Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 9 ottobre 2013 (r.o. n. 95 del 2014), il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 24 e 30, lettera d), della legge della Regione Lombardia 31 ottobre 2012, n. 17 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Regione), in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, 51, 121, secondo comma, e 122 della Costituzione, in relazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione).
L’art. 1, comma 24, stabilisce che «Le liste collegate al candidato proclamato eletto alla carica di Presidente della Regione ottengono:
a) almeno il cinquantacinque per cento dei seggi assegnati al Consiglio regionale se il candidato proclamato eletto Presidente della Regione ha ottenuto meno del quaranta per cento dei voti validi;
b) almeno il sessanta per cento dei seggi assegnati al Consiglio regionale se il candidato proclamato eletto Presidente della Regione ha ottenuto una percentuale di voti validi pari al quaranta per cento o superiore».
L’art. 1, comma 30, lettera d), invece, prescrive all’Ufficio centrale elettorale di escludere «dalla ripartizione dei seggi le liste provinciali il cui gruppo ha ottenuto nell’intera Regione meno del tre per cento dei voti validi se non collegato a un candidato Presidente che ha ottenuto almeno il cinque per cento dei voti nella relativa elezione».
1.1.– Il rimettente premette di essere chiamato a pronunciarsi sul ricorso elettorale promosso da un gruppo di cittadini elettori per l’annullamento, in parte qua, del verbale delle operazioni dell’Ufficio centrale elettorale costituito presso la Corte d’appello di Milano e dei presupposti verbali degli Uffici centrali circoscrizionali costituiti presso i Tribunali ordinari di Milano, Monza, Lodi, Pavia, Cremona, Mantova, Brescia, Bergamo, Sondrio, Lecco, Como e Varese, relativamente alle elezioni regionali svolte il 24 e 25 febbraio 2013, nonché delle deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio della Regione Lombardia n. 128 del 12 maggio 2010 e n. 3 del 4 gennaio 2013, in parte qua; n. 314 e n. 315 del 20 dicembre 2012; n. 320, n. 321, n. 322 e n. 323 del 27 dicembre 2012 e degli atti connessi e conseguenti.
1.2.– In ordine alla rilevanza delle questioni, il TAR osserva che, a fronte di un consenso del 42,81 per cento raggiunto dal candidato eletto alla carica di Presidente della Regione e di una percentuale di circa il 38 per cento (così assume il rimettente) raggiunta dalle liste ad esso collegate (corrispondente a 37 seggi), vi è stata l’attribuzione di un premio di maggioranza del 60 per cento (ovvero 48 seggi, più quello spettante al Presidente eletto).
Il rilevante divario tra i consensi ottenuti dalle liste collegate al Presidente e il numero dei seggi ad esse attribuiti renderebbe evidente che, in caso di accoglimento della questione di costituzionalità, verrebbe eliminato (o rimodulato) il premio di maggioranza, modificando sensibilmente la composizione del Consiglio regionale.
Ugualmente, ad avviso del rimettente, l’eliminazione (o rimodulazione) della soglia di sbarramento determinerebbe una diversa attribuzione dei seggi alle liste cosiddette minori, visto che alcune di esse, pur avendo ottenuto un quoziente più elevato di altre, non hanno avuto alcun seggio a differenza delle precedenti.
A questo riguardo, il giudice a quo riporta l’esempio della lista «Centro Popolare Lombardo» la quale, a fronte dell’1,18 per cento di voti, non ha ottenuto seggi, mentre il «Partito dei pensionati», con lo 0,94 per cento dei voti, ha ottenuto un seggio in ragione del collegamento con il candidato Presidente eletto.
1.3.– Quanto poi alla non manifesta infondatezza delle questioni, il TAR ritiene anzitutto che la disciplina del premio di maggioranza, di cui all’art. 1, comma 24, sarebbe irragionevole e in contrasto con il principio dell’uguaglianza del voto, nella parte in cui determina l’assegnazione dei seggi in seno al Consiglio regionale riconoscendo valore determinante al risultato conseguito dal candidato eletto alla carica di Presidente, visto che in tal modo la sorte delle liste si determinerebbe sulla base del solo collegamento effettuato con i candidati alla carica di Presidente della Regione.
