato. Inoltre, esso non tiene conto della prescrizione che la Commissione censuaria centrale, preposta alla tenuta dell’elenco dei Comuni montani, provvedesse al suo aggiornamento (ai sensi dell’art. 1, secondo comma, della legge n. 991 del 1952), emendandolo delle eventuali difformità palesatesi nel corso del quarantennio di vigenza prima dell’abrogazione. Infine, l’impiego in epoca successiva, nei casi di variazioni amministrative (fusioni, soppressioni etc.), del criterio della prevalenza territoriale non è assolutamente illogico, non rileva sotto il profilo della ragionevolezza quanto alla mancata previsione legislativa e, comunque – secondo le precisazioni fornite dallo stesso Istituto di statistica nel corso dell’audizione presso la Commissione finanze del Senato l’11 febbraio 2015 in sede di conversione del d.l. n. 4 del 2015 – incide sull’elencazione in maniera marginale, trattandosi di pochi casi rispetto al numero dei Comuni totalmente o parzialmente esenti.
Infine, il rilievo che il descritto regime agevolativo trovi fondamento nell’art. 44, secondo comma, Cost. giustifica la diversa disciplina rispetto ad altre aree eventualmente svantaggiate.
4.3.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, non è fondata.
Va ribadito che la disciplina dell’IMU, comprensiva del regime agevolativo, rientra nella competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Questa Corte ha ripetutamente e costantemente escluso, anche con specifico riferimento al tributo erariale in considerazione, che «le procedure di leale collaborazione fra Stato e Regioni “trovino applicazione nell’attività legislativa esclusiva dello Stato, per cui non vi è concorso di competenze diversamente allocate, né ricorrono i presupposti per la chiamata in sussidiarietà (sentenze n. 121 e n. 8 del 2013, n. 207 del 2011); e che l’esclusione della rilevanza di tali procedure, che è formulata in riferimento al procedimento legislativo ordinario, ‘vale a maggior ragione per una fonte come il decreto-legge, la cui adozione è subordinata, in forza del secondo comma dell’art. 77 Cost., alla mera occorrenza di casi straordinari di necessità e d’urgenza’ (sentenze n. 79 del 2011 e n. 298 del 2009)” (sentenze n. 26 del 2014 e n. 97 del 2013)» (sentenza n. 280 del 2016).
4.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1-bis, del d.l n. 4 del 2015, in riferimento all’art. 97 Cost., è inammissibile, poiché la ricorrente non offre adeguata motivazione a supporto dell’asserita illegittimità, limitandosi ad affermare: «[s]u quali basi sia stato compilato detto Allegato 0A, dalla lettura della legge non si evince».
5.– Un secondo nucleo delle censure formulate dalla Regione autonoma Sardegna riguarda l’art. 1, commi 3, 4 e 5, del d.l. n. 4 del 2015, che disciplinano il pagamento dell’IMU agricola relativa all’anno d’imposta 2014.
È utile ricordare che il comma 3 estende i criteri di esenzione di cui ai commi 1 e 2 anche a detta annualità. Per essa, tuttavia, l’IMU non è comunque dovuta se i terreni che risultano imponibili ai sensi del nuovo regime erano, invece, esenti in virtù del pregresso (comma 4); il comma 5 dispone la proroga al 10 febbraio 2015 del termine per il versamento da parte dei contribuenti dell’imposta dovuta per il 2014 secondo i criteri fissati nei commi precedenti.
La ricorrente lamenta la ristretta tempistica prevista per il pagamento, in violazione: a) degli artt. 7, 8 e 10 (sotto un primo profilo) dello statuto speciale e 117 e 119 (sotto un primo profilo) Cost., in quanto il termine ravvicinato non avrebbe consentito alla Regione di modulare l’imposizione e, conseguentemente, ne avrebbe pregiudicato l’autonomia economico-finanziaria; b) degli artt. 3, lettera b), e 10 (sotto un secondo profilo) dello statuto speciale, in quanto detto termine avrebbe altresì impedito alla Regione di adottare disposizioni legislative di indirizzo ai Comuni per le loro determinazioni, in contrasto con il potere di incidere sulla modulazione dell’imposizione e in violazione delle competenze regionali in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale; c) degli artt. 3, lettera b), dello statuto speciale e 118 e 119 (sotto un secondo profilo) Cost., in quanto la tempistica avrebbe impedito anche agli enti locali di incidere sull’aliquota come previsto dall’art. 13, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011, con ulteriore violazione della competenza regionale in materia di finanza locale e di ordinamento degli enti locali, nonché dell’autonomia finanziaria di questi ultimi.
