Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso n. 65 del 2016, la Regione Veneto ha proposto in via principale questioni di legittimità costituzionale avente ad oggetto gli artt. 7, comma 5; 15, commi 1, 2, lettera d), e 5; 16 della legge 28 luglio 2016, n. 154 (Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale).
In particolare, l’art. 7, comma 5, è impugnato per violazione degli artt. 81, 97, 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.; l’art. 15, commi 1, 2, lettera d), e 5, per violazione degli artt. 81, 97, 117, quarto comma, e 118 Cost. nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.; l’art. 16 per violazione degli artt. 3, 97, 117, quarto comma, e 118 Cost.
1.1.− L’art. 7 prevede l’istituzione, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, previa intesa con la Conferenza unificata, del Sistema informativo per il biologico (SIB), che utilizza l’infrastruttura del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), al fine di gestire i procedimenti amministrativi degli operatori e degli organismi di controllo previsti dalla normativa europea relativi allo svolgimento di attività agricole e di acquacoltura con metodo biologico. Al comma 5 statuisce che «[l]e regioni dotate di propri sistemi informatici per la gestione dei procedimenti relativi all’agricoltura e all’acquacoltura biologiche, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, attivano i sistemi di cooperazione applicativa della pubblica amministrazione necessari a garantire il flusso delle informazioni tra il SIB e i sistemi regionali. In mancanza dell’attivazione dei sistemi di cooperazione applicativa entro il predetto termine, gli operatori utilizzano il SIB».
A parere della Regione Veneto, quanto disposto dall’ultimo periodo solo all’apparenza afferirebbe alla funzione del coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, assegnata dall’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. alla competenza esclusiva statale, in quanto trascenderebbe tale ambito materiale determinando una lesione delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di agricoltura e organizzazione amministrativa regionale.
Infatti, il coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale andrebbe intesa come «un mero potere legislativo di coordinamento» (sentenza n. 271 del 2005), di tipo tecnico e il cui esercizio, comunque, non potrebbe comprimere la competenza regionale nella disciplina e gestione di una propria rete informativa. Al contrario, la disposizione impugnata − sostiene sempre la Regione Veneto −, lungi dal limitarsi al coordinamento suddetto, prevederebbe, in caso di mancata intesa tra le parti, la surrogazione del sistema informativo statale a quelli regionali.
Per effetto di tale forma impropria di “sanzione”, la Regione si vedrebbe costretta a esercitare le proprie competenze amministrative in materia di agricoltura e di acquacoltura biologiche secondo le modalità procedimentali predisposte dallo Stato, il che − oltre a violare l’art. 117, quarto comma, e l’art. 118 Cost. − contrasterebbe con il canone di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., modificando le modalità di esercizio della pubblica potestà, senza ragioni idonee a giustificare tale scelta e rischiando di ingenerare effetti negativi in termini di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa regionale.
Inoltre tale surrogazione forzosa di sistemi procedimentali informatici produrrebbe anche maggiori spese derivanti dal passaggio da un sistema informativo ad un altro, con conseguente violazione degli artt. 81 e 119 Cost.
Sarebbe infine irragionevole − sempre a parere della ricorrente − collegare un effetto surrogatorio automatico in danno delle Regioni al mancato raggiungimento di un’intesa con lo Stato, il quale potrebbe dipendere da un dissenso unilaterale espresso da parte del Governo o da ragioni puramente tecniche (legate anche alla brevità del termine previsto). Peraltro, la forma di raccordo disciplinata dalla disposizione impugnata, pur essendo qualificata in termini di intesa, si presenterebbe come altamente insufficiente, in quanto non è prevista alcuna ulteriore forma di concertazione atta a superare le ragioni del mancato accordo. Dal che deriverebbe altresì la lesione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
1.2.− L’art. 15, commi 1 e 2, lettera d), e 5, della legge n. 154 del 2016 violerebbe, a parere della ricorrente, gli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 Cost. nonché il principio di leale collaborazione.
