Ritenuto in fatto
1.– La Commissione tributaria provinciale di Cuneo, con ordinanza del 7 gennaio 2013, ha sollevato, per la terza volta nel corso dello stesso giudizio, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere e) e s), terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione.
La disposizione censurata prevede che: «[i] soggetti che gestiscono impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali tali quali ad alto rischio e a rischio specifico di encefalopatia spongiforme bovina BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo minimo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di materiale trattato nell’anno. I soggetti che gestiscono impianti di riutilizzo di scarti animali trattati ad alto rischio e a rischio specifico BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo minimo annuo di 0,15 euro ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato nell’anno».
1.1.– Il giudice rimettente premette che IN.PRO.MA. – Industria produzione mangimi srl (d’ora in avanti, IN.PRO.MA. srl) ha impugnato, nei confronti del Comune di Ceresole d’Alba e di G.E.C. – Gestione esazioni convenzionata spa, l’avviso di accertamento-liquidazione con il quale la seconda le aveva ingiunto, per conto del primo, il pagamento della somma di euro 78.157,50, oltre ad accessori, a titolo di contributo previsto per l’anno 2006 dalla disposizione di legge regionale impugnata, quale gestore di un impianto di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di BSE.
Con ordinanza del 9 luglio 2008, la Commissione tributaria adìta aveva trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di incostituzionalità della disposizione, sollevata dalla ricorrente IN.PRO.MA. srl con riferimento agli artt. 117 e 119 Cost.
La Corte, con ordinanza n. 309 del 2009, preso atto che, successivamente all’ordinanza di rimessione, la disposizione censurata era stata abrogata dall’art. 21 della legge della Regione Piemonte 30 settembre 2008, n. 28 (Assestamento al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2008 e disposizioni finanziarie), aveva restituito gli atti al giudice a quo perché valutasse nuovamente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione.
Con ordinanza del 16 maggio 2011, la Commissione tributaria aveva sollevato per la seconda volta questione di illegittimità costituzionale della disposizione di legge regionale, in riferimento agli stessi parametri.
Nelle more del giudizio incidentale di costituzionalità, la società IN.PRO.MA. aveva presentato nei confronti del Comune di Ceresole d’Alba e di G.E.C. spa due ulteriori e separati ricorsi (aventi ad oggetto il recupero a tassazione di euro 129.948,00, a titolo di contributo regionale dovuto per l’anno 2007, e la connessa sanzione amministrativa per omesso pagamento), nei quali aveva riproposto la stessa eccezione di illegittimità costituzionale.
Con ordinanza n. 156 del 2012, la Corte costituzionale aveva dichiarato manifestamente inammissibile la riproposta questione di legittimità della disposizione di legge regionale, rilevando che il giudice rimettente non aveva operato le valutazioni demandategli dalla medesima con l’ordinanza n. 309 del 2009. Non aveva infatti motivato sulla perdurante rilevanza della questione, nonostante la sopravvenuta abrogazione della disposizione denunciata; aveva inoltre lasciato irrisolta l’alternativa sulla natura tributaria o non tributaria del contributo regionale, così omettendo di valutare anche sotto tale profilo la rilevanza della questione; ancora, non aveva preso posizione su eventuali connotati di specialità della disciplina degli scarti animali rispetto alla generalità dei rifiuti e, quindi, sull’incidenza sulla questione di tale eventuale specialità; non aveva dedotto alcun contrasto rispetto agli evocati parametri, perché, quanto all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., aveva omesso di prospettare qualsiasi censura e, quanto all’art. 119, Cost., si era mostrato perplesso («pare»), escludendo, per un verso, che la disposizione violasse i principi fondamentali di coordinamento dettati dalla legge statale e ritenendo, per altro verso, meramente «opinabile» che il contributo regionale avesse lo stesso presupposto del tributo speciale statale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi previsto dall’art. 3, commi da 24 a 40, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).