5.1.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3, 4 e 5, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 7, 8 e 10 (sotto il primo profilo) dello statuto speciale e 117 e 119 (sotto il primo profilo) Cost., non sono fondate.
Come sopra evidenziato, poiché il gettito dell’IMU non è attribuito alla Regione autonoma Sardegna, non risulta integrato il presupposto della potestà di modulazione dell’imposizione previsto dall’art. 10 dello statuto speciale della Sardegna, onde l’inconfigurabilità della relativa violazione e del preteso vulnus all’autonomia finanziaria regionale.
5.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3, 4 e 5, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3, lettera b), e 10 (sotto il secondo profilo) dello statuto speciale e 118 e 119 (sotto il secondo profilo) Cost., sono inammissibili.
Occorre preliminarmente ricordare che l’art. 1, commi 1 e 2, del d.l. n. 4 del 2015 disciplina l’esenzione dall’IMU agricola, ampliando, rispetto al regime immediatamente precedente, la platea dei Comuni interessati dall’esenzione.
I commi ora in esame estendono la citata normativa anche all’IMU dovuta per il 2014, con la precisazione, però, che, ove ciò determinasse il venir meno della precedente esenzione, l’IMU continuerebbe a non essere dovuta.
Tanto premesso, il ricorso non chiarisce le ragioni per cui tali novità – che attengono prettamente al profilo dell’agevolazione – in correlazione alla data del 10 febbraio 2015, prevista per il pagamento di quanto determinato alla luce della disciplina dell’esenzione, frustrerebbero l’esercizio di poteri della Regione e dei Comuni che non riguarderebbero detta esenzione ma la modulabilità dell’aliquota di un’imposta non dovuta, così ledendo le attribuzioni asseritamente presidiate dai parametri evocati.
La motivazione delle censure risulta pertanto inadeguata e, in quanto tale, determina l’inammissibilità delle questioni proposte.
6.– Un terzo gruppo di censure formulate dalla Regione autonoma Sardegna riguarda l’art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, che disciplinano le variazioni compensative derivanti dall’attuazione del nuovo sistema di esenzione.
A decorrere dal 2015 le variazioni compensative di risorse conseguenti all’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 vengono operate a valere sul Fondo di solidarietà comunale nella misura riportata nell’allegato A del d.l. n. 4 del 2015, con la procedura prevista dall’art. 1, commi 128 e 129, della legge n. 228 del 2012 (comma 7); per l’anno 2014, le variazioni compensative di risorse nei confronti dei Comuni conseguenti all’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4 avvengono nella misura di cui all’allegato B del decreto (comma 8); essendo già intervenute le regolazioni contabili con i Comuni, secondo la disciplina del precedente regime, la diversa stima di gettito comporta, per il 2014, un rimborso in favore dei Comuni, secondo gli importi indicati nell’allegato C del decreto (comma 9).
Ai sensi dell’art. 1, comma 9-bis, del d.l. n. 4 del 2015, a ristoro del minor gettito dell’IMU derivante dal precedente comma 1-bis, è attribuito, tra gli altri, ai Comuni sardi un contributo complessivamente pari a 15,35 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, ripartito con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, secondo una metodologia adottata «sentita» la Conferenza Stato-città e autonomie locali. Il successivo comma 9-quinquies stabilisce che: a) al fine di assicurare la più precisa ripartizione delle variazioni compensative di risorse, fermo restando l’ammontare complessivo delle suddette variazioni, pari, complessivamente, a 230.691.885,33 euro per l’anno 2014 e a 268.652.847,44 euro dall’anno 2015, il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di una metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, provvede, entro il 30 settembre 2015, alla verifica del gettito per l’anno 2014; b) con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, si provvede alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a ciascun Comune, anche della Regione autonoma Sardegna, sulla base dell’esito delle verifiche di cui al periodo precedente.