La disposizione, al primo comma, delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati, fra l’altro, al riordino degli enti, società ed agenzie vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
Il comma successivo, nell’elencare i princìpi e criteri direttivi che il Governo è tenuto ad osservare nella predisposizione di tali decreti legislativi, indica, tra gli altri, la «riorganizzazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) anche attraverso la revisione delle funzioni attualmente affidate all’Agenzia medesima e, in particolare, dell’attuale sistema di gestione e di sviluppo del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) di cui all’articolo 15 della legge 4 giugno 1984, n. 194, nonché del modello di coordinamento degli organismi pagatori a livello regionale» prevedendo i seguenti indirizzi: «l’introduzione di un modello organizzativo omogeneo, l’uniformità dei costi di gestione del sistema tra i diversi livelli regionali e l’uniformità delle procedure e dei sistemi informativi tra i diversi livelli».
Secondo la Regione Veneto, ciò andrebbe ben oltre i limiti afferenti all’esplicitata finalità di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, finalità che peraltro parrebbe essere contraddetta dalla disposizione stessa.
Quest’ultima, infatti, tenderebbe a realizzare un livellamento organizzativo, procedurale e di spesa tra i diversi sistemi regionali, determinando l’effetto distorsivo per cui, ove essi presentino caratteristiche di eccellenza sotto il profilo organizzativo, gestorio e finanziario, come nel caso della Regione Veneto, sarebbero costretti ad adeguarsi comunque ai nuovi parametri previsti dalla legislazione statale, pur ove “qualitativamente” inferiori, con la conseguente lesione in termini non solo di efficienza amministrativa, ma anche sotto il profilo economico-finanziario, con violazione dunque sia del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. che degli artt. 81 e 119 Cost.
L’imposizione di modelli organizzativi e procedimentali prevista nella delega legislativa in esame − reputa sempre la ricorrente − determinerebbe inoltre un’invasione delle competenze affidate alle Regioni in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale e in materia di agricoltura, con violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.
Peraltro, la previsione, quale unico strumento di concertazione intergovernativa, di un mero parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da rendere nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascun schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo potrà comunque procedere, determinerebbe, sia per il carattere “debole” dell’intervento della conferenza intergovernativa sia per l’esiguità del termine previsto, la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
1.3.− L’art. 16 della legge n. 154 del 2016 prevede l’istituzione, presso l’Istituto di Servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), della Banca delle terre agricole, con «l’obiettivo di costituire un inventario completo della domanda e dell’offerta dei terreni e delle aziende agricoli, che si rendono disponibili anche a seguito di abbandono dell’attività produttiva e di prepensionamenti, raccogliendo, organizzando e dando pubblicità alle informazioni necessarie sulle caratteristiche naturali, strutturali ed infrastrutturali dei medesimi, sulle modalità e condizioni di cessione e di acquisto degli stessi nonché sulle procedure di accesso alle agevolazioni di cui al capo III del titolo I del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, e successive modificazioni».
La Regione Veneto sottolinea che tale disposizione, pur facendo salva la eventuale disciplina regionale relativa alla gestione dei terreni incolti e abbandonati, verrebbe sostanzialmente a sovrapporsi a quest’ultima senza che sia prevista alcuna forma di coordinamento.
In particolare − segnala la ricorrente − la legge della Regione Veneto 8 agosto 2014, n. 26 (Istituzione della banca della terra veneta), al fine di valorizzare il proprio patrimonio agricolo e le altre superfici agricole del territorio regionale, ha istituito la «Banca della terra veneta», la quale contiene un inventario completo e aggiornato dell’offerta dei terreni suscettibili di coltivazione e delle aziende agricole di proprietà pubblica e privata disponibili per operazioni di assegnazione, comprensivo dei terreni abbandonati o incolti, nonché dei beni i cui proprietari o aventi causa abbiano segnalato alla Regione la disponibilità a cederne la conduzione a terzi. È altresì previsto che la Giunta regionale, ai sensi dell’art. 5 della legge 4 agosto 1978, n. 440 (Norme per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate), provvede alle assegnazioni per l’utilizzo dei beni inseriti nella banca dati in parola, mediante espletamento di procedure a evidenza pubblica.