1.2.– La Commissione tributaria provinciale di Cuneo, tenuto conto dei rilievi formulati dalla Corte nell’ordinanza n. 156 del 2012, espone, in primo luogo, che la rilevanza perdura nonostante la sopravvenuta abrogazione della disposizione denunciata ad opera dell’art. 21 della legge reg. Piemonte n. 28 del 2008, poiché la norma abrogata è applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, relativa all’esistenza o meno dell’obbligo di pagamento del contributo (e della sanzione per il suo omesso pagamento) con riguardo ad annualità anteriori all’abrogazione, che non ha effetto retroattivo.
Aggiunge, sempre sotto il profilo della rilevanza, che il «contributo» regionale in esame si deve qualificare come tributo, poiché ricorrono gli elementi che, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 238, n. 146 e n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), individuano la natura tributaria di un’entrata, consistenti, per un verso, nella doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e, per altro verso, nel collegamento della prestazione alla spesa pubblica in relazione a un presupposto economicamente rilevante.
La rimettente prosegue escludendo che sulla questione possa incidere l’eventuale specialità della disciplina degli scarti animali rispetto a quella della generalità dei rifiuti. In particolare, secondo il giudice a quo il trattamento e lo smaltimento di scarti animali sono disciplinati dal regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio Reg. (CE) 3 ottobre 2002, 1774 (recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano) solo sotto il profilo sanitario e di polizia veterinaria della fase di trasformazione dei rifiuti di origine animale, con esclusione dei profili di loro gestione, che sono regolati dalla disciplina generale della materia, fatta eccezione per la categoria dei sottoprodotti, alla quale tuttavia non appartengono gli scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di BSE trattati dalla ricorrente società IN.PRO.MA., che devono essere necessariamente inceneriti o «coinceneriti», come le parti del giudizio a quo non hanno contestato.
Esaminando, infine, l’eventuale influenza sul requisito della rilevanza degli ulteriori motivi di ricorso proposti dalla società IN.PRO.MA. nei due giudizi sopravvenuti aventi ad oggetto il contributo e la sanzione dovuti per l’anno 2007 (nel frattempo riuniti a quello precedente relativo all’anno di imposta 2006), la Commissione tributaria provinciale argomenta, da un lato, l’infondatezza della censura di illegittimità dell’ingiunzione di pagamento del contributo per il 2007, per essere stata questa notificata in pendenza della sospensione del procedimento di accertamento disposta in via di autotutela dal Comune di Ceresole d’Alba. Dall’altro, sottolinea che ogni decisione sull’eccezione di illegittimità della sanzione, per violazione dell’art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’art. 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662), e dell’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), lascerebbe comunque “impregiudicata la rilevanza della questione sulla debenza o meno del tributo”.
1.3.– La rimettente prosegue sostenendo la non manifesta infondatezza della questione sollevata in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, alla luce di quanto statuito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 2008, secondo cui, nell’esercizio dell’autonomia tributaria di cui all’art. 119 della Costituzione, «le Regioni a statuto ordinario sono assoggettate al duplice limite costituito dall’obbligo di esercitare il proprio potere di imposizione in coerenza con i principi fondamentali di coordinamento e dal divieto di istituire o disciplinare tributi già istituiti da legge statale o di stabilirne altri aventi lo stesso presupposto, almeno fino all’emanazione della legislazione statale di coordinamento».
In particolare, confrontando la disciplina statale sul tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (dettata dall’art. 3, commi da 24 a 40, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e la norma regionale istitutiva del «contributo» per il pre-trattamento e il trattamento degli scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di BSE, afferma che il tributo regionale, oltre ad avere presupposti «non diversi» rispetto al tributo statale, si pone anche in contrasto con le finalità perseguite dalla legge statale, consistenti nel favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero da essi di materia prima e di energia, ai sensi dell’art. 3, comma 24, della legge n. 549 del 1995. Difatti, il tributo regionale colpisce la fase intermedia del trattamento, indipendentemente dal fatto che questa sia finalizzata alla trasformazione in rifiuto dal quale possa essere recuperata materia prima o energia.