Secondo il rimettente, infatti, i seggi in seno al Consiglio verrebbero attribuiti senza considerare il quoziente elettorale delle varie liste concorrenti, che non rileverebbe se non in modo molto limitato (in caso di non superamento della soglia di sbarramento o per l’applicazione dell’art. 1, comma 30, lettera f, della legge regionale n. 17 del 2012) e al fine del riparto dei seggi all’interno delle diverse coalizioni che ne hanno diritto.
1.3.1.– Sarebbe inoltre lesiva dell’art. 121, secondo comma, Cost., la circostanza che la formazione dell’organo assembleare, massima espressione democratica regionale, venga determinata dai risultati elettorali riguardanti un organo diverso (id est, il Presidente).
Una simile distorsione, ad avviso del TAR, non potrebbe giustificarsi né valorizzando oltremisura il collegamento effettuato tra i candidati alla carica di Presidente e le varie liste in fase di presentazione delle candidature; né per la necessità di assicurare la governabilità, che potrebbe consentire solo una parziale deroga al principio democratico, ma non il suo completo stravolgimento.
Sarebbe evidente la possibilità di neutralizzare la competizione elettorale relativa all’elezione dei consiglieri regionali, visto che il premio di maggioranza viene assegnato senza prevedere una soglia minima di consensi da raggiungere per potervi accedere, con il rischio di trasformare una minoranza elettorale in una maggioranza politica.
1.3.2.– Altrettanto irragionevole sarebbe la mancata previsione di una soglia minima di consensi che deve ricevere il candidato eletto Presidente ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza nell’ipotesi indicata dall’art. 1, comma 24, lettera a), della legge elettorale regionale.
1.3.3.– L’irragionevolezza di tale sistema sarebbe altresì aggravata dalla possibilità per l’elettore di esprimere il voto disgiunto, ossia di dare la preferenza ad un candidato Presidente, scegliendo contemporaneamente una lista che sostiene un diverso candidato Presidente.
In tale evenienza, infatti, l’attribuzione del premio di maggioranza risulterebbe in aperta contraddizione con il sistema di voto, in quanto sarebbe palesemente disattesa la scelta elettorale di coloro che hanno inteso dare un voto disgiunto.
1.3.4.– Neppure potrebbe ritenersi che il sistema sia comunque coerente con l’art. 4, comma 1, lettera a), della legge n. 165 del 2004, che impone al legislatore di individuare «un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze»; le esigenze legate alla governabilità, infatti, non possono giustificare un capovolgimento o una consistente alterazione dell’esito elettorale.
1.3.5.– Ad avviso del giudice a quo, in definitiva, il sistema elettorale regionale rischierebbe di stravolgere la volontà elettorale rispetto alle candidature al Consiglio regionale, ben potendo accadere che liste o coalizioni minoritarie, ove collegate ad un candidato eletto Presidente anche con un numero esiguo di voti, ottengano la maggioranza assoluta dei seggi, come si potrebbe verificare in caso di eccessiva frammentazione dell’elettorato e in presenza di un turno unico di votazione.
1.4.– Quanto alla questione relativa all’art. 1, comma 30, lettera d), il TAR osserva che l’elemento determinante ai fini dell’applicazione della soglia di sbarramento sarebbe rappresentato dal semplice collegamento della lista ad un candidato alla carica di Presidente che abbia ottenuto almeno il 5 per cento dei voti; di conseguenza, la possibilità del voto disgiunto renderebbe del tutto irrazionale tale previsione e stravolgerebbe in maniera non consentita il principio di uguaglianza del voto.