Si determinerebbe, dunque, una sovrapposizione disciplinatoria che solo apparentemente sarebbe risolta dalla riserva di cui al comma 6 del medesimo art. 16 della legge n. 154 del 2016. La ricorrente paventa, difatti, il sorgere di conflitti tra potenziali acquirenti di un medesimo terreno agricolo abbandonato, non risolvibili mediante una mera operazione di ermeneusi.
Tale sovrapposizione regolatoria e la mancanza di un sistema di soluzione di eventuali conflitti, induce la ricorrente a sostenere che il censurato art. 16 presenta gravi profili di irragionevolezza e di lesività del canone di buon andamento, con conseguente violazione degli artt. 3 e 97 Cost., violazione che ridonderebbe in una lesione della competenza legislativa regionale residuale, e dunque esclusiva, in materia di agricoltura, ex art. 117, quarto comma, Cost. nonché in un’invasione della competenza amministrativa regionale di cui all’art. 118 Cost., essendo l’assegnazione dei terreni agricoli abbandonati affidata dalla stessa legge statale alla competenza delle Regioni.
2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito deducendo l’infondatezza delle censure prospettate dalla Regione Veneto.
2.1.− Quanto alla questione relativa all’art. 7, comma 5, della legge n. 154 del 2016, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea che, se è vero che quello previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. è «un mero potere legislativo di coordinamento» e che tale potere è «rivolto unicamente a un coordinamento di tipo tecnico, ove questo sia ritenuto opportuno dal legislatore statale [...] e il cui esercizio, comunque, non può escludere una competenza regionale nella disciplina e gestione di una propria rete informativa», come rileva la stessa Regione, è altrettanto vero che, proprio in base alla predetta giurisprudenza, il predetto potere di coordinamento «si giustifica alla luce della necessità di assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione» e che «certamente attengono al predetto coordinamento anche i profili della qualità dei servizi e della razionalizzazione della spesa in materia informatica, in quanto necessari al fine di garantire la omogeneità nella elaborazione e trasmissione dei dati» (sentenze n. 31 del 2005 e n. 17 del 2004) ed è altrettanto vero che «la conduzione diretta del sistema informativo statistico ed informatico − dato che questo non può non riguardare l’intero territorio nazionale − costituisce il mezzo idoneo a che il sistema stesso risulti complessivamente coordinato» (sentenza n. 50 del 2005).
Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene, inoltre, che la norma impugnata troverebbe il suo principale fondamento nell’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. che attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di rapporti con l’Unione europea. E ciò in quanto il regolamento (CE) della Commissione n. 889/2008 del 5 settembre 2008 − recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, per quanto riguarda la produzione biologica, l’etichettatura e i controlli − prevede in capo agli Stati membri precisi “obblighi informativi” (in particolare, agli artt. 93 e 94), tra i quali rientra quello della pubblicazione delle informazioni, anche mediante sistemi informatici, relative agli elenchi aggiornati degli operatori biologici.
A parere dell’Avvocatura generale dello Stato, verrebbe sì in rilievo la materia agricoltura, rientrante nell’ambito della competenza residuale delle Regioni in base all’art. 117, quarto comma, Cost., ma si intersecherebbe con materie appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettere a) ed s), Cost.
In base, poi, al riparto di competenze tra Stato e Regioni e al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., la disposizione censurata prevederebbe sia il mantenimento dei sistemi informativi regionali, sia una fase di cooperazione nel flusso delle informazioni tra questi ultimi e il SIB, sia il coinvolgimento delle Regioni in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni.
La previsione di una surrogazione del sistema informatico statale nel caso di mancata intesa fra le parti sarebbe, poi, giustificata dalla particolare posizione attribuita allo Stato per garantire l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento generale della Repubblica (artt. 5 e 120 Cost.) in materie di rilevante interesse nazionale, che richiedono una disciplina uniforme nel rispetto degli obblighi posti a livello comunitario.