1.4.– Quanto all’altro profilo di illegittimità costituzionale, la rimettente osserva che il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi rientra a pieno titolo nella «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», che l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., riserva all’esclusiva potestà legislativa dello Stato, non versandosi in materia di mera valorizzazione dei beni ambientali, prevista dal terzo comma dello stesso art. 117 Cost.
2.– Con atto depositato il 14 ottobre 2014 si è costituita la ricorrente nel giudizio principale IN.PRO.MA. srl, chiedendo che la questione venga accolta.
3.– Con atto depositato l’11 novembre 2013 è intervenuta la Regione Piemonte, contestando, in primo luogo, la natura tributaria del contributo in oggetto. In subordine, argomentando che il contributo in esame è stato legittimamente istituito nell’esercizio della potestà legislativa attribuita alle Regioni dall’art. 119 Cost.
4.– In prossimità dell’udienza IN.PRO.MA. srl ha depositato una memoria illustrativa, nella quale, richiamate le condizioni a cui, secondo la giurisprudenza costituzionale espressa fra le altre nelle sentenze n. 102 del 2008 e n. 37 del 2004, è subordinato l’esercizio della potestà legislativa esclusiva regionale in materia tributaria, osserva che nel caso di specie sussiste un contrasto tra la norma regionale denunciata e i principi stabiliti in materia dall’ordinamento tributario, ed in particolare con quelli stabiliti dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, comma 35, prevede espressamente che le disposizioni dei commi da 24 a 41 del medesimo articolo, istitutive del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti e per il loro smaltimento tal quali in impianti di incenerimento senza recupero d’energia, «costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’art. 119 della Costituzione». Aggiunge che, anche qualora si ritenesse che i presupposti del contributo regionale siano diversi da quelli del tributo statale e che non sussista alcun contrasto con i principi della legge statale, la norma denunciata sarebbe comunque illegittima, avendo introdotto un tributo in materia ambientale (ed in particolare in materia di rifiuti), appartenente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato secondo la costante giurisprudenza costituzionale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), in correlazione all’art. 119 Cost.
Considerato in diritto
1.– La Commissione tributaria provinciale di Cuneo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), secondo cui «[i] soggetti che gestiscono impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali tali quali ad alto rischio e a rischio specifico BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo minimo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di materiale trattato nell’anno. I soggetti che gestiscono impianti di riutilizzo di scarti animali trattati ad alto rischio, e a rischio specifico BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo minimo annuo di 0,15 euro ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato nell’anno».
1.1.– La questione è stata sollevata, per la terza volta, nel corso di un giudizio introdotto da IN.PRO.MA. – Industria produzione mangimi srl, con ricorso avverso l’atto di accertamento-liquidazione dell’importo di euro 78.157,50, oltre ad accessori, dovuto ai sensi della predetta norma regionale in relazione all’attività di gestione di un impianto di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di encefalopatia spongiforme bovina (BSE), svolta nell’anno 2006 nel territorio del Comune di Ceresole d’Alba, ente per conto del quale ha proceduto, ai fini della riscossione della predetta somma, l’esattore G.E.C. – Gestione Esazioni Convenzionata s.p.a. Sono seguite altre due impugnazioni da parte di IN.PRO.MA. s.r.l., riunite alla prima nello stesso processo, aventi ad oggetto, rispettivamente, l’atto di accertamento-liquidazione dell’importo dovuto, allo stesso titolo, per l’anno 2007 ed il provvedimento con il quale il Comune di Ceresole d’Alba ha irrogato una sanzione pecuniaria per il mancato pagamento di tale importo.