2.– Con atto depositato il 21 maggio 2014, si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
2.1.– La difesa regionale eccepisce in primo luogo l’inammissibilità delle questioni in quanto volte all’applicazione retroattiva, alle elezioni del 2013, di regole diverse da quelle in base alle quali le forze politiche e gli elettori hanno formato le proprie scelte, distorcendo il senso dei voti dati e in violazione del principio di previa conoscibilità delle regole di votazione.
Tali questioni, infatti, sono state prospettate non in sede di impugnazione del decreto prefettizio di indizione delle elezioni, cioè prima del loro svolgimento, ma ad elezioni svolte, in sede di impugnazione del verbale delle operazioni dell’Ufficio centrale elettorale, ai sensi dell’art. 130 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Pertanto, all’esito della invocata declaratoria di illegittimità costituzionale, l’eventuale accoglimento del ricorso comporterebbe una valutazione del risultato delle elezioni in base a regole diverse da quelle in relazione alle quali i cittadini hanno deciso il loro voto, travisandone completamente il senso.
E, d’altra parte, secondo la Regione, non sarebbe impedita la “giustiziabilità” della denunciata illegittimità costituzionale della legge elettorale, in quanto i ricorrenti avrebbero potuto introdurre un giudizio di merito corrispondente a quello che ha portato alla sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale; oppure impugnare dinnanzi al competente giudice il decreto di indizione delle elezioni.
In definitiva, ad avviso della Regione, non sarebbe in discussione la possibilità di contestare le regole fondamentali del voto, ma solo che ciò avvenga dopo che esso è stato espresso e al fine di manipolarne retroattivamente l’esito. In sede di contestazione delle operazioni elettorali, ai sensi dell’art. 130 codice del processo amministrativo, infatti, sarebbe possibile far valere soltanto una presunta illegittimità di secondarie e accessorie determinazioni procedurali e non dell’impianto stesso della legge.
2.2.– Ad avviso della Regione, inoltre, la censura relativa all’assegnazione di un premio di maggioranza in assenza di una soglia minima di voti, sarebbe inammissibile per assoluta irrilevanza.
Il TAR, infatti, riferirebbe espressamente tale censura all’art. 1, comma 24, lettera a), che attribuisce un premio del 55 per cento dei seggi del Consiglio regionale alle liste collegate al candidato proclamato eletto Presidente che abbia ottenuto meno del 40 per cento dei voti.
La richiamata disposizione, tuttavia, non avrebbe trovato applicazione in occasione delle elezioni del 2013 e dunque sarebbe del tutto irrilevante nel giudizio a quo. Il candidato Presidente eletto, infatti, ha ottenuto il 42,81 per cento dei voti, mentre le liste ad esso collegate hanno ottenuto il 43,05 per cento (così assume la Regione).
Ai fini dell’assegnazione dei seggi, infatti, sarebbe stata applicata la disposizione di cui all’art. 1, comma 24, lettera b), che assegna un premio del 60 per cento dei seggi alle liste collegate al Presidente proclamato eletto che abbia raggiunto o superato il 40 per cento dei voti validi. Ciò risulterebbe anche dal verbale delle operazioni dell’Ufficio centrale regionale, nel quale la formula relativa all’art. 1, comma 24, lettera a), è espressamente sbarrata, ad indicarne la non applicazione.
2.3.– Secondo la Regione, inoltre, la censura relativa al collegamento del premio di maggioranza con l’esito delle votazioni per il Presidente, anziché con quello delle elezioni per lo stesso Consiglio regionale, sarebbe inammissibile per irrilevanza, in quanto inidonea a dispiegare effetti nel caso concreto.
Nelle elezioni regionali del 2013, oggetto del giudizio a quo, le liste collegate al candidato proclamato eletto Presidente hanno ottenuto il 43,05 per cento dei voti (così assume la Regione), cioè un consenso persino maggiore di quello ottenuto dallo stesso candidato Presidente.