Sarebbe, quindi, priva di fondamento anche la censura con la quale si lamenta che l’eventuale surrogazione del sistema informativo statale a quelli regionali violerebbe, oltre all’art. 117, quarto comma, Cost., anche gli artt. 97 e 118 Cost., senza ragioni sostanziali che giustifichino tale scelta. Ed anzi, proprio sulla base di quest’ultimo articolo, la norma impugnata attribuirebbe per sussidiarietà al sistema informativo statale le funzioni finalizzate a garantire l’esecuzione degli impegni assunti verso l’Unione europea, allo scopo di assicurare, per l’ipotesi in cui non siano adeguatamente ed efficacemente esercitate le funzioni a livello regionale sulla trasmissione dei dati informatici, l’esercizio a carattere unitario richiesto dalla citata normativa europea.
Infondata sarebbe anche la censura relativa alle presunte maggiori spese derivanti dal passaggio da un sistema informativo ad un altro, in quanto la norma impugnata non prevederebbe affatto l’eliminazione dei sistemi informatici regionali e, di conseguenza, non si profilerebbe la sussistenza di danni economici per il passaggio da un sistema informativo ad un altro, non essendo le Regioni obbligate a detto passaggio.
Quanto alla pretesa lesione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., viene infine ricordato che l’intesa rappresenterebbe, tra gli strumenti attuativi del consenso, l’espressione più rilevante e paradigmatica della collaborazione fra Stato e Regioni.
2.2.− Infondata sarebbe anche la seconda questione promossa dalla Regione Veneto relativa all’art. 15, commi 1, 2, lettera d), e 5 della legge n. 154 del 2016, perché il modello organizzativo omogeneo previsto per i sistemi di organismi pagatori regionali non sarebbe una previsione incondizionata, a sé stante, ma andrebbe letta nel quadro delle disposizioni precedenti (affermazione del principio di sussidiarietà) e seguenti (riorganizzazione tesa a garantire l’efficienza di erogazione dei servizi e del sistema dei pagamenti) e non contrasterebbe con il principio della riduzione dei costi pubblici.
Con riferimento alla censurata disciplina del modello di coordinamento degli organismi pagatori a livello regionale recante un “modello organizzativo omogeneo per gli organismi pagatori regionali”, viene sottolineato che la normativa dell’Unione europea prevede che, per ottenere il riconoscimento dall’Autorità competente dello Stato membro, gli Organismi pagatori devono essere Servizi od Organismi che dispongono di una struttura organizzativa in grado di soddisfare i requisiti di cui all’allegato I del regolamento (CE) 11 marzo 2014, n. 907/2014 − recante regolamento delegato della Commissione che integra il regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli organismi pagatori e altri organismi, la gestione finanziaria, la liquidazione dei conti, le cauzioni e l’uso dell’euro −, ai fini dello svolgimento delle funzioni connesse alla gestione ed al controllo delle spese del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), senza specificare la natura di tale struttura e demandando al sistema amministrativo dei singoli Stati membri. La disposizione in esame risulterebbe in linea con l’osservanza del principio di sussidiarietà contenuto nell’art. 118 Cost.
Viene, inoltre, rammentata la previsione contenuta nell’art. 7, paragrafo 4, del regolamento (CE) 17 dicembre 2013, n. 1306/2013 – recante regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 352/78, (CE) n. 165/94, (CE) n. 2799/98, (CE) n. 814/2000, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 485/2008 −, relativa alla necessaria designazione da parte degli Stati membri, qualora siano riconosciuti più organismi pagatori, di un “organismo di coordinamento”.
Il censurato art. 15, nel fissare i criteri e i princìpi da osservare nell’esercizio della delega, dispone che la riorganizzazione dell’AGEA, alla quale sono attribuite, tra le altre, le attività a carattere tecnico-operativo relative al coordinamento degli organismi pagatori a livello regionale, deve avvenire, appunto, anche mediante il “coordinamento degli organismi pagatori a livello regionale”, tenuto conto dei summenzionati impegni assunti a livello europeo. L’AGEA agisce, pertanto, come unico rappresentante dello Stato italiano nei confronti della Commissione per tutte le questioni relative al FEAGA e al FEASR ed è responsabile nei confronti dell’Unione europea degli adempimenti connessi alla gestione degli aiuti derivanti dalla Politica agricola comune (PAC), nonché degli interventi sul mercato e sulle strutture del settore agricolo, finanziati dal FEAGA e dal FEASR.