Ad avviso della ricorrente, il regime così concepito – che, compensando il maggior gettito dell’IMU con le risorse altrimenti recuperate allo Stato dai Comuni, anche a valere sul Fondo di solidarietà comunale, sostituirebbe entrate certe con entrate incerte – sarebbe fondato su stime aleatorie e imprecise, senza peraltro consentire la correzione dell’ammontare complessivo delle variazioni, irrigidito negli importi normativamente indicati. Ne deriverebbe la violazione: a) del principio di veridicità dei bilanci e di copertura delle spese (art. 81 Cost.) e, di conseguenza, dell’autonomia finanziaria dei Comuni (art. 119 Cost.), destinati a sopportare gli effetti della mancanza di risorse causata dalle norme censurate; b) degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale e 117 Cost., parametri attributivi della competenza regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, quest’ultima strettamente connessa a quella regionale; c) degli artt. 3 dello statuto speciale della Sardegna e 117 e 119 Cost., in quanto, in un ambito coinvolgente l’esercizio di competenze regionali in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, i commi 9-bis e 9-quinquies non rispetterebbero i principi di leale collaborazione e di sussidiarietà attraverso il coinvolgimento della Regione nel procedimento previsto, essendo prescritto solo quello delle autonomie locali attraverso le forme dell’intesa “debole”.
6.1.– Va anzitutto ribadita la legittimazione della Regione a denunciare la lesione delle prerogative costituzionali degli enti locali (ex plurimis, sentenza n. 205 del 2016).
A differenza delle questioni sollevate in via incidentale dal TAR, che attengono alla disciplina del tributo, la Regione lamenta il preteso pregiudizio arrecato al sistema di finanziamento degli enti locali. Nella regolamentazione dei trasferimenti dovuti a questi ultimi – significativamente tali provvidenze finanziarie hanno assunto la denominazione di Fondo di solidarietà – convergono variegati coefficienti quantitativi sul cui peso incidono, non solo l’entità positiva o negativa del regime delle agevolazioni, ma anche i coefficienti correttivi di natura solidaristica che riguardano le zone fiscalmente più povere quali generalmente i territori montani.
6.2.– Alla luce di tali precisazioni, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost., non sono fondate per le ragioni appresso indicate.
La ricorrente muove dal presupposto che le entrate rappresentate dal maggior gettito frutto del regime di esenzione non presentino quel grado di certezza sufficiente a garantire la copertura delle spese previste e precedentemente coperte con un’entrata diversa, in particolare costituita dalla ripartizione del Fondo di solidarietà comunale.
In linea astratta tale assunto non è implausibile, dal momento che viene abbandonato un sistema di esenzione collaudato in tempi recenti a favore di un altro – frutto di criteri risalenti e adottati per altre finalità – che potrebbe indurre rilevanti divari in territori caratterizzati da una strutturale carenza di risorse. Ciò soprattutto con riguardo a enti locali di piccole dimensioni nei quali anche riduzioni di entrate marginali in termini di valore assoluto possono precludere lo svolgimento o il mantenimento di servizi essenziali.
Tuttavia, per quanto di seguito specificato, il legislatore si è dato carico dei potenziali squilibri che potrebbero verificarsi, ponendovi rimedio sia nello stabilire la temporaneità e la sperimentalità delle disposizioni impugnate, sia predisponendo meccanismi correttivi degli eventuali scompensi.
Al riguardo va qui ribadito – in conformità alla giurisprudenza di questa Corte – che l’autonomia finanziaria costituzionalmente garantita alle autonomie territoriali non comporta, a favore di queste ultime, una rigida garanzia “quantitativa”, cioè la garanzia della disponibilità di entrate tributarie non inferiori a quelle ottenute in passato: onde nel caso di modifica della disciplina di tributi il cui gettito è devoluto agli enti territoriali possono aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di risorse purché non tali da rendere impossibile lo svolgimento delle loro funzioni (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2012 e n. 138 del 1999).
Tuttavia, la riduzione deve essere accompagnata dalla garanzia del coinvolgimento degli enti territoriali (ex plurimis, sentenza n. 129 del 2016) nella fase di definizione degli obiettivi di finanza pubblica e della loro quantificazione. Inoltre, l’eventuale riduzione non può essere tale da rendere impossibile o da pregiudicare gravemente lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione (sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015 e n. 241 del 2012). Tale rischio di insostenibilità si accentua notevolmente con riguardo alle piccole comunità montane ove la marginalità del turismo non riesce a compensare la penuria strutturale delle risorse finanziarie.