Se dunque la legge prevedesse quel collegamento che il TAR ritiene indispensabile ai fini della legittimità costituzionale della disposizione, ossia il collegamento del premio di maggioranza ai voti ottenuti dalle liste, l’assegnazione dei seggi, in conseguenza del risultato elettorale, non sarebbe minimamente cambiata, né cambierebbe qualora la disposizione dovesse assumere tale significato all’esito del giudizio costituzionale.
2.4.– La Regione eccepisce, ancora, l’inammissibilità della questione per l’illegittimità costituzionale della normativa residua.
All’esito dell’eventuale declaratoria di incostituzionalità, infatti, residuerebbe un sistema elettorale costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 4, comma 1, lettera a), della legge n. 165 del 2004, in quanto non agevolerebbe la formazione di stabili maggioranze in Consiglio regionale.
2.5.– Secondo la Regione, infine, la questione relativa all’art. 1, comma 24, sarebbe inammissibile poiché generica e perplessa nella valutazione sulla rilevanza.
Tale disposizione, infatti, disciplina due distinte ipotesi di assegnazione del premio di maggioranza, a seconda che il candidato Presidente non abbia raggiunto il 40 per cento dei voti (lettera a), ovvero lo abbia raggiunto o superato (lettera b).
Il TAR, tuttavia, non avrebbe individuato la norma rilevante nel caso concreto, non avrebbe correlato le censure alla specifica norma rilevante, non avrebbe individuato le conseguenze dell’eventuale accoglimento delle singole censure, non avrebbe esaminato la legittimità costituzionale della normativa di risulta e sarebbe stato incerto rispetto alla richiesta di eliminazione, ovvero di mera rimodulazione, del premio di maggioranza.
2.6.– Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 30, lettera d), presenterebbe, ad avviso della Regione, diversi profili di inammissibilità.
2.6.1.– In primo luogo, l’ordinanza sarebbe manifestamente contraddittoria, perché il giudice a quo, per un verso, censura tale disposizione nella parte in cui subordina l’accesso al riparto dei seggi anche ai voti del candidato Presidente; per altro verso, tuttavia, solleva la questione in riferimento all’intero art. 1, comma 30, lettera d), dunque con riguardo anche alla soglia del 3 per cento legata ai voti ottenuti dalle singole liste.
2.6.2.– In secondo luogo, la questione sarebbe inammissibile perché la Corte dovrebbe conseguentemente scegliere se dichiarare incostituzionale l’intera disposizione censurata o solo la parte relativa al collegamento con il candidato Presidente, così operando una «valutazione di natura politica» che le sarebbe preclusa.
2.6.3.– Infine, la questione sarebbe inammissibile per l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente per motivare la rilevanza. Ad avviso del TAR, infatti, l’eliminazione della soglia di sbarramento consentirebbe alle liste cosiddette minori, non collegate ad un candidato Presidente, di essere rappresentate.
Secondo la Regione, tuttavia, nelle ultime elezioni la soglia di ingresso “fisiologica” per le liste non collegate al Presidente eletto sarebbe stata di poco inferiore al 3 per cento. La questione, pertanto, sarebbe priva di rilevanza, in quanto il suo eventuale accoglimento non produrrebbe alcun mutamento nel riparto dei seggi.
2.7.– Nel merito, la Regione deduce l’infondatezza delle questioni.
2.7.1.– Quanto all’assenza di una soglia minima ai fini dell’assegnazione del premio, anche laddove tale censura fosse riferita all’art. 1, comma 24, lettera b), essa sarebbe comunque infondata, in quanto tale disposizione prevede per la sua applicazione la soglia del 40 per cento.
2.7.2.– Del pari infondata sarebbe la questione relativa al collegamento del premio ai voti ottenuti dal Presidente, anziché a quelli delle liste collegate. Secondo la Regione, infatti, è la stessa forma di governo regionale prevista dalla Costituzione a esigere che la permanenza in carica del Consiglio dipenda dal collegamento con un altro organo, come ribadito dalla sentenza n. 2 del 2004.