Viene quindi sottolineato dall’Avvocatura generale dello Stato che la ratio del censurato art. 15, comma 2, lettera d), sarebbe pienamente rispondente al conseguimento dell’armonizzazione tra la potestà organizzativa regionale e la normativa nazionale di settore, oltre che in linea con gli obblighi discendenti dal citato regolamento.
2.3.− Infondata, infine, sarebbe anche la terza questione, relativa all’art. 16 della legge n. 154 del 2016, perché, ai fini del coordinamento tra la Banca delle terre agricole istituita presso l’ISMEA e le eventuali analoghe banche istituite da leggi regionali, ben potranno essere utilizzate le convenzioni tra l’ISMEA e le Regioni la cui stipula è espressamente prevista dal legislatore. Il comma 6 dell’impugnato art. 16 − che fa salve le norme contenute nelle leggi regionali relativamente ai terreni incolti e abbandonati − sarebbe una disposizione priva di carattere innovativo dell’ordinamento e sarebbe in linea con quanto già previsto dall’art. 14 della legge n. 440 del 1978, che demanda alle Regioni la competenza a emanare norme per il recupero produttivo delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate.
Viene quindi esclusa una possibile sovrapposizione della normativa statale a quella regionale, o un conflitto di situazioni giuridiche soggettive tra i potenziali acquirenti, essendo ferme e ben distinte nella disciplina in questione le rispettive competenze dello Stato e delle Regioni.
3.− In data 17 aprile 2018, la Regione ha depositato memoria, ribadendo le proprie argomentazioni a sostegno del ricorso.
In particolare, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il comma 5 dell’art. 7 della legge n. 154 del 2016, la ricorrente rileva l’inconferenza del parametro di cui all’art. 117, comma secondo, lettera a), Cost., il cui richiamo, da parte dell’Avvocatura generale, sarebbe il frutto di una confusione della competenza statale, nei rapporti tra Stato e Unione europea, a disciplinare le modalità di attuazione e di partecipazione alla formazione del diritto europeo con quella a dare attuazione e a partecipare a tale normogenesi, posto che la circostanza che una disciplina abbia rilievo comunitario non potrebbe elidere la competenza regionale nella materia interessata.
Ugualmente inconferente sarebbe il richiamo all’esigenza di garantire l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento della Repubblica in materie di rilevante interesse nazionale e al fenomeno dell’attrazione in sussidiarietà.
Quanto alla seconda questione promossa, a supporto delle proprie argomentazioni, viene richiamato l’allegato Schema di decreto legislativo attuativo della disposizione di legge impugnata, che peraltro non avrebbe ancora ricevuto l’assenso della conferenza intergovernativa. Viene inoltre segnalato che, secondo quanto risulta dagli atti allegati, nel corso dell’iter procedimentale di adozione del decreto delegato il Governo ha fatto riferimento all’acquisizione dell’intesa da parte della Conferenza Stato-Regioni anziché del parere, aggiungendo però che si tratta di una “mera modificazione nominale”, posto che sarebbe mancato qualsivoglia forma di dialogo e confronto finalizzata a superare le perplessità rilevate dalla compagine regionale. Infine, si rammenta che esso, nonostante la proroga del termine da 12 a 18 mesi non risulterebbe ancora adottato, con conseguente esaurimento del potere delegato.
Quanto alla terza questione, avente ad oggetto l’art. 16 della legge n. 154 del 2016, si sottolinea la natura “apodittica e meramente assertiva” della difesa statale e l’irrilevanza delle convenzioni, da quest’ultima valorizzate, che ISMEA potrebbe stipulare con i competenti assessorati regionali, stante la loro indeterminatezza e il loro carattere facoltativo.