2.– Secondo il rimettente la norma denunciata è invasiva delle competenze statali, ponendosi in contrasto con i seguenti parametri costituzionali:
a) l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in correlazione con l’art. 119 Cost., poiché il «contributo» regionale, oltre ad avere presupposti «non diversi» da quelli del tributo speciale statale per il deposito in discarica dei rifiuti e per il loro smaltimento tal quali in impianti di incenerimento senza recupero d’energia, previsto dall’art. 3, commi da 24 a 40, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), contraddice le finalità perseguite dalla citata legge statale, recante i principi fondamentali della materia;
b) l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la disposizione regionale incide sulla materia ambientale, attribuita all’esclusiva potestà legislativa statale.
2.1.– Occorre precisare che i commi terzo (erroneamente indicato nell’ordinanza di rimessione citando un inesistente «n. 3» della disposizione) e quarto, dell’art. 117, Cost., vengono (impropriamente) richiamati dal giudice a quo non già come parametro cui riferire la denunciata violazione, ma come disposizioni costituzionali non applicabili alla fattispecie normativa impugnata, la quale non sarebbe riconducibile né alla «valorizzazione dei beni ambientali», né alla potestà legislativa residuale delle Regioni.
2.2.– Ancora preliminarmente, è utile ricordare che non esiste una preclusione alla riproponibilità della questione incidentale di legittimità da parte dello stesso giudice e nello stesso giudizio, quando sia intervenuta ad opera di questa Corte una pronuncia meramente processuale ed il giudice a quo abbia rimosso gli elementi ostativi ad una pronuncia sulla fondatezza o meno della questione, poiché tale iniziativa non contrasta con il disposto dell’ultimo comma dell’art. 137 Cost., in tema di non impugnabilità delle decisioni della Corte stessa (ex plurimis, sentenze n. 189 del 2001, n. 42 del 1996, n. 433 del 1995; ordinanze n. 371 del 2004, n. 63 del 2003, n. 399 del 2002 e n. 87 del 2000).
3.– Sotto altro profilo, l’abrogazione dell’art. 16, comma 4, della legge reg. Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 ad opera dell’art. 21. legge reg. Piemonte n. 28 del 2008, non comporta il venir meno del requisito della rilevanza. La norma, infatti, come plausibilmente rimarcato dal rimettente, resta applicabile ratione temporis nel giudizio principale, il cui oggetto è incentrato sull’accertamento dell’obbligo di pagare il contributo regionale in relazione ad anni di imposta antecedenti alla sua abrogazione (2006 e 2007).
4.– Prima di procedere all’esame nel merito della questione di costituzionalità sollevata, la Corte deve accertare la natura tributaria del «contributo» in esame. Una sua diversa qualificazione, infatti, prima ancora di ripercuotersi sulla incongruità delle norme parametro invocate, escluderebbe finanche la giurisdizione dell’autorità rimettente, circoscritta, dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), alla cognizione «di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere o specie», con esclusione quindi delle entrate patrimoniali pubbliche extratributarie.
4.1.– A questi fini è necessario muovere dall’esame degli elementi di identificazione dei tributi, come enucleati dalla giurisprudenza costituzionale, vale a dire: l’irrilevanza del nomen iuris usato dal legislatore, «occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo» (sentenze n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005); la matrice legislativa della prestazione imposta, in quanto il tributo nasce «direttamente in forza della legge» (sentenza n. 141 del 2009), risultando irrilevante l’autonomia contrattuale (sentenza n. 73 del 2005); la doverosità della prestazione (sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta una ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982); il nesso con la spesa pubblica, dovendo sussistere un collegamento della prestazione alla pubblica spesa «in relazione a un presupposto economicamente rilevante» (sentenza n. 141 del 2009), nel senso che la prestazione stessa è destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell’ente impositore (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982).
4.2.– L’esito cui è pervenuto il giudice a quo circa la natura tributaria, e non commutativa, del contributo è coerente con i criteri ermeneutici appena passati in rassegna.