In questo quadro, risulterebbe pienamente coerente un sistema elettorale che assegni una maggioranza del 60 per cento al Presidente che abbia raggiunto il 40 per cento dei consensi, e che, in tal modo, garantisca non solo la stabilità dell’indirizzo politico, ma la stessa vita del Consiglio regionale. Essa, invece, sarebbe compromessa in un assetto istituzionale nel quale il Presidente, privo di sicura maggioranza o persino in minoranza, fosse nell’impossibilità di attuare il suo programma elettorale.
Quanto al voto disgiunto, si tratterebbe di un fenomeno del tutto marginale, essendo ovvio che l’elettore esprimerà il proprio voto in modo omogeneo, come del resto è avvenuto nelle elezioni oggetto del giudizio a quo, in cui le liste collegate hanno avuto un consenso corrispondente a quello del Presidente.
Neppure sarebbe disattesa la scelta degli elettori, perché chi ha scelto un Presidente, sapendo bene con ciò di scegliere anche un esecutivo e una maggioranza, potrebbe liberamente manifestare la preferenza per una lista diversa, avendo in ogni caso la sicurezza di non determinare in tal modo una situazione di ingovernabilità.
D’altra parte, la piena legittimità di un premio di maggioranza in Consiglio regionale del 60 per cento, in relazione ad un capo dell’esecutivo (nel caso, il sindaco) che abbia ottenuto il 40 per cento dei voti, sarebbe già stata rilevata dalla sentenza n. 107 del 1996 della Corte costituzionale, dalla quale risulterebbe anche la piena discrezionalità del legislatore nello stabilire le regole (uno o due turni, voto disgiunto o meno) nel cui ambito tale premio è previsto.
La Regione, infine, rileva che anche il sistema elettorale per le elezioni regionali disciplinato dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale), come modificata dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), collegava l’assegnazione del premio di maggioranza all’esito dell’elezione per le liste regionali, e dunque, in realtà, all’esito delle elezioni per il Presidente, identificato nel capolista regionale.
Della conformità a Costituzione di un tale meccanismo non potrebbe neppure dubitarsi, dal momento che esso è stato recepito dall’art. 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), nelle more dell’adozione dei nuovi statuti e delle nuove leggi elettorali regionali.
2.7.3.– Infine, secondo la difesa regionale, anche la questione relativa alla soglia di sbarramento sarebbe manifestamente infondata.
Le soglie di sbarramento, infatti, hanno lo scopo di evitare la frammentazione delle liste e la disgregazione del risultato elettorale, al fine di precludere fenomeni di ingovernabilità. Esse favoriscono la concentrazione dei candidati in liste omogenee e significative, prevedendo un meccanismo elettorale che premia queste ultime e “disperde” il voto espresso in favore di quelle che non superino la percentuale minima.
Da questo punto di vista, le soglie di sbarramento non violerebbero l’uguaglianza del voto, perché tale principio opererebbe solo “in entrata”, ossia nel momento in cui il voto viene espresso, e non “in uscita”.
La scelta di non ammettere alla ripartizione dei seggi liste che abbiano ottenuto meno del 3 per cento in tutta la Regione, poi, sarebbe conforme al principio fondamentale di cui all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge n. 165 del 2004, in quanto tenderebbe a premiare le liste piccole che si coalizzano, senza peraltro escludere quelle che, comunque, raggiungano un minimo di rappresentatività.
Infine, il collegamento tra le liste presentate per le elezioni del Consiglio regionale e l’esito delle elezioni relative al Presidente, corrisponderebbe pienamente al disegno costituzionale del ruolo del Presidente eletto direttamente.
3.– Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio principale, i quali, nell’atto di costituzione e nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, hanno chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.
3.1.– La difesa di tali parti private osserva, anzitutto, che alla determinazione della cifra elettorale di maggioranza avrebbero concorso anche talune liste illegittimamente esentate dalla raccolta di firme a sostegno. Di conseguenza, il Presidente non avrebbe raggiunto il 40 per cento dei voti e le liste a lui collegate avrebbero dovuto ottenere un premio del 55 per cento dei seggi.