Considerato in diritto
1.− Con ricorso depositato il 18 ottobre 2016, la Regione Veneto ha proposto in via principale questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto gli artt. 7, comma 5, 15, commi 1, 2, lettera d), e 5, nonché 16 della legge 28 luglio 2016, n. 154 (Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale).
2.− Va preliminarmente trattata la questione relativa all’art. 15, commi 1, 2, lettera d), e 5, della legge n. 154 del 2016, il quale − disponendo la delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino di enti, società ed agenzie vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali − prevede, nell’ambito della riorganizzazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), con riferimento alla revisione del modello di coordinamento degli organismi pagatori a livello regionale, quali criteri direttivi «l’introduzione di un modello organizzativo omogeneo, l’uniformità dei costi di gestione del sistema tra i diversi livelli regionali e l’uniformità delle procedure e dei sistemi informativi tra i diversi livelli», prescrivendo, quale unico strumento di concertazione intergovernativa, il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da rendere nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo potrà comunque procedere.
A parere della Regione Veneto tale disposizione violerebbe:
− gli artt. 81, 97 e 119 della Costituzione, in quanto tenderebbe a realizzare un livellamento organizzativo, procedurale e di spesa tra i diversi livelli regionali, senza tener conto delle loro specificità, determinando l’effetto distorsivo per cui, ove essi presentino caratteristiche di eccellenza sotto il profilo organizzativo, gestorio e finanziario, sarebbero comunque costretti ad adeguarsi ai nuovi parametri previsti dalla legislazione statale;
− gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., in quanto l’imposizione di modelli organizzativi e procedimentali prevista nella delega legislativa determinerebbe un’invasione delle competenze affidate alle Regioni in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale e in materia di agricoltura;
− l’art. 120 Cost., in considerazione del «carattere “debole” dell’intervento della conferenza intergovernativa» nonché dell’esiguità del termine previsto per il rilascio del relativo parere.
2.1.− Va rilevato che, come segnalato dalla Regione ricorrente nella propria memoria depositata il 17 aprile 2018 e dall’Avvocatura generale dello Stato in udienza, nonostante il decorso del termine legislativamente previsto, non è stato dato seguito alla delega.
La mancata adozione del decreto legislativo entro il termine fissato nella legge delega impedisce che la norma censurata trovi applicazione.
Deve quindi essere dichiarata l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso (sentenze n. 141 del 2016, n. 326 del 2010 e n. 71 del 2005, ordinanza n. 1 del 2017).
3.− Nel merito, le restanti questioni non sono fondate.
4.− L’art. 7 della legge n. 154 del 2016, al comma 1, istituisce il Sistema informativo per il biologico (SIB), che utilizza l’infrastruttura del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), al fine di gestire i procedimenti amministrativi degli operatori e degli organismi di controllo previsti dalla normativa europea relativi allo svolgimento di attività agricole e di acquacoltura con metodo biologico, disponendo, al successivo comma 5, l’obbligo per le Regioni dotate di propri sistemi informatici per la gestione dei procedimenti relativi all’agricoltura e all’acquacoltura biologiche, di attivare (entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge) i sistemi di cooperazione applicativa della pubblica amministrazione necessari a garantire il flusso delle informazioni tra il SIB e i sistemi informativi regionali.
Secondo la ricorrente, la previsione che, in mancanza dell’adeguamento dei sistemi regionali, gli operatori utilizzino il SIB, violerebbe:
− gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., in quanto la “surrogazione” del sistema informativo statale a quelli regionali determinerebbe una lesione delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di agricoltura e organizzazione amministrativa regionale, esorbitando dalla funzione del coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, assegnata dall’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. alla competenza esclusiva statale;
− l’art. 97 Cost., in quanto modificherebbe le modalità di esercizio della pubblica potestà, senza ragioni idonee a giustificare la scelta, costringendo la Regione a esercitare le proprie competenze amministrative in materia di agricoltura e di acquacoltura biologiche secondo le modalità procedimentali predisposte dallo Stato e rischiando di ingenerare effetti negativi in termini di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa regionale;
− gli artt. 81 e 119 Cost., in quanto comporterebbe maggiori spese derivanti dal passaggio da un sistema informativo ad un altro;
− l’art. 120 Cost., in quanto collegherebbe un effetto surrogatorio automatico in danno delle Regioni al mancato raggiungimento di un’intesa tra Stato e Regioni, il quale potrebbe dipendere da un dissenso unilaterale espresso dal Governo o da ragioni puramente tecniche (legate anche alla brevità del termine previsto), e, peraltro, prevederebbe una forma di raccordo che, pur essendo qualificata in termini di intesa, si presenterebbe altamente insufficiente e lesiva del principio di bilateralità, non essendo prevista alcuna ulteriore forma di concertazione atta a superare le ragioni del mancato accordo.