L’obbligo del pagamento del contributo trova la sua fonte esclusiva nella legge regionale e non in un rapporto sinallagmatico tra le parti. La prestazione imposta non costituisce remunerazione dell’uso in generale di beni collettivi comunali, come il territorio e l’ambiente, potendo il Comune disporre solo dei singoli beni che fanno parte del suo demanio o patrimonio (sentenza n. 141 del 2009), né è correlata alla fruizione dei servizi necessari per la gestione o la funzionalità dell’impianto forniti dal Comune. Tantomeno, si pone come corrispettivo dell’atto amministrativo di localizzazione del sito, in quanto, a tacer d’altro, tale atto costituisce l’esito di un procedimento amministrativo autonomo, in nessun modo condizionato alla corresponsione del contributo in questione.
Sotto il profilo del necessario collegamento del prelievo alla pubblica spesa a un presupposto economicamente rilevante, la disposizione censurata, anche nella ricostruzione offertane dalla Regione, sarebbe destinata a finanziare i “costi supplementari, non solo patrimoniali, derivanti al territorio per ragioni ascrivibili all’insediamento dell’impianto in quel determinato luogo”, dunque, in ultima analisi, alla finalità di dotare l’ente pubblico dei mezzi finanziari necessari ad assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi generali. Questa connotazione funzionale, e il fatto che il prelievo si colleghi all’attività economica di gestione degli impianti, consentono di ritenere il «contributo» uno strumento di riparto, ai sensi dell’art. 53 Cost., del carico della spesa pubblica in ragione della capacità economica manifestata dai soggetti gestori degli impianti (sentenza n. 280 del 2011).
In definitiva, la prestazione “contributiva” in esame non costituisce altro che un tributo, avente: a) quali soggetti passivi, i «soggetti che gestiscono impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali tali quali ad alto rischio e a rischio specifico di encefalopatia spongiforme bovina BSE»; b) quali soggetti attivi, i «comuni sede degli impianti»; c) quale presupposto economicamente rilevante, la gestione di detti impianti; d) quale base imponibile, una entità monetaria commisurata a «ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato nell’anno».
4.3.– Da ultimo, non pare offrire elementi decisivi a sostegno della soluzione opposta la previsione del comma 5 dello stesso art. 16 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002, a mente del quale «[la] misura minima dei contributi di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, previo accordo con i gestori dei succitati impianti, può essere aumentata e può essere destinata parzialmente o totalmente a favore dei comuni limitrofi alla sede di ubicazione degli impianti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dei comuni interessati dall’aumento del traffico veicolare conseguente all’attivazione degli impianti nonché dei comuni nei quali si evidenzino criticità a causa dell’attivazione dei suddetti impianti». Tale disposizione, infatti, lungi dal dimostrare la natura “volontaristica” del contributo in parola, non individua alcun servizio né alcuna prestazione che giustifichi la corresponsione di un contributo da parte di chi ne beneficia. L’accordo fra i Comuni e i soggetti tenuti a versare i «contributi» viene richiamato soltanto in relazione alla destinazione dell’introito, senza peraltro alcun vincolo in capo all’ente che lo percepisce.
5.– Qualificato il prelievo regionale in termini di tributo, resta da verificare se la disposizione che lo prevede rispetta o meno i parametri evocati nell’ordinanza di rimessione per denunciare la lesione delle competenze legislative statali.
5.1.– Secondo il giudice a quo la norma denunciata interviene in una materia, quale il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti, rientrante nella «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema», che è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La censura è fondata.
5.2.– La risoluzione della questione presuppone che si identifichi l’ambito materiale nel quale si colloca la disposizione impugnata.
Gli scarti animali ricadono nella nozione di rifiuto, che viene definito, dall’art. 183, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (Norme in materia ambientale), come «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi». Correlativamente, l’attività di trattamento e trasformazione costituisce modalità di “gestione” dei rifiuti, secondo la definizione normativa che vi ricomprende la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento (art. 183, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 152 del 2006).