3.2.– Il premio di maggioranza, poi, sarebbe del tutto irragionevole perché non conteggerebbe il seggio attribuito al Presidente, pur essendo quest’ultimo annoverato tra i componenti del Consiglio regionale; e perché verrebbe attribuito in misura superiore a quella necessaria ad assicurare la maggioranza assoluta del Consiglio, privilegiando la governabilità rispetto alla rappresentanza politica.
Inoltre, in virtù della possibilità di esprimere il voto disgiunto, si determinerebbe un’assoluta imprevedibilità nella distribuzione del premio di maggioranza, in violazione del principio del voto libero, personale ed uguale.
3.3.– Quanto alla clausola di sbarramento, se ne lamenta l’effetto distorsivo sulla rappresentanza che si determinerebbe per la sua compresenza col premio di maggioranza.
4.– Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti anche i controinteressati nel giudizio principale, i quali hanno chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità e l’infondatezza delle questioni.
Secondo la difesa di tali parti, il riferimento al principio di rappresentatività non sarebbe pertinente, poiché l’attribuzione di un premio di maggioranza sarebbe funzionale al principio di governabilità; il sistema delineato dalla legge regionale n. 17 del 2012 sarebbe basato sul voto disgiunto per ciascun ambito territoriale, al punto che sarebbe prevista la doppia espressione del voto; l’individuazione delle liste regionali attraverso un capolista preordinato ad assumere il ruolo di Presidente, consentirebbe, attraverso l’indicazione popolare, di coordinare la disposizione dell’art. 122 Cost., con l’esigenza di una stabile governabilità. Infine, la soglia di accesso promuoverebbe l’integrazione politica e ostacolerebbe l’eccessivo frazionamento dei partiti, senza sacrificarne il pluralismo.
5.– Con una memoria deposita in prossimità dell’udienza, la Regione Lombardia ha insistito nelle conclusioni già formulate nell’atto di costituzione, eccependo altresì l’inammissibilità delle questioni sollevate dai ricorrenti, in quanto estranee al thema decidendum fissato nell’ordinanza di rimessione.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia dubita della legittimità costituzionale di due disposizioni della legge della Regione Lombardia 31 ottobre 2012, n. 17 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Regione), relative, rispettivamente, all’attribuzione del premio di maggioranza e alla soglia di sbarramento per accedere alla ripartizione dei seggi.
1.1.– In particolare, il TAR censura, in primo luogo, l’art. 1, comma 24, della legge regionale n. 17 del 2012, che assegna alle liste collegate al candidato proclamato eletto Presidente della Regione un premio del 55 per cento dei seggi del Consiglio regionale, se il Presidente eletto abbia ottenuto meno del 40 per cento dei voti (lettera a); ovvero, un premio del 60 per cento dei seggi, se il Presidente eletto abbia raggiunto o superato il 40 per cento dei voti (lettera b).
Tale disposizione sarebbe irragionevole e in contrasto con il principio dell’uguaglianza del voto, nella parte in cui collega il premio di maggioranza ai voti ottenuti dal candidato Presidente, anziché a quelli ottenuti dalle liste a lui collegate.
Ne risulterebbe vulnerato anche l’art. 121, secondo comma, della Costituzione, in quanto la formazione del Consiglio regionale dipenderebbe dai risultati elettorali del Presidente.
In particolare, l’attribuzione del premio di maggioranza, in mancanza di una soglia minima di consensi da raggiungere per potervi accedere, rischierebbe di trasformare una minoranza elettorale in maggioranza consiliare.
Peraltro, nell’ipotesi indicata dalla lettera a) dell’art. 1, comma 24, sarebbe irragionevole anche la mancata previsione, ai fini del premio, di una soglia minima di consensi che deve ricevere il candidato eletto Presidente.