4.1.− Va ricordato, in linea generale, che la competenza statale nella materia concernente il «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione […] locale» (art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.) concerne le disposizioni «strumentali per “assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione” (sentenza n. 17 del 2004; nello stesso senso, fra le altre, sentenze n. 23 del 2014 e n. 46 del 2013)» (sentenze n. 284 e n. 251 del 2016).
Ebbene, la previsione in esame rappresenta una misura tecnico-operativa indispensabile per garantire il flusso delle informazioni tra i sistemi informativi regionali e quello nazionale, ove permanga, a seguito dell’inadempimento regionale, una situazione di non comunicabilità tra di essi.
La disposizione censurata rientra, pertanto, nell’ambito della competenza esclusiva statale di cui al secondo comma, lettera r), dell’art. 117 Cost. e non viola gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., non determinando alcuna lesione delle competenze regionali.
Neppure viola l’art. 97 Cost. in quanto, all’opposto, serve proprio a garantire l’efficienza dell’attività della pubblica amministrazione grazie alla comunicabilità tra i diversi sistemi, centrale e periferici.
Tantomeno si pone in contrasto con gli artt. 81 e 119 Cost., poiché i costi che derivano dalla disposizione impugnata sono la conseguenza dell’ineludibile interesse a garantire la comunicabilità tra il sistema informativo nazionale e quelli periferici. Tali costi, peraltro, non sono quantificati in alcun modo dalla Regione ricorrente, la quale omette di fornire al riguardo qualsivoglia prova delle maggiori spese e quindi dei presunti “effetti economico-finanziari” negativi che dovrebbero sostanziare la lesione degli evocati parametri costituzionali.
La riconduzione alla competenza legislativa statale della normativa impugnata esclude anche ogni profilo di violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. (sentenze n. 251 del 2016 e n. 232 del 2009). L’obbligo di utilizzo del SIB, necessitato per le ragioni sin qui evidenziate, scatta a seguito dell’inerzia protrattasi per novanta giorni rispetto all’obbligo di attivazione dei sistemi di cooperazione applicativa, la quale, per espressa previsione dello stesso comma 5 del censurato art. 7, avviene col pieno coinvolgimento delle Regioni, e cioè «previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».
5.− Infine, secondo la Regione Veneto, l’art. 16 della legge n. 154 del 2016, che istituisce presso l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) la Banca delle terre agricole, pur facendo salva la eventuale disciplina regionale relativa alla gestione dei terreni incolti e abbandonati, verrebbe sostanzialmente a sovrapporsi a quest’ultima senza che sia prevista alcuna forma di coordinamento; in particolare, si sovrapporrebbe alla legge regionale 8 agosto 2014, n. 26 (Istituzione della banca della terra veneta), la quale ha istituito la «banca della terra veneta», contenente un inventario completo e aggiornato dell’offerta dei terreni suscettibili di coltivazione e delle aziende agricole di proprietà pubblica e privata disponibili per operazioni di assegnazione, comprensivo quindi dei terreni «abbandonati o incolti».