Sotto tale profilo non si può negare che la norma impugnata sostituisce un meccanismo di esenzioni già sperimentato in questo ambito, con un sistema nuovo, bisognoso di verifiche di impatto in un ambito particolarmente delicato quale quello dei territori e delle popolazioni della montagna.
La tutela di tali situazioni trova, tra l’altro, garanzia diretta nell’art. 44, secondo comma, Cost. in tema di salvaguardia e di valorizzazione dei territori montani.
Tale tutela inerisce, da un lato, alle caratteristiche fisiche dell’ambiente montano e ai fattori antropici, che a esso si associano, quali le limitate dimensioni delle comunità locali, la dispersione territoriale e l’isolamento; dall’altro, all’esigenza fondamentale del mantenimento della vitalità socioeconomica e ambientale di tali zone. La permanenza della popolazione sulle aree di altura risponde infatti a un’imprescindibile necessità di presidio del territorio, alla cura del patrimonio idrogeologico e al contrasto – anche attraverso puntuali manutenzioni – dei processi erosivi e alluvionali.
Emblematica in tal senso è la formulazione dell’art. 1 della legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane), secondo cui le zone montane sono ritenute di preminente interesse nazionale sotto il profilo territoriale, economico, sociale, culturale e delle tradizioni locali.
Anche in ambito europeo sono prese in considerazione come territori meritevoli di tutela le zone montane, in quanto caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione della terra e da un consistente aumento del costo del lavoro, dovuti all’esistenza di condizioni climatiche molto difficili a causa dell’altitudine e dell’esistenza, nella maggior parte del territorio, di forti pendii: in tal senso l’art. 32 del regolamento del 17 dicembre 2013, n. 1305/2013/CE, recante «Regolamento del parlamento europeo e del consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio».
Se l’impatto della novella fiscale può incidere su relazioni finanziarie di particolare rilevanza in termini economici e fiscali, la configurazione astratta delle censure regionali urta, tuttavia, con il combinato delle norme impugnate e di quelle intervenute fino al definitivo abbandono del regime in esame. Tale complesso tessuto normativo prevede, infatti, una serie di misure di rimodulazione dei rapporti debitori e creditori tra Stato ed enti locali che si ispirano proprio alla finalità di riequilibrare specifiche situazioni in cui il nuovo ordito normativo possa produrre rilevanti pregiudizi. Dette misure non erano presenti in altre fattispecie per le quali questa Corte ha ritenuto sussistente la lesione dell’autonomia finanziaria dell’ente territoriale (sentenze n. 188 e n. 129 del 2016).
Così il comma 9-quinquies prevede che «[a]l fine di assicurare la più precisa ripartizione delle variazioni compensative di risorse di cui agli allegati A, B e C al presente decreto, fermo restando l’ammontare complessivo delle suddette variazioni, pari, complessivamente, a 230.691.885,33 euro per l'anno 2014 e a 268.652.847,44 euro dall’anno 2015, il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di una metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, provvede, entro il 30 giugno 2015, alla verifica del gettito per l’anno 2014, derivante dalle disposizioni di cui al presente articolo, sulla base anche dell’andamento del gettito effettivo. Con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, si provvede alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a ciascun comune […] della regione Sardegna, sulla base dell’esito delle verifiche di cui al periodo precedente». In tal modo è stata creata una stanza di compensazione per le variazioni di maggiore entità unitamente a un meccanismo di predisposizione di criteri obiettivi sulla base dei quali effettuare dette compensazioni. Inoltre, l’art. 8, comma 10, del d.l. n. 78 del 2015 ha previsto per l’anno 2015 un contributo di 57,5 milioni di euro da ripartire tra i Comuni «tenendo conto della verifica del gettito per l’anno 2014 derivante dalle disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4», in tal modo mitigando la denunciata rigidità della precedente previsione dell’ammontare complessivo delle variazioni compensative del maggior gettito IMU da ripartire tra i Comuni.