Va precisato che, ai sensi dell’art. 185, comma 2, lettera b), del citato d.lgs. n. 152 del 2006, gli scarti di origine animale sono sottratti all’applicazione della normativa in materia di rifiuti e sottoposti alla disciplina contenuta nel regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio Reg. (CE) 3 ottobre 2002, 1774 (recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano), solo se qualificabili come sottoprodotti (ed «eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio»). In ogni altro caso, in cui il produttore intenda destinarli allo smaltimento, essi restano pertanto sottoposti alla disciplina sui rifiuti dettata dal codice dell’ambiente, vertendo il citato regolamento comunitario solo sui profili sanitari e di polizia veterinaria. La stessa giurisprudenza penale ha più volte rimarcato come, fra la disciplina comunitaria di cui al Regolamento (CE) n. 1774/2002 e la disciplina nazionale in materia di rifiuti di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, esista un rapporto di complementarità e non di specialità, se non limitatamente ai rifiuti di origine animale qualificabili come sottoprodotti (Corte di cassazione penale, sentenze 23 gennaio 2012, n. 2710, 4 dicembre 2008, n. 45057 e 4 giugno 2007, n. 21676).
D’altro canto, è escluso che alla categoria dei sottoprodotti (i cui caratteri essenziali, in base all’art. 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, consistono nell’originare la sostanza da un processo di produzione di cui non costituisce scopo primario e nella certezza, al momento della sua produzione, della sua riutilizzazione senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale) appartengano gli scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di BSE che debbano essere necessariamente inceneriti o «coinceneriti».
Per quanto la circostanza non possa essere considerata di per sé decisiva, non è inutile segnalare infine che la riconducibilità degli scarti animali alla materia dei rifiuti, è ben presente anche al legislatore regionale, il quale ha previsto il contributo in esame nel corpo di un testo di legge (la legge della Regione Piemonte n. 24 del 2002, recante «Norme per la gestione dei rifiuti») espressamente destinato a disciplinare la gestione e la riduzione dei rifiuti.
5.3.– Ciò posto quanto alla riconducibilità degli scarti animali alla nozione di rifiuto, va ulteriormente considerato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012 e n. 244 del 2011, n. 225 del 2009, n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008). Tale disciplina inoltre, «in quanto rientrante principalmente nella tutela dell’ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009). Con la conseguenza che, avendo anche riguardo alle diverse fasi e attività di gestione del ciclo dei rifiuti stessi e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).
5.4.– Il quadro estremamente composito degli interessi sottostanti alla fattispecie normativa in esame determina una inevitabile interferenza tra titoli di competenza formalmente ripartiti tra Stato (tutela dell’ambiente) e Regioni (potestà impositiva di tributi propri), ovvero concorrenti (tutela della salute, governo del territorio). Tale interferenza deve trovare composizione attraverso l’adozione del principio di prevalenza, cui questa Corte ha fatto più volte ricorso, quando appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre (sentenze n. 50 del 2005 e n. 370 del 2003), ovvero quando l’azione unitaria dello Stato risulti giustificata dalla necessità di garantire livelli adeguati e non riducibili di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale (sentenza n. 67 del 2014).
Nell’ipotesi all’esame, in cui la Regione ha istituito un tributo gravante sul presupposto dello svolgimento di attività rientrante nella gestione dei rifiuti, la riserva di legge statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., deve essere applicata nell’accezione che consenta di preservare il bene giuridico «ambiente» dai possibili effetti distorsivi derivanti da vincoli imposti in modo differenziato in ciascuna Regione. E, in questo caso, una disciplina unitaria rimessa in via esclusiva allo Stato è all’evidenza diretta allo scopo di prefigurare un quadro regolativo uniforme degli incentivi e disincentivi inevitabilmente collegati alla imposizione fiscale, tenuto conto dell’influenza dispiegata dal tributo (i cosiddetti «effetti allocativi») sulle scelte economiche di investimento e finanziamento delle imprese operanti nel settore dei rifiuti e della loro attitudine a ripercuotersi, per l’oggetto stesso dell’attività esercitata da tali imprese, sugli equilibri ambientali.
6.– Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti).
7.– Rimane assorbita l’altra questione sollevata con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), in correlazione con l’art. 119 Cost.