Il sistema elettorale, inoltre, sarebbe ancora più incoerente in relazione alla possibilità offerta all’elettore di esprimere il voto disgiunto. In tale evenienza, infatti, l’attribuzione del premio di maggioranza risulterebbe in aperta contraddizione con le modalità di voto, in quanto sarebbe palesemente disattesa la scelta elettorale di coloro che hanno votato per un candidato Presidente e contemporaneamente per una lista che sostiene un Presidente diverso.
Infine, ad avviso del TAR, tale sistema non sarebbe coerente neppure con il principio fondamentale di cui all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), perché le esigenze legate alla governabilità non potrebbero ribaltare o alterare in maniera consistente l’esito elettorale.
1.2.– Il TAR censura, altresì, l’art. 1, comma 30, lettera d), della medesima legge regionale n. 17 del 2012, che, ai fini della ripartizione dei seggi, esclude le liste provinciali il cui gruppo abbia ottenuto nell’intera Regione meno del 3 per cento dei voti, se non è collegato a un candidato Presidente che abbia conseguito almeno il 5 per cento.
Di conseguenza, anche in questo caso, la possibilità del voto disgiunto è fonte di irrazionalità e di incoerenza e stravolge in maniera non consentita il principio di uguaglianza del voto.
2.– In ordine alle modalità di instaurazione del presente giudizio di costituzionalità, va osservato che le questioni sollevate davanti a questa Corte sono insorte nel corso di un giudizio volto all’annullamento, in parte qua, del verbale delle operazioni elettorali dell’Ufficio centrale elettorale e dei presupposti verbali degli Uffici centrali circoscrizionali, ai sensi dell’art. 130 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Come è stato recentemente chiarito, ancorché in riferimento all’elezione dei membri del Parlamento europeo, i profili di legittimità costituzionale di una normativa elettorale «ben possono pervenire al vaglio di questa Corte attraverso l’ordinaria applicazione del meccanismo incidentale, nell’ambito di un giudizio principale promosso a tutela del diritto di voto, passivo o attivo, avente ad oggetto la vicenda elettorale e, in particolare, i suoi risultati» (sentenza n. 110 del 2015).
D’altra parte, lo stesso TAR rimettente, con motivazione non implausibile, non ha ritenuto che il ricorso fosse inammissibile per essere stato impugnato il verbale delle operazioni elettorali, anziché il decreto prefettizio di indizione dei comizi, né ha ritenuto che la contestazione delle operazioni elettorali, ai sensi dell’art. 130 cpa, impedisca di sollevare la questione di costituzionalità delle norme che regolano il procedimento elettorale. Non rientra, peraltro, tra i poteri di questa Corte quello di sindacare, in sede di ammissibilità, la sussistenza dei presupposti del giudizio a quo, a meno che questi non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti, ovvero la motivazione della loro esistenza sia manifestamente implausibile (ex plurimis, sentenza n. 200 del 2014).
Pertanto, poiché le odierne questioni di legittimità della legge elettorale lombarda sono state correttamente sollevate nell’ambito di un giudizio volto all’impugnazione dei risultati delle elezioni per il Consiglio regionale e il Presidente della Regione, questa Corte non può non procedere al loro esame.
3.– La prima questione riguarda l’assegnazione del premio di maggioranza.
Il TAR lamenta che la disposizione che lo prevede, nel subordinarne l’attribuzione ai voti del Presidente, anziché a quelli delle liste a lui collegate, in difetto peraltro di una soglia minima di voti ad esse riferibile (soglia che nell’ipotesi di cui all’art. 1, comma 24, lettera a, manca anche rispetto ai consensi ottenuti dal Presidente) e per di più con la possibilità di esprimere un voto disgiunto, stravolgerebbe del tutto la volontà del corpo elettorale rispetto alle candidature al Consiglio regionale, ben potendo accadere che liste o coalizioni assolutamente minoritarie ottengano la maggioranza assoluta dei seggi, purché collegate ad un candidato eletto Presidente, anche con un numero esiguo di voti.