Peraltro, nel caso in cui anche i criteri determinati in contraddittorio con l’ANCI e la Conferenza Stato-città e autonomie locali non fossero ritenuti esaustivi per la tutela e la salvaguardia di specifici territori montani, non si creerebbero zone d’ombra nella tutela degli enti locali poiché ben potrebbero i Comuni interessati attivare il controllo giurisdizionale, sia nel caso che detti criteri siano adottati con norme di rango primario, sia nel caso che ciò avvenga attraverso atti amministrativi. In tali ipotesi, tuttavia, l’eventuale illegittimità di tali riparti non sarebbe imputabile alle norme oggi impugnate, come in astratto configurate, bensì a una deficitaria attuazione delle stesse.
In proposito è utile sottolineare come la giurisprudenza costituzionale sia ferma nel precisare che grava sul ricorrente l’onere probatorio di dimostrare l’irreparabile pregiudizio lamentato, quando lo stesso non sia direttamente evincibile dal testo normativo impugnato (ex plurimis, sentenze n. 127 del 2016, n. 239 del 2015, n. 26 e n. 23 del 2014). Sotto tale aspetto il ricorso della Regione autonoma Sardegna appare carente, poiché essa non ha fornito la dimostrazione che la dedotta riduzione di gettito rende impossibile lo svolgimento delle funzioni da parte dei Comuni interessati.
Quanto in precedenza argomentato induce a qualificare il regime delle agevolazioni in esame come transitorio, sperimentale e, quanto ai profili attuativi, suscettibile di correzione attraverso le modalità precedentemente illustrate. Proprio in virtù di tali caratteri esso supera lo scrutinio di costituzionalità in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost.
6.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale e 117 Cost., non sono fondate.
Secondo la ricorrente, stante lo stretto legame tra finanza regionale e locale, il regime compensativo connesso a quello di esenzione comprometterebbe anche l’autonomia finanziaria della Regione e la sua competenza in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale.
Alla stregua delle ragioni precedentemente illustrate, per le quali non si riscontra una lesione dell’autonomia finanziaria locale, non è ravvisabile nemmeno una violazione di quella regionale.
A ciò si aggiunga che, nella fattispecie, si tratta di trasferimenti o contributi a carico del bilancio dello Stato, nell’ambito delle relazioni finanziarie che intercorrono tra lo stesso e i Comuni, e che, diversamente dalle autonomie speciali continentali, la Regione autonoma Sardegna non somministra “trasferimenti istituzionali” agli enti locali (sentenza n. 188 del 2016). Di qui l’infondatezza della questione anche con riguardo alle competenze regionali in materia di finanza locale.
6.4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3 dello statuto speciale e 117 e 119 Cost., non sono fondate.
Secondo la ricorrente, l’art. 1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, non contemplando il coinvolgimento della Regione rispettivamente nel procedimento per ripartire il contributo attribuito a compensazione del minor gettito derivante dalla detrazione di cui al comma 1-bis e in quello per modificare le variazioni compensative all’esito delle verifiche previste, violerebbe il principio di leale collaborazione di cui all’art. 117 Cost. in un ambito coinvolgente l’esercizio di competenze regionali, con conseguente violazione dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale e del principio di sussidiarietà ricondotto all’art. 119 Cost.
La censura muove dal presupposto che la fattispecie normativa integri un’ipotesi di chiamata in sussidiarietà, in relazione alla quale, peraltro, la Regione, lamentando di non essere coinvolta nell’esercizio delle funzioni in materia finanziaria, non invoca un’addizione per ovviare all’illegittimità lamentata, vale a dire l’introduzione dell’intesa, ma l’ablazione della norma – alla stregua del petitum formulato nelle conclusioni – sebbene ciò finisca per determinare un aggravio dei vulnera denunciati in ricorso, impedendo attribuzione e ripartizione del contributo di cui al comma 9-bis, nonché l’aggiornamento delle variazioni compensative previsto dal comma 9-quinquies.