La sovrapposizione regolatoria, in mancanza di un sistema di soluzione di eventuali conflitti, presenterebbe gravi profili di irragionevolezza oltre che di lesività del canone di buon andamento, con conseguente violazione degli artt. 3 e 97 Cost., violazione che ridonderebbe in una lesione della competenza legislativa regionale residuale e dunque esclusiva in materia di agricoltura, ex art. 117, quarto comma, Cost. nonché in un’invasione della competenza amministrativa regionale di cui all’art. 118 Cost., essendo l’assegnazione dei terreni agricoli abbandonati affidata dalla stessa legge statale alla competenza delle Regioni.
5.1.− La questione non è fondata per erroneità del presupposto interpretativo (tra le ultime, sentenza n. 53 del 2018).
Una corretta lettura della norma censurata porta, infatti, ad escludere la sovrapposizione regolatoria lamentata dalla ricorrente.
Innanzitutto, l’impugnato art. 16, all’ultimo comma, fa espressamente salve le disposizioni contenute nelle leggi regionali relativamente ai terreni «incolti e abbandonati».
Secondo quanto sancito dall’art. 1 della legge 4 agosto 1978, n. 440 (Norme per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate), le Regioni «provvedono ad emanare norme di attuazione secondo i princìpi e i criteri stabiliti dalla presente legge per il recupero produttivo delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, anche al fine della salvaguardia degli equilibri idrogeologici e della protezione dell’ambiente». La medesima legge statale, all’art. 5, dispone che le Regioni assegnano per la coltivazione le terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, anche appartenenti ad enti pubblici e morali, compresi i terreni demaniali, ai richiedenti che si obbligano a coltivarle in forma singola o associata. L’art. 4 della legge reg. Veneto n. 26 del 2014, poi, richiamando la norma statale da ultimo riportata, disciplina le modalità di assegnazione per l’utilizzo dei beni inseriti nella banca della terra veneta.
Tale quadro normativo non è intaccato dalla disposizione censurata.
Quest’ultima, infatti, si limita ad istituire la Banca delle terre agricole, con il dichiarato «obiettivo di costituire un inventario completo della domanda e dell’offerta dei terreni e delle aziende agricoli, che si rendono disponibili anche a seguito di abbandono dell’attività produttiva e di prepensionamenti, raccogliendo, organizzando e dando pubblicità alle informazioni necessarie sulle caratteristiche naturali, strutturali ed infrastrutturali dei medesimi, sulle modalità e condizioni di cessione e di acquisto degli stessi nonché sulle procedure di accesso alle agevolazioni di cui al capo III del titolo I del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, e successive modificazioni».
Si tratta, cioè, di una mappatura tesa unicamente a consentire ai soggetti che cercano terreni in vendita da poter coltivare di accedere agevolmente ad una banca di dati di portata nazionale, così trovando in un’unica fonte le caratteristiche dei terreni siti in tutto il territorio nazionale, la loro posizione, le tipologie di coltivazioni e i valori catastali, mentre la gestione amministrativo-civilistica rimane alla Regione.
Né a diverse conclusioni può condurre la previsione dei commi 4 e 5 dello stesso art. 16, quanto alla facoltà dell’ISMEA di presentare «programmi o progetti di ricomposizione fondiaria» riguardanti i terreni oggetto della norma, «con l’obiettivo di individuare comprensori territoriali nei quali promuovere aziende dimostrative o aziende pilota».
La previsione, infatti, rappresenta il coerente sviluppo delle funzioni dell’Istituto che consistono nel realizzare servizi informativi, assicurativi e finanziari, costituendo forme di garanzia creditizia e finanziaria per le imprese agricole e le loro forme associate, al fine di favorire l’informazione e la trasparenza dei mercati; nell’agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo, favorire la competitività aziendale e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato. L’Istituto, inoltre, affianca le Regioni nelle attività di riordino fondiario, attraverso la formazione e l’ampliamento della proprietà agricola, e favorisce il ricambio generazionale in agricoltura in base ad uno specifico regime di aiuto approvato dalla Commissione europea.
Peraltro, è comunque previsto che tale facoltà si possa esplicare tramite la stipula di convenzioni con gli assessorati regionali e provinciali competenti per la fase operativa, con il pieno coinvolgimento, quindi, delle diverse realtà territoriali.