3.1.– La questione è inammissibile.
Come risulta dal verbale delle operazioni elettorali, infatti, nelle elezioni regionali del 24 e 25 febbraio 2013, a fronte di una percentuale del 42,81 per cento di voti ottenuta dal candidato eletto Presidente, le liste a lui collegate hanno conseguito il 43,07 per cento dei suffragi, raccogliendo un consenso che le ha portate a superare la stessa soglia fissata per il Presidente.
Dunque, nella sua applicazione al caso concreto, la disposizione censurata non ha prodotto alcuno degli effetti incostituzionali paventati dal rimettente: la maggioranza assoluta dei seggi, infatti, non è stata attribuita ad una coalizione votata da una frazione minuscola dell’elettorato; il Presidente a cui le liste erano collegate non è risultato eletto con un numero esiguo di voti; né il voto disgiunto ha comportato voti per le liste collegate inferiori a quelli del Presidente.
In ragione di ciò la questione risulta essere meramente ipotetica, e pertanto non rilevante (ex plurimis, ordinanza n. 128 del 2015). Di qui la sua inammissibilità.
4.– La seconda questione riguarda la soglia di sbarramento.
4.1.– Non è fondata l’eccezione di inammissibilità della questione, sollevata dalla Regione, per contraddittorietà dell’ordinanza di rimessione.
In realtà, il giudice a quo ritiene che il nesso tra i voti ottenuti dalle liste e i voti del Presidente sia determinante ai fini dell’operatività dell’intero meccanismo della soglia di sbarramento e dunque, correttamente, estende all’intera disposizione il sollevato dubbio di costituzionalità.
4.1.1.– Parimenti non fondata è la conseguente eccezione di inammissibilità relativa alla natura politica della scelta che sarebbe rimessa a questa Corte sull’oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale (se l’intera disposizione censurata o solo la parte relativa al collegamento con il Presidente).
4.1.2.– Quanto al difetto di rilevanza, non è vero che dall’eventuale accoglimento della questione non deriverebbe alcun mutamento nel riparto dei seggi, poiché, come nota il rimettente, in base alla disciplina contestata la lista del «Partito dei pensionati», che ha avuto lo 0,94 per cento dei voti, ha ottenuto un seggio perché collegata al Presidente eletto, mentre è rimasta esclusa dal riparto la lista del «Centro Popolare Lombardo», che ha conseguito l’1,18 per cento dei voti, ma non era collegata al candidato eletto Presidente.
4.2.– Nel merito, la questione non è fondata in riferimento ad alcuno dei parametri evocati.
La previsione di soglie di sbarramento e quella delle modalità per la loro applicazione, infatti, sono tipiche manifestazioni della discrezionalità del legislatore che intenda evitare la frammentazione della rappresentanza politica, e contribuire alla governabilità.
Si tratta di un fine non arbitrario, che lo stesso legislatore statale ha perseguito con l’art. 7 della legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), laddove ha previsto una disciplina della soglia di sbarramento analoga a quella oggetto del presente giudizio.
Quanto al censurato collegamento tra l’operatività della soglia e il risultato elettorale del candidato Presidente, esso appare coerente con la forma di governo regionale prevista dalla Costituzione per il caso del Presidente eletto direttamente, la quale valorizza il vincolo che lega il Consiglio regionale al Presidente eletto in forza del principio del simul stabunt, simul cadent.
D’altra parte, questa Corte ha sottolineato il nesso di complementarità e integrazione tra forma di governo regionale e legge elettorale, affermando che «la legge elettorale deve armonizzarsi con la forma di governo, allo scopo di fornire a quest’ultima strumenti adeguati di equilibrato funzionamento sin dal momento della costituzione degli organi della Regione, mediante la preposizione dei titolari alle singole cariche» (sentenza n. 4 del 2010).