La ricorrente non tiene conto del fatto che le relazioni finanziarie che vengono in rilievo nella fattispecie non afferiscono a “trasferimenti istituzionali” ai Comuni da parte della Regione autonoma Sardegna – atteso che essa, come in precedenza evidenziato, non li somministra – ma a contributi (comma 9-bis) e a trasferimenti o assegnazioni finanziarie a carico del bilancio dello Stato (comma 9-quinquies), che esulano dalla competenza regionale in materia di ordinamento e di finanza degli enti locali. Nella fattispecie, dunque, non si ravvisano i presupposti per la chiamata in sussidiarietà, la quale implica, appunto, la sussistenza di una competenza regionale (ex plurimis, sentenza n. 170 del 2017).
7.– Le ordinanze del TAR per il Lazio censurano l’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del d.l. n. 4 del 2015, in quanto, prevedendo che l’esenzione dall’IMU si applichi ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati totalmente o parzialmente montani – in quest’ultimo caso se posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola – nell’elenco predisposto dall’ISTAT, rimetterebbe a detto Istituto la determinazione dei presupposti di fatto per l’applicazione del regime agevolativo. Ciò senza porre un vincolo legislativo alla discrezionalità amministrativa, in quanto l’art. 1 della legge n. 991 del 1952, che originariamente disciplinava la formazione dell’elenco – poi recepito dall’ISTAT – è stato abrogato dall’art. 29, comma 7, lettera a), della legge n. 142 del 1990, con la conseguenza che il successivo mantenimento della classificazione sarebbe avvenuto sulla base di parametri non più legislativamente determinati. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 23 Cost.
7.1.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del d.l. n. 4 del 2015, sollevate in riferimento all’art. 23 Cost., non sono fondate.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che «non vi è dubbio che le norme di agevolazione tributaria siano anch’esse, come le norme impositive, sottoposte alla riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost., perché realizzano un’integrazione degli elementi essenziali del tributo (sentenza n. 123 del 2010). Ne consegue che i profili fondamentali della disciplina agevolativa devono essere regolati direttamente dalla fonte legislativa». Quest’ultima «non deve limitarsi a fissare i tetti massimi dell’importo delle agevolazioni accordate, ma deve determinare in modo sufficiente anche le fattispecie di agevolazione, individuandone gli elementi fondamentali, quali i presupposti soggettivi e oggettivi per usufruire del beneficio» (sentenza n. 60 del 2011).
Sebbene, dunque, anche la previsione dei presupposti soggettivi e oggettivi dell’agevolazione debba avvenire per legge e non possa essere rimessa alla mera discrezionalità dell’amministrazione, ciò non conduce a ravvisare la violazione del principio di riserva di legge nella fattispecie in esame.
La norma censurata – come risulta dai chiarimenti forniti dall’ISTAT in audizione durante la conversione del decreto-legge, riscontrati dal rimettente in sede di istruttoria (ordinanze iscritte al reg. ord. n. 142 e n. 157 del 2016), e come desumibile da analogo richiamo a opera di leggi anteriori (art. 1, comma 380, lettera f, della legge n. 228 del 2012) – utilizza un elenco preesistente, non più aggiornato dal 2009, i cui dati (quanto a “montanità”) l’ISTAT ha raccolto e diffuso per finalità informative e ai quali il legislatore ha attinto.
La disposizione, dunque, non attribuisce né all’Istituto né ad altra amministrazione il compito di stabilire quali Comuni siano totalmente o parzialmente montani e, di conseguenza, quali terreni siano esenti dall’IMU; non reca una norma “in bianco” che si limiti a prevedere il potere in capo all’amministrazione, così priva di vincoli nella possibilità di incidere sulla sfera generale di libertà dei cittadini.
Con il rinvio rivolto a un’elencazione già predisposta il legislatore ha condiviso le scelte ivi cristallizzate a fini differenti, adottando quella valutazione in funzione agevolativa fino alla sopravvenuta abrogazione della norma che vi provvede.
Attraverso il rinvio, dunque, l’individuazione dei presupposti soggettivi e oggettivi dell’esenzione è tutt’altro che rimessa all’amministrazione, alla quale, viceversa, non viene riconosciuto alcun margine di discrezionalità, nemmeno quella condizionata da criteri direttivi e linee generali di disciplina che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (di recente, sentenze n. 174 e n. 69 del 2017), la rendono compatibile con la riserva relativa. La scelta, infatti, è stata operata integralmente dal decreto-legge.
Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento all’art. 23 Cost., sono pertanto non fondate.